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Paesaggi. Villaggi. Contrade. Pittura emiliana tra ’800 e ’900
Il tema del paesaggio viene letto in chiave localistica attraverso quasi 70 dipinti, dalla fine del Settecento fino a quasi i giorni nostri, tutti provenienti dalle Collezioni d’Arte e di Storia della Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna con cui tentare di tracciare una storia per immagini del nostro territorio.
Comunicato stampa
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In “PAESAGGI, VILLAGGI, CONTRADE - pittura emiliana tra 800 e 900” il tema del paesaggio viene letto in chiave localistica attraverso quasi 70 dipinti, dalla fine del Settecento fino a quasi i giorni nostri, tutti provenienti dalle Collezioni d’Arte e di Storia della Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna con cui tentare di tracciare una storia per immagini del nostro territorio.
Dopo la città di “Vedute bolognesi”, la mostra “PAESAGGI, VILLAGGI, CONTRADE - pittura emiliana tra 800 e 900” si sposta in provincia. Seconda parte di un dittico ideale per completare il discorso sul tema del paesaggio locale. La città e la provincia. Se là erano strade, palazzi e cortili qua sono campagne, monti e colline.
Al centro sempre Bologna vista però stavolta da lontano come mostra lo splendido paesaggio dal colle dell’Osservanza dipinto da Gaetano Tambroni, qui esposto per la prima volta insieme al suo grande disegno preparatorio. La città e la sua provincia, due lati della stessa medaglia. Soprattutto di una città a forte vocazione agricola come è stata e com’è Bologna.
Ecco allora i campi coltivati, le cascine, i ruscelli. I quartieri e i paesi fuori porta: San Lazzaro, Casalecchio, Vado, Mongardino, Granaglione. Molti dei nomi che s’incontrano sono quelli che abbiamo già incontrato la volta scorsa: Luigi Bertelli, Ferruccio Giacomelli, Giovanni Romagnoli, Antonino Sartini, Gino Marzocchi, Garzia Fioresi. Sono il nutrito gruppo di paesaggisti bolognesi di inizio novecento che con ostinazione e grazia e amore si sono dedicati a ritrarre il loro pezzo di mondo cogliendone le bellezze, i cambiamenti, le testimonianze di un’epoca trascorsa.
Un’altra sezione poi è stata riservata ai cosidetti “Ultimi naturalisti” di Arcangeli. Affini agli informali, è il loro un altro modo di intendere il paesaggio, non più rappresentato esteriormente ma vissuto dal di dentro, la terra vuole essere vera terra, a partire dalla sua concretezza materiale, viva e palpitante. Non è un caso se questo stretto legame con la terra si verifichi proprio qua. Essi sono: Pompilio Mandelli, Vasco Bendini, Bruno Pulga, Giovanni Ciangottini, Giuseppe Ferrari, Sergio Vacchi, Ilario Rossi, Lidia Puglioli.
Genere classico, da Giotto ai contemporanei il paesaggio è tema centrale di ogni rappresentazione anche quando, prima di diventare un genere “autonomo”, serviva semplicemente da sfondo o da scenario. Si pensi solo al panorama che si apre alle spalle della Gioconda, o agli orizzonti curatissimi nelle pale di Giovanni Bellini. O, ancora, al ruolo che il paesaggio riveste nella celebre Tempesta di Giorgione. Perché assuma autonomia iconografica bisognerà attendere il XVI secolo, bisognerà attendere i fiamminghi e i tedeschi, Altdorfer, Bruguel e Durer. A fine ‘500, in Italia saranno i tre Carracci a far rivivere il paesaggio nelle sue forme classiciste.
Nel Sette e Ottocento diventa tema ancora più cardine: se il Settecento illuminista è “pittoresco”, l’Ottocento romantico è “sublime”. Ad una natura piacevole e rasserenante si sostituisce una natura maestosa che toglie il fiato davanti a cui l’uomo non è che un piccolo puntino indistinto. Con gli Impressionisti si entra nella contemporaneità trovando nel paesaggio il terreno ideale per testare la loro nuova tecnica pittorica fatta di rapidi tocchi con cui sfidare l’appena nata fotografia. La pittura di paesaggio muta di segno ma resiste.
Nelle declinazioni delle avanguardie il paesaggio si interiorizza, gli scenari diventano onirici e subcoscienti, inventati e immaginifici. Tutto è paesaggio. Le tele lunari di Tanguy, le visioni di Dalì, gli spazi cosmici di Kandinsky, la terra e il fango degli informali. Lo sono anche i monocromi blu di Klein, definiti non a caso “paesaggi della libertà”.
Dopo la città di “Vedute bolognesi”, la mostra “PAESAGGI, VILLAGGI, CONTRADE - pittura emiliana tra 800 e 900” si sposta in provincia. Seconda parte di un dittico ideale per completare il discorso sul tema del paesaggio locale. La città e la provincia. Se là erano strade, palazzi e cortili qua sono campagne, monti e colline.
Al centro sempre Bologna vista però stavolta da lontano come mostra lo splendido paesaggio dal colle dell’Osservanza dipinto da Gaetano Tambroni, qui esposto per la prima volta insieme al suo grande disegno preparatorio. La città e la sua provincia, due lati della stessa medaglia. Soprattutto di una città a forte vocazione agricola come è stata e com’è Bologna.
Ecco allora i campi coltivati, le cascine, i ruscelli. I quartieri e i paesi fuori porta: San Lazzaro, Casalecchio, Vado, Mongardino, Granaglione. Molti dei nomi che s’incontrano sono quelli che abbiamo già incontrato la volta scorsa: Luigi Bertelli, Ferruccio Giacomelli, Giovanni Romagnoli, Antonino Sartini, Gino Marzocchi, Garzia Fioresi. Sono il nutrito gruppo di paesaggisti bolognesi di inizio novecento che con ostinazione e grazia e amore si sono dedicati a ritrarre il loro pezzo di mondo cogliendone le bellezze, i cambiamenti, le testimonianze di un’epoca trascorsa.
Un’altra sezione poi è stata riservata ai cosidetti “Ultimi naturalisti” di Arcangeli. Affini agli informali, è il loro un altro modo di intendere il paesaggio, non più rappresentato esteriormente ma vissuto dal di dentro, la terra vuole essere vera terra, a partire dalla sua concretezza materiale, viva e palpitante. Non è un caso se questo stretto legame con la terra si verifichi proprio qua. Essi sono: Pompilio Mandelli, Vasco Bendini, Bruno Pulga, Giovanni Ciangottini, Giuseppe Ferrari, Sergio Vacchi, Ilario Rossi, Lidia Puglioli.
Genere classico, da Giotto ai contemporanei il paesaggio è tema centrale di ogni rappresentazione anche quando, prima di diventare un genere “autonomo”, serviva semplicemente da sfondo o da scenario. Si pensi solo al panorama che si apre alle spalle della Gioconda, o agli orizzonti curatissimi nelle pale di Giovanni Bellini. O, ancora, al ruolo che il paesaggio riveste nella celebre Tempesta di Giorgione. Perché assuma autonomia iconografica bisognerà attendere il XVI secolo, bisognerà attendere i fiamminghi e i tedeschi, Altdorfer, Bruguel e Durer. A fine ‘500, in Italia saranno i tre Carracci a far rivivere il paesaggio nelle sue forme classiciste.
Nel Sette e Ottocento diventa tema ancora più cardine: se il Settecento illuminista è “pittoresco”, l’Ottocento romantico è “sublime”. Ad una natura piacevole e rasserenante si sostituisce una natura maestosa che toglie il fiato davanti a cui l’uomo non è che un piccolo puntino indistinto. Con gli Impressionisti si entra nella contemporaneità trovando nel paesaggio il terreno ideale per testare la loro nuova tecnica pittorica fatta di rapidi tocchi con cui sfidare l’appena nata fotografia. La pittura di paesaggio muta di segno ma resiste.
Nelle declinazioni delle avanguardie il paesaggio si interiorizza, gli scenari diventano onirici e subcoscienti, inventati e immaginifici. Tutto è paesaggio. Le tele lunari di Tanguy, le visioni di Dalì, gli spazi cosmici di Kandinsky, la terra e il fango degli informali. Lo sono anche i monocromi blu di Klein, definiti non a caso “paesaggi della libertà”.
29
ottobre 2009
Paesaggi. Villaggi. Contrade. Pittura emiliana tra ’800 e ’900
Dal 29 ottobre al 13 dicembre 2009
arte moderna e contemporanea
Location
FONDAZIONE CARISBO – PALAZZO SARACENI
Bologna, Via Farini, 15, (Bologna)
Bologna, Via Farini, 15, (Bologna)
Orario di apertura
tutti i giorni dalle 10 alle 19
Vernissage
29 Ottobre 2009, ore 17.30
Autore
Curatore