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Opere del ‘900 da una collezione: le Marche
venticinque opere, che spaziano dagli inizi del Novecento sino a tutto lo snodarsi del secolo. Accomunate da misure contenute, per lo più tipiche della destinazione privata, esse appaiono in uno spazio espositivo che della sfera familiare rievoca il carattere intimo e confidenziale
Comunicato stampa
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Nel complesso rapporto esistente tra l’opera d’arte e l’osservatore, la dimensione della collezione privata insiste e ne rivela un aspetto peculiare, il poter creare una relazione che travalica la sfera economica e si pone come vero e proprio discorso amoroso. Esso trova nella fruizione domestica l’atto fondante e nella continuità del colloquio la sua maturazione, autentica possibilità di accedere ad un giardino segreto in cui le percezioni e i significati possono raggiungere profondità inimmaginate.
Una scelta dal sapore umanistico, se vogliamo, moderno studiolo ove l’esperienza estetica si connota di valenze illuministicamente formative.
La graduale costruzione della raccolta è di certo frutto di un gusto personale, ma soprattutto rivela incontri e frequentazioni con artisti e conoscitori, in un costante esercizio di affinamento della cultura visiva e del modo di tenere in equilibrio il binomio desiderio-possibilità.
Sono dialoghi che affondano le radici nel territorio di appartenenza, le Marche, e che denotano aperture, nelle scelte iconografiche e stilistiche, al contesto storico e culturale del periodo.
Questa mostra ne testimonia e rappresenta gli esiti attraverso una selezione di venticinque opere, che spaziano dagli inizi del Novecento sino a tutto lo snodarsi del secolo. Accomunate da misure contenute, per lo più tipiche della destinazione privata, esse appaiono in uno spazio espositivo che della sfera familiare rievoca il carattere intimo e confidenziale. Si articolano tra generi e tecniche diverse, nella ricerca di una armonia d’insieme. Ciascun artista rivela in tal modo la sua unicità e, al contempo, si rimodula, nell’incontro con gli altri, in una polifonia di suggestioni.
Apre il percorso Gabriele Galantara, la forza icastica delle sue immagini ha espresso una sferzante satira politica, riferita ad una precisa situazione storica, lo scoppio della rivoluzione d’ottobre.
Nella quiete contemplativa del paesaggio pesarese, Virginio Bartolucci coglie la realtà della dimensione agreste. L’ispirazione naturalistica, nella declinazione stilizzata di matrice liberty, nutre anche il segno fluido ed elegante di Adolfo De Carolis, qui rappresentato da opere condotte con la sua tecnica prediletta: la xilografia, alla cui rinascita artistica nel XIX secolo l’artista ha offerto un contributo fondamentale.
La vicenda della I Guerra Mondiale viene raccontata in diretta da Anselmo Bucci, ciclista volontario; ne emerge la dimensione non retorica, malinconica e quotidiana, colta mediante tratti rapidi e sintetici nella sensibilissima puntasecca in esposizione.
La copertina de Le aquile feltresche, xilografia colorata di Bruno da Osimo, mostra il felice connubio, realizzatosi alla Scuola del Libro di Urbino, tra arte tipografica e arte incisoria. Nell’artista, ispirato da De Carolis, l’abilità tecnica conduce ad un sicuro controllo del segno ed esprime un sentimento lirico.
Ivo Pannaggi rappresenta la figura dell’automa, immagine cardine dell’arte meccanica futurista, della quale egli redige il manifesto nel 1922. Utilizzando forme solide elementari quali il cono, il cubo e il cilindro, Pannaggi ottiene una scomposizione dinamica, sdoppia e moltiplica il personaggio nelle sue varie dimensioni.
A seguire due nature morte. Le violette di Luigi Bartolini vivono dell’evidenza cromatica di corolle e foglie a contrasto con il bianco degli steli, su una stratificata trama segnica che lascia trapelare un testo autobiografico: il momento di vita familiare, sedimentato nel ricordo, viene trasfigurato poeticamente. Natura morta con patate di Orfeo Tamburi rivela una semplificazione formale di influsso cézanniano, rivisitata alla luce di un tonalismo caldo e fuso.
La rassegna dà ora spazio al paesaggio urbano. Betto Tesei propone un tema a lui caro: i tetti delle case di Jesi osservati dalla finestra del suo studio, all’ultimo piano di Palazzo Pianetti-Tesei; egli aderisce ad una visione realista in sintonia con la pittura macchiaiola. Attilio Alfieri descrive attentamente e percettibilmente, con finissimi passaggi chiaroscurali, la solitudine della periferia urbana milanese. Arnaldo Ciarrocchi è invece attratto dal paesaggio dell’Asola, egli rivolge il suo sguardo alla sintassi compositiva delle case, geometrizzate e come incastonate tra le colline, ed alle forme, che sono filtrate in una dimensione interiore dalla luce delle albe adriatiche.
Incontriamo quindi una rara opera giovanile a tecnica mista di Valeriano Trubbiani, articolata su contrasti segnici e tensioni cromatiche.
Uno snodo centrale della mostra è dedicato a due lavori di grafica. La sapienza tecnica di De Vita si sposta tra il piano del reale e la trasfigurazione inconscia e onirica, pervenendo ad uno stile forte e preciso, talora drammatico. Il Muro di Giuseppe Uncini rivela un dissidio costitutivo tra il pieno nitore volumetrico-spaziale e l’evidente contrasto materico-luministico (cemento-ombra come universo dell’alterità).
Ricercatezza grafica e precisione miniaturistica definiscono e articolano la composizione con sette teste di Corrado Cagli, realizzata con la tecnica del disegno ad olio, che conferisce alla linea una purezza platonica.
Si susseguono pregevoli piccole sculture. Di Edgardo Mannucci il Crocifisso, filiforme ed umano, ed Idea, opera che vive nella tensione dialettica tra forme magmatiche e linee angolose, tra superfici ruvide e levigate, qui l’espressività primigenia coesiste con l’atto creativo regolatore. Agile bronzetto, vibrante di movimento e luce, l’Angelo, realizzato da Pericle Fazzini, coglie lo scatto guizzante di un momento e si pone come opera di elevato lirismo. Conclude l’esposizione la Sibilla di Ezio Bartocci, immagine archetipa e raffinata, un po’ angelo, un po’ musa ispiratrice. Con la sua chioma alata ella consegna una preziosa eredità al nuovo millennio, attraversandolo curiosa e leggera.
Francesca Santoni, jesi aprile 2012
Una scelta dal sapore umanistico, se vogliamo, moderno studiolo ove l’esperienza estetica si connota di valenze illuministicamente formative.
La graduale costruzione della raccolta è di certo frutto di un gusto personale, ma soprattutto rivela incontri e frequentazioni con artisti e conoscitori, in un costante esercizio di affinamento della cultura visiva e del modo di tenere in equilibrio il binomio desiderio-possibilità.
Sono dialoghi che affondano le radici nel territorio di appartenenza, le Marche, e che denotano aperture, nelle scelte iconografiche e stilistiche, al contesto storico e culturale del periodo.
Questa mostra ne testimonia e rappresenta gli esiti attraverso una selezione di venticinque opere, che spaziano dagli inizi del Novecento sino a tutto lo snodarsi del secolo. Accomunate da misure contenute, per lo più tipiche della destinazione privata, esse appaiono in uno spazio espositivo che della sfera familiare rievoca il carattere intimo e confidenziale. Si articolano tra generi e tecniche diverse, nella ricerca di una armonia d’insieme. Ciascun artista rivela in tal modo la sua unicità e, al contempo, si rimodula, nell’incontro con gli altri, in una polifonia di suggestioni.
Apre il percorso Gabriele Galantara, la forza icastica delle sue immagini ha espresso una sferzante satira politica, riferita ad una precisa situazione storica, lo scoppio della rivoluzione d’ottobre.
Nella quiete contemplativa del paesaggio pesarese, Virginio Bartolucci coglie la realtà della dimensione agreste. L’ispirazione naturalistica, nella declinazione stilizzata di matrice liberty, nutre anche il segno fluido ed elegante di Adolfo De Carolis, qui rappresentato da opere condotte con la sua tecnica prediletta: la xilografia, alla cui rinascita artistica nel XIX secolo l’artista ha offerto un contributo fondamentale.
La vicenda della I Guerra Mondiale viene raccontata in diretta da Anselmo Bucci, ciclista volontario; ne emerge la dimensione non retorica, malinconica e quotidiana, colta mediante tratti rapidi e sintetici nella sensibilissima puntasecca in esposizione.
La copertina de Le aquile feltresche, xilografia colorata di Bruno da Osimo, mostra il felice connubio, realizzatosi alla Scuola del Libro di Urbino, tra arte tipografica e arte incisoria. Nell’artista, ispirato da De Carolis, l’abilità tecnica conduce ad un sicuro controllo del segno ed esprime un sentimento lirico.
Ivo Pannaggi rappresenta la figura dell’automa, immagine cardine dell’arte meccanica futurista, della quale egli redige il manifesto nel 1922. Utilizzando forme solide elementari quali il cono, il cubo e il cilindro, Pannaggi ottiene una scomposizione dinamica, sdoppia e moltiplica il personaggio nelle sue varie dimensioni.
A seguire due nature morte. Le violette di Luigi Bartolini vivono dell’evidenza cromatica di corolle e foglie a contrasto con il bianco degli steli, su una stratificata trama segnica che lascia trapelare un testo autobiografico: il momento di vita familiare, sedimentato nel ricordo, viene trasfigurato poeticamente. Natura morta con patate di Orfeo Tamburi rivela una semplificazione formale di influsso cézanniano, rivisitata alla luce di un tonalismo caldo e fuso.
La rassegna dà ora spazio al paesaggio urbano. Betto Tesei propone un tema a lui caro: i tetti delle case di Jesi osservati dalla finestra del suo studio, all’ultimo piano di Palazzo Pianetti-Tesei; egli aderisce ad una visione realista in sintonia con la pittura macchiaiola. Attilio Alfieri descrive attentamente e percettibilmente, con finissimi passaggi chiaroscurali, la solitudine della periferia urbana milanese. Arnaldo Ciarrocchi è invece attratto dal paesaggio dell’Asola, egli rivolge il suo sguardo alla sintassi compositiva delle case, geometrizzate e come incastonate tra le colline, ed alle forme, che sono filtrate in una dimensione interiore dalla luce delle albe adriatiche.
Incontriamo quindi una rara opera giovanile a tecnica mista di Valeriano Trubbiani, articolata su contrasti segnici e tensioni cromatiche.
Uno snodo centrale della mostra è dedicato a due lavori di grafica. La sapienza tecnica di De Vita si sposta tra il piano del reale e la trasfigurazione inconscia e onirica, pervenendo ad uno stile forte e preciso, talora drammatico. Il Muro di Giuseppe Uncini rivela un dissidio costitutivo tra il pieno nitore volumetrico-spaziale e l’evidente contrasto materico-luministico (cemento-ombra come universo dell’alterità).
Ricercatezza grafica e precisione miniaturistica definiscono e articolano la composizione con sette teste di Corrado Cagli, realizzata con la tecnica del disegno ad olio, che conferisce alla linea una purezza platonica.
Si susseguono pregevoli piccole sculture. Di Edgardo Mannucci il Crocifisso, filiforme ed umano, ed Idea, opera che vive nella tensione dialettica tra forme magmatiche e linee angolose, tra superfici ruvide e levigate, qui l’espressività primigenia coesiste con l’atto creativo regolatore. Agile bronzetto, vibrante di movimento e luce, l’Angelo, realizzato da Pericle Fazzini, coglie lo scatto guizzante di un momento e si pone come opera di elevato lirismo. Conclude l’esposizione la Sibilla di Ezio Bartocci, immagine archetipa e raffinata, un po’ angelo, un po’ musa ispiratrice. Con la sua chioma alata ella consegna una preziosa eredità al nuovo millennio, attraversandolo curiosa e leggera.
Francesca Santoni, jesi aprile 2012
19
aprile 2012
Opere del ‘900 da una collezione: le Marche
Dal 19 aprile al 12 maggio 2012
arte contemporanea
Location
2G
Jesi, Piazza Pergolesi, (Ancona)
Jesi, Piazza Pergolesi, (Ancona)
Orario di apertura
da martedì a sabato
ore 17.30 - 20.00 - fuori orario 335 5235210 - 3334123430
Autore
Curatore