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Obsession!
la mostra letteralmente invaderà lo spazio di GALICA arte contemporanea (per il quale è stata ideata e concepita) come una collezione privata allestita in modo originale e confuso da un collezionista guidato da un carattere compulsivo, accumulatore, ossessionato
Comunicato stampa
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Gli artisti che hanno aderito a questo progetto (forse il primo di una serie di indagini che seguiranno, sulle ossessioni, dice il curatore) hanno scelto appositamente o creato, di farsi rappresentare da opere emblematiche della loro ricerca o con cui il pubblico li identifica e identifica il loro lavoro.
Qualcuno la chiama coerenza, altri iterazione, ripetizione, Galica la presenta come OSSESSIONE!
Uniti in una sorta di percorso confuso e sognante gli artisti presentano i temi più cari, il segno oramai noto internazionalmente, il soggetto che li caratterizza e con cui il pubblico più vasto li riconosce, la materia con cui si identifica il loro lavoro, insomma, la loro ricerca divenuta ossessione.
- Sebastiaan BREMER (1970) attivo negli Stati Uniti lavora da anni su immagini fotografiche tratte dal suo album personale o di amici, immagini scattate in modo istantaneo che divengono il campo d’azione quasi maniacale dell’artista. Migliaia di punti bianchi opachi, piccole sfere, colmano la superficie della fotografia in modo appunto ossessivo, come se la trasformassero, generando un disegno/spazio ipnotico e decorativamente magnetico.
- Daniel BUREN (1938) ha scelto di presentare alcune opere degli anni Settanta dove il medio formato ripropone la sua ricerca nota internazionalmente in più superfici. Dal 1965 a oggi Buren ha continuato a usare il suo “mezzo visivo” alternando strisce verticali bianche e colorate larghe 8,7 cm in modo talmente coerente che negli anni è andato evolvendosi sotto più forme, supporti, materie e spazi, sino all’architettura.
- Enrico CASTELLANI (1930) dagli anni Sessanta ha identificato con l’estroflessione e lo stato percettivo dell’opera la sua ricerca. Con una coerenza cristallina ed inalterabile le superfici di questo autore coinvolgono l’occhio in una ossessione di concavo e convesso dato da punti e pressioni, dove il colore (in questo caso tele di grande dimensione color argento) risulta diventare un corpo variabile e tattile.
- DADAMAINO (1935) è una artista che dell’ossessione della scrittura, del segno, dell’annotazione ha fatto una vera e propria identità. In una sorta di diario infinito Dadamaino annota, traccia, con una cadenza infinita, maniacale, miriadi di fogli, carte, tele. La sua “scrittura” nasce da segni tracciati sulla sabbia che poi divengono, scritti migliaia di volte, lettere di un alfabeto. L’alfabeto della mente, (così lo ha chiamato) prodotto in uno stato come di lucida “trance” su qualsiasi superficie. Si presentano in questa occasione, per la prima volta, delle sculture oggetto di Dadamaino concepite con l’architetto Lanzani negli anni settanta.
- Arthur DUFF (1973) è uno degli artisti della nuova generazione che meglio si identifica con una ossessione di natura concettuale (quale quella della percezione dello spazio finiti/infinito) e che per poter avere luogo si deve servire di una curiosa unità: il nodo. Trame spaziali, ritmi infiniti nello spazio costituito idealmente da funi, corde, vengono letteralmente tracciati da migliaia di nodi, unità di misura infinita per uno spazio infinito. In questa sensazionale modalità il nodo diviene un “mezzo” per tracciare mappe di nuovi oggetti e nuovi mondi (come nella recente installazione al Palazzo delle Papesse).
- Yayoi KUSAMA (1929) con i suoi DOTS i suoi punti, i suoi segni infiniti con cui colmare, invadere lo spazio, coprire e irridere ogni superficie come se fosse una vera rivoluzione in atto. In mostra alcune tele che ben illustrano questa ossessione infinita del punto, del pois come sfregio al conservatorismo e al perbenismo e, inoltre, una scultura “SHOE” degli anni Sessanta, ironico gioco provocatorio tra moda e sessualità.
- Maurizio NANNUCCI (1939) colloca le sue installazioni nei più significativi luoghi del mondo dell’arte segnando con “in viaggio” le tappe di un suo percorso concettuale. Delle “scritte” di Nannucci (da quelle monocrome a parete sino alle molteplici installate all’Auditorium di Roma di Renzo Piano) si riparte con l’ossessione di un mezzo, il Neon, malleabile e magica materia con cui manifestare i propri concetti, scrivere le proprie idee, colmare di luce/parola gli spazi.
- Julian OPIE (1958) Il viso, l’immagine del ritratto, l’ossessione del riproporre quasi fisiognomicamente l’immagine di un volto, moderno, contemporaneo al tempo stesso classico. Volti, teste, sguardi, identici ed ogni volta diversi, le ossessioni di questo importante artista inglese creatore per le nuove generazioni di icone moderne.
Qualcuno la chiama coerenza, altri iterazione, ripetizione, Galica la presenta come OSSESSIONE!
Uniti in una sorta di percorso confuso e sognante gli artisti presentano i temi più cari, il segno oramai noto internazionalmente, il soggetto che li caratterizza e con cui il pubblico più vasto li riconosce, la materia con cui si identifica il loro lavoro, insomma, la loro ricerca divenuta ossessione.
- Sebastiaan BREMER (1970) attivo negli Stati Uniti lavora da anni su immagini fotografiche tratte dal suo album personale o di amici, immagini scattate in modo istantaneo che divengono il campo d’azione quasi maniacale dell’artista. Migliaia di punti bianchi opachi, piccole sfere, colmano la superficie della fotografia in modo appunto ossessivo, come se la trasformassero, generando un disegno/spazio ipnotico e decorativamente magnetico.
- Daniel BUREN (1938) ha scelto di presentare alcune opere degli anni Settanta dove il medio formato ripropone la sua ricerca nota internazionalmente in più superfici. Dal 1965 a oggi Buren ha continuato a usare il suo “mezzo visivo” alternando strisce verticali bianche e colorate larghe 8,7 cm in modo talmente coerente che negli anni è andato evolvendosi sotto più forme, supporti, materie e spazi, sino all’architettura.
- Enrico CASTELLANI (1930) dagli anni Sessanta ha identificato con l’estroflessione e lo stato percettivo dell’opera la sua ricerca. Con una coerenza cristallina ed inalterabile le superfici di questo autore coinvolgono l’occhio in una ossessione di concavo e convesso dato da punti e pressioni, dove il colore (in questo caso tele di grande dimensione color argento) risulta diventare un corpo variabile e tattile.
- DADAMAINO (1935) è una artista che dell’ossessione della scrittura, del segno, dell’annotazione ha fatto una vera e propria identità. In una sorta di diario infinito Dadamaino annota, traccia, con una cadenza infinita, maniacale, miriadi di fogli, carte, tele. La sua “scrittura” nasce da segni tracciati sulla sabbia che poi divengono, scritti migliaia di volte, lettere di un alfabeto. L’alfabeto della mente, (così lo ha chiamato) prodotto in uno stato come di lucida “trance” su qualsiasi superficie. Si presentano in questa occasione, per la prima volta, delle sculture oggetto di Dadamaino concepite con l’architetto Lanzani negli anni settanta.
- Arthur DUFF (1973) è uno degli artisti della nuova generazione che meglio si identifica con una ossessione di natura concettuale (quale quella della percezione dello spazio finiti/infinito) e che per poter avere luogo si deve servire di una curiosa unità: il nodo. Trame spaziali, ritmi infiniti nello spazio costituito idealmente da funi, corde, vengono letteralmente tracciati da migliaia di nodi, unità di misura infinita per uno spazio infinito. In questa sensazionale modalità il nodo diviene un “mezzo” per tracciare mappe di nuovi oggetti e nuovi mondi (come nella recente installazione al Palazzo delle Papesse).
- Yayoi KUSAMA (1929) con i suoi DOTS i suoi punti, i suoi segni infiniti con cui colmare, invadere lo spazio, coprire e irridere ogni superficie come se fosse una vera rivoluzione in atto. In mostra alcune tele che ben illustrano questa ossessione infinita del punto, del pois come sfregio al conservatorismo e al perbenismo e, inoltre, una scultura “SHOE” degli anni Sessanta, ironico gioco provocatorio tra moda e sessualità.
- Maurizio NANNUCCI (1939) colloca le sue installazioni nei più significativi luoghi del mondo dell’arte segnando con “in viaggio” le tappe di un suo percorso concettuale. Delle “scritte” di Nannucci (da quelle monocrome a parete sino alle molteplici installate all’Auditorium di Roma di Renzo Piano) si riparte con l’ossessione di un mezzo, il Neon, malleabile e magica materia con cui manifestare i propri concetti, scrivere le proprie idee, colmare di luce/parola gli spazi.
- Julian OPIE (1958) Il viso, l’immagine del ritratto, l’ossessione del riproporre quasi fisiognomicamente l’immagine di un volto, moderno, contemporaneo al tempo stesso classico. Volti, teste, sguardi, identici ed ogni volta diversi, le ossessioni di questo importante artista inglese creatore per le nuove generazioni di icone moderne.