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Oh my God!
Con questa mostra Dio c’entra poco o moltissimo come in tutte le cose, ma non si vuole fare altro che rendere questa incognita, questo quesito, lasciando all’obbiettivo dei fotografi il senso. In questa direzione la scelta di lavori di artisti di diverse generazioni.
Comunicato stampa
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Non nominare il nome di Dio invano, uno dei dieci comandamenti e in assoluto buona regola,
eppure l’uomo lo fa continuamente, con qualsiasi Dio. Il paradosso ci insegue, lo troviamo
ovunque, troppo spesso a sproposito, fuori contesto e fuori servizio nei momenti di massima
urgenza.
E’ mentre cadevano le torri gemelle in nome di un Dio, che la prima frase che ha fatto il giro
del mondo è di quell’uomo americano che vedendo la scena ha detto, oh my God…
Quindi, vale tutto ed il contrario di tutto. Dio si invoca nei momenti belli e nei momenti di
grande difficoltà, o forse è come dice Simone Weil « chi penserebbe a Dio se non ci fosse il
male nel mondo ? »
E’ Dio la metafora letterale dello stupore e dell’impossibile, l’immagine stessa della
visione. Sacro e non-sacro sono il più delle volte facce della stessa medaglia, lo spirito è
ammesso.
Con questa mostra Dio c’entra poco o moltissimo come in tutte le cose, ma non si vuole fare
altro che rendere questa incognita, questo quesito, lasciando all’obbiettivo dei fotografi il
senso.
In questa direzione la scelta di lavori di artisti di diverse generazioni, sette fotografi ed
una scultrice che lavorano con strumenti diversi, diversa tecnica e certamente con
diverso credo.
Paola Ghirotti da anni lavora sulla cultura giapponese, per i « profani » così lontana ed il più delle volte indecifrabile. Cosa rappresenteranno due statuine votive che galleggiano su fragili foglie di loto nel tempio dedicato a Kobo Daishi ?
Quale sarà la differenza tra la casa del « padre » in cui fluttuano le note delle musiche da lui
preferite nel lavoro « Submerged » di Olimpia Ferrari e l’incredibile silenzioso albero di Michel Kirch ? Concettualmente forse nessuna, non sono per magnificenza e prodigio ambedue templi ?
Ma nella realtà barriere insormontabili di una visione spirituale, che solo inconsciamente si
libera e travalica confini di spazio e pensiero.
Anche lo stupore di trovarsi a nudo, colti in fragrante di fronte agli imprevisti cambi di scena
della vita, ci fa rendere conto che non basta essere vestiti di tutto punto per considerarci protetti da uno scudo inviolabile. Come dice Budda, non c’è niente di certo se non il cambiamento e i rovesci sempre possibili. In questo spirito le foto di Piero Marsili Libelli sono metafora arguta della commedia umana, male che vada ci rivolgiamo al cielo.
Cosa molto seria sono anche i cimiteri, questi luoghi affollati di gente finalmente a riposo, laddove Victor Hugo si aggirava dicendo « mais où les mechantes sont ils ? »
Luoghi dove le differenze di pelle, di origine, di religione finalmente si azzerano, luoghi di pace, grandi discariche di un’umanità inquieta e senza sosta, le responsabilità sul futuro dell’uomo e della terra si prendono in vita.
Ma Dio dov’è ? Nella visione metafisica di pesce simbolo di un Dio miracoloso e muto per
definizione, “su ciò, di cui non si può parlare, si deve tacere” ? (Wittgenstein Tractatus cfr. 7).
Seduto sul mondo o appena sbarcato da un tappeto volante in una Moschea ?
Domande spiazzanti dalla risposta impossibile, ognuno cerchi dove crede e veda dove
vuole.
eppure l’uomo lo fa continuamente, con qualsiasi Dio. Il paradosso ci insegue, lo troviamo
ovunque, troppo spesso a sproposito, fuori contesto e fuori servizio nei momenti di massima
urgenza.
E’ mentre cadevano le torri gemelle in nome di un Dio, che la prima frase che ha fatto il giro
del mondo è di quell’uomo americano che vedendo la scena ha detto, oh my God…
Quindi, vale tutto ed il contrario di tutto. Dio si invoca nei momenti belli e nei momenti di
grande difficoltà, o forse è come dice Simone Weil « chi penserebbe a Dio se non ci fosse il
male nel mondo ? »
E’ Dio la metafora letterale dello stupore e dell’impossibile, l’immagine stessa della
visione. Sacro e non-sacro sono il più delle volte facce della stessa medaglia, lo spirito è
ammesso.
Con questa mostra Dio c’entra poco o moltissimo come in tutte le cose, ma non si vuole fare
altro che rendere questa incognita, questo quesito, lasciando all’obbiettivo dei fotografi il
senso.
In questa direzione la scelta di lavori di artisti di diverse generazioni, sette fotografi ed
una scultrice che lavorano con strumenti diversi, diversa tecnica e certamente con
diverso credo.
Paola Ghirotti da anni lavora sulla cultura giapponese, per i « profani » così lontana ed il più delle volte indecifrabile. Cosa rappresenteranno due statuine votive che galleggiano su fragili foglie di loto nel tempio dedicato a Kobo Daishi ?
Quale sarà la differenza tra la casa del « padre » in cui fluttuano le note delle musiche da lui
preferite nel lavoro « Submerged » di Olimpia Ferrari e l’incredibile silenzioso albero di Michel Kirch ? Concettualmente forse nessuna, non sono per magnificenza e prodigio ambedue templi ?
Ma nella realtà barriere insormontabili di una visione spirituale, che solo inconsciamente si
libera e travalica confini di spazio e pensiero.
Anche lo stupore di trovarsi a nudo, colti in fragrante di fronte agli imprevisti cambi di scena
della vita, ci fa rendere conto che non basta essere vestiti di tutto punto per considerarci protetti da uno scudo inviolabile. Come dice Budda, non c’è niente di certo se non il cambiamento e i rovesci sempre possibili. In questo spirito le foto di Piero Marsili Libelli sono metafora arguta della commedia umana, male che vada ci rivolgiamo al cielo.
Cosa molto seria sono anche i cimiteri, questi luoghi affollati di gente finalmente a riposo, laddove Victor Hugo si aggirava dicendo « mais où les mechantes sont ils ? »
Luoghi dove le differenze di pelle, di origine, di religione finalmente si azzerano, luoghi di pace, grandi discariche di un’umanità inquieta e senza sosta, le responsabilità sul futuro dell’uomo e della terra si prendono in vita.
Ma Dio dov’è ? Nella visione metafisica di pesce simbolo di un Dio miracoloso e muto per
definizione, “su ciò, di cui non si può parlare, si deve tacere” ? (Wittgenstein Tractatus cfr. 7).
Seduto sul mondo o appena sbarcato da un tappeto volante in una Moschea ?
Domande spiazzanti dalla risposta impossibile, ognuno cerchi dove crede e veda dove
vuole.
02
aprile 2009
Oh my God!
Dal 02 al 25 aprile 2009
fotografia
Location
ICIPICI FINE ART PRINT
Roma, Via Giulia, 96, (Roma)
Roma, Via Giulia, 96, (Roma)
Orario di apertura
da martedì a sabato ore 10.30 - 19.00 Orario continuato
Vernissage
2 Aprile 2009, ore 18.00
Autore
Curatore