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Ọrụ: triticum somni et libum utopiae
Ọrụ dispone in un Mercato Romano del periodo sillano una esplorazione sul sogno e sulla maison natal, in simbiosi con lo spazio, pensato come approdo di meraviglie lontane, lavorando su stratificazioni e frammenti di 8 opere d’arte contemporanea.
Comunicato stampa
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Ọrụ triticum somni et libum utopiae
All’attenzione dei giornalisti
MOSTRA COLLETTIVA DI PROMOZIONE E DIVULGAZIONE DEL MERCATO ROMANO DI FERENTINO, VIA DON GIUSEPPE MOROSINI 03013
Disponibile alla beneficenza per gli alluvionati dell’Emilia Romagna
DAL 2 GIUGNO ALL’11 GIUGNO
OPENING ORE 17:00
ORARI DI APERTURA: TUTTI I GIORNI ORE 15-19
6 GIUGNO: PRESENTAZIONE DEL LIBRO “LA SPECIE STORTA” EDIZIONI TLON IN PRESENZA DELL’AUTORE GIORGIO MARIA CORNELIO.
Altri giorni: Previste performance e happening liberi, laboratori dello sguardo, letture di classici latini e africani e brevi esempi di giochi di ruolo(D&D)
“In sogno continuano a dormire dove non sono più, un sonno continua a dormirli dove sono stati già oppure un
sonno lontano, un sonno precedente li addormenta mentre altrove continuano a camminare come sonnambuli, eternamente svegli in cammino per le vie semidistrutte di una città in apparenza ricostruita”
Ọrụ continua idealmente il progetto di esplorazione immaginaria dei luoghi simbolici nella valle del Sacco, cominciato con ARCA, nelle chiese di S.Lucia e S.Antonio e prima con il Festival dell'arte Nomadica.
Il sonno sembra assicurare un’esistenza alternativa al cammino reale nella città. E il sogno stesso sembra suggerire un altro sonno, un riposo, come se l’immaginario dischiudesse una possibilità di dormire dove non sono più. Il sogno ci permette di dormire in un luogo non più esistente o lontano, un luogo, che nella sua distanza, dorme, è in attesa, dorme così come è stato lasciato. Nel riposo lasciamo essere l’essere intorno, a cui si co-appartiene. Nella coesistenza con il circostante si cancellano le distinzioni cartesiane che oppongono il soggetto all’oggetto e vengono negati i presupposti alla base della funzione riproduttiva della rappresentazione mimetica, se non proprio della rappresentazione stessa, del Vor-stellung, il porre-di-contro che si annulla nella coestensività di cornea-carne dell’occhio e carne del mondo. Scopriamo che al centro di questa visione nostalgica di un luogo in cui non si è più c’era il topos del luogo di nascita, la maison natale: ‹‹Questa casa lontana, perduta, non ci abitiamo più; siamo, ahimè, certi che non la abiteremo mai più. Eppure, essa è più che un ricordo. È una casa dei sogni, la nostra casa onirica››
Ọrụ è una mostra site-specific allestita nel Mercato Romano di Ferentino, a cura di Danilo Paris e Chiara Gerpini e l’organizzazione dell’ass.ne Materia Creativa. Gli artisti Elena Porcelli, Simone Compagno, Alessandra Galanti, Denise Scascitelli Benedetti, Chiara Cardinali (colettivo Spècola) Leonardo Antonucci e Elena Gizzi, hanno esplorato la dimensione del sogno. Come scrive la curatrice Chiara Gerpini ‹‹un incontro tra forme eterogenee, simbologie e deragliamenti di senso, immaginari surreali e affinità con il passato, in una costante ricerca tra il generale, il particolare e il fenomenico» (Barilli). La mostra è stata quindi proiettata verso un legame simbiotico tra le opere e lo spazio, creando una connessione tra memoria storica e contemporanea, tra il vissuto delle mura e i linguaggi intimi e figurativi degli artisti, così da rendere lo spazio, un luogo in grado di instaurare relazioni in una contemporaneità dialettica dove le opere rappresentano i pilastri del tempo.
“La contemporaneità è quella relazione col tempo che aderisce a esso attraverso una sfasatura e un anacronismo ed è solo in virtù di questa intempestività o discronia che un soggetto può davvero guardare alla propria epoca” (Bishop).
Lo spazio è stato perciò poi elaborato, includendo incursione randomiche, come quella del poeta Giorgio Maria Cornelio, come forme di ibridazione che rimandano sia al ruolo originario del mercato romano come luogo dell'Altro, anche come topos di integrazione tra animale e umano, sia alla funzione onirica di giustapposizione delle distanze.
L'arrivo della specie storta inaugura una fratellanza e rapporti di genealogie invertite, proprio nel senso di un inversione, stortura, che diventa segno del rovescio delle genesi, così come la valle cascia di cui la specie è metonimia, si assottiglia parassitando lo strato contiguo della valle del sacco, in cui il mercato è collocato.
"La nostra arca è fatta di micelio"scrive Cornelio, echeggiando "Siamo partiti con l'arca, sul filo spezzato dei nostri figli".
In questo senso l'arca diviene lo spazio sottostante per l'emersione dei possibili come efflorescenze superficiali di un micelio profondo e senza limiti.
Il mercato è un luogo di rilevanza culturale inestimabile, ma marginalizzato e rappresenta, perciò, per questa marginalità, già di per sé, un “rimosso architettonico”, cioè un inconscio spaziale. Se l’inconscio si forma proprio in seguito al processo di rimozione, come scrive Freud, il Mercato Romano è uno dei luoghi archetipali, fondativi dell’inconscio spaziale della città. Il Mercato è un luogo in rovina e come tale, si apre ai concetti di incompletezza, frammento e stratificazione, tipici del sogno, che presenta molteplici temporalità, geografie scombinate, spazi non-euclidei, anacronismi, infrazioni al principio di non-contraddizione e confutazioni del concetto di identità, spostamenti, amnesie, afasie, condensazioni: nel sogno a=b, a=non-a, Io= altro. La rovina è, come scrive Derrida, nella sua incompletezza, “apertura”, “esperienza del possibile”. Il titolo Ọrụ rimanda al termine igbo di lingua nigeriana “lavoro”: considerando lo spazio del mercato romano, si può ipotizzare che molti prodotti commerciali arrivassero da luoghi lontani- ed è anzi certo lo scambio commerciale con i paesi dell’Africa-e perciò, forse, anche lavoratori sottoposti a ritmi faticosi, se non anche schiavi. Questa ipotesi storica incrocia una storicità contemporanea, anacronicizzata, quella dei migranti nigeriani, sottoposti a lavori massacranti. Dunque, esiste, con tutta probabilità, un rapporto coloniale mai interrotto: da una parte la Pax romana, dall’altra il lavoro africano. Il lavoro, associato al lavoro onirico, che si sostanzia in vari modi, tra cui la condensazione, lo spostamento e la materializzazione plastica, diventa il rovescio del sogno. Ọrụ è la lingua dell’altro, perciò si delinea come synthomo della parola Sogno. Se il synthomo è l’assenza del nome del padre, Ọrụ è l’equivoco invocato da Lacan contro di esso, la pulsione all’interno del significante. Ọrụ, la parola-pulsione, è l’eco nel corpo del fatto che c’è un dire. Se, per esempio, il simbolico è la sistemazione urbanistica della città, la forma che il potere le assegna, Ọrụ delinea la sua forma immaginaria, una geopolitica immaginaria che insiste su quella simbolica, rodendola fin dentro al suo impossibile nucleo, il reale. Il sogno delinea il mondo possibile al di là del lavoro, della vita nuda, sottoposta agli obblighi e alle posture fissate dal potere. Come accade nel finale de La classe operaia va in paradiso, gli operai costretti a ripetere azioni meccaniche e macchiniche, trovano infine uno spazio ulteriore lo spazio immaginario del sogno sincronico insiste sulle esistenze reali. Lo spazio del sogno è lo spazio dell’azione reale. La Fabbrica viene conquistata quando diventa spazio di trascendimento. La potenza del falso, l’arte del sogno fa come una geopolitica immaginaria che insiste sul territorio o lo nega, lo nega due volte per averne cura e lasciarlo-così-come-è Come nella mappa del piccolo Hans, il bambino seguito da Freud, i percorsi tracciati da Hans non seguono le traiettorie spaziali ordinarie descritte oggettivamente nelle mappe, ma le traiettorie inconsce del sogno, dell’intimo e perciò del fobico, del mitico e dell’archetipale. ‹‹Il soggetto fobico non tiene conto della sacralità o dei tabù spaziali, in virtù dei quali un luogo è separato da tutto il resto: il suo tributo immaginario allo spazio è infinito, partendo dai confini della casa dalla quale non può uscire› Questa onironautica degli spazi, che è perciò anche un’indagine sul trauma latente che li abita, ci conduce a tracciare una linea che unisce i luoghi privati di località alle architetture sepolte dei Passagenwek di Benjamin, ‹‹architetture dove si vive ancora una volta come in un sogno la vita dei nostri genitori e dei nostri nonni, come l’embrione nell’utero ripete la filogenesi. L’esistenza scorre in questi luoghi senza particolari accenti, come negli episodi dei sogni. La pigrizia dà il suo ritmo alla sonnolenza. La sonnolenza è il ritmo che scandendo territorializza.››
Dal punto di vista linguistico, la parola africana Ọrụ diventa parola onirica, mostro linguistico, demone dimenticato, che si oppone al latino coloniale del “triticum somni et libum utopiae”. Tutte insieme, queste parole formano un delirio senza lingua e senza identità di matrice onirica. A tale proposito, scrive Freud: “Assai sorprendente è il comportamento del sogno di fronte alla categoria di contrasto e di contraddizioni, questa viene semplicemente trascurata, il “no” sembra non esistere per il sogno. I contrasti vengono riuniti con singolare predilezione in unità o rappresentati (in einem dargestellt). Inoltre il sogno si prende anche la libertà di rappresentare qualsiasi elemento con il suo desiderio antitetico, di modo che, di fronte a un elemento che ammette il proprio contrario, da principio non sappiamo se è contenuto nei pensieri del sogno in senso positivo o negativo.”
Testo a cura di Danilo Paris, con un contributo di Chiara Gerpini
All’attenzione dei giornalisti
MOSTRA COLLETTIVA DI PROMOZIONE E DIVULGAZIONE DEL MERCATO ROMANO DI FERENTINO, VIA DON GIUSEPPE MOROSINI 03013
Disponibile alla beneficenza per gli alluvionati dell’Emilia Romagna
DAL 2 GIUGNO ALL’11 GIUGNO
OPENING ORE 17:00
ORARI DI APERTURA: TUTTI I GIORNI ORE 15-19
6 GIUGNO: PRESENTAZIONE DEL LIBRO “LA SPECIE STORTA” EDIZIONI TLON IN PRESENZA DELL’AUTORE GIORGIO MARIA CORNELIO.
Altri giorni: Previste performance e happening liberi, laboratori dello sguardo, letture di classici latini e africani e brevi esempi di giochi di ruolo(D&D)
“In sogno continuano a dormire dove non sono più, un sonno continua a dormirli dove sono stati già oppure un
sonno lontano, un sonno precedente li addormenta mentre altrove continuano a camminare come sonnambuli, eternamente svegli in cammino per le vie semidistrutte di una città in apparenza ricostruita”
Ọrụ continua idealmente il progetto di esplorazione immaginaria dei luoghi simbolici nella valle del Sacco, cominciato con ARCA, nelle chiese di S.Lucia e S.Antonio e prima con il Festival dell'arte Nomadica.
Il sonno sembra assicurare un’esistenza alternativa al cammino reale nella città. E il sogno stesso sembra suggerire un altro sonno, un riposo, come se l’immaginario dischiudesse una possibilità di dormire dove non sono più. Il sogno ci permette di dormire in un luogo non più esistente o lontano, un luogo, che nella sua distanza, dorme, è in attesa, dorme così come è stato lasciato. Nel riposo lasciamo essere l’essere intorno, a cui si co-appartiene. Nella coesistenza con il circostante si cancellano le distinzioni cartesiane che oppongono il soggetto all’oggetto e vengono negati i presupposti alla base della funzione riproduttiva della rappresentazione mimetica, se non proprio della rappresentazione stessa, del Vor-stellung, il porre-di-contro che si annulla nella coestensività di cornea-carne dell’occhio e carne del mondo. Scopriamo che al centro di questa visione nostalgica di un luogo in cui non si è più c’era il topos del luogo di nascita, la maison natale: ‹‹Questa casa lontana, perduta, non ci abitiamo più; siamo, ahimè, certi che non la abiteremo mai più. Eppure, essa è più che un ricordo. È una casa dei sogni, la nostra casa onirica››
Ọrụ è una mostra site-specific allestita nel Mercato Romano di Ferentino, a cura di Danilo Paris e Chiara Gerpini e l’organizzazione dell’ass.ne Materia Creativa. Gli artisti Elena Porcelli, Simone Compagno, Alessandra Galanti, Denise Scascitelli Benedetti, Chiara Cardinali (colettivo Spècola) Leonardo Antonucci e Elena Gizzi, hanno esplorato la dimensione del sogno. Come scrive la curatrice Chiara Gerpini ‹‹un incontro tra forme eterogenee, simbologie e deragliamenti di senso, immaginari surreali e affinità con il passato, in una costante ricerca tra il generale, il particolare e il fenomenico» (Barilli). La mostra è stata quindi proiettata verso un legame simbiotico tra le opere e lo spazio, creando una connessione tra memoria storica e contemporanea, tra il vissuto delle mura e i linguaggi intimi e figurativi degli artisti, così da rendere lo spazio, un luogo in grado di instaurare relazioni in una contemporaneità dialettica dove le opere rappresentano i pilastri del tempo.
“La contemporaneità è quella relazione col tempo che aderisce a esso attraverso una sfasatura e un anacronismo ed è solo in virtù di questa intempestività o discronia che un soggetto può davvero guardare alla propria epoca” (Bishop).
Lo spazio è stato perciò poi elaborato, includendo incursione randomiche, come quella del poeta Giorgio Maria Cornelio, come forme di ibridazione che rimandano sia al ruolo originario del mercato romano come luogo dell'Altro, anche come topos di integrazione tra animale e umano, sia alla funzione onirica di giustapposizione delle distanze.
L'arrivo della specie storta inaugura una fratellanza e rapporti di genealogie invertite, proprio nel senso di un inversione, stortura, che diventa segno del rovescio delle genesi, così come la valle cascia di cui la specie è metonimia, si assottiglia parassitando lo strato contiguo della valle del sacco, in cui il mercato è collocato.
"La nostra arca è fatta di micelio"scrive Cornelio, echeggiando "Siamo partiti con l'arca, sul filo spezzato dei nostri figli".
In questo senso l'arca diviene lo spazio sottostante per l'emersione dei possibili come efflorescenze superficiali di un micelio profondo e senza limiti.
Il mercato è un luogo di rilevanza culturale inestimabile, ma marginalizzato e rappresenta, perciò, per questa marginalità, già di per sé, un “rimosso architettonico”, cioè un inconscio spaziale. Se l’inconscio si forma proprio in seguito al processo di rimozione, come scrive Freud, il Mercato Romano è uno dei luoghi archetipali, fondativi dell’inconscio spaziale della città. Il Mercato è un luogo in rovina e come tale, si apre ai concetti di incompletezza, frammento e stratificazione, tipici del sogno, che presenta molteplici temporalità, geografie scombinate, spazi non-euclidei, anacronismi, infrazioni al principio di non-contraddizione e confutazioni del concetto di identità, spostamenti, amnesie, afasie, condensazioni: nel sogno a=b, a=non-a, Io= altro. La rovina è, come scrive Derrida, nella sua incompletezza, “apertura”, “esperienza del possibile”. Il titolo Ọrụ rimanda al termine igbo di lingua nigeriana “lavoro”: considerando lo spazio del mercato romano, si può ipotizzare che molti prodotti commerciali arrivassero da luoghi lontani- ed è anzi certo lo scambio commerciale con i paesi dell’Africa-e perciò, forse, anche lavoratori sottoposti a ritmi faticosi, se non anche schiavi. Questa ipotesi storica incrocia una storicità contemporanea, anacronicizzata, quella dei migranti nigeriani, sottoposti a lavori massacranti. Dunque, esiste, con tutta probabilità, un rapporto coloniale mai interrotto: da una parte la Pax romana, dall’altra il lavoro africano. Il lavoro, associato al lavoro onirico, che si sostanzia in vari modi, tra cui la condensazione, lo spostamento e la materializzazione plastica, diventa il rovescio del sogno. Ọrụ è la lingua dell’altro, perciò si delinea come synthomo della parola Sogno. Se il synthomo è l’assenza del nome del padre, Ọrụ è l’equivoco invocato da Lacan contro di esso, la pulsione all’interno del significante. Ọrụ, la parola-pulsione, è l’eco nel corpo del fatto che c’è un dire. Se, per esempio, il simbolico è la sistemazione urbanistica della città, la forma che il potere le assegna, Ọrụ delinea la sua forma immaginaria, una geopolitica immaginaria che insiste su quella simbolica, rodendola fin dentro al suo impossibile nucleo, il reale. Il sogno delinea il mondo possibile al di là del lavoro, della vita nuda, sottoposta agli obblighi e alle posture fissate dal potere. Come accade nel finale de La classe operaia va in paradiso, gli operai costretti a ripetere azioni meccaniche e macchiniche, trovano infine uno spazio ulteriore lo spazio immaginario del sogno sincronico insiste sulle esistenze reali. Lo spazio del sogno è lo spazio dell’azione reale. La Fabbrica viene conquistata quando diventa spazio di trascendimento. La potenza del falso, l’arte del sogno fa come una geopolitica immaginaria che insiste sul territorio o lo nega, lo nega due volte per averne cura e lasciarlo-così-come-è Come nella mappa del piccolo Hans, il bambino seguito da Freud, i percorsi tracciati da Hans non seguono le traiettorie spaziali ordinarie descritte oggettivamente nelle mappe, ma le traiettorie inconsce del sogno, dell’intimo e perciò del fobico, del mitico e dell’archetipale. ‹‹Il soggetto fobico non tiene conto della sacralità o dei tabù spaziali, in virtù dei quali un luogo è separato da tutto il resto: il suo tributo immaginario allo spazio è infinito, partendo dai confini della casa dalla quale non può uscire› Questa onironautica degli spazi, che è perciò anche un’indagine sul trauma latente che li abita, ci conduce a tracciare una linea che unisce i luoghi privati di località alle architetture sepolte dei Passagenwek di Benjamin, ‹‹architetture dove si vive ancora una volta come in un sogno la vita dei nostri genitori e dei nostri nonni, come l’embrione nell’utero ripete la filogenesi. L’esistenza scorre in questi luoghi senza particolari accenti, come negli episodi dei sogni. La pigrizia dà il suo ritmo alla sonnolenza. La sonnolenza è il ritmo che scandendo territorializza.››
Dal punto di vista linguistico, la parola africana Ọrụ diventa parola onirica, mostro linguistico, demone dimenticato, che si oppone al latino coloniale del “triticum somni et libum utopiae”. Tutte insieme, queste parole formano un delirio senza lingua e senza identità di matrice onirica. A tale proposito, scrive Freud: “Assai sorprendente è il comportamento del sogno di fronte alla categoria di contrasto e di contraddizioni, questa viene semplicemente trascurata, il “no” sembra non esistere per il sogno. I contrasti vengono riuniti con singolare predilezione in unità o rappresentati (in einem dargestellt). Inoltre il sogno si prende anche la libertà di rappresentare qualsiasi elemento con il suo desiderio antitetico, di modo che, di fronte a un elemento che ammette il proprio contrario, da principio non sappiamo se è contenuto nei pensieri del sogno in senso positivo o negativo.”
Testo a cura di Danilo Paris, con un contributo di Chiara Gerpini
02
giugno 2023
Ọrụ: triticum somni et libum utopiae
Dal 02 all'undici giugno 2023
arte contemporanea
incontri e conferenze
incontri e conferenze
Location
SEDI VARIE – Ferentino
Ferentino, -, (Frosinone)
Ferentino, -, (Frosinone)
Orario di apertura
Opening ore 17
Tutti i giorni: 15-19
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