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Panta Rei
dal Festival Fotografia Europea 2013 di Reggio Emilia due collettive che dalla condivisione di un “qualcosa” concretizzano un progetto unico ma non certo univoco: ogni fotografo soppesa il suo sguardo e ogni sguardo cambia la lettura di un presente sempre più complesso e crocevia di visioni plurali.
Comunicato stampa
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“PANTA REI”
Fotografare il Cambiamento, o meglio, fotografare i cambiamenti che stanno trasformando, talvolta in modo drammatico, la società di oggi: questo il tema guida della VIII edizione di Fotografia Europea.
Facile a dirsi. Difficilissimo a farsi.
Come si può, infatti, fotografare – tanto per dirne una – il fondamentalismo tirannico dei mercati finanziari, la liquida virtualità di un Social Network o il petulante cinguettio di Twitter, testimonianze dirette delle trasformazioni sociali, antropologiche e culturali che stiamo vivendo? Confesso che se fossi un fotografo non saprei a che santo votarmi, probabilmente appenderei sconfortato l’apparecchio al proverbiale chiodo … Ecco, se proprio dovessi, per documentare l’idea del Cambiamento in atto, farei una fotografia alla mia macchina digitale. E nient’altro. Più Cambiamento di questo, infatti, non credo ci possa essere.
Accidenti alla macchina digitale e ai “fotofonini”, dunque: sei miliardi di apparecchi in grado di produrre immagini, di costruire / decostruire ogni giorno il Reale, un paio di miliardi di fotografie prodotte giornalmente … aiuto! Chi ci salverà da questa debordante, minacciosa ipertrofia visiva? Dove fuggire per non rimanere travolti dai nostri infiniti Doppi, dai molteplici duplicati del mondo, da questa invasione degli Ultracorpi che hanno già stabilmente colonizzato gli hard disk dei nostri computer?
Questo è il Grande Cambiamento.
È questo piccolo oggetto compatto che tengo nel palmo della mia mano, è questo piccolo aggeggio ad altissima tecnologia, protesi prediletta del computer, computer esso medesimo, che ha inaugurato una Nuova Era, quella della Post – Fotografia in cui ogni cosa del mondo è già stata replicata migliaia, milioni di volte, dove, anzi, l’immagine si piega “con duttile facilità alla manipolazione, alla trasformazione in pittura digitale, in invenzione fantastica” (M. Smargiassi), dove persino la parola “fotografia” “sembra forse destinata all’archiviazione a favore di neologismi ancora tutti da inventare”. E se un tempo la fotografia poteva essere interpretata come documentazione o registrazione del Reale( pur, se lecito nutrire alcuni dubbi al proposito), ora essa è diventata anche qualche cosa d’altro: è diventata creazione e simulazione, immagine sempre mutante per alchimisti virtuali che hanno i loro laboratori nelle App di Photoshop. E allora cosa può fare un fotografo che voglia resistere e combattere contro la (presunta) “inattualità” della fotografia, così come noi l’abbiamo conosciuta? Ovvero, cosa può inventarsi per documentare comunque un’idea di Cambiamento che non sia il fotografare la propria macchina digitale, magari in coppia con una vecchia camera analogica?
Lo soccorre, per fortuna, la filosofia greca, quella antica, che già nel VI secolo aveva formulato una ontologica teoria del Cambiamento. Dice infatti Eraclito che non si può discendere due volte lo stesso fiume e che non si può toccare due volte una sostanza mortale nel medesimo stato perché, a causa della velocità e dell’impetuosità del mutamento, essa si disperde e si raccoglie, e viene e va. E questo significa che il Cambiamento, in tutte le sue manifestazioni, lo porta sempre il Tempo poiché vivere significa cambiare di continuo e rapidamente; non sono io forse già cambiato rispetto ad un’ora fa, quando ho cominciato a scrivere queste note? Ecco allora ciò che hanno tentato di fare i fotografi del Circolo degli Artisti: hanno cercato di fotografare il Tempo fissando, in una sequenza di quattro scatti, i mutamenti di stato e di condizione che appunto il Tempo porta con sé; in un volto, in una espressione; in un fiammifero che s’accende e poi si spegne consumandosi in cenere; in un guizzo di luce intermittente di un’insegna che nel buio modifica la propria immagine; in una serie di oggetti che solo ieri erano testimoni della contemporaneità e che oggi documentano una storia affatto trascorsa, tramontata per sempre; in un cielo il cui stato muta dall’alba al tramonto; in’istallazione artistica in cui oggetti d’uso quotidiano cambiano condizione e identità; in paesaggi visionari o post human realizzati con Photoshop; in un frame di un film in 3D che si oppone ad un altro del cinema muto; in un fiore, prima bocciolo acerbo poi reclinante corolla; in tutto ciò, insomma, che il Tempo compone e scompone incessantemente, in un vorticoso magmatico Panta Rei che tutto travolge e modifica, compresi i cambiamenti che la Storia porta con sé.
Giuseppe BERTI
Fotografare il Cambiamento, o meglio, fotografare i cambiamenti che stanno trasformando, talvolta in modo drammatico, la società di oggi: questo il tema guida della VIII edizione di Fotografia Europea.
Facile a dirsi. Difficilissimo a farsi.
Come si può, infatti, fotografare – tanto per dirne una – il fondamentalismo tirannico dei mercati finanziari, la liquida virtualità di un Social Network o il petulante cinguettio di Twitter, testimonianze dirette delle trasformazioni sociali, antropologiche e culturali che stiamo vivendo? Confesso che se fossi un fotografo non saprei a che santo votarmi, probabilmente appenderei sconfortato l’apparecchio al proverbiale chiodo … Ecco, se proprio dovessi, per documentare l’idea del Cambiamento in atto, farei una fotografia alla mia macchina digitale. E nient’altro. Più Cambiamento di questo, infatti, non credo ci possa essere.
Accidenti alla macchina digitale e ai “fotofonini”, dunque: sei miliardi di apparecchi in grado di produrre immagini, di costruire / decostruire ogni giorno il Reale, un paio di miliardi di fotografie prodotte giornalmente … aiuto! Chi ci salverà da questa debordante, minacciosa ipertrofia visiva? Dove fuggire per non rimanere travolti dai nostri infiniti Doppi, dai molteplici duplicati del mondo, da questa invasione degli Ultracorpi che hanno già stabilmente colonizzato gli hard disk dei nostri computer?
Questo è il Grande Cambiamento.
È questo piccolo oggetto compatto che tengo nel palmo della mia mano, è questo piccolo aggeggio ad altissima tecnologia, protesi prediletta del computer, computer esso medesimo, che ha inaugurato una Nuova Era, quella della Post – Fotografia in cui ogni cosa del mondo è già stata replicata migliaia, milioni di volte, dove, anzi, l’immagine si piega “con duttile facilità alla manipolazione, alla trasformazione in pittura digitale, in invenzione fantastica” (M. Smargiassi), dove persino la parola “fotografia” “sembra forse destinata all’archiviazione a favore di neologismi ancora tutti da inventare”. E se un tempo la fotografia poteva essere interpretata come documentazione o registrazione del Reale( pur, se lecito nutrire alcuni dubbi al proposito), ora essa è diventata anche qualche cosa d’altro: è diventata creazione e simulazione, immagine sempre mutante per alchimisti virtuali che hanno i loro laboratori nelle App di Photoshop. E allora cosa può fare un fotografo che voglia resistere e combattere contro la (presunta) “inattualità” della fotografia, così come noi l’abbiamo conosciuta? Ovvero, cosa può inventarsi per documentare comunque un’idea di Cambiamento che non sia il fotografare la propria macchina digitale, magari in coppia con una vecchia camera analogica?
Lo soccorre, per fortuna, la filosofia greca, quella antica, che già nel VI secolo aveva formulato una ontologica teoria del Cambiamento. Dice infatti Eraclito che non si può discendere due volte lo stesso fiume e che non si può toccare due volte una sostanza mortale nel medesimo stato perché, a causa della velocità e dell’impetuosità del mutamento, essa si disperde e si raccoglie, e viene e va. E questo significa che il Cambiamento, in tutte le sue manifestazioni, lo porta sempre il Tempo poiché vivere significa cambiare di continuo e rapidamente; non sono io forse già cambiato rispetto ad un’ora fa, quando ho cominciato a scrivere queste note? Ecco allora ciò che hanno tentato di fare i fotografi del Circolo degli Artisti: hanno cercato di fotografare il Tempo fissando, in una sequenza di quattro scatti, i mutamenti di stato e di condizione che appunto il Tempo porta con sé; in un volto, in una espressione; in un fiammifero che s’accende e poi si spegne consumandosi in cenere; in un guizzo di luce intermittente di un’insegna che nel buio modifica la propria immagine; in una serie di oggetti che solo ieri erano testimoni della contemporaneità e che oggi documentano una storia affatto trascorsa, tramontata per sempre; in un cielo il cui stato muta dall’alba al tramonto; in’istallazione artistica in cui oggetti d’uso quotidiano cambiano condizione e identità; in paesaggi visionari o post human realizzati con Photoshop; in un frame di un film in 3D che si oppone ad un altro del cinema muto; in un fiore, prima bocciolo acerbo poi reclinante corolla; in tutto ciò, insomma, che il Tempo compone e scompone incessantemente, in un vorticoso magmatico Panta Rei che tutto travolge e modifica, compresi i cambiamenti che la Storia porta con sé.
Giuseppe BERTI
27
luglio 2013
Panta Rei
Dal 27 luglio al 15 settembre 2013
fotografia
Location
GALLERIA FOTOGRAFICA LUIGI GHIRRI
Caltagirone, Via Duomo, 11, (Catania)
Caltagirone, Via Duomo, 11, (Catania)
Orario di apertura
lun./dom. 9.00 -12.30, 16.00 -19.00.
Vernissage
27 Luglio 2013, h 19.00
Autore
Curatore