Create an account
Welcome! Register for an account
La password verrà inviata via email.
Recupero della password
Recupera la tua password
La password verrà inviata via email.
-
- container colonna1
- Categorie
- #iorestoacasa
- Agenda
- Archeologia
- Architettura
- Arte antica
- Arte contemporanea
- Arte moderna
- Arti performative
- Attualità
- Bandi e concorsi
- Beni culturali
- Cinema
- Contest
- Danza
- Design
- Diritto
- Eventi
- Fiere e manifestazioni
- Film e serie tv
- Formazione
- Fotografia
- Libri ed editoria
- Mercato
- MIC Ministero della Cultura
- Moda
- Musei
- Musica
- Opening
- Personaggi
- Politica e opinioni
- Street Art
- Teatro
- Viaggi
- Categorie
- container colonna2
- container colonna1
Nino Alfieri – Promanazioni
personale dell’eclettico scultore
Comunicato stampa
Segnala l'evento
L’opera di Nino Alfieri sovverte i canoni estetici contemporanei. L’artista ignora le mode, agisce con una libertà tale da rendere il suo lavoro unico nel panorama artistico attuale. Bisogna tornare indietro a circa un secolo fa per poter apprezzare la portata e l’importanza della ricerca di Alfieri, alla lenta evoluzione che nel campo delle arti visive, musicali e letterarie ha trovato nelle avanguardie storiche il proprio compimento.
L’opera dell’artista milanese è paragonabile ad una sorta di teatro multisensoriale che riattualizza le teorie per un’opera d’arte totale elaborate ai primi del Novecento come conseguenza diretta delle innovazioni compiute nel secolo precedente in campo musicale e teatrale da Richard Wagner, concretizzate in seguito da musicisti come Aleksandr Skrjabin (basti pensare al suo pianoforte luminoso e alla sua idea di rappresentazione scenica sacra con l’utilizzo di suoni, colori e profumi nel Prometeo del 1911) ed Arnold Schoenberg (teorico della dodecafonia ed autore di opere pittoriche e musicali prettamente espressioniste come La mano felice sempre del 1911 con annotazioni precise su luci, movimenti, suoni e colori) e dalle opere teatrali di un’artista eclettico e colto come Wassily Kandinsky (Il suono giallo del 1909 e Violett del 1911/1914) nelle quali venivano abbinati suoni, forme geometriche e colori dando vita ad una sorta di rappresentazione suprematista-espressionista. E’ proprio nel passaggio epocale tra i due secoli che la commistione dei diversi linguaggi artistici diede nuova linfa vitale alla creatività dei grandi protagonisti delle avanguardie storiche, un fermento che trovò in parecchi personaggi dei sensibili ricettori in grado di elaborare le nuove e rivoluzionarie teorie. Infatti, a partire dal “cromatismo wagneriano” si svilupparono lentamente le esperienze compositive del cosiddetto impressionismo (Claude Debussy e Maurice Ravel) in cui tale procedimento musicale fu portato alle estreme conseguenze, sino a raggiungere sonorità esotiche utilizzando scale modali e pentatoniche, per una rappresentazione “atmosferica” degli eventi naturali come traduzione musicale immediata delle sensazioni profonde che questi fenomeni possono evocare nel profondo dell’animo. Un atteggiamento che spinse la generazione seguente a distogliere la propria attenzione dalla natura (l’esteriorità) per rivolgere il proprio sguardo alle forme del proprio animo, secondo quel principio che Kandinsky definisce della “necessità interiore”. È la nascita dell’arte espressionista ed astratta come reazione critica alla “oggettività” che ha caratterizzato le opere dell’impressionismo e del cosiddetto post-impressionismo (la ricerca scientifica sul colore realizzata da Seurat e Signac nel pointillisme).
Una premessa obbligatoria, per illustrare le radici culturali sulle quali potrebbe basarsi l’arte di Alfieri senza per questo rimanerne imbrigliata, e per calare il lettore e lo spettatore nelle atmosfere create dall’artista, in cui la ricerca di una sorta di “mineralogia dell’interiorità” (sua la felice definizione) ha portato alla realizzazione delle proprie opere. L’opera di Alfieri non procede secondo una logica evolutiva lineare, è assolutamente estranea ad una lettura spazio-temporale orizzontale e consequenziale, è piuttosto legata ad una concezione creativa circolare, allo stesso tempo centrifuga e centripeta, che ignora volutamente le limitate e limitanti leggi estetiche che vorrebbero l’arte come specchio fedele del proprio tempo, a favore di un’universalità che la affranchi da forme mentali stereotipate e standardizzate. Essa racchiude in sé l’intera evoluzione dell’uomo che dalla preistoria lo ha portato all’attuale era tecnologica, sino a possibili visioni futuristiche su di un ritorno a forme arcaiche ed archetipiche quali promanazioni (appunto tra preistoria e futuro) scaturite da un passato che interiormente non può sentire l’inesorabile trascorrere del tempo, ma che continuamente lo rende presente a sé stesso. Non è un paradosso temporale, né un asettico viaggio nel tempo con andata e ritorno, ma è la ricerca della pura essenza di forme che assumono lo statuto di emblema, icona, immagine che accomuni un innato sentimento mistico che sopravanzi qualsiasi barriera culturale, sociale e religiosa.
Infatti Alfieri fa spesso riferimento alla verticalità, alla forma del totem, sorta di statua tribale ancorata al terreno (per la gravità) e slanciata verso il cielo, quale manifestazione di unione tra le forze energetiche che spingono verso il centro della Terra ed allo stesso tempo si innalzano verso l’Infinito. Sculture a tutto tondo o elementi singoli da disporre secondo un andamento progressivo a formare un’unica entità, composte da vari materiali (metalli, terrecotte, plexiglass), e che colpiscono per le loro forme misteriose, come fossero creazioni di civiltà scomparse nei millenni passati o proiezioni anticipate di un futuro talmente remoto da ricondurre l’uomo alle proprie origini, quale conferma della circolarità dell’esperienza storica umana. Ad esse Nino Alfieri abbina elementi elettronici amalgamati perfettamente alla struttura e che attribuiscono all’opera un comportamento, un programma che rivela una dinamica random in continua evoluzione. L’artista crea in questo modo “monumenti” multisensoriali portatori di una propria energia luminosa che si espande nello spazio circostante; oggetti dalla sconosciuta ritualità alchemica che propagano emanazioni energetiche nell’ambiente ed interagiscono con i dipinti che cambiano dinamicamente forme e colori a seconda delle frequenze luminose in continua variazione. Luce di Wood, luce ad incandescenza, luce ad infrarossi, ogni colore fotosensibile utilizzato dall’artista/alchimista reagisce svelando masse aerodinamiche in continuo movimento (che l’artista definisce come forme-matrice, come forme organiche, semi, fossili, amigdale, puntali di aratro arcaiche...) intrecciate a geometrie pulsanti che ciclicamente svaniscono e ricompaiono dalla superficie sottostante, a linee filamentose che disegnano i contorni sinuosi di queste forme che l’artista ripropone come emblemi psichici, mutamenti cromatici inaspettati e sorprendenti che coinvolgono la percezione in un’esperienza di totale coinvolgimento sensoriale. Presenza fondamentale è il suono, utilizzato da Alfieri come ulteriore estensione auditiva delle potenzialità evocative di ciascuna composizione, quale imprescindibile elemento costitutivo necessario al completamento e alla comprensione dell’intera opera. L’artista sceglie opere musicali composte appositamente oppure sonorità prese dalle culture di popolazioni isolate nelle parti più remote del Globo, o ancora musica elettronica di ricerca, facendo attenzione a non sconfinare in una didascalica descrizione degli eventi.
Qualunque creazione artistica che abbia come elementi costitutivi l’unione di queste due forme di energia (luce e suono) non può che coinvolgere in un tripudio di sensazioni che possono evocare atmosfere “al limite” dell’esoterico, del magico, del metafisico, nelle quali ciascuno possa liberamente riconoscere determinate vibrazioni che corrispondano alla propria idea di sublimazione dell’arte.
Alessandro Trabucco
L’opera dell’artista milanese è paragonabile ad una sorta di teatro multisensoriale che riattualizza le teorie per un’opera d’arte totale elaborate ai primi del Novecento come conseguenza diretta delle innovazioni compiute nel secolo precedente in campo musicale e teatrale da Richard Wagner, concretizzate in seguito da musicisti come Aleksandr Skrjabin (basti pensare al suo pianoforte luminoso e alla sua idea di rappresentazione scenica sacra con l’utilizzo di suoni, colori e profumi nel Prometeo del 1911) ed Arnold Schoenberg (teorico della dodecafonia ed autore di opere pittoriche e musicali prettamente espressioniste come La mano felice sempre del 1911 con annotazioni precise su luci, movimenti, suoni e colori) e dalle opere teatrali di un’artista eclettico e colto come Wassily Kandinsky (Il suono giallo del 1909 e Violett del 1911/1914) nelle quali venivano abbinati suoni, forme geometriche e colori dando vita ad una sorta di rappresentazione suprematista-espressionista. E’ proprio nel passaggio epocale tra i due secoli che la commistione dei diversi linguaggi artistici diede nuova linfa vitale alla creatività dei grandi protagonisti delle avanguardie storiche, un fermento che trovò in parecchi personaggi dei sensibili ricettori in grado di elaborare le nuove e rivoluzionarie teorie. Infatti, a partire dal “cromatismo wagneriano” si svilupparono lentamente le esperienze compositive del cosiddetto impressionismo (Claude Debussy e Maurice Ravel) in cui tale procedimento musicale fu portato alle estreme conseguenze, sino a raggiungere sonorità esotiche utilizzando scale modali e pentatoniche, per una rappresentazione “atmosferica” degli eventi naturali come traduzione musicale immediata delle sensazioni profonde che questi fenomeni possono evocare nel profondo dell’animo. Un atteggiamento che spinse la generazione seguente a distogliere la propria attenzione dalla natura (l’esteriorità) per rivolgere il proprio sguardo alle forme del proprio animo, secondo quel principio che Kandinsky definisce della “necessità interiore”. È la nascita dell’arte espressionista ed astratta come reazione critica alla “oggettività” che ha caratterizzato le opere dell’impressionismo e del cosiddetto post-impressionismo (la ricerca scientifica sul colore realizzata da Seurat e Signac nel pointillisme).
Una premessa obbligatoria, per illustrare le radici culturali sulle quali potrebbe basarsi l’arte di Alfieri senza per questo rimanerne imbrigliata, e per calare il lettore e lo spettatore nelle atmosfere create dall’artista, in cui la ricerca di una sorta di “mineralogia dell’interiorità” (sua la felice definizione) ha portato alla realizzazione delle proprie opere. L’opera di Alfieri non procede secondo una logica evolutiva lineare, è assolutamente estranea ad una lettura spazio-temporale orizzontale e consequenziale, è piuttosto legata ad una concezione creativa circolare, allo stesso tempo centrifuga e centripeta, che ignora volutamente le limitate e limitanti leggi estetiche che vorrebbero l’arte come specchio fedele del proprio tempo, a favore di un’universalità che la affranchi da forme mentali stereotipate e standardizzate. Essa racchiude in sé l’intera evoluzione dell’uomo che dalla preistoria lo ha portato all’attuale era tecnologica, sino a possibili visioni futuristiche su di un ritorno a forme arcaiche ed archetipiche quali promanazioni (appunto tra preistoria e futuro) scaturite da un passato che interiormente non può sentire l’inesorabile trascorrere del tempo, ma che continuamente lo rende presente a sé stesso. Non è un paradosso temporale, né un asettico viaggio nel tempo con andata e ritorno, ma è la ricerca della pura essenza di forme che assumono lo statuto di emblema, icona, immagine che accomuni un innato sentimento mistico che sopravanzi qualsiasi barriera culturale, sociale e religiosa.
Infatti Alfieri fa spesso riferimento alla verticalità, alla forma del totem, sorta di statua tribale ancorata al terreno (per la gravità) e slanciata verso il cielo, quale manifestazione di unione tra le forze energetiche che spingono verso il centro della Terra ed allo stesso tempo si innalzano verso l’Infinito. Sculture a tutto tondo o elementi singoli da disporre secondo un andamento progressivo a formare un’unica entità, composte da vari materiali (metalli, terrecotte, plexiglass), e che colpiscono per le loro forme misteriose, come fossero creazioni di civiltà scomparse nei millenni passati o proiezioni anticipate di un futuro talmente remoto da ricondurre l’uomo alle proprie origini, quale conferma della circolarità dell’esperienza storica umana. Ad esse Nino Alfieri abbina elementi elettronici amalgamati perfettamente alla struttura e che attribuiscono all’opera un comportamento, un programma che rivela una dinamica random in continua evoluzione. L’artista crea in questo modo “monumenti” multisensoriali portatori di una propria energia luminosa che si espande nello spazio circostante; oggetti dalla sconosciuta ritualità alchemica che propagano emanazioni energetiche nell’ambiente ed interagiscono con i dipinti che cambiano dinamicamente forme e colori a seconda delle frequenze luminose in continua variazione. Luce di Wood, luce ad incandescenza, luce ad infrarossi, ogni colore fotosensibile utilizzato dall’artista/alchimista reagisce svelando masse aerodinamiche in continuo movimento (che l’artista definisce come forme-matrice, come forme organiche, semi, fossili, amigdale, puntali di aratro arcaiche...) intrecciate a geometrie pulsanti che ciclicamente svaniscono e ricompaiono dalla superficie sottostante, a linee filamentose che disegnano i contorni sinuosi di queste forme che l’artista ripropone come emblemi psichici, mutamenti cromatici inaspettati e sorprendenti che coinvolgono la percezione in un’esperienza di totale coinvolgimento sensoriale. Presenza fondamentale è il suono, utilizzato da Alfieri come ulteriore estensione auditiva delle potenzialità evocative di ciascuna composizione, quale imprescindibile elemento costitutivo necessario al completamento e alla comprensione dell’intera opera. L’artista sceglie opere musicali composte appositamente oppure sonorità prese dalle culture di popolazioni isolate nelle parti più remote del Globo, o ancora musica elettronica di ricerca, facendo attenzione a non sconfinare in una didascalica descrizione degli eventi.
Qualunque creazione artistica che abbia come elementi costitutivi l’unione di queste due forme di energia (luce e suono) non può che coinvolgere in un tripudio di sensazioni che possono evocare atmosfere “al limite” dell’esoterico, del magico, del metafisico, nelle quali ciascuno possa liberamente riconoscere determinate vibrazioni che corrispondano alla propria idea di sublimazione dell’arte.
Alessandro Trabucco
09
maggio 2007
Nino Alfieri – Promanazioni
Dal 09 al 27 maggio 2007
arte contemporanea
Location
SPAZIO 6/A
Milano, Viale Monte Grappa, 6a, (Milano)
Milano, Viale Monte Grappa, 6a, (Milano)
Orario di apertura
tutti le sere dalle 20.30 alle 23.30. Chiuso il martedì
Vernissage
9 Maggio 2007, ore 20,30-23,30
Autore
Curatore