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Paola Pezzi / Francesca Genti
doppia personale
Comunicato stampa
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Paola Pezzi - Nidi e nodi nudi
Nidi di stoffa, intrichi di piccoli legni fissati in un momento di torsione estremo, mani che prendono e offrono matite, stoffe e corde.
Nidi di tenerezza e stupore, gioco che incanta e ricerca del limite estremo possibile in cui le cose cessano di essere se stesse per divenire “altro”.
Nidi di colore.
Nodi di pannolenci, matasse di cotone, fili e trame, nodi di materia legata stretta nel nido di una sicurezza precaria ma definitiva, fragile e solida, contorta e semplice. Nodi di dita che sembrano aver bevuto tutta l’esperienza della vita eppure nuove come il primo giorno. Vecchie e sapienti. Vergini e curiose.
Nodi di colore.
Nido che offre riparo, nodo che avvince. Nido dove è facile abitare, che invita ad un ritorno dolce. A una sosta necessaria.
Nodi come sciarpe intorno a un viso. Calore e difesa. Nodi come groviglio da accogliere senza averlo compreso, metafora delle difficoltà della vita e insieme nucleo di forza primordiale, primo motore del mondo.
Nidi e nodi di una fatica antica e femminile di amore. Cucire unire offrire. Bendare medicare guarire. Accogliere e stupire, nel ritmo incantato di un equilibrio conquistato tra la poesia giocosa del quotidiano e la torsione che nasce dal mistero dell’essere e del divenire.
Nodo che racchiude un nido, nido di nodi.
Nudi.
Sì, perché i nidi e i nodi di Paola Pezzi si mostrano senza maschere e veli, esposti e sinceri. Non sono altro che quello che si vede, miracolo di forme fissate con pudore e candore sulla parete bianca che ospita il sogno che sia possibile racchiudere in un bozzolo di colore e calore l’armonia e il segreto del mondo. Spazio e tempo legati nella sintesi di un momento prescelto tra tanti possibili, perché l’ultimo possibile, sia che si tratti della forma morbida di stoffa e tinte, sia che si tratti dell’esplosione irta di punte e spine delle matite.
Le sculture di Paola Pezzi, occhi spalancati sul muro bianco per rubare la verità, costituiscono il momento finale di uno sforzo tirato fino alle conseguenze più ardite, alle soluzioni estreme che sembrano dire che la risposta è racchiusa nell’istante dello sforzo, della piega insolita che la stoffa acquista nel gesto che accarezza, nel caos di fili e trame che avvolgono una luce interiore.
Da un momento all’altro l’incantesimo potrebbe svanire, travolgendo il gioco dei legami e delle forze che tengono uniti i materiali poveri che nascono senza luce e acquistano luce nel momento stesso in cui sono trasformati. Potrebbe ma non accade, perché i nidi nudi non ingannano e resistono. Senza finzioni e accorte seduzioni, vivono di semplicità e immediatezza e servono a ricordare che la chiave dell’esistenza forse in fondo è racchiusa solo nelle piccole cose quotidiane, negli oggetti che usiamo senza guardarli più, nelle stoffe che indossiamo senza sapere che siamo nudi, nonostante siamo avvolti di vestiti e coperture.
Paola Pezzi (Brescia 1963) ha studiato all’Accademia di Brera di Milano, sotto la guida di Luciano Fabro e Zeno Birolli; formatasi nel solco dell’Arte Povera, reinterpreta con originalità di forme e messaggi la lezione dei maestri, giungendo ad un linguaggio personale, riconoscibile per la scelta dei materiali e per la coerenza della poetica. Ha esposto dal 1989 in numerose mostre in Italia e all’estero.
-----------
Francesca Genti - Leggere parole leggère
Nidi di carta leggera sono i collage di Francesca Genti, involucro prezioso di pensieri che rimangono segreti, come l’ostrica che custodisce gelosa la perla. A volte le parole sono necessarie, circondate dal disegno frantumato e spezzato, in cui ogni elemento è affine alla singola parola che compone il verso, sillabe di colore e ritmi di taglio che suonano in armonia col canto della mente. A volte, invece, basta l’immagine capace di suggerire un rimando sottile al percorso privato senza suoni e senza allusioni, senza metro e senza rima; basta l’immagine che racchiuda “ciò che non siamo, ciò che non vogliamo”, in una teologia negativa in cui si gioca la differenza tra ‘essere’ ed ‘esistere’, chiamando l’anima ad uscire dalla rigidità della statua per entrare nella vita.
Non importa se sono parole o ritagli di carta. Non conta se lo sforzo è teso tra la ricerca della musica di un verso e la scelta di un aggettivo oppure tra un accostamento di colori e una forma che vada a costituire, insieme ad altri frammenti, un disegno compiuto.
Ciò che Francesca Genti cerca è di dominare con ironia e delicatezza la pagina bianca, orror vacui che va colmato di poesia e innocenza, come solo un bambino potrebbe ancora regalare al mondo.
La carta leggera si lega ad altra carta leggera, costituendo un collage in cui ingenuità e maestria sono bilanciati in un alterno ritmo di verità e mistero, purezza di infanzia e sorriso di donna.
I collage di Francesca Genti devono essere compresi attraverso un esercizio di lettura, come è prima di tutto un approccio dello sguardo quello che consente di penetrare nelle sue poesie, dove la parola sembra condurre per mano in un regno che solo l’immagine visiva sa mostrare, compiuto. Parola che narra, disegna, suggerisce. Parola che apre una porta che chiude una stanza, dove si vede una porta. La porta si apre e vedi un’altra stanza. Parola che aleggia leggèra, tratteggiando nell’aria la forma rappresa nel disegno, che rende tangibile e vero ciò che nel verso era solo possibile, suggerito e astratto.
E quanto più sono misteriosi i versi, allusivi e oscuri, tanto più sono immediati e “facili” i collage, che si offrono allo spettatore con il candore dell’alba del mondo, con la purezza del bambino che ancora non ha conosciuto il male, o si rifugia in un regno tutto suo proprio perché ha conosciuto il dolore inconoscibile dell’esistenza che insegna a distinguere ciò che è “cattivo” da ciò che è “buono”, ciò che vive da ciò che muore.
Carta leggera di frammenti da leggere nei diversi strati dei ritagli, uno dopo l’altro, uno sopra l’altro come nell’accostamento misurato e ritmato dell’esercizio di scrittura: i collage mostrano una storia serena, ritagliata con pazienza dal vocabolario pittorico che insegna a colmare i vuoti e ad individuare il punto di equilibrio tra ciò che è possibile dire e ciò che è meglio tacere. Se i versi delle poesie di Francesca Genti sono inquieti e i messaggi criptati, nei collage è possibile riconoscere la serena accettazione di un gioco della vita a cui è lecito sottrarre schegge di verità, piccoli ritagli di luce che formano le cose in cui ci sentiamo sicuri.
Francesca Genti è nata a Torino il 27 giugno 1975. Vive a Milano.
Ha scritto i libri di poesia "Bimba Urbana" (Emilio Mazzoli, 2001) e "Il vero amore non ha le nocciole" (meridiano Zero, 2004).
Con racconti e poesie è presente in varie antologie.
E' stata tradotta in arabo e inglese.
Nidi di stoffa, intrichi di piccoli legni fissati in un momento di torsione estremo, mani che prendono e offrono matite, stoffe e corde.
Nidi di tenerezza e stupore, gioco che incanta e ricerca del limite estremo possibile in cui le cose cessano di essere se stesse per divenire “altro”.
Nidi di colore.
Nodi di pannolenci, matasse di cotone, fili e trame, nodi di materia legata stretta nel nido di una sicurezza precaria ma definitiva, fragile e solida, contorta e semplice. Nodi di dita che sembrano aver bevuto tutta l’esperienza della vita eppure nuove come il primo giorno. Vecchie e sapienti. Vergini e curiose.
Nodi di colore.
Nido che offre riparo, nodo che avvince. Nido dove è facile abitare, che invita ad un ritorno dolce. A una sosta necessaria.
Nodi come sciarpe intorno a un viso. Calore e difesa. Nodi come groviglio da accogliere senza averlo compreso, metafora delle difficoltà della vita e insieme nucleo di forza primordiale, primo motore del mondo.
Nidi e nodi di una fatica antica e femminile di amore. Cucire unire offrire. Bendare medicare guarire. Accogliere e stupire, nel ritmo incantato di un equilibrio conquistato tra la poesia giocosa del quotidiano e la torsione che nasce dal mistero dell’essere e del divenire.
Nodo che racchiude un nido, nido di nodi.
Nudi.
Sì, perché i nidi e i nodi di Paola Pezzi si mostrano senza maschere e veli, esposti e sinceri. Non sono altro che quello che si vede, miracolo di forme fissate con pudore e candore sulla parete bianca che ospita il sogno che sia possibile racchiudere in un bozzolo di colore e calore l’armonia e il segreto del mondo. Spazio e tempo legati nella sintesi di un momento prescelto tra tanti possibili, perché l’ultimo possibile, sia che si tratti della forma morbida di stoffa e tinte, sia che si tratti dell’esplosione irta di punte e spine delle matite.
Le sculture di Paola Pezzi, occhi spalancati sul muro bianco per rubare la verità, costituiscono il momento finale di uno sforzo tirato fino alle conseguenze più ardite, alle soluzioni estreme che sembrano dire che la risposta è racchiusa nell’istante dello sforzo, della piega insolita che la stoffa acquista nel gesto che accarezza, nel caos di fili e trame che avvolgono una luce interiore.
Da un momento all’altro l’incantesimo potrebbe svanire, travolgendo il gioco dei legami e delle forze che tengono uniti i materiali poveri che nascono senza luce e acquistano luce nel momento stesso in cui sono trasformati. Potrebbe ma non accade, perché i nidi nudi non ingannano e resistono. Senza finzioni e accorte seduzioni, vivono di semplicità e immediatezza e servono a ricordare che la chiave dell’esistenza forse in fondo è racchiusa solo nelle piccole cose quotidiane, negli oggetti che usiamo senza guardarli più, nelle stoffe che indossiamo senza sapere che siamo nudi, nonostante siamo avvolti di vestiti e coperture.
Paola Pezzi (Brescia 1963) ha studiato all’Accademia di Brera di Milano, sotto la guida di Luciano Fabro e Zeno Birolli; formatasi nel solco dell’Arte Povera, reinterpreta con originalità di forme e messaggi la lezione dei maestri, giungendo ad un linguaggio personale, riconoscibile per la scelta dei materiali e per la coerenza della poetica. Ha esposto dal 1989 in numerose mostre in Italia e all’estero.
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Francesca Genti - Leggere parole leggère
Nidi di carta leggera sono i collage di Francesca Genti, involucro prezioso di pensieri che rimangono segreti, come l’ostrica che custodisce gelosa la perla. A volte le parole sono necessarie, circondate dal disegno frantumato e spezzato, in cui ogni elemento è affine alla singola parola che compone il verso, sillabe di colore e ritmi di taglio che suonano in armonia col canto della mente. A volte, invece, basta l’immagine capace di suggerire un rimando sottile al percorso privato senza suoni e senza allusioni, senza metro e senza rima; basta l’immagine che racchiuda “ciò che non siamo, ciò che non vogliamo”, in una teologia negativa in cui si gioca la differenza tra ‘essere’ ed ‘esistere’, chiamando l’anima ad uscire dalla rigidità della statua per entrare nella vita.
Non importa se sono parole o ritagli di carta. Non conta se lo sforzo è teso tra la ricerca della musica di un verso e la scelta di un aggettivo oppure tra un accostamento di colori e una forma che vada a costituire, insieme ad altri frammenti, un disegno compiuto.
Ciò che Francesca Genti cerca è di dominare con ironia e delicatezza la pagina bianca, orror vacui che va colmato di poesia e innocenza, come solo un bambino potrebbe ancora regalare al mondo.
La carta leggera si lega ad altra carta leggera, costituendo un collage in cui ingenuità e maestria sono bilanciati in un alterno ritmo di verità e mistero, purezza di infanzia e sorriso di donna.
I collage di Francesca Genti devono essere compresi attraverso un esercizio di lettura, come è prima di tutto un approccio dello sguardo quello che consente di penetrare nelle sue poesie, dove la parola sembra condurre per mano in un regno che solo l’immagine visiva sa mostrare, compiuto. Parola che narra, disegna, suggerisce. Parola che apre una porta che chiude una stanza, dove si vede una porta. La porta si apre e vedi un’altra stanza. Parola che aleggia leggèra, tratteggiando nell’aria la forma rappresa nel disegno, che rende tangibile e vero ciò che nel verso era solo possibile, suggerito e astratto.
E quanto più sono misteriosi i versi, allusivi e oscuri, tanto più sono immediati e “facili” i collage, che si offrono allo spettatore con il candore dell’alba del mondo, con la purezza del bambino che ancora non ha conosciuto il male, o si rifugia in un regno tutto suo proprio perché ha conosciuto il dolore inconoscibile dell’esistenza che insegna a distinguere ciò che è “cattivo” da ciò che è “buono”, ciò che vive da ciò che muore.
Carta leggera di frammenti da leggere nei diversi strati dei ritagli, uno dopo l’altro, uno sopra l’altro come nell’accostamento misurato e ritmato dell’esercizio di scrittura: i collage mostrano una storia serena, ritagliata con pazienza dal vocabolario pittorico che insegna a colmare i vuoti e ad individuare il punto di equilibrio tra ciò che è possibile dire e ciò che è meglio tacere. Se i versi delle poesie di Francesca Genti sono inquieti e i messaggi criptati, nei collage è possibile riconoscere la serena accettazione di un gioco della vita a cui è lecito sottrarre schegge di verità, piccoli ritagli di luce che formano le cose in cui ci sentiamo sicuri.
Francesca Genti è nata a Torino il 27 giugno 1975. Vive a Milano.
Ha scritto i libri di poesia "Bimba Urbana" (Emilio Mazzoli, 2001) e "Il vero amore non ha le nocciole" (meridiano Zero, 2004).
Con racconti e poesie è presente in varie antologie.
E' stata tradotta in arabo e inglese.
28
ottobre 2006
Paola Pezzi / Francesca Genti
Dal 28 ottobre al 18 novembre 2006
arte contemporanea
Location
DUETART GALLERY
Varese, Via Albuzzi, 27, (Varese)
Varese, Via Albuzzi, 27, (Varese)
Orario di apertura
da martedì a sabato dalle 15.30 alle 19.30
Vernissage
28 Ottobre 2006, ore 19
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