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Paesaggi del cuore e della mente
Cinque pittori, cinque “generazioni” pittoriche, cinque modi d’intendere il paesaggio
Comunicato stampa
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Cinque pittori, Cinque “generazioni” pittoriche, Cinque modi d’intendere il paesaggio. Cinque aspetti della figurazione contemporanea che riassumono un intero universo poetico, scelte rigorose in nome di un fare arte che non ha mai inteso né intende scendere a facili compromessi con alcuno degli escamotages di cui trabocca la nostra contemporaneità. L’arte in definitiva è fondamentalmente questo: un susseguirsi ininterrotto di forme e d’immagini che ci accompagnano dagli albori della nostra civiltà; emozioni, sentimenti, stati d’animo che acquistano forma e colore, sempre diversi, sempre diversamente uguali a loro stessi. Come uguale a se stesso è l’uomo. Ciò che cambia, si evolve (o a volte involve, almeno così ci appare nella vicinanza del presente), muta in continuazione è la nostra sensibilità, il nostro modo di vedere e percepire la realtà degli eventi e, di conseguenza, di rappresentarla. L’uomo è sempre lui, drammaticamente uguale a se stesso, con i suoi ancestrali vizi e le sue divine virtù. Non cambia, e la storia, così ciclica e così ricorrente, ce lo dimostra ad ogni capitolo. Chi cambia è l’artista, colui al quale è affidato il compito d’indagare il mondo con un occhio straordinario, con una sensibilità mobile e mai quieta, con una mano in grado di catturare e imprigionare in una pennellata di colore un’intera gamma sentimentale ed emozionale.
Nel novero della pittura cosiddetta di “genere”, desueta quanto felicemente reazionaria oggidì, il Paesaggio occupa un posto d’assoluto protagonista. Basti pensare alla moda (e come tale sfinita e sfinente nella sua monotona ripetitività) del cosiddetto “paesaggio urbano”, con la pletora di pittori e pittorucoli preoccupati solo di replicare ad nauseam il soggetto fortunato di turno. O a tutti coloro che hanno riposto in questa o quell’architettura industriale (e non) la “fortuna” di una pittura, chiamiamola così, senza fantasia, senza vita, senza emozione, ancora solo e sempre preoccupata di sé stessa, oltre che, ovviamente, del mercato. Decoratori senza testa e senza cuore, talenti mancati, bambini prodigio, forse, dei quali, nel migliore dei casi, non rimane più né l’uno né l’altro. E la lista sarebbe penosamente lunga.
Dall’altra parte della barricata, di contro, esistono i Pittori, coloro, cioè, che sono riusciti a far coincidere la loro vita con la loro arte, incuranti di tutto ciò che li allontana dal loro silenzioso (ma spesso assordante) mondo. Sono pittori per i quali non esistono riviste patinate, circoli esclusivi o palcoscenici scintillanti. Non esiste quel mondo, tanto falso quanto vacuo, semplicemente perché non interessa loro, consci come sono di quanto prezioso sia il loro “dono” e di quanto facile sia perderlo irrimediabilmente per le vie pericolose e perverse del successo e della fama. Anche qui l’elenco dei “dispersi” sarebbe lungo e penoso. (Sono lì, ancora davanti ai nostri occhi. Guardiamo, dei “dispersi”, i quadri di ieri e quelli di oggi. Guardiamo l’opera piena di entusiasmo, di speranza e di vita degli esordi e confrontiamola con gli insopportabili epigoni d’oggi, pieni di tutto, ma non di vita, non di espressività, non di Pittura. Oggetti commerciali, decorativi, insulsi nella loro triste ripetitività, vuota e vana. Ad ognuno di noi la prova fondamentale in foro coscientiae. E in quello del proprio occhio)
Già: coscienza. Ed etica, mi viene da aggiungere. Due ingredienti fondamentali nel fare arte, posti tra cervello e cuore, mi verrebbe da dire. Fare arte significa anche avere la coscienza della propria missione e del talento che è stato donato per adempiere a quello scopo. Il talento in pittura, si sa, è una qualità del tutto inutile se non è asservita ad un’espressività. Lo ricorda con grande saggezza il grande Alberto Sughi in un’intervista con l’altrettanto grande Sergio Zavoli: “Il talento è uno strumento prezioso per chi ha qualcosa da dire; è un dono naturale inutile, a volte dannoso, quando non diventa espressività, ma solo virtuosismo.”
Nel novero della pittura cosiddetta di “genere”, desueta quanto felicemente reazionaria oggidì, il Paesaggio occupa un posto d’assoluto protagonista. Basti pensare alla moda (e come tale sfinita e sfinente nella sua monotona ripetitività) del cosiddetto “paesaggio urbano”, con la pletora di pittori e pittorucoli preoccupati solo di replicare ad nauseam il soggetto fortunato di turno. O a tutti coloro che hanno riposto in questa o quell’architettura industriale (e non) la “fortuna” di una pittura, chiamiamola così, senza fantasia, senza vita, senza emozione, ancora solo e sempre preoccupata di sé stessa, oltre che, ovviamente, del mercato. Decoratori senza testa e senza cuore, talenti mancati, bambini prodigio, forse, dei quali, nel migliore dei casi, non rimane più né l’uno né l’altro. E la lista sarebbe penosamente lunga.
Dall’altra parte della barricata, di contro, esistono i Pittori, coloro, cioè, che sono riusciti a far coincidere la loro vita con la loro arte, incuranti di tutto ciò che li allontana dal loro silenzioso (ma spesso assordante) mondo. Sono pittori per i quali non esistono riviste patinate, circoli esclusivi o palcoscenici scintillanti. Non esiste quel mondo, tanto falso quanto vacuo, semplicemente perché non interessa loro, consci come sono di quanto prezioso sia il loro “dono” e di quanto facile sia perderlo irrimediabilmente per le vie pericolose e perverse del successo e della fama. Anche qui l’elenco dei “dispersi” sarebbe lungo e penoso. (Sono lì, ancora davanti ai nostri occhi. Guardiamo, dei “dispersi”, i quadri di ieri e quelli di oggi. Guardiamo l’opera piena di entusiasmo, di speranza e di vita degli esordi e confrontiamola con gli insopportabili epigoni d’oggi, pieni di tutto, ma non di vita, non di espressività, non di Pittura. Oggetti commerciali, decorativi, insulsi nella loro triste ripetitività, vuota e vana. Ad ognuno di noi la prova fondamentale in foro coscientiae. E in quello del proprio occhio)
Già: coscienza. Ed etica, mi viene da aggiungere. Due ingredienti fondamentali nel fare arte, posti tra cervello e cuore, mi verrebbe da dire. Fare arte significa anche avere la coscienza della propria missione e del talento che è stato donato per adempiere a quello scopo. Il talento in pittura, si sa, è una qualità del tutto inutile se non è asservita ad un’espressività. Lo ricorda con grande saggezza il grande Alberto Sughi in un’intervista con l’altrettanto grande Sergio Zavoli: “Il talento è uno strumento prezioso per chi ha qualcosa da dire; è un dono naturale inutile, a volte dannoso, quando non diventa espressività, ma solo virtuosismo.”
17
novembre 2007
Paesaggi del cuore e della mente
Dal 17 novembre al 31 dicembre 2007
arte contemporanea
Location
GALLERIA D’ARTE PRIMO STATO
Reggio Nell'emilia, Via Dei Due Gobbi, 5, (Reggio Nell'emilia)
Reggio Nell'emilia, Via Dei Due Gobbi, 5, (Reggio Nell'emilia)
Orario di apertura
9-12.30 16-19 chiuso festivi, mart e giov pomeriggio
Vernissage
17 Novembre 2007, ore 18
Autore
Curatore