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Paola Crema – La Voce delle Cose
Installazione-mostra La Voce Delle Cose dell’artista Paola Crema, reduce dalla Biennale dell’Architettura di Venezia dove ha esposto alcune sue opere.
Comunicato stampa
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Venerdì 1° ottobre dopo l’incontro Adriano, l’archeologia, la letteratura con Umberto Broccoli, Sovrarintendente ai Beni Culturali del Comune di Roma, si inaugurerà al Tempio di Adriano, in piazza di Pietra, l’installazione-mostra La Voce Delle Cose dell’artista Paola Crema, reduce dalla Biennale dell’Architettura di Venezia dove ha esposto alcune sue opere.
Un importante testo critico di Claudio Crescentini (che ultimamente ha curato con Strinati la mostra sulla scultura rinascimentale appena terminata a Palazzo Venezia), fornirà la chiave per meglio comprendere il lavoro di Paola Crema.
La mostra - promossa dal Centro Internazionale Antinoo per l’Arte e Documentazione Marguerite Yourcenar in collaborazione con Promoroma, con il patrocinio del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e della Villa Dipartimentale Marguerite Yourcenar al Mont Noir - si svolge nell’ambito del Festival della Letteratura di Viaggio, quest'anno alla sua terza edizione, ma fa anche parte degli Eventi Internazionali promossi in occasione delle Celebrazioni del 30° Anniversario dell'elezione della grande scrittrice Margherite Yourcenar fra gli Immortali dell'Accademia di Francia.
Nel tema del Festival della Letteratura di Viaggio Verso Oriente, il Levante, si inserisce perfettamente questa mostra di Paola Crema che dà corpo e voce a quelle cose tanto care sia ad Adriano che a Marguerite Yourcenar, accomunati, pur nella lontananza temporale, dall’amore per i viaggi, della cultura e della bellezza.
Il giuoco concettuale che l’artista ci propone è quello di farci partecipare all’apparente ritrovamento di sculture che dovrebbero provenire dal mitico Continente Perduto, quell’Atlantide che ciascuno di noi conserva nel proprio inconscio.
Questa è l’Archeologia Immaginaria di Paola Crema.
In mostra verranno esposte circa 14 sculture, tra cui tre busti ed una testa di oltre un metro (appositamente creata per l’evento), del bellissimo Antinoo - l’amato da Adriano - che pare riemergere dal Nilo in quel momento, con la testa frammentata e ricoperta in parte da alghe e
foglie acquatiche, bloccata nel momento dell’ascesa verso le stelle fra cui per volontà dell’imperatore fu fatto porre, dopo essere stato dichiarato nuovo Dio.
Ma vi saranno anche altre sculture, il cui legame col mondo di Adriano è dato dall’interesse che l’Imperatore mostrò in tutta la sua vita per l’architettura e la scultura dei tanti Paesi da lui visitati: da un Minotauro in bronzo ad una coppia di figure mitiche, uomo ed donna formati di fogliame e vento, parte di un boschetto sacro di canne in bronzo e bambù; all’uovo primigenio protetto da animali mitici. Potremo ammirare anche 4 quadrografie - opere ottenute col mezzo fotografico - che fanno parte di quella archeologia immaginaria di Paola Crema, su cui è basata tutta la sua opera.
Tali immagini, due di Adriano e due di Antinoo, vogliono apparire come scattate al momento del ritrovamento di un prezioso reperto archeologico, mentre nella realtà l’artista prepara un set, destinato ad essere distrutto dopo la ripresa, usando elementi scultorei da lei stessa realizzati.
Il Viaggio. Nessuno più della Yourcenar ha messo in pratica questo modo di vivere che ha permesso a lei, grande viaggiatrice, di ricreare un Adriano, Imperatore e uomo con le sue realtà, le sue pulsioni, il suo amore per il bello e la sua passione di andare a scoprire questa bellezza fin nei più lontani recessi del vasto mondo di cui era a capo.
Possiamo immaginare le sculture che oggi sono ospitate nel Tempio di Adriano come parte dei reperti ritrovati, o come tributi donati all’imperatore e non ancora da lui posizionati nei vasti spazi
della Villa in costruzione, tanto queste sculture sembrano uscire dal suo mondo.
Ed il viaggio mentale che intraprenderemo nella visita al Tempio avrà un suo logico finale fra qualche mese, con la possibilità di ammirare altre opere di Paola Crema all’interno della Villa Adriana a Tivoli, dove per altro ha già una sua opera permanentemente, proprio sotto la quercia dove la Yourcenar ha meditato le sue Memorie di Adriano nel suo secondo viaggio in Italia.
La mostra, che è ad ingresso libero, sarà accompagnata da musiche create appositamente per il lavoro di Paola Crema da Riccardo Eberspacher, compositore di musiche da film, per citarne alcuni Saturno Contro di Ferzan Ozpetek e il film documentario Da qui alla luna con Fellini di Eugenio Cappuccio (premiato al Beverly Hills Film Festival del 2006); unico italiano nelle compilation Buddha Bar.
Paola Crema, artista poliedrica, si è per anni dedicata prevalentemente all’arte orafa sia con insoliti gioielli che sculture in argento e materiali preziosi (corallo, cristallo di rocca, perle, pietre semipreziose), e con creazioni da moderna Wundercammer, che nel 2007 sono stati esposti per quasi un anno a PalazzoPitti, al Museo degli Argenti e delle Porcellane.
Ha ampliato poi i suoi interessi dedicandosi alla scultura in bronzo di grandi dimensioni, con risultati che le hanno valso il Premio Internazionale Le Muse 2008, e consentito di esporre in importanti Luoghi Istituzionali come nella attuale Biennale di Venezia.
Ultimo, ma deciso interesse, la fotografia come espressione d’arte.
Ha frequentato l’Accademia delle belle arti di Firenze dedicandosi subito allo studio dell’antichità ma anche del design, ed esplorando a fondo il mondo antiquariale nel quale ha operato con grande successo.
E appunto la cultura dell’antico e l’amore per il mondo classico hanno portato l'artista a dar forma a sculture sapientemente modellate, dando corpo all’archeologia virtuale che già abbiamo illustrato, in un percorso concettuale che simula ritrovamenti archeologici, concretizzati nelle opere in bronzo e talvolta trasferiti in splendide immagine fotografiche che fanno partecipare tutti noi agli “scavi immaginari” di Paola Crema.
PER UN VIAGGIO PROMETEICO NELL’ARTE
DI PAOLA CREMA
Téchne d’anánkes asthenestéra makrô.1
Come in un film di genere di qualche decennio fa, visualizziamo l’inizio del più grande viaggio dell’uomo,“Il Viaggio” con le maiuscole, quello assoluto dell’umanità, tramite un’istantanea filmica ben precisa: Esterno/Giorno. Luce meridiana. Montagne del Caucaso.
Un’aquila trincia il fegato ad un uomo immobilizzato alle rocce. Non si percepisce sofferenza né dolore. Unico suono ripetuto nell’aria il riprodursi eternale dell’organo umano squassato dal becco del volatile. L’uomo è Prometeo e la condanna divina è nella sua colpa terrena: avere donato il fuoco agli uomini e quindi insegnato loro la tecnica rendendoli liberi dagli dei, trasformandoli così da “infanti quali erano, razionali e padroni della loro mente”.2
Da qui il nostro viaggio, il più grande viaggio di tutti i tempi, “Il Viaggio” che nel tempo dell’uomo ha portato a superare la “necessità” individuata da Eschilo proprio tramite gli strumenti della scienza e della tecnica, arte compresa, nati dal dono di quel primario fuoco divino.
Salpando da Prometeo, la metafora marinara è d’obbligo, e dal suo gesto d’intima generosità, per l’umanità ha anche inizio la trasmutazione totale di tutto ciò che andrà a seguire, tramite appunto la tecnica, arte compresa. Ma chi si attarda su questa non fa altro che rallentare “Il Viaggio” e non abitare più la storia, la quale non va confusa con il tempo ciclico, ripetibile, per intenderci quello della natura, ma va assimilata con il “tempo che invecchia”3 teorizzato da Eschilo per il tramite
della colpa di Prometeo, e che invecchiando appunto evidenzia la condizione “mortale” - brótos - a cui gli uomini sono irrimediabilmente consegnati e da cui Prometeo, con il dono del fuoco, aveva cercato di preservarli.
In questo modo l’uomo, imprigionato in un tempo ripetibile che ha violato e non riconosce più, non ha potuto fare altro, nei milioni di evi vissuti, che spingere sulla temporalità inaugurata da Prometeo per rivolgersi rigorosamente al futuro, al “tempo che invecchia” di Eschilo, non più però normalizzato dalla figura retorica del “ritorno” ma da quella del “proseguire” - del progresso - per anticipare il futuro grazie all’utilizzo della tecnica, arte compresa. Cosicché il fine finisce per diventare la fine che non va confusa però con la morte, eterodossia del tempo ciclico, ma con il raggiungimento della méta per il tramite della tecnica, arte compresa, che spinge, lo ripetiamo, sempre ed esasperatamente verso il futuro.
“Il Viaggio” prometeico dell’umanità non si gratifica nel raggiungimento della méta, perciò nella fine, ma in quello che i Greci consideravano essere un procedimento fondamentale nello sviluppo dell’umanità e che identificavano nella parola - skopós - “colui che osserva e sorveglia”, ma anche “l’oggetto su cui si fissano gli occhi”. Quindi l’osservatore e l’osservato.
Connesso a skopós vi è pure il verbo skopéo, prevedere, pensare - methéos - in anticipo - pro.
Anticipare guardando al futuro, che non vuol dire però dimenticare il passato ma superarlo per la ricerca di qualcosa di nuovo, giocando appunto d’anticipo, come ci ha insegnato Prometeo.
E l’anticipo, posta così la questione, può anche nascere dal posticipo, dal passato con funzionalità futura, come nel caso del viaggio artistico di Paola Crema.
Stiamo parlando, con certezza, di un’artista dalla concettualità prometeica, nel dato da noi riletto in funzione critica, che gioca d’anticipo appunto, seppur restando indissolubilmente legata al passato, al quale guarda senza deformazione e né retorica.
Al di fuori delle categorie estetiche degli anni Ottanta del XX secolo - anacronismo, neomanierismo, citazionismo, arte colta, ecc. - Paola Crema sembra, infatti, riuscire con le sue opere a travalicare il senso stesso delle definizioni critiche, grazie ad un percorso di estrema coerenza iconografica e mentale, molto immaginifica, immaginativa o meglio “immaginaria”, così come bene è denominata la sua recente mostra inserita nell’ultima Biennale di Architettura di Venezia.4
Nelle sue opere si percepisce, infatti, l’afflato del passato ma anche la ricerca tecnica - prometeica - verso lo skopós che diviene appunto il fine, ma non la fine della ricerca stessa che, alla fine, non sarà mai rivolta verso se stessa.
Pensiamo ad esempio come la sua ricerca iconografica all’antica - non antica, ma, anzi,
determinatamente contemporanea - passi dall’arte orafa, alla scultura e, da ultimo, alla fotografia,
mediante la percorrenza di un itinerario - “Il Viaggio”? - sempre in linea con quella antiquarialità5 che, in fondo, ha sempre contraddistinto le sue opere, fino appunto a partire dalle sue originali sculture/gioielli,6 realizzate, grazie a Prometeo, con la tecnica dell’elettroformatura, ovvero per via elettrolitica.
In queste opere la preziosità e la virtuosità del materiale impiegato finiscono per essere contaminate dall’utilizzo di materiale “altro” (corallo, cristallo di rocca, perle, pietre, ecc.),7 tale da creare sovrapposizioni e ingerenze materiche che lambiscono il tecnicismo costruttivo della scultura, alla quale poi conseguentemente Paola Crema approderà, quasi senza soluzione di continuità.
Ci stiamo riferendo in particolare alla serie dei gioielli dedicati al tema iconografico della Naiade (in argento e conchiglia nautilus, in argento e conchiglia truncata, ecc.) che sembra riflettersi nel rigorismo scultoreo di Akeloo (2002), Kush (2009), ma ancor di più in Dione (2009).
In questa ultima scultura, soprattutto, il senso del passato è ribaltato in una enfatizzazione fisionomica che troviamo, in seguito, anche nella serie fotografica denominata Scavi, e non poteva essere altrimenti. Si veda appunto, nel continuo confronto iconografico delineato, la fotografia Heoll (2009), così come altre foto della serie da noi scoperte, con ammirata sorpresa, nella mostra Frammenti di Atlantide allestita nella Casina delle Civette di Roma (2010).
Una mostra-concept, come in parte lo sono tutte quelle della Crema, sostanziata anche dal rapporto fra “passato eclettico”, quello architettonico della Casina, e “passato emotivo” delle opere antiquariali selezionate dall’artista, in modo da cambiare radicalmente il rapporto dello spazio con il tempo, tanto che, come direbbe Proust,“l’art en est aussi modifié”.8
Aggiungiamo ancora, nel fascino del confronto critico ed artistico fra anticipo e posticipo, il ricorrere del volto e del corpo di Antinoo, altro personaggio legato al viaggio, perseguito da Paola Crema fino ad oggi, con quella scultura inedita dal titolo Grande Antinoo (2010), realizzata appositamente per la presente mostra, e ispirata al culto misterico del riemergere sacro della testa dell’amasius adrianeo dal Nilo.
In questo caso il rapporto con un mito “reale” non è meno immaginativo dei miti, per così dire,
“inventati” o per meglio dire “immaginati” e il mito di Antinoo torna a rivivere nella sua grandiosità
volumetrica ma anche nel gioco formale continuo fra storia passata e cronaca presente.
Raffinata del resto è la rappresentazione di Paola Crema e curato il lavoro sulle forme, a partire dalla ricreazione dell’occhio ormai spento del Grande Antinoo, con la pelle del volto frammentata e corrosa, a tratti ricoperta da foglie acquatiche che finiscono per diventarne anche il sostegno e la sostanza di un volto che naviga dal passato, la metafora marina è ancora inevitabile, per rivivere nel presente dell’arte di Paola Crema e spingersi nell’azione futura.
Ma questo è solo l’ultimo esemplare, lo ripetiamo, di un percorso materico e concettuale che Paola Crema realizza sul tema dell’Antinoo - si vedano anche le precedenti sculture Gordioo e Salmakoo - dove si sostanzia il concetto di ripetizione. In questo caso da leggere non come concetto nicciano dell’“eterno ritorno” e neanche come variante del “tempo infinito” della fisica quantistica, ma come costante replica della ciclicità naturale.
Ma in particolare per Paola Crema il ritorno di alcune immagini archetipali, e i suoi Antinoo lo sono in pieno, che traslocano dall’arte orafa alla fotografia passando per la scultura, sembrano proprio fare parte della figura retorica prometeica del “proseguire”, del progresso e quindi, in senso lato, del viaggio.
L’artista quindi, con le sue opere, anticipa il futuro, guardando all’antico re-inventato, re-immaginato però nella sostanza, in modo da superare un’arte derivata dalla chiave di lettura junghiana dell’archetipo, dal pensiero filosofico e psicoanalitico.
Stiamo pensando in particolare agli sviluppi dell’arte concettuale degli anni Novanta, colta nel momento in cui si andava rafforzando proprio l’idea della figura - leggi ruolo - dell’artista capace di esprimere con l’arte e la teoria ad essa relativa. Un concetto globale dell’arte stessa, che congiunga e giustifichi la specifica operatività dell’uomo-artista all’interno di un contesto culturale e ideologico definito.
L’artista riesce così a fare rivivere, in maniera appropriata, proprio il senso dello spazio dell’arte, quello vero e culturalmente pregnante, imponendosi come storicamente anticipatrice, pur rimanendo legata al passato.
Ed è proprio all’interno e dall’interno di questa contestualizzazione che si muove Paola Crema e la sua originale/originaria produzione artistica che, a prima vista, potrebbe sembrare eclettica ma che, ad un’analisi più approfondita, permette di constatare un percorso di coerenza, come già accennato, ed onestà culturale sempre più rari fra gli artisti del XX e XXI secolo.
Claudio Crescentini
1 Eschilo, Prometeo incatenato, v. 514:“La tecnica è di gran lunga più debole
della necessità”.
2 Ibidem, vv. 443-444.
3 Ibid., v. 981:“ho gheráskon chrónos”.
4 Imaginary Archeology (2010), ma ricordiamo anche Ambient, arte e
architettura, a cura di Laura Villani, collettiva inserita nella medesima
Biennale.
5 Per quanto riguarda questa tematica rimandiamo a quanto già scritti nel
saggio inserito in: Il Tempo e il Mito: Astronomia / L’Uomo e l’Universo
1609-2009, cat, mostra, Roma 2009.
6 G. Serafini a c. di, Paola Crema. Petites Éternités, cat. mostra, Firenze 2009.
7 O. Casazza a c. di, Paola Crema. Memorie preziose, cat. mostra, Firenze
2007.
8 M. Proust, À la recherche du temps perdu - La Prisonnière,
Paris 1978, p. 996.
Un importante testo critico di Claudio Crescentini (che ultimamente ha curato con Strinati la mostra sulla scultura rinascimentale appena terminata a Palazzo Venezia), fornirà la chiave per meglio comprendere il lavoro di Paola Crema.
La mostra - promossa dal Centro Internazionale Antinoo per l’Arte e Documentazione Marguerite Yourcenar in collaborazione con Promoroma, con il patrocinio del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e della Villa Dipartimentale Marguerite Yourcenar al Mont Noir - si svolge nell’ambito del Festival della Letteratura di Viaggio, quest'anno alla sua terza edizione, ma fa anche parte degli Eventi Internazionali promossi in occasione delle Celebrazioni del 30° Anniversario dell'elezione della grande scrittrice Margherite Yourcenar fra gli Immortali dell'Accademia di Francia.
Nel tema del Festival della Letteratura di Viaggio Verso Oriente, il Levante, si inserisce perfettamente questa mostra di Paola Crema che dà corpo e voce a quelle cose tanto care sia ad Adriano che a Marguerite Yourcenar, accomunati, pur nella lontananza temporale, dall’amore per i viaggi, della cultura e della bellezza.
Il giuoco concettuale che l’artista ci propone è quello di farci partecipare all’apparente ritrovamento di sculture che dovrebbero provenire dal mitico Continente Perduto, quell’Atlantide che ciascuno di noi conserva nel proprio inconscio.
Questa è l’Archeologia Immaginaria di Paola Crema.
In mostra verranno esposte circa 14 sculture, tra cui tre busti ed una testa di oltre un metro (appositamente creata per l’evento), del bellissimo Antinoo - l’amato da Adriano - che pare riemergere dal Nilo in quel momento, con la testa frammentata e ricoperta in parte da alghe e
foglie acquatiche, bloccata nel momento dell’ascesa verso le stelle fra cui per volontà dell’imperatore fu fatto porre, dopo essere stato dichiarato nuovo Dio.
Ma vi saranno anche altre sculture, il cui legame col mondo di Adriano è dato dall’interesse che l’Imperatore mostrò in tutta la sua vita per l’architettura e la scultura dei tanti Paesi da lui visitati: da un Minotauro in bronzo ad una coppia di figure mitiche, uomo ed donna formati di fogliame e vento, parte di un boschetto sacro di canne in bronzo e bambù; all’uovo primigenio protetto da animali mitici. Potremo ammirare anche 4 quadrografie - opere ottenute col mezzo fotografico - che fanno parte di quella archeologia immaginaria di Paola Crema, su cui è basata tutta la sua opera.
Tali immagini, due di Adriano e due di Antinoo, vogliono apparire come scattate al momento del ritrovamento di un prezioso reperto archeologico, mentre nella realtà l’artista prepara un set, destinato ad essere distrutto dopo la ripresa, usando elementi scultorei da lei stessa realizzati.
Il Viaggio. Nessuno più della Yourcenar ha messo in pratica questo modo di vivere che ha permesso a lei, grande viaggiatrice, di ricreare un Adriano, Imperatore e uomo con le sue realtà, le sue pulsioni, il suo amore per il bello e la sua passione di andare a scoprire questa bellezza fin nei più lontani recessi del vasto mondo di cui era a capo.
Possiamo immaginare le sculture che oggi sono ospitate nel Tempio di Adriano come parte dei reperti ritrovati, o come tributi donati all’imperatore e non ancora da lui posizionati nei vasti spazi
della Villa in costruzione, tanto queste sculture sembrano uscire dal suo mondo.
Ed il viaggio mentale che intraprenderemo nella visita al Tempio avrà un suo logico finale fra qualche mese, con la possibilità di ammirare altre opere di Paola Crema all’interno della Villa Adriana a Tivoli, dove per altro ha già una sua opera permanentemente, proprio sotto la quercia dove la Yourcenar ha meditato le sue Memorie di Adriano nel suo secondo viaggio in Italia.
La mostra, che è ad ingresso libero, sarà accompagnata da musiche create appositamente per il lavoro di Paola Crema da Riccardo Eberspacher, compositore di musiche da film, per citarne alcuni Saturno Contro di Ferzan Ozpetek e il film documentario Da qui alla luna con Fellini di Eugenio Cappuccio (premiato al Beverly Hills Film Festival del 2006); unico italiano nelle compilation Buddha Bar.
Paola Crema, artista poliedrica, si è per anni dedicata prevalentemente all’arte orafa sia con insoliti gioielli che sculture in argento e materiali preziosi (corallo, cristallo di rocca, perle, pietre semipreziose), e con creazioni da moderna Wundercammer, che nel 2007 sono stati esposti per quasi un anno a PalazzoPitti, al Museo degli Argenti e delle Porcellane.
Ha ampliato poi i suoi interessi dedicandosi alla scultura in bronzo di grandi dimensioni, con risultati che le hanno valso il Premio Internazionale Le Muse 2008, e consentito di esporre in importanti Luoghi Istituzionali come nella attuale Biennale di Venezia.
Ultimo, ma deciso interesse, la fotografia come espressione d’arte.
Ha frequentato l’Accademia delle belle arti di Firenze dedicandosi subito allo studio dell’antichità ma anche del design, ed esplorando a fondo il mondo antiquariale nel quale ha operato con grande successo.
E appunto la cultura dell’antico e l’amore per il mondo classico hanno portato l'artista a dar forma a sculture sapientemente modellate, dando corpo all’archeologia virtuale che già abbiamo illustrato, in un percorso concettuale che simula ritrovamenti archeologici, concretizzati nelle opere in bronzo e talvolta trasferiti in splendide immagine fotografiche che fanno partecipare tutti noi agli “scavi immaginari” di Paola Crema.
PER UN VIAGGIO PROMETEICO NELL’ARTE
DI PAOLA CREMA
Téchne d’anánkes asthenestéra makrô.1
Come in un film di genere di qualche decennio fa, visualizziamo l’inizio del più grande viaggio dell’uomo,“Il Viaggio” con le maiuscole, quello assoluto dell’umanità, tramite un’istantanea filmica ben precisa: Esterno/Giorno. Luce meridiana. Montagne del Caucaso.
Un’aquila trincia il fegato ad un uomo immobilizzato alle rocce. Non si percepisce sofferenza né dolore. Unico suono ripetuto nell’aria il riprodursi eternale dell’organo umano squassato dal becco del volatile. L’uomo è Prometeo e la condanna divina è nella sua colpa terrena: avere donato il fuoco agli uomini e quindi insegnato loro la tecnica rendendoli liberi dagli dei, trasformandoli così da “infanti quali erano, razionali e padroni della loro mente”.2
Da qui il nostro viaggio, il più grande viaggio di tutti i tempi, “Il Viaggio” che nel tempo dell’uomo ha portato a superare la “necessità” individuata da Eschilo proprio tramite gli strumenti della scienza e della tecnica, arte compresa, nati dal dono di quel primario fuoco divino.
Salpando da Prometeo, la metafora marinara è d’obbligo, e dal suo gesto d’intima generosità, per l’umanità ha anche inizio la trasmutazione totale di tutto ciò che andrà a seguire, tramite appunto la tecnica, arte compresa. Ma chi si attarda su questa non fa altro che rallentare “Il Viaggio” e non abitare più la storia, la quale non va confusa con il tempo ciclico, ripetibile, per intenderci quello della natura, ma va assimilata con il “tempo che invecchia”3 teorizzato da Eschilo per il tramite
della colpa di Prometeo, e che invecchiando appunto evidenzia la condizione “mortale” - brótos - a cui gli uomini sono irrimediabilmente consegnati e da cui Prometeo, con il dono del fuoco, aveva cercato di preservarli.
In questo modo l’uomo, imprigionato in un tempo ripetibile che ha violato e non riconosce più, non ha potuto fare altro, nei milioni di evi vissuti, che spingere sulla temporalità inaugurata da Prometeo per rivolgersi rigorosamente al futuro, al “tempo che invecchia” di Eschilo, non più però normalizzato dalla figura retorica del “ritorno” ma da quella del “proseguire” - del progresso - per anticipare il futuro grazie all’utilizzo della tecnica, arte compresa. Cosicché il fine finisce per diventare la fine che non va confusa però con la morte, eterodossia del tempo ciclico, ma con il raggiungimento della méta per il tramite della tecnica, arte compresa, che spinge, lo ripetiamo, sempre ed esasperatamente verso il futuro.
“Il Viaggio” prometeico dell’umanità non si gratifica nel raggiungimento della méta, perciò nella fine, ma in quello che i Greci consideravano essere un procedimento fondamentale nello sviluppo dell’umanità e che identificavano nella parola - skopós - “colui che osserva e sorveglia”, ma anche “l’oggetto su cui si fissano gli occhi”. Quindi l’osservatore e l’osservato.
Connesso a skopós vi è pure il verbo skopéo, prevedere, pensare - methéos - in anticipo - pro.
Anticipare guardando al futuro, che non vuol dire però dimenticare il passato ma superarlo per la ricerca di qualcosa di nuovo, giocando appunto d’anticipo, come ci ha insegnato Prometeo.
E l’anticipo, posta così la questione, può anche nascere dal posticipo, dal passato con funzionalità futura, come nel caso del viaggio artistico di Paola Crema.
Stiamo parlando, con certezza, di un’artista dalla concettualità prometeica, nel dato da noi riletto in funzione critica, che gioca d’anticipo appunto, seppur restando indissolubilmente legata al passato, al quale guarda senza deformazione e né retorica.
Al di fuori delle categorie estetiche degli anni Ottanta del XX secolo - anacronismo, neomanierismo, citazionismo, arte colta, ecc. - Paola Crema sembra, infatti, riuscire con le sue opere a travalicare il senso stesso delle definizioni critiche, grazie ad un percorso di estrema coerenza iconografica e mentale, molto immaginifica, immaginativa o meglio “immaginaria”, così come bene è denominata la sua recente mostra inserita nell’ultima Biennale di Architettura di Venezia.4
Nelle sue opere si percepisce, infatti, l’afflato del passato ma anche la ricerca tecnica - prometeica - verso lo skopós che diviene appunto il fine, ma non la fine della ricerca stessa che, alla fine, non sarà mai rivolta verso se stessa.
Pensiamo ad esempio come la sua ricerca iconografica all’antica - non antica, ma, anzi,
determinatamente contemporanea - passi dall’arte orafa, alla scultura e, da ultimo, alla fotografia,
mediante la percorrenza di un itinerario - “Il Viaggio”? - sempre in linea con quella antiquarialità5 che, in fondo, ha sempre contraddistinto le sue opere, fino appunto a partire dalle sue originali sculture/gioielli,6 realizzate, grazie a Prometeo, con la tecnica dell’elettroformatura, ovvero per via elettrolitica.
In queste opere la preziosità e la virtuosità del materiale impiegato finiscono per essere contaminate dall’utilizzo di materiale “altro” (corallo, cristallo di rocca, perle, pietre, ecc.),7 tale da creare sovrapposizioni e ingerenze materiche che lambiscono il tecnicismo costruttivo della scultura, alla quale poi conseguentemente Paola Crema approderà, quasi senza soluzione di continuità.
Ci stiamo riferendo in particolare alla serie dei gioielli dedicati al tema iconografico della Naiade (in argento e conchiglia nautilus, in argento e conchiglia truncata, ecc.) che sembra riflettersi nel rigorismo scultoreo di Akeloo (2002), Kush (2009), ma ancor di più in Dione (2009).
In questa ultima scultura, soprattutto, il senso del passato è ribaltato in una enfatizzazione fisionomica che troviamo, in seguito, anche nella serie fotografica denominata Scavi, e non poteva essere altrimenti. Si veda appunto, nel continuo confronto iconografico delineato, la fotografia Heoll (2009), così come altre foto della serie da noi scoperte, con ammirata sorpresa, nella mostra Frammenti di Atlantide allestita nella Casina delle Civette di Roma (2010).
Una mostra-concept, come in parte lo sono tutte quelle della Crema, sostanziata anche dal rapporto fra “passato eclettico”, quello architettonico della Casina, e “passato emotivo” delle opere antiquariali selezionate dall’artista, in modo da cambiare radicalmente il rapporto dello spazio con il tempo, tanto che, come direbbe Proust,“l’art en est aussi modifié”.8
Aggiungiamo ancora, nel fascino del confronto critico ed artistico fra anticipo e posticipo, il ricorrere del volto e del corpo di Antinoo, altro personaggio legato al viaggio, perseguito da Paola Crema fino ad oggi, con quella scultura inedita dal titolo Grande Antinoo (2010), realizzata appositamente per la presente mostra, e ispirata al culto misterico del riemergere sacro della testa dell’amasius adrianeo dal Nilo.
In questo caso il rapporto con un mito “reale” non è meno immaginativo dei miti, per così dire,
“inventati” o per meglio dire “immaginati” e il mito di Antinoo torna a rivivere nella sua grandiosità
volumetrica ma anche nel gioco formale continuo fra storia passata e cronaca presente.
Raffinata del resto è la rappresentazione di Paola Crema e curato il lavoro sulle forme, a partire dalla ricreazione dell’occhio ormai spento del Grande Antinoo, con la pelle del volto frammentata e corrosa, a tratti ricoperta da foglie acquatiche che finiscono per diventarne anche il sostegno e la sostanza di un volto che naviga dal passato, la metafora marina è ancora inevitabile, per rivivere nel presente dell’arte di Paola Crema e spingersi nell’azione futura.
Ma questo è solo l’ultimo esemplare, lo ripetiamo, di un percorso materico e concettuale che Paola Crema realizza sul tema dell’Antinoo - si vedano anche le precedenti sculture Gordioo e Salmakoo - dove si sostanzia il concetto di ripetizione. In questo caso da leggere non come concetto nicciano dell’“eterno ritorno” e neanche come variante del “tempo infinito” della fisica quantistica, ma come costante replica della ciclicità naturale.
Ma in particolare per Paola Crema il ritorno di alcune immagini archetipali, e i suoi Antinoo lo sono in pieno, che traslocano dall’arte orafa alla fotografia passando per la scultura, sembrano proprio fare parte della figura retorica prometeica del “proseguire”, del progresso e quindi, in senso lato, del viaggio.
L’artista quindi, con le sue opere, anticipa il futuro, guardando all’antico re-inventato, re-immaginato però nella sostanza, in modo da superare un’arte derivata dalla chiave di lettura junghiana dell’archetipo, dal pensiero filosofico e psicoanalitico.
Stiamo pensando in particolare agli sviluppi dell’arte concettuale degli anni Novanta, colta nel momento in cui si andava rafforzando proprio l’idea della figura - leggi ruolo - dell’artista capace di esprimere con l’arte e la teoria ad essa relativa. Un concetto globale dell’arte stessa, che congiunga e giustifichi la specifica operatività dell’uomo-artista all’interno di un contesto culturale e ideologico definito.
L’artista riesce così a fare rivivere, in maniera appropriata, proprio il senso dello spazio dell’arte, quello vero e culturalmente pregnante, imponendosi come storicamente anticipatrice, pur rimanendo legata al passato.
Ed è proprio all’interno e dall’interno di questa contestualizzazione che si muove Paola Crema e la sua originale/originaria produzione artistica che, a prima vista, potrebbe sembrare eclettica ma che, ad un’analisi più approfondita, permette di constatare un percorso di coerenza, come già accennato, ed onestà culturale sempre più rari fra gli artisti del XX e XXI secolo.
Claudio Crescentini
1 Eschilo, Prometeo incatenato, v. 514:“La tecnica è di gran lunga più debole
della necessità”.
2 Ibidem, vv. 443-444.
3 Ibid., v. 981:“ho gheráskon chrónos”.
4 Imaginary Archeology (2010), ma ricordiamo anche Ambient, arte e
architettura, a cura di Laura Villani, collettiva inserita nella medesima
Biennale.
5 Per quanto riguarda questa tematica rimandiamo a quanto già scritti nel
saggio inserito in: Il Tempo e il Mito: Astronomia / L’Uomo e l’Universo
1609-2009, cat, mostra, Roma 2009.
6 G. Serafini a c. di, Paola Crema. Petites Éternités, cat. mostra, Firenze 2009.
7 O. Casazza a c. di, Paola Crema. Memorie preziose, cat. mostra, Firenze
2007.
8 M. Proust, À la recherche du temps perdu - La Prisonnière,
Paris 1978, p. 996.
01
ottobre 2010
Paola Crema – La Voce delle Cose
Dal primo al 03 ottobre 2010
arte contemporanea
Location
TEMPIO DI ADRIANO
Roma, Piazza Di Pietra, (Roma)
Roma, Piazza Di Pietra, (Roma)
Orario di apertura
ore 10-22
Vernissage
1 Ottobre 2010, ore 19
Sito web
www.paolacrema.com
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