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Om Bosser – Hikikomori. Coloro i quali vivono rintanati in casa
In questa personale, Om Bosser espone il lavoro degli ultimi anni (una ventina di acrilici su tela, alcuni “disegni al nero” e, qualche multiplo).
Comunicato stampa
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HIKIKOMORI, COLORO CHE VIVONO RINTANATI IN CASA
In questa personale, Om Bosser espone il lavoro degli ultimi anni (una ventina di acrilici su tela, alcuni “disegni al nero” e, qualche multiplo).
Fino al 26 ottobre è possibile visitare alla galleria della Banca Sella di Torino, Piazza Castello n. 125, la mostra di Om Bosser dal titolo: “Hikikomori – coloro i quali vivono rintanati in casa” che comprende 20 dipinti, alcuni disegni e multipli. Hikikomori, in giapponese, è come dire: ritiro sociale, chiudersi in se stessi, chiusi dentro, etc. In altri termini potremmo definire così coloro che hanno rinunciato, per un disagio personale, a rapportarsi con gli altri. L’auto-emarginazione di cui sono vittime quelle persone che hanno accettato di “lasciarsi abbracciare dalla malinconia” convinte, come sono, che l’isolamento nei confronti della società le metta al sicuro da possibili atti di violenza da parte soprattutto di altri giovani. Il fenomeno dell’ hikikomori riguarda soprattutto i ragazzi di età compresa tra i 16 e i 39 anni, soprattutto uomini, ma forse più giusto sarebbe oggi parlare di nuove forme della depressione. Questo aspetto che, secondo alcune statistiche, coinvolge circa 700.000 giapponesi è un fenomeno che si è esteso con molta rapidità in buona parte del pianeta, soprattutto nei paesi evoluti come Stati Uniti, Europa e Australia. Una condizione, quella degli hikikomori, raccontata nel suo testo di presentazione per la mostra di Om Bosser da Fabiola Palmeri (giornalista e studiosa della cultura giapponese) che è in un certo senso illuminante per comprendere fino in fondo una situazione ancora poco presente, non so per quanto, in Italia.
Ma pur riscontrando in questo testo diverse affinità con le opere di Om Bosser, non possiamo fare a meno di sottolineare che l’artista se ne discosta entrando in uno specifico aspetto del fenomeno dell’incomunicabilità. Egli, infatti, va oltre e cioè verso quel confine dal quale spesso non vi è ritorno, se non in termini momentanei e, in qualche caso, senza una reale coscienza del mondo che circonda il soggetto di cui si interessa Om Bosser. Nella sua pittura infatti la solitudine e il silenzio, il rifiuto di partecipare alla vita collettiva, l’isolamento verso quella società sempre più affaccendata ad accaparrarsi fette di notorietà, di mercato, di visibilità - in qualche caso tuonando da pulpiti stranieri, come spesso accade in questo paese, fatto oramai di vetrine e lustrini in cui l’unico scopo di politici, sindacalisti e imprenditori è quello di mettersi al pari delle tanto vilipese “veline” pur di apparire - hanno fatto perdere di vista il senso della famiglia, della patria e soprattutto della tolleranza e della solidarietà. Non certamente quella fatta dagli sms o da versamenti su questo o quell’altro c/c. No, certamente non in questo senso. Io parlo della solidarietà e della tolleranza con i vicini di casa, con la cassiera del supermercato perché magari è imbranata, con i nostri figli e i compagni della nostra vita e, soprattutto, con gli amici. Sono le persone con le quali abbiamo attraversato parte delle nostra esistenza e che non ci hanno mai tradito. Bisognerebbe ricordarsi sempre di coloro i quali, in tenera età, ci hanno difeso dal bullismo di classe e di strada e da quei “maestri” che non hanno avuto la capacità di tenere a freno le intemperanze di una gioventù spesso lasciata libera di auto-gestirsi, creando dei nuovi “mostri” metropolitani perché sono loro che, nel bene o nel male, hanno forgiato il nostro carattere e in qualche modo hanno determinato il nostro modo di vivere, la nostra esistenza. Noi siamo ciò che la società genera.
In Bosser tutto ciò è un po’ lontano. In qualche modo l’artista diventa medico: lui diagnostica e decide la terapia. Associa e dissocia fatti, eventi, avvenimenti. I suoi lavori sono pezzi di vita vissuta. Forse, non alla maniera degli hikikomori ma certamente i suoi personaggi vivono una condizione altrettanto da emarginati. La loro è in qualche modo una realtà drammatica, solitaria, senza futuro; si sono lasciati avvolgere dallo spettro della solitudine spesso compagna di molti vizi.
Palermo, 13/09/2010 Francesco M. Scorsone
In questa personale, Om Bosser espone il lavoro degli ultimi anni (una ventina di acrilici su tela, alcuni “disegni al nero” e, qualche multiplo).
Fino al 26 ottobre è possibile visitare alla galleria della Banca Sella di Torino, Piazza Castello n. 125, la mostra di Om Bosser dal titolo: “Hikikomori – coloro i quali vivono rintanati in casa” che comprende 20 dipinti, alcuni disegni e multipli. Hikikomori, in giapponese, è come dire: ritiro sociale, chiudersi in se stessi, chiusi dentro, etc. In altri termini potremmo definire così coloro che hanno rinunciato, per un disagio personale, a rapportarsi con gli altri. L’auto-emarginazione di cui sono vittime quelle persone che hanno accettato di “lasciarsi abbracciare dalla malinconia” convinte, come sono, che l’isolamento nei confronti della società le metta al sicuro da possibili atti di violenza da parte soprattutto di altri giovani. Il fenomeno dell’ hikikomori riguarda soprattutto i ragazzi di età compresa tra i 16 e i 39 anni, soprattutto uomini, ma forse più giusto sarebbe oggi parlare di nuove forme della depressione. Questo aspetto che, secondo alcune statistiche, coinvolge circa 700.000 giapponesi è un fenomeno che si è esteso con molta rapidità in buona parte del pianeta, soprattutto nei paesi evoluti come Stati Uniti, Europa e Australia. Una condizione, quella degli hikikomori, raccontata nel suo testo di presentazione per la mostra di Om Bosser da Fabiola Palmeri (giornalista e studiosa della cultura giapponese) che è in un certo senso illuminante per comprendere fino in fondo una situazione ancora poco presente, non so per quanto, in Italia.
Ma pur riscontrando in questo testo diverse affinità con le opere di Om Bosser, non possiamo fare a meno di sottolineare che l’artista se ne discosta entrando in uno specifico aspetto del fenomeno dell’incomunicabilità. Egli, infatti, va oltre e cioè verso quel confine dal quale spesso non vi è ritorno, se non in termini momentanei e, in qualche caso, senza una reale coscienza del mondo che circonda il soggetto di cui si interessa Om Bosser. Nella sua pittura infatti la solitudine e il silenzio, il rifiuto di partecipare alla vita collettiva, l’isolamento verso quella società sempre più affaccendata ad accaparrarsi fette di notorietà, di mercato, di visibilità - in qualche caso tuonando da pulpiti stranieri, come spesso accade in questo paese, fatto oramai di vetrine e lustrini in cui l’unico scopo di politici, sindacalisti e imprenditori è quello di mettersi al pari delle tanto vilipese “veline” pur di apparire - hanno fatto perdere di vista il senso della famiglia, della patria e soprattutto della tolleranza e della solidarietà. Non certamente quella fatta dagli sms o da versamenti su questo o quell’altro c/c. No, certamente non in questo senso. Io parlo della solidarietà e della tolleranza con i vicini di casa, con la cassiera del supermercato perché magari è imbranata, con i nostri figli e i compagni della nostra vita e, soprattutto, con gli amici. Sono le persone con le quali abbiamo attraversato parte delle nostra esistenza e che non ci hanno mai tradito. Bisognerebbe ricordarsi sempre di coloro i quali, in tenera età, ci hanno difeso dal bullismo di classe e di strada e da quei “maestri” che non hanno avuto la capacità di tenere a freno le intemperanze di una gioventù spesso lasciata libera di auto-gestirsi, creando dei nuovi “mostri” metropolitani perché sono loro che, nel bene o nel male, hanno forgiato il nostro carattere e in qualche modo hanno determinato il nostro modo di vivere, la nostra esistenza. Noi siamo ciò che la società genera.
In Bosser tutto ciò è un po’ lontano. In qualche modo l’artista diventa medico: lui diagnostica e decide la terapia. Associa e dissocia fatti, eventi, avvenimenti. I suoi lavori sono pezzi di vita vissuta. Forse, non alla maniera degli hikikomori ma certamente i suoi personaggi vivono una condizione altrettanto da emarginati. La loro è in qualche modo una realtà drammatica, solitaria, senza futuro; si sono lasciati avvolgere dallo spettro della solitudine spesso compagna di molti vizi.
Palermo, 13/09/2010 Francesco M. Scorsone
30
settembre 2010
Om Bosser – Hikikomori. Coloro i quali vivono rintanati in casa
Dal 30 settembre al 26 ottobre 2010
arte contemporanea
Location
BANCA SELLA
Torino, Piazza Castello, 125/127, (Torino)
Torino, Piazza Castello, 125/127, (Torino)
Orario di apertura
dal lunedì al venerdì: 8,30/13,25 – 14,40/15,40
Vernissage
30 Settembre 2010, ore 17
Autore
Curatore