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Nud’arte
Tema iconografico che attraversa l’intera storia dell’arte e coinvolge in un dibattito tra estetica e cultura, ovvero la nudità come esaltazione dell’armonia del corpo o simbolo del volgare?
Comunicato stampa
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Ai primordi c’erano Adamo ed Eva, creati maschio e femmina ad immagine di Dio, che se ne andavano nudi nei giardini dell’Eden. In principio c’era il nudo maschile, nell’olimpo greco dei completamente nudi mentre le dee erano ancora rigorosamente vestite, poi Afrodite, dea della sessualità, si spoglia e a lei s’affiancherà l’equivalente romana, Venere, associata all’amore. All’inizio c’era la nudità “atletica” come celebrazione dell’armonia del corpo, dell’eroicità guerriera o della sensualità femminile presentata come simbolo d’innocenza e di purezza. Poi il Medioevo, il Rinascimento, il Seicento e il Settecento, ovvero dalla blasfemia medievale a Pollaiolo e al Perugino, dall’Uomo Vitruviano di Leonardo con “il membro virile” che “nasscie nel mezo dell’omo” alla rinascita con Michelangelo che fa tornare potente il nudo maschile come emblema dell’uomo visto nella sua universalità. E ancora il manierismo, la Controriforma, i “braghettoni” per coprire l’arte nuda fino a tornare al corpo spogliato nel candore delle diverse “bagnanti” o Diane in quotidianità dipinte da Tiziano e Rembrandt.
Il nudo ora è sempre e soltanto femminile e il corpo si “sdraia” - davanti uno specchio oppure su un divanetto - in puri ritratti formali, non più l’ideale trascendente in una grazia tanto più perfetta quanto più si avvicina a quella divina, bensì la proposizione di una donna reale, che trasmette sentimenti diversi. Donne vere che non sono più costrette a chiamarsi Afrodite o Venere o Diana, ma più semplicemente donne “liberate” e artisti affrancati senza abbisognarsi a giustificazioni bibliche o mitologiche. Così come fin dagli inizi dell’Ottocento si sgancia dalle legittimazioni di tipo religioso e nell’arte prevale una nuova concezione laica della figura umana: il nudo come metafora della bellezza che non va confusa con la volgarità, pur con Eros e l’eros presenti nelle tante allegorie dell’Amore che la storia dell’arte conserva.
Certo la nudità vissuta nell’arte contemporanea è spesso inquietante e provocatrice, ma ogni arte è figlia del suo tempo e noi - pur non dimenticando la lezione dell’arte moderna con i primi nudi realistici che ci sono stati consegnati dall’impressionismo di Renoir né della sfida di Klimt - guardiamo in questo terzo millennio installazioni discutibili, performance schiave di un erotismo consumistico, video e fotografie che affondano immagine dopo immagine nelle ambiguità di corpi esibiti. E’ l’era del sesso svelato, è il tempo della perdita dell’innocenza, è il tempo dei mass media, dei messaggi pubblicitari onirici. Non più la decenza ma l’espressione voyeuristica del desiderio, non più l’incanto ma il capriccio, non più l’estasi ma i tabù violati. Nulla più a che vedere con gli ignudi michelangioleschi; nulla più a farci gridare insieme a Verlaine questa è pittura e “tutto il resto è letteratura”, ma il far diventare, al confronto, pudico gli Amanti di Giulio Romano, esagerato il pudore di Degas e persino candide le prostitute di Toulouse Lautrec.
“Nud’arte” è un tentativo di prospettiva scenica della nudità con un approccio all’appena ieri, per celebrare il corpo in un confronto che neghi la rappresentazione del nudo nell’arte senza un legame con un altrove che glorifichi la vita, con la libertà che non è togliersi l’impaccio degli indumenti ma il vivere l’armonia dell’universo: non muscoli maschili e curve femminili che hanno ormai invaso anche l’immaginario impossibile, né seni e glutei ostentati. “Nud’arte” intende proporre una chiave di lettura che interpreti i riferimenti culturali di due diversi periodi delle arti visive: quello dell’arte moderna e quello dell’arte contemporanea, senza entrare nei periodi storici citati come prodromo ma per mostrare semplicemente il dopo e l’oggi dello speculare nell’arte del corpo nel Novecento e nel Duemila, dalla passionalità di Guttuso all’ideale estetico di Morlotti, dalle linee di Treccani e Cassinari alle rotondità di Cantatore, dalla bellezza di Greco e di Gismondi alla seduzione di Gentilini e di Conti, dalle solitudini di Pagliacci e Tornabuoni al nascondimento di Minguzzi, e alla contemporaneità di Gauli, Sportelli, Marpicati, Cassinari Vettor, Rontani, Volpi, fino alla maternità di De Lucia e Pizzoni, e alla famiglia di Ferlenga, in una nuda dignità di denuncia che si scontra con la cruda evidenza fallica di Carrol, in un baccanale che è quasi cronaca dei nostri giorni.
Picasso soleva dire che “l’arte non è mai casta, si dovrebbe tenerla lontana da tutti i candidi ignoranti. Non dovrebbero mai lasciare che gente impreparata vi si avvicini”, ed affermava che “l’arte è pericolosa. Se è casta non è arte”. Assistiamo, allora, ad un’arte nuda non più mezzo per descrivere la realtà o per tradurre sensazioni, come in Braque, ma una sorta di attrazione in cui la seduzione non è il portare l’altro nel tuo universo, per emozionare, ma impatto violento che diventa istinto, emarginato in una fissità iconica che potrebbe suggerire a ragione una tautologia linguistica. E’ vero, qui qualcuno potrebbe ricordarci L’origine del mondo di Courbet oppure la tensione erotica nei disegni di Rodin o in quelli di Schiele, confutare la tesi di un’arte da reinterpretare attraverso una semantica figurativa, pluralità di stili e di tecniche, e si potrebbe fare riferimento a un erotismo di ricerca, ma “Nud’arte” volutamente giustappone l’arte del nudo con la sottolineatura delle sfaccettature di un’esposizione sui radicali cambiamenti della figura. Non solo. “Nud’arte” li elabora da un punto di vista che è poesia e non oggetto dal significato ambivalente, per decifrare un’arte che non sia soltanto istigazione o polemica.
Lungi dal pensiero di tornare a legare la nudità all’idea di peccato - alla foglia di fico - o ad una sorta di censura sic et simpliciter da far cadere sulle “vergogne”, “Nud’arte” ha la speranza di non considerare l’osceno come fonte di ispirazione artistica, tanto distruttivo come lo sguardo di Orfeo a Euridice. E’ indubbio, infatti, che certa “arte” lasci esterrefatti, soprattutto quando irrazionalmente va a toccare il religioso. La dissacrazione è la provocazione per far parlare di sé. Non si coglie il frutto della spontaneità e molto - non tutto ovviamente - sembra essere distante nell’estetica e nell’esegesi visiva dal gioco del fascino del nudo che sia “il vero talento”, come scriveva Hermann Hesse, “in un sano darsi del corpo e della mente”.
Il panorama esplorato da “Nud’arte” è nella sperimentazione dei linguaggi e nel riuscire ad offrire un punto privilegiato di osservazione sulla narrazione attraverso le opere esposte - le suggestioni - significanti di una idealità a confronto con la cultura contemporanea e degli stereotipi relegati al rango di bestialità inespresse.
Se nell’ideale greco della bellezza c’era un portamento senza alcun compiacimento nell’apparire che non fosse quello plastico, l’assunzione della nostra contemporaneità è verso il nudo sciorinato al di là di ogni regola, come soggetto di una fisicità miserabile nel voler scandalizzare l’arte tra eros e pornografia, sostenuta dall’energia erotica maschile, dal passo breve verso corpi maciullati dai messaggi pubblicitari, di nudi femminili che il femminismo a tratti rispolvera e denuncia in confessioni politiche. E’ come nell’Olympia di Manet, ritratto di una prostituta che copre con una mano il sesso: finto pudore, finto scalpore, per cui l’uomo e la donna, il maschio e la femmina, surrettiziamente lanciano una nuova virtuosità racchiusa oggi nel chiamarsi escort: una nuova morale, fenomeno di un costume dilagante che sta contagiando la società, oltre le concettualità di Vanessa Beecroft e Spencer Tunick.
Ecco dunque, come in un cerchio che si chiude, la disamina di “Nud’arte” da Franco Gentilini e Primo Conti che sembrano fare il verso a Mains sur un sexe di Rodin e Mario Sportelli al Couple saphique, mentre Robert Carrol ci riporta all’Au Salon di Degas e Renato Guttuso al Nudo disteso di Modigliani o proprio al “mondo” di Courbet, mentre Ennio Morlotti ci rimanda a Quatre femme nue au bord de la mere di Picasso, Lorenzo Tornabuoni ai “bagnanti” di Cezanne e alla fotografia di Mapplethorpe, dove evidenzia l’essenza del maschio nella curva di un gluteo o nella linea del dorso, e Bruno Cassinari al corrispettivo femminile di Matisse. Così Emilio Greco a una Venere di Tiziano e Luciano Minguzzi con il solo tema accettato fin dall’antichità nella sua nudità: Adamo ed Eva. Sì, “Nud’arte” raggiunge la quadratura del cerchio, in una stagione creativa di contaminazione, di trasgressione e giustificazione … nel desiderio di una mela. E siamo così tornati al nostro prodromo.
Andrea Barretta
Il nudo ora è sempre e soltanto femminile e il corpo si “sdraia” - davanti uno specchio oppure su un divanetto - in puri ritratti formali, non più l’ideale trascendente in una grazia tanto più perfetta quanto più si avvicina a quella divina, bensì la proposizione di una donna reale, che trasmette sentimenti diversi. Donne vere che non sono più costrette a chiamarsi Afrodite o Venere o Diana, ma più semplicemente donne “liberate” e artisti affrancati senza abbisognarsi a giustificazioni bibliche o mitologiche. Così come fin dagli inizi dell’Ottocento si sgancia dalle legittimazioni di tipo religioso e nell’arte prevale una nuova concezione laica della figura umana: il nudo come metafora della bellezza che non va confusa con la volgarità, pur con Eros e l’eros presenti nelle tante allegorie dell’Amore che la storia dell’arte conserva.
Certo la nudità vissuta nell’arte contemporanea è spesso inquietante e provocatrice, ma ogni arte è figlia del suo tempo e noi - pur non dimenticando la lezione dell’arte moderna con i primi nudi realistici che ci sono stati consegnati dall’impressionismo di Renoir né della sfida di Klimt - guardiamo in questo terzo millennio installazioni discutibili, performance schiave di un erotismo consumistico, video e fotografie che affondano immagine dopo immagine nelle ambiguità di corpi esibiti. E’ l’era del sesso svelato, è il tempo della perdita dell’innocenza, è il tempo dei mass media, dei messaggi pubblicitari onirici. Non più la decenza ma l’espressione voyeuristica del desiderio, non più l’incanto ma il capriccio, non più l’estasi ma i tabù violati. Nulla più a che vedere con gli ignudi michelangioleschi; nulla più a farci gridare insieme a Verlaine questa è pittura e “tutto il resto è letteratura”, ma il far diventare, al confronto, pudico gli Amanti di Giulio Romano, esagerato il pudore di Degas e persino candide le prostitute di Toulouse Lautrec.
“Nud’arte” è un tentativo di prospettiva scenica della nudità con un approccio all’appena ieri, per celebrare il corpo in un confronto che neghi la rappresentazione del nudo nell’arte senza un legame con un altrove che glorifichi la vita, con la libertà che non è togliersi l’impaccio degli indumenti ma il vivere l’armonia dell’universo: non muscoli maschili e curve femminili che hanno ormai invaso anche l’immaginario impossibile, né seni e glutei ostentati. “Nud’arte” intende proporre una chiave di lettura che interpreti i riferimenti culturali di due diversi periodi delle arti visive: quello dell’arte moderna e quello dell’arte contemporanea, senza entrare nei periodi storici citati come prodromo ma per mostrare semplicemente il dopo e l’oggi dello speculare nell’arte del corpo nel Novecento e nel Duemila, dalla passionalità di Guttuso all’ideale estetico di Morlotti, dalle linee di Treccani e Cassinari alle rotondità di Cantatore, dalla bellezza di Greco e di Gismondi alla seduzione di Gentilini e di Conti, dalle solitudini di Pagliacci e Tornabuoni al nascondimento di Minguzzi, e alla contemporaneità di Gauli, Sportelli, Marpicati, Cassinari Vettor, Rontani, Volpi, fino alla maternità di De Lucia e Pizzoni, e alla famiglia di Ferlenga, in una nuda dignità di denuncia che si scontra con la cruda evidenza fallica di Carrol, in un baccanale che è quasi cronaca dei nostri giorni.
Picasso soleva dire che “l’arte non è mai casta, si dovrebbe tenerla lontana da tutti i candidi ignoranti. Non dovrebbero mai lasciare che gente impreparata vi si avvicini”, ed affermava che “l’arte è pericolosa. Se è casta non è arte”. Assistiamo, allora, ad un’arte nuda non più mezzo per descrivere la realtà o per tradurre sensazioni, come in Braque, ma una sorta di attrazione in cui la seduzione non è il portare l’altro nel tuo universo, per emozionare, ma impatto violento che diventa istinto, emarginato in una fissità iconica che potrebbe suggerire a ragione una tautologia linguistica. E’ vero, qui qualcuno potrebbe ricordarci L’origine del mondo di Courbet oppure la tensione erotica nei disegni di Rodin o in quelli di Schiele, confutare la tesi di un’arte da reinterpretare attraverso una semantica figurativa, pluralità di stili e di tecniche, e si potrebbe fare riferimento a un erotismo di ricerca, ma “Nud’arte” volutamente giustappone l’arte del nudo con la sottolineatura delle sfaccettature di un’esposizione sui radicali cambiamenti della figura. Non solo. “Nud’arte” li elabora da un punto di vista che è poesia e non oggetto dal significato ambivalente, per decifrare un’arte che non sia soltanto istigazione o polemica.
Lungi dal pensiero di tornare a legare la nudità all’idea di peccato - alla foglia di fico - o ad una sorta di censura sic et simpliciter da far cadere sulle “vergogne”, “Nud’arte” ha la speranza di non considerare l’osceno come fonte di ispirazione artistica, tanto distruttivo come lo sguardo di Orfeo a Euridice. E’ indubbio, infatti, che certa “arte” lasci esterrefatti, soprattutto quando irrazionalmente va a toccare il religioso. La dissacrazione è la provocazione per far parlare di sé. Non si coglie il frutto della spontaneità e molto - non tutto ovviamente - sembra essere distante nell’estetica e nell’esegesi visiva dal gioco del fascino del nudo che sia “il vero talento”, come scriveva Hermann Hesse, “in un sano darsi del corpo e della mente”.
Il panorama esplorato da “Nud’arte” è nella sperimentazione dei linguaggi e nel riuscire ad offrire un punto privilegiato di osservazione sulla narrazione attraverso le opere esposte - le suggestioni - significanti di una idealità a confronto con la cultura contemporanea e degli stereotipi relegati al rango di bestialità inespresse.
Se nell’ideale greco della bellezza c’era un portamento senza alcun compiacimento nell’apparire che non fosse quello plastico, l’assunzione della nostra contemporaneità è verso il nudo sciorinato al di là di ogni regola, come soggetto di una fisicità miserabile nel voler scandalizzare l’arte tra eros e pornografia, sostenuta dall’energia erotica maschile, dal passo breve verso corpi maciullati dai messaggi pubblicitari, di nudi femminili che il femminismo a tratti rispolvera e denuncia in confessioni politiche. E’ come nell’Olympia di Manet, ritratto di una prostituta che copre con una mano il sesso: finto pudore, finto scalpore, per cui l’uomo e la donna, il maschio e la femmina, surrettiziamente lanciano una nuova virtuosità racchiusa oggi nel chiamarsi escort: una nuova morale, fenomeno di un costume dilagante che sta contagiando la società, oltre le concettualità di Vanessa Beecroft e Spencer Tunick.
Ecco dunque, come in un cerchio che si chiude, la disamina di “Nud’arte” da Franco Gentilini e Primo Conti che sembrano fare il verso a Mains sur un sexe di Rodin e Mario Sportelli al Couple saphique, mentre Robert Carrol ci riporta all’Au Salon di Degas e Renato Guttuso al Nudo disteso di Modigliani o proprio al “mondo” di Courbet, mentre Ennio Morlotti ci rimanda a Quatre femme nue au bord de la mere di Picasso, Lorenzo Tornabuoni ai “bagnanti” di Cezanne e alla fotografia di Mapplethorpe, dove evidenzia l’essenza del maschio nella curva di un gluteo o nella linea del dorso, e Bruno Cassinari al corrispettivo femminile di Matisse. Così Emilio Greco a una Venere di Tiziano e Luciano Minguzzi con il solo tema accettato fin dall’antichità nella sua nudità: Adamo ed Eva. Sì, “Nud’arte” raggiunge la quadratura del cerchio, in una stagione creativa di contaminazione, di trasgressione e giustificazione … nel desiderio di una mela. E siamo così tornati al nostro prodromo.
Andrea Barretta
30
aprile 2011
Nud’arte
Dal 30 aprile al 28 maggio 2011
arte contemporanea
Location
GALLERIA AB/ARTE
Brescia, Vicolo San Nicola, 6, (Brescia)
Brescia, Vicolo San Nicola, 6, (Brescia)
Orario di apertura
giovedì dalle 15,30 alle 19,30
venerdì e sabato dalle 9,30 alle 12,30 e dalle 15,30 alle 19,30.
Vernissage
30 Aprile 2011, Ore 18
Autore
Curatore