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Paolo Filippi – Libertà
Il metallo per Paolo Filippi è vita quotidiana, è amore e vocazione, materiale privilegiato per le sue creazioni.
Comunicato stampa
Segnala l'evento
Si inaugura sabato 24 novembre alle 18 alla Factory in via Ganucci
3 a Livorno ( nel quartiere Venezia), la mostra di Paolo Filippi. Lo
scultore livornese espone 20 opere nel suggestivo spazio diretto da Massimo
Fraddanni in una mostra a cura di Cristina Olivieri. Il lavoro dell’artista
è ampiamente descritto nel catalogo con i testi della Olivieri, che
accompagna la personale allestita fino al 15 dicembre e aperta in orario
10-12.30 e 15.30-19.30 (Chiuso domenica).
Il metallo per Paolo Filippi è vita quotidiana, è amore e vocazione,
materiale privilegiato per le sue creazioni. Comincia a lavorarlo a 18 anni
e sviluppa una grande capacità e una tecnica ricercata per “piegare” l’
acciaio e renderlo pian piano materia artistica. Studia e approfondisce le
varie fasi con cui poter realizzare i suoi lavori. Dal 64’ porta avanti la
sua passione fino ad arrivare a scoprire anche la possibilità di utilizzare
i dadi.
I dadi, piccoli elementi modulari da unire come le catene del dna dell’uomo,
sono elementi con cui Filippi ama confrontarsi. Fa combaciare per mezzo
della saldatura i loro lati, a comporre una rete fitta e omogenea che appare
alleggerita dal contrasto del pieno-vuoto, donando all’insieme delle sue
composizioni tridimensionali un idea di vulnerabilità, rendendo più umana e
più vera ogni opera.
Nella materia così composta è possibile entrare nel profondo, raggiungerne l
’anima, contrariamente a ciò che una scultura realizzata con tecniche
tradizionali può trasmettere al prima impatto. Le opere di Filippi tanto
statiche per il loro stesso peso, diventano soggetti in movimento, oggetti
dei quali l’osservatore può costatarne la dinamicità, il movimento ricercato
per mezzo di una tecnica di assemblamento, paziente, “certosina”. Tempo e
dedizione infatti richiedono le sue sculture oltre a un’innata dote e
capacità di saper lavorare i metalli pesanti, coltivata dall’artista dal
1964 in anni e anni di lavoro appassionato.
Grazie a questa nuova e originale tecnica realizza “Blues” (1994), un
chitarrista nato dalla saldatura di migliaia di dadi in ferro zincato, che
rimanda a una delle sue grandi passioni: la musica.
Allo stesso periodo appartiene “Silicone” il busto di una donna, bella e
artificiale con i seni prorompenti, la chioma folta di capelli lunghi e i
fianchi modellati. In questo caso la materia usata, il reticolato di dadi in
acciaio inox e bronzo riportato rimanda al concetto dell’opera: una donna
troppo bella, il cui splendore emerge dai riflessi delle sue forme fatte di
una materia lucida, fredda come l’acciaio..
Scivola idealmente sulla pista, con movimenti armonici e leggeri, la
pattinatrice simbolicamente riprodotta nell’essenziale corsa di un paio di
gambe affusolate che calzano i pattini da gara. “Vai” (1995) rappresenta la
corsa di ogni individuo, la sana competizione della vita, gli anni della
gioventù.
Le opere di Filippi sprigionano forza, sono spesso il simbolo di una grande
forza interiore, di illuminazioni profonde, come il “Toro” (1996) dotato di
una resistenza e di una pazienza straordinarie. I materiali usati sono
lamiere, dadi in acciaio inox, bronzo. Un tema che ritorna nella scultura
“Rinoceronte” (2000) un animale massiccio di dimensione e di peso, dopo l’
elefante, il più grande mammifero esistente sulla terraferma. In questa
composizione prevale il contrasto, netto, voluto tra la lucentezza dell’
acciaio e le superfici scure, massicce del bronzo.
La continuità dei soggetti raffigurati si fa strada quando l’artista con la
fusione realizza in bronzo la “Testa di cavallo” (1997). Insieme al toro ed
al serpente, il cavallo è l'animale principe dei Bestiari, propri dell'arte
scultorea e figurativa. Nell'immaginario collettivo è simbolo di libertà
senza confini e senza limiti: la sua corsa affascina per la sua misteriosa
alchimia di armonia e di forza che induce nel cavaliere l'esperienza di
sentirsi tutt'uno col magnifico animale.
Nel ’98 l’artista lavora a una “scultura concettuale” di grandi dimensioni:
“Prigionieri del tempo” ( bronzo a cera persa e acciaio inox l.148 – p.148 –
h 246 cm). Si tratta di un grande orologio da polso che nel quadrante vede
raffigurati in bassorilievo tra gli ingranaggi un volto umano e una catena.
L'autore esprime il proprio stato d'animo attraverso la visione di un
oggetto con attributi non comuni ad esso attraverso il concetto poetico del
correlativo oggettivo ( lo stesso elaborato nel 1919 da Thomas Stearns
Eliot), in quanto anche i concetti e i sentimenti più astratti trovano la
loro espressione (si "correlano") in un oggetto ben definito e concreto.
Un'opera che vuole proporre un diverso approccio alla rappresentazione del
pensato e che fa intendere la scultura stessa come produttrice non più di
oggetti artistici ma di “oggettivi”: veri e propri concetti che, per usare
una espressione di Meinong,“consistono invece di esistere” la cui forma, in
questa installazione, rappresenta una vera e propria “lente”, per leggere e
decodificare realtà nuove, diverse da quella che ci raffiguriamo ogni
giorno.
Per questo l’autore, è da sempre convinto che l’arte, essenzialmente
produttrice di conoscenza e quindi di concetti, risulta decodificabile in
maniera sistematica con un percorso filosofico oltre che artistico.
Di altra natura è la scultura "Omaggio a De Chirico" datata '98 realizzata
in lamiere e dadi in acciaio inox e bronzo. Un semplice ma non casuale
tributo al grande pittore e scenografo italiano, principale esponente della
corrente artistica della pittura metafisica.
Non manca il potere celebrato dalle gesta di "Faraone 2000", il mezzo busto
di un faraone dai lineamenti di un uomo contemporaneo con i baffi, un
autoritratto in cui l'autore con non celata ironia veste la maschera dorata
di un principe egiziano.
La grande scultura “concettuale”, "III° Millennio" realizzata in acciaio
inox, bronzo e marmo nero del Belgio è del 2000-2001: una grande mano che
tiene stretto nel suo pugno un metro estensibile, ancora un richiamo
all'ineluttabile scorrere del tempo.
Nel 2006 Filippi crea una originale esemplificazione del cielo- terra -mare,
che chiama i "Tre elementi". particolarmente affascinato da questa sua
creazione, una chiocciola dalla testa di uccello, il corpo di lumaca e la
coda di un pesce ne realizza tre versioni: una in lamiera di bronzo e
acciaio inox, l'altra con la fusione a cera persa in bronzo e infine un
esemplare in marmo nero del Belgio e onice.
E ancora un omaggio alla musica, quella di Andrea Bocelli. Nasce “La musica
di Andrea” (2006) un bassorilievo in bronzo che raffigura il volto del
grande tenore, sorretto da un altrettanto imponente nota musicale.
Ultima tra le più rappresentative la scultura “Libertà” realizzata con un
lavoro certosino a cavallo di un millennio, tra il 1999 al 2007.
La “Libertà” di Paolo Filippi è una straordinaria Harley Davidson,
riprodotta a grandezza naturale utilizzando 50213 dadi in acciaio inox. Dadi
che sono stati saldati uno ad uno per comporre la grandiosa scultura. Una
moto bassa, larga, cruda ed essenziale, di un’eleganza assoluta. Un Simbolo
di gioventù, libertà, coraggio, anticonformismo. Plasmato da un lavoro
paziente, di 283 chilogrammi di peso, fatto di un osmotico incastrasi e
sovrapporsi di piccolissimi dadi. Quasi fosse un puzzle planetario.
Poi l’inevitabile folgorazione, quasi 7 anni dopo. Paolo Filippi decide di
completare la sua opera e donargli il suo ideale conducente: l’uomo. Un uomo
con la sua giacca di pelle nera, corporatura robusta, baffi, basette,
occhiali a specchio, capello cowboy, che oggi posa alla guida del mezzo con
i piedi ben saldi sui pedali e le mani che afferrano la presa del manubrio.
Sguardo fiero verso l’orizzonte.
Un modello in metallo vivo, definito e perfezionato in ogni dettaglio, dall’
orologio al polso, ai grandi anelli nella mano destra, all’orecchino, fino
ai bottoni della giacca e le pieghe dei pantaloni in pelle che rimandano a
un iperrealismo voluto dall’artista ed estremizzato. La moto come sinonimo
di movimento poiché nessuna forma d'arte, più della danza, si esprime
attraverso il movimento. Nessuna scultura, più di quella barocca di Gian
Lorenzo Bernini, ha come protagonista assoluto il movimento.
Un movimento trovato oggi contrapponendo lo stesso concetto alla staticità
della materia, eterna e indistruttibile come l’acciaio, che rende la sua
grande scultura una creazione immortale, in grado di sfidare il tempo e la
disgregazione della vita.
3 a Livorno ( nel quartiere Venezia), la mostra di Paolo Filippi. Lo
scultore livornese espone 20 opere nel suggestivo spazio diretto da Massimo
Fraddanni in una mostra a cura di Cristina Olivieri. Il lavoro dell’artista
è ampiamente descritto nel catalogo con i testi della Olivieri, che
accompagna la personale allestita fino al 15 dicembre e aperta in orario
10-12.30 e 15.30-19.30 (Chiuso domenica).
Il metallo per Paolo Filippi è vita quotidiana, è amore e vocazione,
materiale privilegiato per le sue creazioni. Comincia a lavorarlo a 18 anni
e sviluppa una grande capacità e una tecnica ricercata per “piegare” l’
acciaio e renderlo pian piano materia artistica. Studia e approfondisce le
varie fasi con cui poter realizzare i suoi lavori. Dal 64’ porta avanti la
sua passione fino ad arrivare a scoprire anche la possibilità di utilizzare
i dadi.
I dadi, piccoli elementi modulari da unire come le catene del dna dell’uomo,
sono elementi con cui Filippi ama confrontarsi. Fa combaciare per mezzo
della saldatura i loro lati, a comporre una rete fitta e omogenea che appare
alleggerita dal contrasto del pieno-vuoto, donando all’insieme delle sue
composizioni tridimensionali un idea di vulnerabilità, rendendo più umana e
più vera ogni opera.
Nella materia così composta è possibile entrare nel profondo, raggiungerne l
’anima, contrariamente a ciò che una scultura realizzata con tecniche
tradizionali può trasmettere al prima impatto. Le opere di Filippi tanto
statiche per il loro stesso peso, diventano soggetti in movimento, oggetti
dei quali l’osservatore può costatarne la dinamicità, il movimento ricercato
per mezzo di una tecnica di assemblamento, paziente, “certosina”. Tempo e
dedizione infatti richiedono le sue sculture oltre a un’innata dote e
capacità di saper lavorare i metalli pesanti, coltivata dall’artista dal
1964 in anni e anni di lavoro appassionato.
Grazie a questa nuova e originale tecnica realizza “Blues” (1994), un
chitarrista nato dalla saldatura di migliaia di dadi in ferro zincato, che
rimanda a una delle sue grandi passioni: la musica.
Allo stesso periodo appartiene “Silicone” il busto di una donna, bella e
artificiale con i seni prorompenti, la chioma folta di capelli lunghi e i
fianchi modellati. In questo caso la materia usata, il reticolato di dadi in
acciaio inox e bronzo riportato rimanda al concetto dell’opera: una donna
troppo bella, il cui splendore emerge dai riflessi delle sue forme fatte di
una materia lucida, fredda come l’acciaio..
Scivola idealmente sulla pista, con movimenti armonici e leggeri, la
pattinatrice simbolicamente riprodotta nell’essenziale corsa di un paio di
gambe affusolate che calzano i pattini da gara. “Vai” (1995) rappresenta la
corsa di ogni individuo, la sana competizione della vita, gli anni della
gioventù.
Le opere di Filippi sprigionano forza, sono spesso il simbolo di una grande
forza interiore, di illuminazioni profonde, come il “Toro” (1996) dotato di
una resistenza e di una pazienza straordinarie. I materiali usati sono
lamiere, dadi in acciaio inox, bronzo. Un tema che ritorna nella scultura
“Rinoceronte” (2000) un animale massiccio di dimensione e di peso, dopo l’
elefante, il più grande mammifero esistente sulla terraferma. In questa
composizione prevale il contrasto, netto, voluto tra la lucentezza dell’
acciaio e le superfici scure, massicce del bronzo.
La continuità dei soggetti raffigurati si fa strada quando l’artista con la
fusione realizza in bronzo la “Testa di cavallo” (1997). Insieme al toro ed
al serpente, il cavallo è l'animale principe dei Bestiari, propri dell'arte
scultorea e figurativa. Nell'immaginario collettivo è simbolo di libertà
senza confini e senza limiti: la sua corsa affascina per la sua misteriosa
alchimia di armonia e di forza che induce nel cavaliere l'esperienza di
sentirsi tutt'uno col magnifico animale.
Nel ’98 l’artista lavora a una “scultura concettuale” di grandi dimensioni:
“Prigionieri del tempo” ( bronzo a cera persa e acciaio inox l.148 – p.148 –
h 246 cm). Si tratta di un grande orologio da polso che nel quadrante vede
raffigurati in bassorilievo tra gli ingranaggi un volto umano e una catena.
L'autore esprime il proprio stato d'animo attraverso la visione di un
oggetto con attributi non comuni ad esso attraverso il concetto poetico del
correlativo oggettivo ( lo stesso elaborato nel 1919 da Thomas Stearns
Eliot), in quanto anche i concetti e i sentimenti più astratti trovano la
loro espressione (si "correlano") in un oggetto ben definito e concreto.
Un'opera che vuole proporre un diverso approccio alla rappresentazione del
pensato e che fa intendere la scultura stessa come produttrice non più di
oggetti artistici ma di “oggettivi”: veri e propri concetti che, per usare
una espressione di Meinong,“consistono invece di esistere” la cui forma, in
questa installazione, rappresenta una vera e propria “lente”, per leggere e
decodificare realtà nuove, diverse da quella che ci raffiguriamo ogni
giorno.
Per questo l’autore, è da sempre convinto che l’arte, essenzialmente
produttrice di conoscenza e quindi di concetti, risulta decodificabile in
maniera sistematica con un percorso filosofico oltre che artistico.
Di altra natura è la scultura "Omaggio a De Chirico" datata '98 realizzata
in lamiere e dadi in acciaio inox e bronzo. Un semplice ma non casuale
tributo al grande pittore e scenografo italiano, principale esponente della
corrente artistica della pittura metafisica.
Non manca il potere celebrato dalle gesta di "Faraone 2000", il mezzo busto
di un faraone dai lineamenti di un uomo contemporaneo con i baffi, un
autoritratto in cui l'autore con non celata ironia veste la maschera dorata
di un principe egiziano.
La grande scultura “concettuale”, "III° Millennio" realizzata in acciaio
inox, bronzo e marmo nero del Belgio è del 2000-2001: una grande mano che
tiene stretto nel suo pugno un metro estensibile, ancora un richiamo
all'ineluttabile scorrere del tempo.
Nel 2006 Filippi crea una originale esemplificazione del cielo- terra -mare,
che chiama i "Tre elementi". particolarmente affascinato da questa sua
creazione, una chiocciola dalla testa di uccello, il corpo di lumaca e la
coda di un pesce ne realizza tre versioni: una in lamiera di bronzo e
acciaio inox, l'altra con la fusione a cera persa in bronzo e infine un
esemplare in marmo nero del Belgio e onice.
E ancora un omaggio alla musica, quella di Andrea Bocelli. Nasce “La musica
di Andrea” (2006) un bassorilievo in bronzo che raffigura il volto del
grande tenore, sorretto da un altrettanto imponente nota musicale.
Ultima tra le più rappresentative la scultura “Libertà” realizzata con un
lavoro certosino a cavallo di un millennio, tra il 1999 al 2007.
La “Libertà” di Paolo Filippi è una straordinaria Harley Davidson,
riprodotta a grandezza naturale utilizzando 50213 dadi in acciaio inox. Dadi
che sono stati saldati uno ad uno per comporre la grandiosa scultura. Una
moto bassa, larga, cruda ed essenziale, di un’eleganza assoluta. Un Simbolo
di gioventù, libertà, coraggio, anticonformismo. Plasmato da un lavoro
paziente, di 283 chilogrammi di peso, fatto di un osmotico incastrasi e
sovrapporsi di piccolissimi dadi. Quasi fosse un puzzle planetario.
Poi l’inevitabile folgorazione, quasi 7 anni dopo. Paolo Filippi decide di
completare la sua opera e donargli il suo ideale conducente: l’uomo. Un uomo
con la sua giacca di pelle nera, corporatura robusta, baffi, basette,
occhiali a specchio, capello cowboy, che oggi posa alla guida del mezzo con
i piedi ben saldi sui pedali e le mani che afferrano la presa del manubrio.
Sguardo fiero verso l’orizzonte.
Un modello in metallo vivo, definito e perfezionato in ogni dettaglio, dall’
orologio al polso, ai grandi anelli nella mano destra, all’orecchino, fino
ai bottoni della giacca e le pieghe dei pantaloni in pelle che rimandano a
un iperrealismo voluto dall’artista ed estremizzato. La moto come sinonimo
di movimento poiché nessuna forma d'arte, più della danza, si esprime
attraverso il movimento. Nessuna scultura, più di quella barocca di Gian
Lorenzo Bernini, ha come protagonista assoluto il movimento.
Un movimento trovato oggi contrapponendo lo stesso concetto alla staticità
della materia, eterna e indistruttibile come l’acciaio, che rende la sua
grande scultura una creazione immortale, in grado di sfidare il tempo e la
disgregazione della vita.
24
novembre 2007
Paolo Filippi – Libertà
Dal 24 novembre al 15 dicembre 2007
arte contemporanea
Location
FACTORY DESIGN
Livorno, Via Michon, 24, (Livorno)
Livorno, Via Michon, 24, (Livorno)
Orario di apertura
10-12.30 e 15.30-19.30 (Chiuso domenica)
Vernissage
24 Novembre 2007, ore 18
Ufficio stampa
CDCOM
Autore
Curatore