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Oggetti in un interno
Doppia personale con opere di Francesco De Rocchi e Gianfranco Ferroni. Evento collaterale della mostra “Cenacoli” promossa dal Comune di Saronno.
Comunicato stampa
Segnala l'evento
La dimensione del sacro in Francesco De Rocchi e Gianfranco Ferroni
Quanto dei semplici oggetti possono portarci oltre alla dimensione apparente?
Francesco De Rocchi e Gianfranco Ferroni giocano con lo spazio e con la disposizione
delle cose, alternando ritmicamente pieni e vuoti. I due artisti realizzano delle
composizioni con elementi quotidiani e spesso fragili come vasi, tazze e specchi,
avvolti in un9atmosfera silenziosa e dal tempo sospeso. Nonostante possano
sembrare distanti, i due artisti hanno degli elementi che li accomunano e che la mostra
mette in risalto. È vero che, rispetto a De Rocchi, Ferroni dipinge con colori molto più
scuri (grigio tortora o talpa, nero graûte, rosso ruggine, azzurro cinerino), ma spesso si
banalizza l9utilizzo di colori chiari come sinonimo di felicità, dimenticando, per citare
Giorgio Mascherpa, critico vicino al Chiarismo, che gioia, tristezza e malinconia sono
gemelle. Se la luce in De Rocchi si associa a quel bagliore luminoso che sacralizza le
sue composizioni, in Ferroni è la rivelazione del mistero esistenziale che tormenta
l9essere umano. Gli oggetti sono il riüesso di una visione umana, sono memorie
personali che testimoniano un9emozione passata; un mondo epifanico caratterizzato
da ricordi metaforicamente racchiusi nel perimetro di quelle cose famigliari.
Analizzando singolarmente i due percorsi artistici, risalta in De Rocchi una sensibilità
toccante, che scava nelle radici dell9esistenza, per poi essere teneramente raccontata.
Il chiarore pittorico, prima di nascere dalla tavolozza (rosa antico, giallo oro, grigio
perla, verdi e azzurri in svariate tonalità acquatiche), ha origine nell9animo come
riüesso emozionale, sensibile ed esistenziale. Le nature morte di De Rocchi sono
armoniche composizioni, disposte secondo un ordine preciso e sensibile, dalle quali
emerge spesso l9allusione al sacro, infatti il pittore alterna composizioni con elementi
adatti a un altare, a combinazioni di oggetti comuni che per la loro disposizione, per la
luce che emanano e per i signiûcati che esprimono, sacralizzano e nobilitano l9opera.
Colti tra le mura dello studio in via Garibaldi a Milano, essi sono velati di una
spiritualità contemplativa e sono il riüesso mentale, organizzativo e ûlosoûco del
pittore: ogni oggetto ha la propria posizione, propedeutica alla visione. È noto che
l9artista saronnese amò profondamente la pittura di Morandi per lo studio attento della
composizione, per le forme pure e per l9armonia intrinseca di colore e forma. Morandi
inüuenzò anche Gianfranco Ferroni. La purezza delle forme morandiane si ritrova nella Natura morta del 1959 di De Rocchi e nelle Poche cose di Ferroni del 2000. Entrambi
hanno lo stesso taglio strutturale: il pennello posato nel vasetto che segna la verticale,
la geometria dei rettangoli che incornicia gli oggetti; una luce pensosa che modella gli
elementi, conferendo plasticità e un9atmosfera sospesa, che in Ferroni si indentiûca in
un tempo indeûnito e vissuto nell9attesa «di un signiûcato che vada al di là della mia
vita». Ferroni si fa promotore di un9arte esistenziale alla ricerca del senso dell9essere e
scava nella profondità dell9avventura umana, nell9attesa di una rivelazione che possa
colmare il vuoto.
Se gli oggetti rappresentanti in De Rocchi assumono una connotazione memoriale e
sono lo specchio della visione artistica del pittore, per Ferroni il ricordo che
accompagna questi oggetti non è suýciente; occorre andare oltre la dimensione
contingente e superare la percezione visibile. E questo andare oltre Ferroni lo deûnisce
<religiosità atea=; un modo per colmare il vuoto doloroso nel quale l9uomo si ritrova
immerso. Entrambi gli artisti cercano la verità e il senso dell9esistere; se nelle opere di
De Rocchi vibrava una luce nuova, che illuminava il contesto di un bagliore di speranza,
in Ferroni sono gli oggetti stessi che rischiarano lo spazio, perché legati ad un ricordo
profondo che tocca le corde dell9animo. Essi sono la manifestazione non del reale, ma
del mistero custodito nelle cose.
Giada Bulgari
Quanto dei semplici oggetti possono portarci oltre alla dimensione apparente?
Francesco De Rocchi e Gianfranco Ferroni giocano con lo spazio e con la disposizione
delle cose, alternando ritmicamente pieni e vuoti. I due artisti realizzano delle
composizioni con elementi quotidiani e spesso fragili come vasi, tazze e specchi,
avvolti in un9atmosfera silenziosa e dal tempo sospeso. Nonostante possano
sembrare distanti, i due artisti hanno degli elementi che li accomunano e che la mostra
mette in risalto. È vero che, rispetto a De Rocchi, Ferroni dipinge con colori molto più
scuri (grigio tortora o talpa, nero graûte, rosso ruggine, azzurro cinerino), ma spesso si
banalizza l9utilizzo di colori chiari come sinonimo di felicità, dimenticando, per citare
Giorgio Mascherpa, critico vicino al Chiarismo, che gioia, tristezza e malinconia sono
gemelle. Se la luce in De Rocchi si associa a quel bagliore luminoso che sacralizza le
sue composizioni, in Ferroni è la rivelazione del mistero esistenziale che tormenta
l9essere umano. Gli oggetti sono il riüesso di una visione umana, sono memorie
personali che testimoniano un9emozione passata; un mondo epifanico caratterizzato
da ricordi metaforicamente racchiusi nel perimetro di quelle cose famigliari.
Analizzando singolarmente i due percorsi artistici, risalta in De Rocchi una sensibilità
toccante, che scava nelle radici dell9esistenza, per poi essere teneramente raccontata.
Il chiarore pittorico, prima di nascere dalla tavolozza (rosa antico, giallo oro, grigio
perla, verdi e azzurri in svariate tonalità acquatiche), ha origine nell9animo come
riüesso emozionale, sensibile ed esistenziale. Le nature morte di De Rocchi sono
armoniche composizioni, disposte secondo un ordine preciso e sensibile, dalle quali
emerge spesso l9allusione al sacro, infatti il pittore alterna composizioni con elementi
adatti a un altare, a combinazioni di oggetti comuni che per la loro disposizione, per la
luce che emanano e per i signiûcati che esprimono, sacralizzano e nobilitano l9opera.
Colti tra le mura dello studio in via Garibaldi a Milano, essi sono velati di una
spiritualità contemplativa e sono il riüesso mentale, organizzativo e ûlosoûco del
pittore: ogni oggetto ha la propria posizione, propedeutica alla visione. È noto che
l9artista saronnese amò profondamente la pittura di Morandi per lo studio attento della
composizione, per le forme pure e per l9armonia intrinseca di colore e forma. Morandi
inüuenzò anche Gianfranco Ferroni. La purezza delle forme morandiane si ritrova nella Natura morta del 1959 di De Rocchi e nelle Poche cose di Ferroni del 2000. Entrambi
hanno lo stesso taglio strutturale: il pennello posato nel vasetto che segna la verticale,
la geometria dei rettangoli che incornicia gli oggetti; una luce pensosa che modella gli
elementi, conferendo plasticità e un9atmosfera sospesa, che in Ferroni si indentiûca in
un tempo indeûnito e vissuto nell9attesa «di un signiûcato che vada al di là della mia
vita». Ferroni si fa promotore di un9arte esistenziale alla ricerca del senso dell9essere e
scava nella profondità dell9avventura umana, nell9attesa di una rivelazione che possa
colmare il vuoto.
Se gli oggetti rappresentanti in De Rocchi assumono una connotazione memoriale e
sono lo specchio della visione artistica del pittore, per Ferroni il ricordo che
accompagna questi oggetti non è suýciente; occorre andare oltre la dimensione
contingente e superare la percezione visibile. E questo andare oltre Ferroni lo deûnisce
<religiosità atea=; un modo per colmare il vuoto doloroso nel quale l9uomo si ritrova
immerso. Entrambi gli artisti cercano la verità e il senso dell9esistere; se nelle opere di
De Rocchi vibrava una luce nuova, che illuminava il contesto di un bagliore di speranza,
in Ferroni sono gli oggetti stessi che rischiarano lo spazio, perché legati ad un ricordo
profondo che tocca le corde dell9animo. Essi sono la manifestazione non del reale, ma
del mistero custodito nelle cose.
Giada Bulgari
12
aprile 2025
Oggetti in un interno
Dal 12 aprile al 25 maggio 2025
arte moderna
Location
Il Chiostro Arte Contemporanea
Saronno, Viale Santuario, 11, (VA)
Saronno, Viale Santuario, 11, (VA)
Orario di apertura
martedì, giovedì e venerdì 15-19 e sabato mattina 10-12.30
Sito web
Autore
Curatore
Autore testo critico