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Palestra dello sguardo
collettiva fotografica
Comunicato stampa
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Questa mostra riunisce sette grandi artisti – Douglas Gordon, Kenneth Josephson, Paolo Monti, Jack Pierson, Amanda Ross Ho, Minor White, Spencer Young - che, attraverso generazioni successive, più che rivolgersi alla fotografia nel modo classico di ‘clic fotografia’ che trasforma una realtà in immagine, hanno ideato dei modi più contemporanei ed innovativi di utilizzare il carattere di PROCESSO dei media fotografici per mantenere APERTO il dialogo fra le forme e le cose, attraverso la creatività del linguaggio.
Ognuno di questi sette maestri è un inventore di tecniche e procedimenti che rendono una delizia vedere i rari e preziosi originali vintage esposti. Nel complesso essi hanno in comune la capacità di coinvolgere noi che guardiamo, trattandoci non come spettatori ma come co-protagonisti che, a partire dall’opera, costruiscono a ritroso il percorso dall’oggetto-fotografia alle idee e alle cose a cui l’artista si riferisce. Dice Daniela Palazzoli, ideatrice di questo percorso espositivo: “vivere in una società governata dai media globali , come la nostra, è come cercare di galleggiare in un oceano agitato dalla composizione promiscua. Normalmente ci si arrende, e si cerca di godersi il piacevole e il salvabile, esattamente come accade con altri eventi poco gestibili a cominciare dal proprio corpo. L’arte però non è un medium fra i media. Per me essa, quando ha valore, ha il potere di essere un supermedium, che sa e vuole dialogare in modo sia creativo che critico coi media, con le cose, e con le persone – quelle che nel vecchio mondo erano trattate solo come PUBBLICO passivo. Ognuno di questi autori considera la propria opera – più che come un prodotto finito – come una palestra attraverso cui indagare il rapporto fra la realtà e i media, godendosi le tracce materiali delle proprie invenzioni, ma lanciando anche a noi un filo di Arianna a cui ispirarci per dialogare col messaggio che ci inviano. Arte come creatività condivisa, non arte come spettacolo passivo.“
Il percorso inizia con due giovani americani, attualmente sulla cresta dell’onda, Spencer Young e Amanda Ross Ho, Chicago 1975 (a cui anche la rivista Artforum dedica un articolo nel numero di gennaio). Essi affrontano la realtà caotica in cui tutti ci muoviamo con uno sguardo laterale, e opere molto grandi che ci sfidano a trovare un senso. La loro strategia, diversa ma affine, è di mostrare ciò che non c’è – come le ombre delle cose (Young) – oppure ambienti ricchi di frammenti ,Ross Ho, che l’osservatore è chiamato a combinare.
Douglas Gordon (Glasgow 1966), attualmente oggetto di una personale al MART di Rovereto, con Hand with Spot ci mostra come si può giocare col proprio destino e con quello dei linguaggi. Dopo essersi dipinto sulla mano una macchia – che compare come segno di morte ne L’Isola del Tesoro – la fotografa reggendo la fotocamera con l’altra mano. E poi trasforma il risultato in oggetto sotto forma di Polaroid.
Jack Pierson (Plymouth 1960) è un infaticabile esploratore affascinato da oggetti reali che sono anche messaggi, parole ed idee. Egli crea opere come parole, ottenute combinando lettere estratte da insegne di varia natura e provenienza. I risultati evocano sé stessi, e anche le svariate realtà da cui i singoli segni provengono. Egli ci invita a giostraci assieme a lui fra forme , oggetti e significati creando, come qui, dei collage a base fotografica.
Kenneth Josephson (Detroit, 1932) è un fotografo concettuale affascinato da sempre dal gioco fra realtà e illusione, oggetto reale e immagine virtuale. Le mette a confronto e ci sfida a scoprire, come ad esempio in Feathers (Piume), quale dei due oggetti che ci mostra è una vera piuma e quale la foto di una piuma. Fate la vostra palestra e provate anche voi, se ci riuscite!
Minor White (1908-1982) e il nostro Paolo Monti (1908-1982) sono nati lo stesso anno. Entrambi si possono considerare dei ‘fotografi puri’, e tutti e due hanno mostrato il desiderio di non subire l’immagine, ma di volerla trattare come il momento di un processo di individuazione dei limiti della conoscenza possibile con la fotografia. MinorWhite ama catturare il rapporto fra oggetti del mondo quotidiano e le interferenze create da forme dipinte oppure da effetti ottici come ombre e riflessi. Paolo Monti coi suoi bellissimi Chimigrammi ,anni Sessanta, inventa una sua versione di fotografia come scrittura, ottenuta coi liquidi di sviluppo, e come trascrizione delle forme naturali come le impronte di foglie e radici. Così facendo Monti evoca la foto delle origini – i calotipi di William Henry Fox Talbot - , dimostrando che il desiderio di cavalcare i media in prima persona e il piacere di saperli riscoprire ed utilizzare, invece di subirli – l’arte come eterna palestra dello sguardo – attraversa le epoche e sopravvive all’incalzare dei media.
Ognuno di questi sette maestri è un inventore di tecniche e procedimenti che rendono una delizia vedere i rari e preziosi originali vintage esposti. Nel complesso essi hanno in comune la capacità di coinvolgere noi che guardiamo, trattandoci non come spettatori ma come co-protagonisti che, a partire dall’opera, costruiscono a ritroso il percorso dall’oggetto-fotografia alle idee e alle cose a cui l’artista si riferisce. Dice Daniela Palazzoli, ideatrice di questo percorso espositivo: “vivere in una società governata dai media globali , come la nostra, è come cercare di galleggiare in un oceano agitato dalla composizione promiscua. Normalmente ci si arrende, e si cerca di godersi il piacevole e il salvabile, esattamente come accade con altri eventi poco gestibili a cominciare dal proprio corpo. L’arte però non è un medium fra i media. Per me essa, quando ha valore, ha il potere di essere un supermedium, che sa e vuole dialogare in modo sia creativo che critico coi media, con le cose, e con le persone – quelle che nel vecchio mondo erano trattate solo come PUBBLICO passivo. Ognuno di questi autori considera la propria opera – più che come un prodotto finito – come una palestra attraverso cui indagare il rapporto fra la realtà e i media, godendosi le tracce materiali delle proprie invenzioni, ma lanciando anche a noi un filo di Arianna a cui ispirarci per dialogare col messaggio che ci inviano. Arte come creatività condivisa, non arte come spettacolo passivo.“
Il percorso inizia con due giovani americani, attualmente sulla cresta dell’onda, Spencer Young e Amanda Ross Ho, Chicago 1975 (a cui anche la rivista Artforum dedica un articolo nel numero di gennaio). Essi affrontano la realtà caotica in cui tutti ci muoviamo con uno sguardo laterale, e opere molto grandi che ci sfidano a trovare un senso. La loro strategia, diversa ma affine, è di mostrare ciò che non c’è – come le ombre delle cose (Young) – oppure ambienti ricchi di frammenti ,Ross Ho, che l’osservatore è chiamato a combinare.
Douglas Gordon (Glasgow 1966), attualmente oggetto di una personale al MART di Rovereto, con Hand with Spot ci mostra come si può giocare col proprio destino e con quello dei linguaggi. Dopo essersi dipinto sulla mano una macchia – che compare come segno di morte ne L’Isola del Tesoro – la fotografa reggendo la fotocamera con l’altra mano. E poi trasforma il risultato in oggetto sotto forma di Polaroid.
Jack Pierson (Plymouth 1960) è un infaticabile esploratore affascinato da oggetti reali che sono anche messaggi, parole ed idee. Egli crea opere come parole, ottenute combinando lettere estratte da insegne di varia natura e provenienza. I risultati evocano sé stessi, e anche le svariate realtà da cui i singoli segni provengono. Egli ci invita a giostraci assieme a lui fra forme , oggetti e significati creando, come qui, dei collage a base fotografica.
Kenneth Josephson (Detroit, 1932) è un fotografo concettuale affascinato da sempre dal gioco fra realtà e illusione, oggetto reale e immagine virtuale. Le mette a confronto e ci sfida a scoprire, come ad esempio in Feathers (Piume), quale dei due oggetti che ci mostra è una vera piuma e quale la foto di una piuma. Fate la vostra palestra e provate anche voi, se ci riuscite!
Minor White (1908-1982) e il nostro Paolo Monti (1908-1982) sono nati lo stesso anno. Entrambi si possono considerare dei ‘fotografi puri’, e tutti e due hanno mostrato il desiderio di non subire l’immagine, ma di volerla trattare come il momento di un processo di individuazione dei limiti della conoscenza possibile con la fotografia. MinorWhite ama catturare il rapporto fra oggetti del mondo quotidiano e le interferenze create da forme dipinte oppure da effetti ottici come ombre e riflessi. Paolo Monti coi suoi bellissimi Chimigrammi ,anni Sessanta, inventa una sua versione di fotografia come scrittura, ottenuta coi liquidi di sviluppo, e come trascrizione delle forme naturali come le impronte di foglie e radici. Così facendo Monti evoca la foto delle origini – i calotipi di William Henry Fox Talbot - , dimostrando che il desiderio di cavalcare i media in prima persona e il piacere di saperli riscoprire ed utilizzare, invece di subirli – l’arte come eterna palestra dello sguardo – attraversa le epoche e sopravvive all’incalzare dei media.
23
gennaio 2007
Palestra dello sguardo
Dal 23 gennaio al 28 febbraio 2007
fotografia
Location
AR CONTEMPORARY GALLERY
Milano, Via Marco Polo, 11, (Milano)
Milano, Via Marco Polo, 11, (Milano)
Orario di apertura
da martedì a sabato 12-19
Vernissage
23 Gennaio 2007, ore 19
Autore
Curatore