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Ottanta artisti riflettono (su)la luce
La rassegna vuole presentare alcuni esempi di una ricerca espressiva centrata sull’utilizzo di materiali capaci di far diventare la luce un elemento fondamentale nel costituirsi dell’opera d’arte: una luce che, nella sua apparenza fenomenica, dominante o dissimulata, di riflesso argenteo o specchiante, si rivela sostanza fondamentale nel definire le qualità primarie di ciò che si palesa davanti agli occhi dell’osservatore
Comunicato stampa
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La mostra ideata dal Prof. Marco Fraccaro, a cura di Fabrizio Parachini, raccoglie più di ottanta opere tra dipinti, incisioni, rilievi, sculture e assemblaggi realizzate con materiali metallici, plastici o cartacei dalla spiccate o prevalenti proprietà riflettenti. È la terza tappa di un percorso iniziato nel 2004 con “vedo nero” e proseguita nel 2007 con “Il colore dello spirito. 85 opere bianche di 85 artisti”.
La rassegna, dal titolo ragionevolmente e poeticamente ambivalente, vuole presentare alcuni esempi di una ricerca espressiva centrata sull’utilizzo di materiali capaci di far diventare la luce un elemento fondamentale nel costituirsi dell’opera d’arte: una luce che, nella sua apparenza fenomenica, dominante o dissimulata, di riflesso argenteo o specchiante, si rivela sostanza fondamentale nel definire le qualità primarie di ciò che si palesa davanti agli occhi dell’osservatore.
Ancora una volta il panorama che emerge è estremamente vario e articolato e da ragione di come questa idea, unitamente ai nuovi materiali e tecniche resesi disponibili agli artisti dagli anni sessanta fino a oggi, abbia prodotto lavori dai contenuti e dalle soluzioni inventive e formali quanto mai interessanti e capaci di stimolare profonde “riflessioni”, questa volta private, nella mente dello spettatore che accetta di venirne coinvolto.
Tra i molti artisti, autori delle opere esposte, segnaliamo: Alviani, Azuma. Alberti, Baj, Balice, Benevelli, Bonomi, Carrega, Consagra, Duarte, Leonardelli, Melotti, Munari, Paolini, Pardi, Pellitta, Phillips, Pomodoro, Pozzati, Schawinsky, Simonetti, Staccioli, Tilson, Volpini.
Come sempre viene presentata anche una interessante parte documentaria sul tema, costituita da libri, libri d’artista, inviti, opuscoli, realizzati con materiali cartacei riflettenti che dimostrano l’efficacia di questi materiali nel comunicare l’idea dei progetti e delle realizzazioni artistiche centrate su questa nuova idea di utilizzo della luce.
“Ottanta artisti riflettono (su)la luce”
dal 7 al 21 Maggio 2008 – Galleria del Collegio Cairoli – Pavia
orario: 17 – 19.30 (esclusi i festivi)
inaugurazione mercoledì 7 maggio 2008 ore 18
Il testo in catalogo di Fabrizio Parachini
DI LUCE RIFLESSA. INDIRETTAMENTE
La luce è l’altra faccia dello sguardo.
Entrambi percorrono le stesse traiettorie rettilinee, ma non sempre condividono le stesse direzioni.
Spesso i raggi luminosi arrivano ai nostri occhi indirettamente, in seconda battuta, di riflesso, svelando l’esistenza di materie dotate di una lucentezza speciale e caratteristica, di difficile definizione, forse propria, sicuramente imprevista: un’altra luminescenza di forma per gli stessi occhi che la guardano.
Possiamo cogliere riflessi argentei, semiopachi, cerei, silicei, serici, umidi, resinosi, adamantini, metallici, fino a quelli fin troppo fedeli (ma quanto veramente?) dello specchio perfetto; riflessi, questi ultimi, spiazzanti per lo sguardo dell’osservatore che non trova sulla sua traiettoria, o al suo termine, l’immagine attesa della superficie riflettente: trova se stesso nella propria immagine specchiata.
Gli oggetti che riflettono si sottraggono alla realtà policroma del mondo. I colori della luce incidente sono gli stessi di quella riflessa: nessuno di loro viene cancellato, piuttosto vengono diffusi, con-fusi, le loro direzioni mischiate fino a ricostituire il senso vago di una luce nuova e difforme. Il prima e il dopo si equivalgono ma le superfici e i volumi riflettenti perdono il loro ingombro corporeo, diventano mutevoli e sfuggenti; la loro posizione nello spazio si trasforma in un’apparenza abbagliante. Negli specchi si formano copie sbiadite, schiacciate e invertite (o scambiate) della realtà, come se queste fossero il risultato di un esercizio della mente invece che di un accadimento fisico naturale.
Il riflesso che gli artisti cercano nella materia è la luce che diventa opera.
Una luce, che da strumento per vedere, indispensabile ma non fondante, diventa l’entità qualificante. Con questo non rifiutiamo la validità di mezzi quali colore, forma, luce, ecc., ma li ridimensioniamo immettendoli nell’opera nella situazione vera in cui li riconosciamo nella realtà, cioé in continua variazione che è l’effetto del loro relazionarsi reciproco, viene dichiarato dai componenti del Gruppo T nel testo per la mostra “Miriorama 1”, tenutasi nel gennaio del millenovecentosessanta. Il riconoscimento delle caratteristiche fenomeniche della luce è un modo per farne un uso produttivo e germinale ma soprattutto coerente con la sua vera natura. Un’entità intangibile si fa oggetto concreto di architettura, quasi un ponte gettato fisicamente verso i territori di un mondo di sensazioni e pensieri liberati dai confini obbligati della forma: La 'Nuova Concezione Artistica' abbandona lo spazio limitato delle due dimensioni per uno spazio più vasto di cui la luce è l’elemento determinante. È la luce in quanto tale, essenza e fenomeno mutevole del mondo che governa e che ci palesa, a diventare l’abito e lo strumento che innalza la pittura ai vertici auspicati da decenni di avanguardie. La lucentezza è il paradigma della cangianza e del movimento: non simbolo ma sostanza e significato. Otto Piene è fortemente convinto delle possibilità offerte dalle nuove idee e dai nuovi materiali sintetici brillanti: Sono stati forniti mezzi per conferire alla pittura così tanta sensualità (mentre ancora conserva la sua disciplina) grazie alla virtù della luce, che s’allontana dalla razionale esplicazione dei segni e dei simboli per entrare nel regno della bellezza pittorica, ove il cammino dello spirito è guidato dai sensi. La pittura raggiungerà una corrusca intensità che pervaderà l’uomo. La purezza della luce renderà capace la pittura di innalzarsi al puro sentimento. Diventa un sogno irrealizzato l’immaginare, ma anche il progettare, un’opera la cui luce riflessa sia così intensa e viva da surclassare lo strumento che la produce. Una macchina che si nasconda dentro la propria emanazione luminosa per esprimere un desiderio di assoluto che cancella la tecnica indispensabile alla sua costruzione. È il sogno di Heinz Mack nel suo Progetto Sahara: Una stele consiste in un asse verticale, a cui sono fissati riflettori a specchio, come ali sottili: da essi proviene un forte riflesso solare. I diversi campi di rifrazione della luce si allargano in volumi luminosi che si intrecciano continuamente. Il volume complessivo della luce è così determinato nella sua struttura dal rilievo dei riflettori e dalla posizione del sole. Un abito di luce violenta si sovrappone alla materialità della costruzione tecnica e la fonte luminosa acquista ancor più materialità con il possibile allontanarsi dell’osservatore. La luce riflessa non è quella respinta, è quella posseduta, e l’oggetto riflettente incarna la volontà tutta umana dell’artista che l’ha reclamata per dare finalmente vita a uno spazio nuovo di libertà per l’arte. La distanza, come per un astro, non è lontananza ma è la misura della sua potenza o del tempo della sua esistenza.
Il riflesso dello specchio è altra cosa: è certo, chiaro, riconoscibile, ma parla sempre della luce e della sua relazione con una realtà d’immagine in costante movimento. Anche la fotografia è ancora luce che invece di fuggire inavvertita lascia il suo segno visibile. Michelangelo Pistoletto la usa come termine di riferimento per parlare del definito e del mutevole nelle sue opere: La fotografia è quella costante immutabile che rappresenta in un certo senso il desiderio di assoluto perché non cambia più dal momento che è fissato. Nel quadro specchiante, questo assoluto convive con il relativo, in quanto, tutto quello che si svolge davanti al quadro viene assorbito istantaneamente attraverso la superficie specchiante. Abbiamo una mutazione perpetua che convive con l’immobilità perpetua creando i due opposti del tempo: la massima immobilità e la mobilità massima. La materia specchiante può dunque accogliere all’interno del proprio perimetro ciò che è fisso e ciò che è transitante permettendone la sovrapposizione o la vicinanza in un dialogo sempre aperto e stimolante. L’eventuale mancato incontro sulla sua superficie lucida non è mai per incompatibilità di forme o di sostanza ma per una premeditata volontà di assenza. Lo specchio può aprire il nostro campo visivo, e soprattutto la nostra mente, alle stratificazioni delle immagini del mondo e alla loro conciliazione e, il “quadro specchiante” come e forse più della Ruota di bicicletta, si rivela proprio essere l’oggetto capace di consegnarci quell’unione dei contrari mobile-immobile (alchemica, ma non solo) perseguita e palesata nelle proprie opere (Specchi dell’arte ?) dalla preveggenza riflessiva e spiazzante di Marcel Duchamp.
Alice esci dall’acqua! intima Marzia Migliora, e non dice esci dallo specchio che hai attraversato, artificio e strumento prodotto da una manualità che, seppur semplice, è già “tecnica” tutta umana; sono le sole parole a raccontare di un corpo assorbito nella propria immagine dissolta a cui si chiede di ritornare a vivere nel mondo della ragionevolezza. La riflessione è esperienza antica da cui è difficile fuggire ma anche riemergere; chi la subisce non sembra poter scampare alle sue conseguenze introspettive. Ugo Carrega sta in una sua opera in prima persona per poter essere fuori da se stesso: Io che mi rifletto fuori di me per guardarmi nel gesto antico della lettera per leggermi nel segno profondo della parola hora È giunto il silenzio, la parola del poeta. L’immagine sembra fare a meno della luce ma, ancora una volta, non della parola che la evoca, o di tutte le parole utili a condurre fuori dal proprio corpo e dal proprio sguardo l’io più profondo che riflette e si riflette. Ma, quando Giuseppe Penone indossa un paio di lenti a contatto specchianti e con queste protesi si fa fotografare, l’immagine esterna non può superare la cornea e Rovesciare i propri occhi diventa una soluzione auspicabile che porta il proprio io a fare a meno del mondo che, seppur cercato, si rispecchia in lui senza attraversarlo. È tutta una persona che “capovolge” la sua presenza sulla terra e la relazione con se stesso; la cecità acquisita rivela il limite del proprio corpo e impedisce di vedere ciò che come artista avrebbe potuto raffigurare e di cui rimarrà memoria solo grazie a uno scatto fotografico che ha fissato ciò che è transitato sulla superficie artificiale dei globi oculari.
L’apparire della figura riscopre il suo misterioso valore quando è accompagnato dal suo riflesso. In effetti: una figura che appare non evoca il suo mistero se non all’apparire della sua apparenza dice René Magritte. Lo specchio duplica un’apparenza, la moltiplica, insidiando dubbi e suscitando interrogativi sull’esistenza di una sur-realtà più o meno voluta. È strumento per ripetere un’immagine all’infinito e creare labirinti in cui perdersi: luoghi che non sono la rappresentazione di un’idea di infinito ma uno spazio fisico percepito come effettivamente senza fine e quasi irreale. Voglio creare un nuovo spazio, uno spazio senza inizio e senza fine, dove tutto vive e invita a vivere. Uno spazio simultaneo tranquillo e rumoroso, immobile e mobile. … Siccome è reale e surreale e costruttivo e informale e colorato e senza colori, oggettivo e in oggettivo, ingenuo e intellettuale e simultaneo, non avrà più bisogno dell’arte, perché è l’arte lui stesso e gli abitanti di questo spazio diventano i più grandi artisti del nostro tempo, e ognuno può diventare un abitante di questo spazio. Provate a trovare uno spazio senza inizio, senza fine e senza limite. Se tenete uno specchio contro un altro specchio, trovate uno spazio senza fine e limite, uno spazio con delle possibilità illimitate, un nuovo spazio metafisico. Si tratta di un altro sogno, una dichiarazione di poetica di Christian Megert, questa volta concretamente esperibile e vivibile; un desiderio che le leggi dell’ottica che governano la luce rendono realizzabile e praticabile. Il risultato è un’apparenza svelata (ma cosa non lo è), un percorso verso l’infinitezza in cui mille riflessi sono uno e dove, alla fine, La tua pittura – ogni pittura e ogni immagine - parrà ancor essa una cosa naturale vista in un grande specchio.
La rassegna, dal titolo ragionevolmente e poeticamente ambivalente, vuole presentare alcuni esempi di una ricerca espressiva centrata sull’utilizzo di materiali capaci di far diventare la luce un elemento fondamentale nel costituirsi dell’opera d’arte: una luce che, nella sua apparenza fenomenica, dominante o dissimulata, di riflesso argenteo o specchiante, si rivela sostanza fondamentale nel definire le qualità primarie di ciò che si palesa davanti agli occhi dell’osservatore.
Ancora una volta il panorama che emerge è estremamente vario e articolato e da ragione di come questa idea, unitamente ai nuovi materiali e tecniche resesi disponibili agli artisti dagli anni sessanta fino a oggi, abbia prodotto lavori dai contenuti e dalle soluzioni inventive e formali quanto mai interessanti e capaci di stimolare profonde “riflessioni”, questa volta private, nella mente dello spettatore che accetta di venirne coinvolto.
Tra i molti artisti, autori delle opere esposte, segnaliamo: Alviani, Azuma. Alberti, Baj, Balice, Benevelli, Bonomi, Carrega, Consagra, Duarte, Leonardelli, Melotti, Munari, Paolini, Pardi, Pellitta, Phillips, Pomodoro, Pozzati, Schawinsky, Simonetti, Staccioli, Tilson, Volpini.
Come sempre viene presentata anche una interessante parte documentaria sul tema, costituita da libri, libri d’artista, inviti, opuscoli, realizzati con materiali cartacei riflettenti che dimostrano l’efficacia di questi materiali nel comunicare l’idea dei progetti e delle realizzazioni artistiche centrate su questa nuova idea di utilizzo della luce.
“Ottanta artisti riflettono (su)la luce”
dal 7 al 21 Maggio 2008 – Galleria del Collegio Cairoli – Pavia
orario: 17 – 19.30 (esclusi i festivi)
inaugurazione mercoledì 7 maggio 2008 ore 18
Il testo in catalogo di Fabrizio Parachini
DI LUCE RIFLESSA. INDIRETTAMENTE
La luce è l’altra faccia dello sguardo.
Entrambi percorrono le stesse traiettorie rettilinee, ma non sempre condividono le stesse direzioni.
Spesso i raggi luminosi arrivano ai nostri occhi indirettamente, in seconda battuta, di riflesso, svelando l’esistenza di materie dotate di una lucentezza speciale e caratteristica, di difficile definizione, forse propria, sicuramente imprevista: un’altra luminescenza di forma per gli stessi occhi che la guardano.
Possiamo cogliere riflessi argentei, semiopachi, cerei, silicei, serici, umidi, resinosi, adamantini, metallici, fino a quelli fin troppo fedeli (ma quanto veramente?) dello specchio perfetto; riflessi, questi ultimi, spiazzanti per lo sguardo dell’osservatore che non trova sulla sua traiettoria, o al suo termine, l’immagine attesa della superficie riflettente: trova se stesso nella propria immagine specchiata.
Gli oggetti che riflettono si sottraggono alla realtà policroma del mondo. I colori della luce incidente sono gli stessi di quella riflessa: nessuno di loro viene cancellato, piuttosto vengono diffusi, con-fusi, le loro direzioni mischiate fino a ricostituire il senso vago di una luce nuova e difforme. Il prima e il dopo si equivalgono ma le superfici e i volumi riflettenti perdono il loro ingombro corporeo, diventano mutevoli e sfuggenti; la loro posizione nello spazio si trasforma in un’apparenza abbagliante. Negli specchi si formano copie sbiadite, schiacciate e invertite (o scambiate) della realtà, come se queste fossero il risultato di un esercizio della mente invece che di un accadimento fisico naturale.
Il riflesso che gli artisti cercano nella materia è la luce che diventa opera.
Una luce, che da strumento per vedere, indispensabile ma non fondante, diventa l’entità qualificante. Con questo non rifiutiamo la validità di mezzi quali colore, forma, luce, ecc., ma li ridimensioniamo immettendoli nell’opera nella situazione vera in cui li riconosciamo nella realtà, cioé in continua variazione che è l’effetto del loro relazionarsi reciproco, viene dichiarato dai componenti del Gruppo T nel testo per la mostra “Miriorama 1”, tenutasi nel gennaio del millenovecentosessanta. Il riconoscimento delle caratteristiche fenomeniche della luce è un modo per farne un uso produttivo e germinale ma soprattutto coerente con la sua vera natura. Un’entità intangibile si fa oggetto concreto di architettura, quasi un ponte gettato fisicamente verso i territori di un mondo di sensazioni e pensieri liberati dai confini obbligati della forma: La 'Nuova Concezione Artistica' abbandona lo spazio limitato delle due dimensioni per uno spazio più vasto di cui la luce è l’elemento determinante. È la luce in quanto tale, essenza e fenomeno mutevole del mondo che governa e che ci palesa, a diventare l’abito e lo strumento che innalza la pittura ai vertici auspicati da decenni di avanguardie. La lucentezza è il paradigma della cangianza e del movimento: non simbolo ma sostanza e significato. Otto Piene è fortemente convinto delle possibilità offerte dalle nuove idee e dai nuovi materiali sintetici brillanti: Sono stati forniti mezzi per conferire alla pittura così tanta sensualità (mentre ancora conserva la sua disciplina) grazie alla virtù della luce, che s’allontana dalla razionale esplicazione dei segni e dei simboli per entrare nel regno della bellezza pittorica, ove il cammino dello spirito è guidato dai sensi. La pittura raggiungerà una corrusca intensità che pervaderà l’uomo. La purezza della luce renderà capace la pittura di innalzarsi al puro sentimento. Diventa un sogno irrealizzato l’immaginare, ma anche il progettare, un’opera la cui luce riflessa sia così intensa e viva da surclassare lo strumento che la produce. Una macchina che si nasconda dentro la propria emanazione luminosa per esprimere un desiderio di assoluto che cancella la tecnica indispensabile alla sua costruzione. È il sogno di Heinz Mack nel suo Progetto Sahara: Una stele consiste in un asse verticale, a cui sono fissati riflettori a specchio, come ali sottili: da essi proviene un forte riflesso solare. I diversi campi di rifrazione della luce si allargano in volumi luminosi che si intrecciano continuamente. Il volume complessivo della luce è così determinato nella sua struttura dal rilievo dei riflettori e dalla posizione del sole. Un abito di luce violenta si sovrappone alla materialità della costruzione tecnica e la fonte luminosa acquista ancor più materialità con il possibile allontanarsi dell’osservatore. La luce riflessa non è quella respinta, è quella posseduta, e l’oggetto riflettente incarna la volontà tutta umana dell’artista che l’ha reclamata per dare finalmente vita a uno spazio nuovo di libertà per l’arte. La distanza, come per un astro, non è lontananza ma è la misura della sua potenza o del tempo della sua esistenza.
Il riflesso dello specchio è altra cosa: è certo, chiaro, riconoscibile, ma parla sempre della luce e della sua relazione con una realtà d’immagine in costante movimento. Anche la fotografia è ancora luce che invece di fuggire inavvertita lascia il suo segno visibile. Michelangelo Pistoletto la usa come termine di riferimento per parlare del definito e del mutevole nelle sue opere: La fotografia è quella costante immutabile che rappresenta in un certo senso il desiderio di assoluto perché non cambia più dal momento che è fissato. Nel quadro specchiante, questo assoluto convive con il relativo, in quanto, tutto quello che si svolge davanti al quadro viene assorbito istantaneamente attraverso la superficie specchiante. Abbiamo una mutazione perpetua che convive con l’immobilità perpetua creando i due opposti del tempo: la massima immobilità e la mobilità massima. La materia specchiante può dunque accogliere all’interno del proprio perimetro ciò che è fisso e ciò che è transitante permettendone la sovrapposizione o la vicinanza in un dialogo sempre aperto e stimolante. L’eventuale mancato incontro sulla sua superficie lucida non è mai per incompatibilità di forme o di sostanza ma per una premeditata volontà di assenza. Lo specchio può aprire il nostro campo visivo, e soprattutto la nostra mente, alle stratificazioni delle immagini del mondo e alla loro conciliazione e, il “quadro specchiante” come e forse più della Ruota di bicicletta, si rivela proprio essere l’oggetto capace di consegnarci quell’unione dei contrari mobile-immobile (alchemica, ma non solo) perseguita e palesata nelle proprie opere (Specchi dell’arte ?) dalla preveggenza riflessiva e spiazzante di Marcel Duchamp.
Alice esci dall’acqua! intima Marzia Migliora, e non dice esci dallo specchio che hai attraversato, artificio e strumento prodotto da una manualità che, seppur semplice, è già “tecnica” tutta umana; sono le sole parole a raccontare di un corpo assorbito nella propria immagine dissolta a cui si chiede di ritornare a vivere nel mondo della ragionevolezza. La riflessione è esperienza antica da cui è difficile fuggire ma anche riemergere; chi la subisce non sembra poter scampare alle sue conseguenze introspettive. Ugo Carrega sta in una sua opera in prima persona per poter essere fuori da se stesso: Io che mi rifletto fuori di me per guardarmi nel gesto antico della lettera per leggermi nel segno profondo della parola hora È giunto il silenzio, la parola del poeta. L’immagine sembra fare a meno della luce ma, ancora una volta, non della parola che la evoca, o di tutte le parole utili a condurre fuori dal proprio corpo e dal proprio sguardo l’io più profondo che riflette e si riflette. Ma, quando Giuseppe Penone indossa un paio di lenti a contatto specchianti e con queste protesi si fa fotografare, l’immagine esterna non può superare la cornea e Rovesciare i propri occhi diventa una soluzione auspicabile che porta il proprio io a fare a meno del mondo che, seppur cercato, si rispecchia in lui senza attraversarlo. È tutta una persona che “capovolge” la sua presenza sulla terra e la relazione con se stesso; la cecità acquisita rivela il limite del proprio corpo e impedisce di vedere ciò che come artista avrebbe potuto raffigurare e di cui rimarrà memoria solo grazie a uno scatto fotografico che ha fissato ciò che è transitato sulla superficie artificiale dei globi oculari.
L’apparire della figura riscopre il suo misterioso valore quando è accompagnato dal suo riflesso. In effetti: una figura che appare non evoca il suo mistero se non all’apparire della sua apparenza dice René Magritte. Lo specchio duplica un’apparenza, la moltiplica, insidiando dubbi e suscitando interrogativi sull’esistenza di una sur-realtà più o meno voluta. È strumento per ripetere un’immagine all’infinito e creare labirinti in cui perdersi: luoghi che non sono la rappresentazione di un’idea di infinito ma uno spazio fisico percepito come effettivamente senza fine e quasi irreale. Voglio creare un nuovo spazio, uno spazio senza inizio e senza fine, dove tutto vive e invita a vivere. Uno spazio simultaneo tranquillo e rumoroso, immobile e mobile. … Siccome è reale e surreale e costruttivo e informale e colorato e senza colori, oggettivo e in oggettivo, ingenuo e intellettuale e simultaneo, non avrà più bisogno dell’arte, perché è l’arte lui stesso e gli abitanti di questo spazio diventano i più grandi artisti del nostro tempo, e ognuno può diventare un abitante di questo spazio. Provate a trovare uno spazio senza inizio, senza fine e senza limite. Se tenete uno specchio contro un altro specchio, trovate uno spazio senza fine e limite, uno spazio con delle possibilità illimitate, un nuovo spazio metafisico. Si tratta di un altro sogno, una dichiarazione di poetica di Christian Megert, questa volta concretamente esperibile e vivibile; un desiderio che le leggi dell’ottica che governano la luce rendono realizzabile e praticabile. Il risultato è un’apparenza svelata (ma cosa non lo è), un percorso verso l’infinitezza in cui mille riflessi sono uno e dove, alla fine, La tua pittura – ogni pittura e ogni immagine - parrà ancor essa una cosa naturale vista in un grande specchio.
07
maggio 2008
Ottanta artisti riflettono (su)la luce
Dal 07 al 21 maggio 2008
arte contemporanea
Location
COLLEGIO FRATELLI CAIROLI
Pavia, Piazza Collegio Cairoli, 3, (Pavia)
Pavia, Piazza Collegio Cairoli, 3, (Pavia)
Orario di apertura
17 – 19.30 (esclusi i festivi)
Vernissage
7 Maggio 2008, ore 18
Curatore