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Nonplusultra
Inaugurato assieme alla mostra Nonplusultra, questo nuovo spazio, darà avvio al primo SATELLITE PROJECT un progetto itinerante promosso dalla galleria Daniele Ugolini Contemporary in varie città italiane e straniere
Comunicato stampa
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Galleria Daniele Ugolini Contemporary, è lieta di presentare NONPLUSULTRA una mostra collettiva a cura di Gaia Pasi che coinvolge 9 tra i migliori artisti italiani emergenti, alcuni dei quali, già riconosciuti a livello internazionale: Elena el Asmar, Chiara Guarducci, Fabbro&Spada, Isola&Norzi, Filippo Manzini, Marco Mazzi e Cristiana Palandri.
Galleria Daniele Ugolini Contemporary è inoltre felice di annunciare l’apertura della new site unit (adiacente allo spazio della galleria) in via Montebello 46r. Inaugurato assieme alla mostra Nonplusultra, questo nuovo spazio, darà avvio al primo SATELLITE PROJECT un progetto itinerante promosso dalla galleria Daniele Ugolini Contemporary in varie città italiane e straniere.
Il Satellite Project fiorentino, ospiterà l’opera site specific di Filippo Manzini (1975). Manzini interviene sulla carta da incisione sottraendone piccole parti che toglie con i bisturi; i paesaggi atemporali, minimali e puri che scaturiscono da questa complicata operazione, non seguono una progettualità definita e si pongono nudi al libero arbitrio dello spettatore che scopre costellazioni infinite, profili architettonici ed orizzonti sensibili, carpendovi la libertà mentale che li compone.
Sebbene legati ad un analogo contesto socio-politico-culturale, questi artisti sviluppano risposte diverse a quesiti comuni. Molteplici sono i mezzi espressivi da loro utilizzati: dall’installazione (site specific, light art, alterazioni delle preesistenze spaziali) alla scultura, dalla fotografia, alla pittura.
Il NONPLUSULTRA rappresenta con una sfumatura di compiacimento o di stupore talvolta ironica, il limite estremo cui si può giungere e oltre il quale è impossibile andare. Il limite è una linea terminale o anche divisoria tra due ambiti; il potere dell’arte, l’ambizione che lo anima, è quella di creare una zona di passaggio, una messa in comunicazione tra realtà differenti. In questa direzione muovono le rimozioni di Marco Mazzi (1980) che toglie le coperture dei vani di servizio della galleria quali ghiere, mascherine, sportelli, per riportare allo scoperto, allo stadio di cantiere, i fori d’aerazione, gli alloggi della corrente, gli spazi normalmente occlusi alla vista. Nelle fotografie Mazzi fa sì che lo “spostamento” diventi sia fattuale che concettuale: i minacciosi pesci sacri giapponesi, accalcati a formare una macchia scura, simbolo di paure ataviche, inquietano lo spettatore che tende a “girare loro le spalle” alimentato dalla speranza verso il futuro; ma sulla parete opposta ritrova se stesso o meglio due figure di spalle, vestite con abiti candidi colte nell’istante nel quale stanno attraversando un verde luminosissimo giardino ma che sono inevitabilmente dirette verso un’altra zona d’ombra, oscura come lo è, di fatto, il futuro.
Il gioco che s’instaura tra “le cose che sembrano e quelle che sono” ritorna nella grande Diatomea (2007) di Cristiana Palandri (1977) dove un disegno organico a china nera s’impasta alla spessa untuosità della cera, determinando imprecisabili ingorghi antropomorfi e zoomorfi mutevoli come ombre a seconda della distanza di fruizione. Isola&Norzi (1976) tagliano chirurgicamente il muro, aprendovi una finestra profonda che subito richiudono con una fila di candele simili a sbarre. Una di queste candele brucia lentamente illuminando in parte l’oscurità del foro; sacrale come una sorta di candelabro, straniante come una prigione, questo lavoro sintetizza i due aspetti principali dell’arte: la prigionia-dipendenza dell’artista nei confronti del sistema dell’arte e la sua esigenza di muoversi in questo ambito per raccontare ed esprimersi attraverso gesti, segni e materia. Fabro&Spada (1981/1984) costruiscono un espositore su ruote, una sorta di bacheca spostabile come quelle dei negozi all’interno della quale espongono capi da carcerato e dischi, delegando la messa a fuoco dei presupposti del lavoro alla frase “I FEEL FREE IN MY DISPOSITIVE” che graffia il plexiglas della struttura. Elena el Asmar (1978) c’introduce al suo mondo notturno di trame arabescate. Le ragnatele plastiche grazie al riflesso della luce disegnano sui muri architetture avveneristiche e sagome evanescenti come sogni, creando ambienti lunari da mille e una notte. Chiara Guarducci (1973) s’immagina stesa sui binari del treno in attesa dell’inevitabile; i lampi che scendono dal soffitto della galleria rilevano quest’autoritratto disperato e grottesco realizzato con colori fluorescenti.
La disposizione dei lavori in galleria tiene conto di un percorso costruito su un preciso impianto critico che si manifesta senza mezze misure attraverso le immagini: dalla ricerca quotidiana della sacralità dell’anima (nonplusultra umano) imprigionata nei meccanismi che regolano la società, alla natura (nonplusultra generativo) sconfinata come un foglio bianco, immediata come la luce, assoluta come il buio, potente come un fulmine che cade dal cielo.
Galleria Daniele Ugolini Contemporary è inoltre felice di annunciare l’apertura della new site unit (adiacente allo spazio della galleria) in via Montebello 46r. Inaugurato assieme alla mostra Nonplusultra, questo nuovo spazio, darà avvio al primo SATELLITE PROJECT un progetto itinerante promosso dalla galleria Daniele Ugolini Contemporary in varie città italiane e straniere.
Il Satellite Project fiorentino, ospiterà l’opera site specific di Filippo Manzini (1975). Manzini interviene sulla carta da incisione sottraendone piccole parti che toglie con i bisturi; i paesaggi atemporali, minimali e puri che scaturiscono da questa complicata operazione, non seguono una progettualità definita e si pongono nudi al libero arbitrio dello spettatore che scopre costellazioni infinite, profili architettonici ed orizzonti sensibili, carpendovi la libertà mentale che li compone.
Sebbene legati ad un analogo contesto socio-politico-culturale, questi artisti sviluppano risposte diverse a quesiti comuni. Molteplici sono i mezzi espressivi da loro utilizzati: dall’installazione (site specific, light art, alterazioni delle preesistenze spaziali) alla scultura, dalla fotografia, alla pittura.
Il NONPLUSULTRA rappresenta con una sfumatura di compiacimento o di stupore talvolta ironica, il limite estremo cui si può giungere e oltre il quale è impossibile andare. Il limite è una linea terminale o anche divisoria tra due ambiti; il potere dell’arte, l’ambizione che lo anima, è quella di creare una zona di passaggio, una messa in comunicazione tra realtà differenti. In questa direzione muovono le rimozioni di Marco Mazzi (1980) che toglie le coperture dei vani di servizio della galleria quali ghiere, mascherine, sportelli, per riportare allo scoperto, allo stadio di cantiere, i fori d’aerazione, gli alloggi della corrente, gli spazi normalmente occlusi alla vista. Nelle fotografie Mazzi fa sì che lo “spostamento” diventi sia fattuale che concettuale: i minacciosi pesci sacri giapponesi, accalcati a formare una macchia scura, simbolo di paure ataviche, inquietano lo spettatore che tende a “girare loro le spalle” alimentato dalla speranza verso il futuro; ma sulla parete opposta ritrova se stesso o meglio due figure di spalle, vestite con abiti candidi colte nell’istante nel quale stanno attraversando un verde luminosissimo giardino ma che sono inevitabilmente dirette verso un’altra zona d’ombra, oscura come lo è, di fatto, il futuro.
Il gioco che s’instaura tra “le cose che sembrano e quelle che sono” ritorna nella grande Diatomea (2007) di Cristiana Palandri (1977) dove un disegno organico a china nera s’impasta alla spessa untuosità della cera, determinando imprecisabili ingorghi antropomorfi e zoomorfi mutevoli come ombre a seconda della distanza di fruizione. Isola&Norzi (1976) tagliano chirurgicamente il muro, aprendovi una finestra profonda che subito richiudono con una fila di candele simili a sbarre. Una di queste candele brucia lentamente illuminando in parte l’oscurità del foro; sacrale come una sorta di candelabro, straniante come una prigione, questo lavoro sintetizza i due aspetti principali dell’arte: la prigionia-dipendenza dell’artista nei confronti del sistema dell’arte e la sua esigenza di muoversi in questo ambito per raccontare ed esprimersi attraverso gesti, segni e materia. Fabro&Spada (1981/1984) costruiscono un espositore su ruote, una sorta di bacheca spostabile come quelle dei negozi all’interno della quale espongono capi da carcerato e dischi, delegando la messa a fuoco dei presupposti del lavoro alla frase “I FEEL FREE IN MY DISPOSITIVE” che graffia il plexiglas della struttura. Elena el Asmar (1978) c’introduce al suo mondo notturno di trame arabescate. Le ragnatele plastiche grazie al riflesso della luce disegnano sui muri architetture avveneristiche e sagome evanescenti come sogni, creando ambienti lunari da mille e una notte. Chiara Guarducci (1973) s’immagina stesa sui binari del treno in attesa dell’inevitabile; i lampi che scendono dal soffitto della galleria rilevano quest’autoritratto disperato e grottesco realizzato con colori fluorescenti.
La disposizione dei lavori in galleria tiene conto di un percorso costruito su un preciso impianto critico che si manifesta senza mezze misure attraverso le immagini: dalla ricerca quotidiana della sacralità dell’anima (nonplusultra umano) imprigionata nei meccanismi che regolano la società, alla natura (nonplusultra generativo) sconfinata come un foglio bianco, immediata come la luce, assoluta come il buio, potente come un fulmine che cade dal cielo.
27
giugno 2007
Nonplusultra
Dal 27 giugno al 28 settembre 2007
arte contemporanea
Location
GALLERIA DANIELE UGOLINI CONTEMPORARY
Firenze, Via Montebello, 22r, (Firenze)
Firenze, Via Montebello, 22r, (Firenze)
Orario di apertura
lunedì-venerdì 16:00/20:00 - sabato e domenica su appuntamento, chiusura estiva 28 luglio/ 27 agosto 2007
Satellite Project: 00:00/24:00 – aperto anche in agosto
Vernissage
27 Giugno 2007, ore 21:30
Autore
Curatore