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Paesaggi. Pretesti dell’Anima
Un centinaio di opere emblematiche dei principali artisti del tempo – da Morbelli, Zandomeneghi, Signorini, Fattori, Palizzi, Caffi, d’Azeglio, Fontanesi, Bertelli, Cammarano a Ciardi, Nomellini, Pellizza da Volpedo, Gigante, Inganni, Segantini, e tanti altri.
Ugo Foscolo, “Ultime lettere di Jacopo Ortis”
Una grande avventura dello sguardo percorre tutta l’arte figurativa dell’Ottocento.
L’artista “spalanca le finestre” e quel che vede, o quel che immagina laddove lo sguardo non arriva, per la
prima volta acquista valenza propria e si riempie di significati, così come accade nell’opera letteraria.
Il paesaggio diventa allora paradigma di sensazioni, deposito di memorie, laboratorio dell’immaginazione:
diviene “pretesto”dell’anima.
A questo affascinante tema, alle diverse visioni ed interpretazioni della natura, susseguitesi nella pittura
italiana del XIX secolo, il Comune di Pavia, dal 20 novembre 2004 al 3 aprile 2005 nella sede del Castello
Visconteo - esempio tra i più significativi dell’architettura del Trecento italiano - dedica un’originale e ricca
esposizione, ripercorrendo l’evoluzione dell’idea di paesaggio e degli stili di un intero secolo, attraverso sei
sezioni tematiche: “s guardi”, “ paesaggi del mito e della letteratura”, “ stati d’animo”, “ impressioni”, “ le
opere e i giorni”, “ la città nel paesaggio, il paesaggio nella città”.
Un centinaio di opere emblematiche dei principali artisti del tempo - da Morbelli, Zandomeneghi, Signorini,
Fattori, Palizzi, Caffi, d’Azeglio, Fontanesi, Bertelli, Cammarano a Ciardi, Nomellini, Pellizza da Volpedo,
Gigante, Inganni, Segantini, e tanti altri – per raccontare quel processo di “emancipazione” che ha portato
la pittura di paesaggio da genere minore in età neoclassica a strumento espressivo dalla forte valenza
spirituale al pari della musica e della poesia, a tramite, in pieno Simbolismo, dell’emotività del soggetto, in
un abbraccio definitivo tra natura e stati dell’animo: “un paysage quelconque – scrisse Fréderic Amiel - est
un état de l’âme”
Curata da Carlo Sisi, Direttore della Galleria d’Arte Moderna di Firenze, da tempo impegnato ad indagare
questo tema, la mostra - promossa dal Comune di Pavia, in collaborazione con la Regione Lombardia - Culture,
Identità e Autonomie della Lombardia e con la Fondazione Banca del Monte di Lombardia, ed organizzata
da Villaggio Globale International, con catalogo Skira - propone dunque un inedito viaggio nella geografia
di un paesaggio divenuto “specchio dell’umana esperienza”, fino a toccare - alle soglie del ‘900 - le inquietudini
della moderna sensibilità.
****
Prende avvio dal tema figurativo della finestra - che tanta fortuna ebbe fin dal Romanticismo - la mostra al
Castello Visconteo di Pavia.
Finestra come apertura dello sguardo sul mondo e sull’anima, come ritaglio oggettivo della natura osservata.
Alla teoria neoclassica del “bello ideale” subentra la scoperta della ricchezza e della varietà della natura:
così se Lo studio del pittore a Napoli di Massimo D’Azeglio rappresenta quasi simbolicamente “l’avvenuto
innesto fra l’artificio e la natura”, la rappresentazione di figure, moderne e anche storiche, intente a guardare
il paesaggio in opere come La Pia de Tolomei di Stefano Ussi, il Ritratto di uomo nel bosco di Filippo Palizzi,
Marina di Viareggio di Telemaco Signorini o il bellissimo e cruciale S’avanza di Angelo Morbelli, esprimono
punti di vista e sentimenti che già anticipano le successive sezioni della mostra.
Così, nella sezione dedicata a due temi centrali nel dibattito fra classici e romantici, come mito e letteratura,
il rapporto fra figure e paesaggio ben illustra nei dipinti selezionati l’evoluzione di sensibilità, prima convinte
della preminenza dell’idea, quindi sedotte dallo stormire della natura circostante.
Il paesaggio diventa allora scenario idoneo a racchiudere passioni letterarie e coinvolgenti. Al silenzio della
natura che accompagnava in età neoclassica le grandi scene eroiche o mitologiche si avvicendano, già dal
secondo decennio, le storie del Medioevo e del Rinascimento che, per la varietà dei casi e il più ampio respiro
narrativo, consentono agli artisti divagazioni sul paesaggio inteso, questa volta, come indispensabile
componente per l’interpretazione dei fatti e delle passioni rappresentate: Orlando e Rodomonte combattono
alla presenza di Fiordiligi di Giuseppe Bisi, Paesaggio con l’agguato a Palamede dei Bianchi del veneziano
Giovan Battista Cecchini, La partenza dei Promessi Sposi del giovane Michele Fanolli, o ancora L’incontro
di Torquato Tasso e Marco Sciarra di Giuseppe Palizzi e Una vendetta, il quadro sicuramente più moderno e
audace realizzato da Massimo d’Azeglio.
La simbiosi tra uomo e natura e la complicità emotiva dello spettatore, di fronte alla visione del paesaggio,
ormai pienamente autonomo ed affrancato da una funzione puramente gregaria rispetto alla figura; l’intreccio
fra le emozioni del soggetto e gli aspetti esterni della natura e la valenza del paesaggio come metafora e
tramite degli stati dell’anima sono esplorati nelle due sezioni centrali della mostra: stati d’animo e
impressioni. In una sequenza che collega fra loro le diverse stagioni ottocentesche, fino alle esperienze simboliste, i dipinti
scelti propongono paesaggi immaginosi e di forte coinvolgimento sentimentale, come La libecciata di Fattori,
La passeggiata amorosa di Pellizza da Volpedo, il Tramonto sul Po a Torino di Fontanesi o L’ultimo sole di
Bertelli.
Del resto alla metà del secolo gli indirizzi della cultura realistica aprono altre “finestre” sul panorama oggettivo
della natura, che si offre soprattutto all’analisi e alla restituzione figurativa dei fenomeni atmosferici: è la
scoperta del colore e della luce. In Paesaggio a Brembate Sotto del Piccio o in Notturno con effetto di luce di Bagetti, l’artista si avvale di un’intensa ricerca atmosferica per comunicare allo spettatore il proprio stato
d’animo e il suo “sentire” la natura.
Il paesaggio non è più dunque funzionale scenario di miti o di temi storici e letterari ma grande pagina di
osservazione della realtà, ormai liberata da ogni fine morale o didascalico per diventare esercitazione oggettiva
sulla traduzione in pittura del vero e di tutte le sue implicazioni, spesso in antagonismo con la nascente
industria fotografica.
Dagli anni Sessanta, le correnti del verismo inscenano sullo sfondo della natura episodi di vita quotidiana,
brani di polemica sociale, eventi e personaggi che antepongono all’idillio i forti contrasti che l’arte figurativa
condivide, in special modo, con il romanzo naturalista contemporaneo. Spiccano dunque, nella sezione
intitolata le opere e i giorni, dipinti come Ozio e Lavoro di Michele Cammarano, L’aratura di Carlo Pittara
e Il Fienaiolo di Plinio Nomellini nei quali convivono la serena interpretazione del paesaggio e un sentimento
lirico dello stesso, con le avvisaglie di una critica sociale che negli anni si farà sempre più pressante.
Il paesaggio diviene, in questi casi, principale protagonista della scena sia che faccia da sfondo, riarso e
sconvolto, sia che accompagni con la triste luce d’un tramonto rannuvolato il ritorno dai campi, sia che si
mostri abbondante di messi per accentuare il contrasto fra le fatiche della fienagione e la boria del ricco
latifondista. Accanto alla vita dei campi, spogliata dell’idillio tanto caro alla committenza borghese, si
affacciano tuttavia, nei dipinti di fine secolo, le periferie con il loro degrado e tutti gli aspetti della ‘commedia
umana’, che venivano sempre più alla ribalta insieme alle disillusioni seguite agli entusiasmi postunitari.
La città nel paesaggio, il paesaggio nella città è l’ultimo tema proposto in questo viaggio e prende
spunto da alcune bellissime pagine de “Il Paesaggio e l’estetica” di Rosario Assunto.
Il dialogo fra la città e il paesaggio circostante, soggetto di molte vedute che dimostrano implicitamente
l’armoniosa convivenza di natura e di insediamenti urbani – come nel bellissimo Panorama di Roma di Ippolito
Caffi o nella Veduta del Naviglio di San Marco di Angelo Inganni –lascia a poco a poco il posto, con l’avvento
dell’età industriale, a nuovi panorami in antitesi con lo ‘spazio’ poetico della natura.
“Il tempo serializzato e meccanizzato della città moderna, e di conseguenza l’alterazione della compresenza
di passato e di presente in un’unità che dà forma allo spazio urbano – scrive Carlo Sisi nel saggio del catalogo
Skira - decreteranno la fine di quell’armonia paesaggistica, introducendo serialità al posto di qualificazione,
programmata obsolescenza al posto della memoria, dinamismo clamoroso al posto della serenità e della
quiete.
La tetra immagine delle metropoli, estranea alla varietà ricorrente del ritmo stagionale, il senso della caducitàe dell’incombere della meccanizzazione si riassumono nei quadri di Dell’Oca Bianca e di Pesenti che chiudono
l’esposizione: a breve le periferie industriali di Boccioni avrebbero “sconfitto il chiaro di luna con i bagliori
progressisti delle officine”.
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A coronamento dell’esposizione il visitatore avrà la possibilità di vedere un raro e prezioso documento
storico–cinematografico legato al tema del paesaggio: Il mistero di Galatea. Fantasia di Aristide Sartorio, del 1919. Dopo un delicato restauro realizzato negli stabilimenti di Cinecittà a Roma nel 1987, l’opera del
pittore simbolista tanto caro a D’Annunzio ha ritrovato nuovo splendore.
Paesaggi. Pretesti dell’Anima
Pavia, Viale XI Febbraio, 35, (Pavia)