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Novella Parigini e gli artisti della Dolce Vita
Una straordinaria iniziativa che s’inserisce nel programma degli eventi 2010 dedicati ai grandi maestri del Novecento dell’arte italiana. La mostra prende spunto da un anniversario del nostro cinema: nel 1960 esce La dolce vita di Federico Fellini, che apre al racconto del “miracolo economico” di un’Italia che finalmente esce dagli affanni e dai drammi degli anni precedenti.
Comunicato stampa
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La mostra “Novella Parigini e gli artisti della Dolce Vita” promossa dalla Galleria ab/arte di Brescia è una straordinaria iniziativa che s’inserisce nel programma degli eventi 2010 dedicati ai grandi maestri del Novecento dell’arte italiana con l’intento di produrre cultura e non solo mercato. La mostra prende spunto da un anniversario del nostro cinema: nel 1960 esce La dolce vita di Federico Fellini, che apre al racconto del “miracolo economico” di un’Italia che finalmente esce dagli affanni e dai drammi degli anni precedenti. Il film vincerà la Palma d’oro a Cannes e resta, ancora oggi, un cult cui molti si sono poi riferiti.
Gli anni Sessanta rappresentano il voler dimenticare i disastri della guerra e la povertà degli anni successivi, in cui gli italiani scoprono il piacere del benessere andando in gita con la Fiat 600 sulle note di Rita Pavone e Domenico Modugno, Gianni Morandi, Caterina Caselli e Mina, ballando il twist e l’hully gully, e facendo propria la cultura pop, la minigonna, allontanando così le contraddizioni del mondo, come la guerra del Vietnam e l'assassinio del presidente Kennedy.
L’Italia guarda a nuovi modelli in cui identificarsi, che però in quegli anni inevitabilmente rimandavano ad un sociale che riversava nella “dolce vita” l’annegamento di tutti i problemi, aiutati dalla resurrezione industriale che modificherà sostanzialmente il costume italiano, con l’entrata nelle case di frigoriferi e lavatrici, televisori e radio, importando un termine che gli italiani associarono a simbolo del progresso tecnologico: il transistor. Non solo. Se Torino era targata Fiat e Milano apriva al design, alla moda e alla pubblicità, pur non sentendosi lontana da nuovi fermenti nell’arte, basti citare lo spazialismo di Lucio Fontana, era Roma la città del cinema, dello spettacolo, della cultura, della letteratura, dove l’arte si vitalizzava con la sperimentazione di artisti come Tano Festa, Mario Schifano e Mimmo Rotella, artisti “maledetti” che espressero i disagi esistenziali del tempo e quella voglia di sorprendere, di meravigliare, di essere protagonisti, modi d’essere che ancora oggi troviamo, anzi ritroviamo, in larga parte dei giovani che pur non avendo vissuto quegli anni eppure ne sono attratti.
Se Via Veneto rappresentava la Roma della dolce vita, era in Piazza del Popolo che l’arte trovava nuovi linguaggi sull’onda della pop art esportata dagli Stati Uniti con quel personaggio sopra le righe dal nome di Andy Warhol. E arrivavano anche le rockstar Bob Dylan e Mick Jagger e tutta quella musica poi incarnata in Europa dai Beatles. Così il beat e tutta una cultura giovanile troveranno ancora a Roma il loro tempio nel Piper Club, dove alla musica con Patty Pravo si associavano le opere di Warhol e di Schifano, e i primi approcci con le “piazze”, con le contestazioni, in anni vicini all’esplosione del Sessantotto che inevitabilmente chiuderà il sogno aprendo una stagione difficile che tutti conosciamo. Sarà la politica ad occupare la scena nazionale ed anche l’arte ne subirà l’influenza, nel linguaggio con l’arte povera e nelle strategie di avvicinamenti con il potere, spezzando quel filo di un tempo disincantato e cambiando il percorso dell'arte contemporanea caratterizzata da una rivisitazione delle avanguardie in neoavanguardie, dal minimalismo, dall’informale e dal Nouveau Réalisme teorizzato nel 1960 dal critico Pierre Restany nel catalogo della mostra titolata Les Nouveaux Réalistes.
Sono questi i ponti verso l’arte post-moderna in un periodo che guardava all’arte collettiva più che a quella individuale, con la propensione al ritrovarsi tra artisti ed aprire discussioni e confronti, a formare “gruppi” e a riportare esperienze da viaggi nella capitale artistica del momento, Parigi, e a New York dove l’action paintings di Pollock ormai faceva scuola. Sono i primi interrogativi (crisi?) del concetto di arte che indurranno a portare in secondo piano l’opera in favore di altri elementi, materiali e forme, installazioni o performance, fino a raggiungere quel processo mentale genesi dell’arte concettuale, che ci rimanda a Novella Parigini, da molti considerata anticipatrice della pop art, ma per sua stessa ammissione ancora anticipatrice, quando dichiara che la sua arte era “un'esplicazione del pensiero, non del sentimento,... del pensiero”.
Ecco allora che quella voglia di libertà che pervadeva un po’ tutti s’incarnava in quest’artista eclettica, qual è Novella Parigini, da cui non possiamo prescindere per l’arte negli anni Sessanta. Non possiamo riferirci, infatti, a questi mitici anni senza idealmente entrare nel suo “salotto”, senza quella straordinaria vitalità fatta di incontri, di personaggi, di artisti che pur riuniva nei nascenti studi di Via Margutta, dove ella stessa abitava e dove pur risiedeva Federico Fellini e altri due artisti che fanno parte di questa rassegna: Renato Guttuso e Luigi Montanarini, insieme a Mario Ceroli, Renato Mambor (che scrive la sceneggiatura della Dolce Vita di Fellini) e a Sante Monachesi.
Sempre vestita di bianco, Novella Parigini (1921-1993) conosceva il jet set mondiale e fece della mondanità un’arte nell’arte: ospitava artisti come Salvador Dalì che l’avvicinerà al surrealismo, ma anche i divi di casa nostra come Sophia Loren e Vittorio Gassman, quelli internazionali come Tyrone Power, Linda Christian, Ava Gardner e Marlon Brando, la grande amica Ursula Andress, mentre lo Scià di Persia la chiamò per un ritratto a Soraya. Ormai Novella Parigini era mille miglia lontana dagli anni parigini in cui offriva i suoi quadri per strada per potersi mantenere e poter vivere quella cultura internazionale, da Jean-Paul Sartre a Simone de Beauvoir, la madre del movimento femminista, da Jean Genet al poeta Jean Cocteau, amico di Picasso, Matisse e Man Ray, che la formano come donna ricca di spirito e d’intelligenza.
A Parigi frequenta l'Accademia delle Beaux Arts e viene a contatto con l’esistenzialismo che affinerà il suo innato anticonformismo che trasferirà anche nella sua pittura “fantastica”, nelle sue figure femminili con grandi occhi felini e i gatti diventati un suo alter ego, protagonisti inconfondibili di una pittrice in contrapposizione tra edonismo ed etica formale, privilegiando la libera espressione scevra da ogni legame politico o sentimentale per far emergere una nuova figura d’esempio all’impegno femminile. Già nel 1954 Novella Parigini è a New York dove allestisce grandi mostre recensite dai più importanti critici americani, e nel 1962, su commissione del Presidente John F. Kennedy, realizza la figura di Cristo per una chiesa del Texas. Ma nel suo curriculum ci sono numerose esposizioni in ogni Paese, anche in Cina, e le sue opere figurano in importanti collezioni e musei del mondo mentre le poste francesi le hanno dedicato un francobollo.
La mostra “Novella Parigini e gli artisti della Dolce Vita” ripercorre un’avventura artistica e culturale che il Terzo Millennio vede ancora come un’icona, e si presenta al pubblico con un progetto di allestimento dell’artista Riccardo Prevosti, in un’ambientazione che fa uso scenografico di oggetti dell’epoca. L’effetto spazio-tempo così creato, accoglie l’esposizione di alcuni disegni pastello/carboncino su carta nera di Novella Parigini che riassumono il suo universo pittorico, poi dipinti e opere grafiche di: Mario Ceroli, Tano Festa, Renato Guttuso, Renato Mambor, Sante Monachesi, Luigi Montanarini, Mimmo Rotella, Mario Schifano.
Andrea Barretta
Gli anni Sessanta rappresentano il voler dimenticare i disastri della guerra e la povertà degli anni successivi, in cui gli italiani scoprono il piacere del benessere andando in gita con la Fiat 600 sulle note di Rita Pavone e Domenico Modugno, Gianni Morandi, Caterina Caselli e Mina, ballando il twist e l’hully gully, e facendo propria la cultura pop, la minigonna, allontanando così le contraddizioni del mondo, come la guerra del Vietnam e l'assassinio del presidente Kennedy.
L’Italia guarda a nuovi modelli in cui identificarsi, che però in quegli anni inevitabilmente rimandavano ad un sociale che riversava nella “dolce vita” l’annegamento di tutti i problemi, aiutati dalla resurrezione industriale che modificherà sostanzialmente il costume italiano, con l’entrata nelle case di frigoriferi e lavatrici, televisori e radio, importando un termine che gli italiani associarono a simbolo del progresso tecnologico: il transistor. Non solo. Se Torino era targata Fiat e Milano apriva al design, alla moda e alla pubblicità, pur non sentendosi lontana da nuovi fermenti nell’arte, basti citare lo spazialismo di Lucio Fontana, era Roma la città del cinema, dello spettacolo, della cultura, della letteratura, dove l’arte si vitalizzava con la sperimentazione di artisti come Tano Festa, Mario Schifano e Mimmo Rotella, artisti “maledetti” che espressero i disagi esistenziali del tempo e quella voglia di sorprendere, di meravigliare, di essere protagonisti, modi d’essere che ancora oggi troviamo, anzi ritroviamo, in larga parte dei giovani che pur non avendo vissuto quegli anni eppure ne sono attratti.
Se Via Veneto rappresentava la Roma della dolce vita, era in Piazza del Popolo che l’arte trovava nuovi linguaggi sull’onda della pop art esportata dagli Stati Uniti con quel personaggio sopra le righe dal nome di Andy Warhol. E arrivavano anche le rockstar Bob Dylan e Mick Jagger e tutta quella musica poi incarnata in Europa dai Beatles. Così il beat e tutta una cultura giovanile troveranno ancora a Roma il loro tempio nel Piper Club, dove alla musica con Patty Pravo si associavano le opere di Warhol e di Schifano, e i primi approcci con le “piazze”, con le contestazioni, in anni vicini all’esplosione del Sessantotto che inevitabilmente chiuderà il sogno aprendo una stagione difficile che tutti conosciamo. Sarà la politica ad occupare la scena nazionale ed anche l’arte ne subirà l’influenza, nel linguaggio con l’arte povera e nelle strategie di avvicinamenti con il potere, spezzando quel filo di un tempo disincantato e cambiando il percorso dell'arte contemporanea caratterizzata da una rivisitazione delle avanguardie in neoavanguardie, dal minimalismo, dall’informale e dal Nouveau Réalisme teorizzato nel 1960 dal critico Pierre Restany nel catalogo della mostra titolata Les Nouveaux Réalistes.
Sono questi i ponti verso l’arte post-moderna in un periodo che guardava all’arte collettiva più che a quella individuale, con la propensione al ritrovarsi tra artisti ed aprire discussioni e confronti, a formare “gruppi” e a riportare esperienze da viaggi nella capitale artistica del momento, Parigi, e a New York dove l’action paintings di Pollock ormai faceva scuola. Sono i primi interrogativi (crisi?) del concetto di arte che indurranno a portare in secondo piano l’opera in favore di altri elementi, materiali e forme, installazioni o performance, fino a raggiungere quel processo mentale genesi dell’arte concettuale, che ci rimanda a Novella Parigini, da molti considerata anticipatrice della pop art, ma per sua stessa ammissione ancora anticipatrice, quando dichiara che la sua arte era “un'esplicazione del pensiero, non del sentimento,... del pensiero”.
Ecco allora che quella voglia di libertà che pervadeva un po’ tutti s’incarnava in quest’artista eclettica, qual è Novella Parigini, da cui non possiamo prescindere per l’arte negli anni Sessanta. Non possiamo riferirci, infatti, a questi mitici anni senza idealmente entrare nel suo “salotto”, senza quella straordinaria vitalità fatta di incontri, di personaggi, di artisti che pur riuniva nei nascenti studi di Via Margutta, dove ella stessa abitava e dove pur risiedeva Federico Fellini e altri due artisti che fanno parte di questa rassegna: Renato Guttuso e Luigi Montanarini, insieme a Mario Ceroli, Renato Mambor (che scrive la sceneggiatura della Dolce Vita di Fellini) e a Sante Monachesi.
Sempre vestita di bianco, Novella Parigini (1921-1993) conosceva il jet set mondiale e fece della mondanità un’arte nell’arte: ospitava artisti come Salvador Dalì che l’avvicinerà al surrealismo, ma anche i divi di casa nostra come Sophia Loren e Vittorio Gassman, quelli internazionali come Tyrone Power, Linda Christian, Ava Gardner e Marlon Brando, la grande amica Ursula Andress, mentre lo Scià di Persia la chiamò per un ritratto a Soraya. Ormai Novella Parigini era mille miglia lontana dagli anni parigini in cui offriva i suoi quadri per strada per potersi mantenere e poter vivere quella cultura internazionale, da Jean-Paul Sartre a Simone de Beauvoir, la madre del movimento femminista, da Jean Genet al poeta Jean Cocteau, amico di Picasso, Matisse e Man Ray, che la formano come donna ricca di spirito e d’intelligenza.
A Parigi frequenta l'Accademia delle Beaux Arts e viene a contatto con l’esistenzialismo che affinerà il suo innato anticonformismo che trasferirà anche nella sua pittura “fantastica”, nelle sue figure femminili con grandi occhi felini e i gatti diventati un suo alter ego, protagonisti inconfondibili di una pittrice in contrapposizione tra edonismo ed etica formale, privilegiando la libera espressione scevra da ogni legame politico o sentimentale per far emergere una nuova figura d’esempio all’impegno femminile. Già nel 1954 Novella Parigini è a New York dove allestisce grandi mostre recensite dai più importanti critici americani, e nel 1962, su commissione del Presidente John F. Kennedy, realizza la figura di Cristo per una chiesa del Texas. Ma nel suo curriculum ci sono numerose esposizioni in ogni Paese, anche in Cina, e le sue opere figurano in importanti collezioni e musei del mondo mentre le poste francesi le hanno dedicato un francobollo.
La mostra “Novella Parigini e gli artisti della Dolce Vita” ripercorre un’avventura artistica e culturale che il Terzo Millennio vede ancora come un’icona, e si presenta al pubblico con un progetto di allestimento dell’artista Riccardo Prevosti, in un’ambientazione che fa uso scenografico di oggetti dell’epoca. L’effetto spazio-tempo così creato, accoglie l’esposizione di alcuni disegni pastello/carboncino su carta nera di Novella Parigini che riassumono il suo universo pittorico, poi dipinti e opere grafiche di: Mario Ceroli, Tano Festa, Renato Guttuso, Renato Mambor, Sante Monachesi, Luigi Montanarini, Mimmo Rotella, Mario Schifano.
Andrea Barretta
05
giugno 2010
Novella Parigini e gli artisti della Dolce Vita
Dal 05 giugno al 31 luglio 2010
arte contemporanea
Location
GALLERIA AB/ARTE
Brescia, Vicolo San Nicola, 6, (Brescia)
Brescia, Vicolo San Nicola, 6, (Brescia)
Orario di apertura
giovedì 15,30-19,30; venerdì e sabato 9,30-12,30 e 15,30-19,30
Vernissage
5 Giugno 2010, Ore 18
Autore
Curatore