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Non Ora Non Qui
La parte nascosta, l’assurdità nel familiare, la surrealtà di una favola.
Nell’intento di stimolare la fantasia e l’immaginazione, la mostra propone immagini che vivono in un dualismo, intense ma ambigue, che non forniscono una narrazione ma mirano piuttosto a evocare, a suggerire.
Comunicato stampa
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“Le fotogra fie, che in quanto tali non possono spiegare niente, sono inviti inesauribili alla deduzione, alla speculazione e alla fantasia” Susan Sontag, Sulla fotografia
La crescente ibridazione tra strumento fotogra fico e nuove tecnologie mette ormai costantemente in discussione la percezione di ciò che osserviamo; va ricordata tuttavia la capacità intrinseca della fotogra fia di camminare sul filo del dualismo e dell'ambiguità, ponendosi non tanto come registrazione del reale, quanto come veicolo di fascinazione e di espressione.
La vocazione immagini fica e polisemica della fotogra fia, che prescinde dalla necessità di fornire univoche chiavi di lettura, si traduce, in alcuni casi, in un'esperienza di straniamento provata da chi osserva.
Quando a essere protagonisti delle immagini siano i concetti di corpo e identità, declinati tuttavia come luoghi metaforici, come sede di una dimensione psicologica, teatrale o onirica, è ancor più probabile che la sensazione perturbante venga raggiunta, nella misura in cui – secondo la de finizione di Sigmund Freud – ciò che si osserva viene percepito contemporaneamente sia come familiare che come estraneo.
Ulteriore elemento spaesante è l'occultamento del volto della figura umana fotografata: nel contesto contemporaneo, il cui carattere panottico consente di avere tutto, sempre, a portata di visione, la negazione dello sguardo priva l'osservatore di riferimenti e lo conduce alla necessità dialettica di cercare altrove, indagando il non visibile.
Nel tentativo di stimolare la fantasia e l'immaginazione, la mostra propone una selezione di opere di Cristina Coral, Giuseppe Palmisano e Carla Sutera Sardo: secondo il proprio speci fico linguaggio, ognuno di loro declina i temi del corpo e dell'identità collocandoli in contesti apparentemente avulsi da una consueta dimensione spazio-temporale. Immagini intense ma ambigue, che non forniscono una narrazione ma mirano piuttosto a evocare, a suggerire. Tutt'altro che didascaliche, si muovono in un gioco di vuoti e di pieni che lascia spazi da colmare, in una necessaria relazione bidirezionale tra opera e spettatore.
Visioni sospese, storie solo accennate, frammenti che si collocano non ora e non qui.
Una dimensione intima e introspettiva è alla base del lavoro di Cristina Coral, il cui intento non è tanto rappresentare la realtà esterna quanto sondare la profondità e il mistero che caratterizzano l'animo umano. Le immagini tratte dalle serie The other part of me e Secret garden (2016) appaiono simili a ricordi indefiniti, porzioni di realtà immaginarie o immaginate; permeate da un'aura enigmatica, mostrano una quotidianità anomala, tanto intima da stravolgere la percezione dell'intimità stessa.
Il corpo femminile si fa metafora della dicotomia tra ciò che è visibile e ciò che non lo è, tra il reale e l'ideale, tra il familiare e l'estraneo. I corpi fotografati dall'artista sono in parte nascosti, i loro volti mai del tutto visibili: coperti, sfuggenti, si sottraggono alla vista, come personaggi di un teatro attraverso il cui sipario ci è data solo la possibilità di sbirciare. Il concetto di identità viene rimesso in discussione, in un ribaltamento dei luoghi comuni sulla rappresentazione del sé; tale intento si fa ancora più strati ficato in riferimento alla società contemporanea che vede nell'ostentazione dell'identità attraverso il sel fie uno dei propri elementi costituivi. Le opere di Coral, strutturalmente essenziali e cromaticamente armoniche, congiungono delicatezza formale e rigore compositivo a una sensazione di inquietudine e di dubbio data dalla frammentarietà delle scene che propongono.
Il concetto di identità viene messo in questione anche nel lavoro di Giuseppe Palmisano, in arte iosonopipo. Le immagini della serie Oltrepensare (2012 – 2015) prendono vita in ambienti domestici, al cui interno
siamo invitati ad addentrarci come spettatori di un teatro dell'assurdo. Luoghi tanto familiari si trasformano in scenari bizzarri, abitati da figure femminili coperte soltanto da un paio di collant colorati; le posizioni innaturali dei loro corpi precludono alla nostra visione i loro visi. In un poetico connubio tra malinconico e ironico, i corpi ritratti dall'artista si fanno contemporaneamente soggetto e oggetto, legittimando soltanto all'apparenza il perpetrarsi di uno sguardo maschilista. Grazie all'approccio ironico, che deve molto alla formazione teatrale dell'autore stesso, ciò che a prima vista sembrerebbe una privazione dell'identità o una mera oggettivazione del corpo femminile suggerisce in realtà un'operazione di sdrammatizzazione e decostruzione degli stereotipi.
Spogliando dei vestiti i corpi delle proprie modelle, l'artista al contempo li spoglia da qualsiasi rimando all'erotismo fine a se stesso. La riduzione dell'erotico in favore dell'ironico passa anche attraverso l'oscillazione tra un'essenzialità quali scultorea a livello formale e compositivo e l'inscrizione di signi ficati profondi e polimor fi, suggeriti attraverso punctum inspiegabili che sollecitano l'immaginazione minando ogni certezza.
Lontano dalla classica rappresentazione del femminile è anche il corpo delle protagoniste delle opere di Carla Sutera Sardo. Nel lavoro dell'artista è elemento imprescindibile l'interazione tra corpi e paesaggi: una fisicità che sa di leggerezza e giocosità, di magia e di fiaba, si incastra perfettamente sullo sfondo di una natura ancora pura e incontaminata, così come pura e incontaminata è l'idea di bellezza proposta dall'autrice. Nella serie Soeur (2019) un paesaggio apparentemente arido e afoso si trasforma in uno scenario fiabesco al cui interno prendono vita figure dalle movenze morbide e delicate. Corpi che si aprono a una dimensione quasi fanciullesca, proiettati alla scoperta di sé e del territorio che li circonda.
Il carattere di levità posseduto dall'immagine fa da contrappunto alla solidità intensa del legame che i corpi intrattengono con la natura che le ospita, fino quasi a divenirne parte. La relazione con l'ambiente avviene tuttavia in maniera inaspettata e imprevedibile, attraverso la giustapposizione di dettagli incongrui, in un'atmosfera onirica e surreale che appare simile ad un luogo frequentato in un sogno.
Spensierata e vitale ma al contempo spaesante, l'opera dell'autrice si apre a svariati livelli di signi ficato; i volti delle protagoniste di questa messa in scena fatata non si offrono alla nostra conoscenza, lasciandoci la possibilità di costruire una storia attingendo alla nostra sensibilità.
La crescente ibridazione tra strumento fotogra fico e nuove tecnologie mette ormai costantemente in discussione la percezione di ciò che osserviamo; va ricordata tuttavia la capacità intrinseca della fotogra fia di camminare sul filo del dualismo e dell'ambiguità, ponendosi non tanto come registrazione del reale, quanto come veicolo di fascinazione e di espressione.
La vocazione immagini fica e polisemica della fotogra fia, che prescinde dalla necessità di fornire univoche chiavi di lettura, si traduce, in alcuni casi, in un'esperienza di straniamento provata da chi osserva.
Quando a essere protagonisti delle immagini siano i concetti di corpo e identità, declinati tuttavia come luoghi metaforici, come sede di una dimensione psicologica, teatrale o onirica, è ancor più probabile che la sensazione perturbante venga raggiunta, nella misura in cui – secondo la de finizione di Sigmund Freud – ciò che si osserva viene percepito contemporaneamente sia come familiare che come estraneo.
Ulteriore elemento spaesante è l'occultamento del volto della figura umana fotografata: nel contesto contemporaneo, il cui carattere panottico consente di avere tutto, sempre, a portata di visione, la negazione dello sguardo priva l'osservatore di riferimenti e lo conduce alla necessità dialettica di cercare altrove, indagando il non visibile.
Nel tentativo di stimolare la fantasia e l'immaginazione, la mostra propone una selezione di opere di Cristina Coral, Giuseppe Palmisano e Carla Sutera Sardo: secondo il proprio speci fico linguaggio, ognuno di loro declina i temi del corpo e dell'identità collocandoli in contesti apparentemente avulsi da una consueta dimensione spazio-temporale. Immagini intense ma ambigue, che non forniscono una narrazione ma mirano piuttosto a evocare, a suggerire. Tutt'altro che didascaliche, si muovono in un gioco di vuoti e di pieni che lascia spazi da colmare, in una necessaria relazione bidirezionale tra opera e spettatore.
Visioni sospese, storie solo accennate, frammenti che si collocano non ora e non qui.
Una dimensione intima e introspettiva è alla base del lavoro di Cristina Coral, il cui intento non è tanto rappresentare la realtà esterna quanto sondare la profondità e il mistero che caratterizzano l'animo umano. Le immagini tratte dalle serie The other part of me e Secret garden (2016) appaiono simili a ricordi indefiniti, porzioni di realtà immaginarie o immaginate; permeate da un'aura enigmatica, mostrano una quotidianità anomala, tanto intima da stravolgere la percezione dell'intimità stessa.
Il corpo femminile si fa metafora della dicotomia tra ciò che è visibile e ciò che non lo è, tra il reale e l'ideale, tra il familiare e l'estraneo. I corpi fotografati dall'artista sono in parte nascosti, i loro volti mai del tutto visibili: coperti, sfuggenti, si sottraggono alla vista, come personaggi di un teatro attraverso il cui sipario ci è data solo la possibilità di sbirciare. Il concetto di identità viene rimesso in discussione, in un ribaltamento dei luoghi comuni sulla rappresentazione del sé; tale intento si fa ancora più strati ficato in riferimento alla società contemporanea che vede nell'ostentazione dell'identità attraverso il sel fie uno dei propri elementi costituivi. Le opere di Coral, strutturalmente essenziali e cromaticamente armoniche, congiungono delicatezza formale e rigore compositivo a una sensazione di inquietudine e di dubbio data dalla frammentarietà delle scene che propongono.
Il concetto di identità viene messo in questione anche nel lavoro di Giuseppe Palmisano, in arte iosonopipo. Le immagini della serie Oltrepensare (2012 – 2015) prendono vita in ambienti domestici, al cui interno
siamo invitati ad addentrarci come spettatori di un teatro dell'assurdo. Luoghi tanto familiari si trasformano in scenari bizzarri, abitati da figure femminili coperte soltanto da un paio di collant colorati; le posizioni innaturali dei loro corpi precludono alla nostra visione i loro visi. In un poetico connubio tra malinconico e ironico, i corpi ritratti dall'artista si fanno contemporaneamente soggetto e oggetto, legittimando soltanto all'apparenza il perpetrarsi di uno sguardo maschilista. Grazie all'approccio ironico, che deve molto alla formazione teatrale dell'autore stesso, ciò che a prima vista sembrerebbe una privazione dell'identità o una mera oggettivazione del corpo femminile suggerisce in realtà un'operazione di sdrammatizzazione e decostruzione degli stereotipi.
Spogliando dei vestiti i corpi delle proprie modelle, l'artista al contempo li spoglia da qualsiasi rimando all'erotismo fine a se stesso. La riduzione dell'erotico in favore dell'ironico passa anche attraverso l'oscillazione tra un'essenzialità quali scultorea a livello formale e compositivo e l'inscrizione di signi ficati profondi e polimor fi, suggeriti attraverso punctum inspiegabili che sollecitano l'immaginazione minando ogni certezza.
Lontano dalla classica rappresentazione del femminile è anche il corpo delle protagoniste delle opere di Carla Sutera Sardo. Nel lavoro dell'artista è elemento imprescindibile l'interazione tra corpi e paesaggi: una fisicità che sa di leggerezza e giocosità, di magia e di fiaba, si incastra perfettamente sullo sfondo di una natura ancora pura e incontaminata, così come pura e incontaminata è l'idea di bellezza proposta dall'autrice. Nella serie Soeur (2019) un paesaggio apparentemente arido e afoso si trasforma in uno scenario fiabesco al cui interno prendono vita figure dalle movenze morbide e delicate. Corpi che si aprono a una dimensione quasi fanciullesca, proiettati alla scoperta di sé e del territorio che li circonda.
Il carattere di levità posseduto dall'immagine fa da contrappunto alla solidità intensa del legame che i corpi intrattengono con la natura che le ospita, fino quasi a divenirne parte. La relazione con l'ambiente avviene tuttavia in maniera inaspettata e imprevedibile, attraverso la giustapposizione di dettagli incongrui, in un'atmosfera onirica e surreale che appare simile ad un luogo frequentato in un sogno.
Spensierata e vitale ma al contempo spaesante, l'opera dell'autrice si apre a svariati livelli di signi ficato; i volti delle protagoniste di questa messa in scena fatata non si offrono alla nostra conoscenza, lasciandoci la possibilità di costruire una storia attingendo alla nostra sensibilità.
06
aprile 2024
Non Ora Non Qui
Dal 06 aprile al 05 maggio 2024
fotografia
Location
GATE 26A
Modena, Via Carteria, 26A, (Modena)
Modena, Via Carteria, 26A, (Modena)
Orario di apertura
sabato e domenica 17-20
Tutti gli altri giorni su appuntamento oppure dalla vetrina
Vernissage
6 Aprile 2024, 18.00
Autore
Curatore
Autore testo critico
Produzione organizzazione
Sponsor
Patrocini