Create an account
Welcome! Register for an account
La password verrà inviata via email.
Recupero della password
Recupera la tua password
La password verrà inviata via email.
-
- container colonna1
- Categorie
- #iorestoacasa
- Agenda
- Archeologia
- Architettura
- Arte antica
- Arte contemporanea
- Arte moderna
- Arti performative
- Attualità
- Bandi e concorsi
- Beni culturali
- Cinema
- Contest
- Danza
- Design
- Diritto
- Eventi
- Fiere e manifestazioni
- Film e serie tv
- Formazione
- Fotografia
- Libri ed editoria
- Mercato
- MIC Ministero della Cultura
- Moda
- Musei
- Musica
- Opening
- Personaggi
- Politica e opinioni
- Street Art
- Teatro
- Viaggi
- Categorie
- container colonna2
- container colonna1
PAOLO IACCHETTI – NUMERAZIONI OCCULTE
PAOLO IACCHETTI
NUMERAZIONI OCCULTE
ANTICO OSPEDALE DEI BATTUTI
COMUNE DI SAN VITO AL TAGLIAMENTO PN
A CURA DI:
LUCA PIETRO NICOLETTI
OLTREARTE GALLERIA CONTEMPORANEA
INAUGURAZIONE SABATO 15 GIUGNO 2024 ORE 17.00
ALLA PRESENZA DELL’ARTISTA
PRESENTAZIONE DI LUCA PIETRO NICOLETTI
Comunicato stampa
Segnala l'evento
PAOLO IACCHETTI
NUMERAZIONI OCCULTE
ANTICO OSPEDALE DEI BATTUTI
COMUNE DI SAN VITO AL TAGLIAMENTO PN
A CURA DI:
LUCA PIETRO NICOLETTI
OLTREARTE GALLERIA CONTEMPORANEA
INAUGURAZIONE SABATO 15 GIUGNO 2024 ORE 17.00
ALLA PRESENZA DELL'ARTISTA
PRESENTAZIONE DI LUCA PIETRO NICOLETTI
ORARI APERTURA MOSTRA:
SABATO-DOMENICA
10.30-12.30 15.30-19.00
PER INFORMAZIONI
UFFICIO CULTURA 0434 843050
cultura@sanvitoaltagliamento.fvg.it
PUNTO IAT 0434 843030
iat@sanvitoaltagliamento.fvg.it
OLTREARTE 338.2705193
info@oltrearte.com
La mostra dedicata all’artista Paolo Iacchetti (Milano 1953) raccoglie circa 30 lavori della produzione più recente dell’artista, nelle quali la ricerca raggiunge la piena maturità e originalità.
Paolo Iacchetti.
Luca Pietro Nicoletti
Paolo Iacchetti appartiene alla generazione di artisti cui spettò raccogliere il testimone dai pionieri delle ricerche aniconiche, approfondendo gli assunti “analitici” con nuovi motivazioni di poetica e aderendo a un’idea di pittura fedele al dato puramente visivo e percettivo. A lui e agli altri pittori nati all’inizio degli anni Cinquanta si era posto infatti il problema di dare un senso e un significato nuovo a un metodo di lavoro che aveva stabilito un rapporto molto intenso fra l’immagine e la superficie su cui questa era stata dipinta, andando ad accentuare la percezione del quadro come un oggetto fisico su cui era steso del colore, e che non andava inteso al di là di questa sua presenza fisica nello spazio.
In questa cornice, Iacchetti ha scelto di declinare quelle premesse oscillando fra una costruzione razionale, sostenuta da una importante consapevolezza teorica, e una vocazione alla dissoluzione dell’immagine. Nel suo percorso ci sono stati infatti momenti in cui il dato costruttivo della composizione si è alternato con altri di abbandono quasi lirico al colore: ci fu una stagione di scrittura libera sul piano, volta a delineare un’immagine icastica e fluttuante con una trama pittorica di tocco vibrante; e una immediatamente successiva in cui quelle sagome dal profilo irregolare lasciarono il posto a figure più ampie e incerte, come delle ombre luminose che prendevano forma sulla superficie, sempre all’insegna di una tessitura che portava alla dissoluzione dell’immagine. Infine, una volta accantonata la questione dell’immagine, o della partizione dello spazio in campiture tonali comprese entro un sezionamento compositivo ritmico, memore di alcune lezioni del morandismo letto in chiave astratta, Iacchetti giunse a una trama tissulare, ottenuta dall’infittirsi di piccoli segni che si addensavano sulla tela fino ad una stratificazione di colori vibrante, fatta di affioramenti di notazioni cromatiche interne alla maglia di virgole o di segni circolari ottenuti dalla libera reiterazione ritmica di una propria scrittura. È questo, semplificando molto, il preludio alla sua pittura più recente, in cui quella trama si è chiarita, come sotto l’effetto di un ingrandimento macroscopico che ha rivelato una struttura profonda nitida e leggibile, cristallizzando in un reticolo fermo nella sua costruzione, senza però impedire all’occhio una perlustrazione libera all’interno del quadro e delle sue continue variazioni. Al contrario, si ha l’impressione che il margine della tela abbia ritagliato un frammento di una superficie più ampia, che potrebbe proliferare all’infinito secondo una logica e una misura metodologicamente codificata.
Ne emerge dunque un percorso in cui si leggono molto bene dei passaggi stilistici da un ciclo al successivo, anche quando ductus differenti si trovano a convivere nel suo studio nello stesso periodo. Eppure, emerge una coerenza di motivazioni di fondo che si sono approfondite nel tempo, e che permettono una lettura unitaria del suo lavoro. Pur nella mutazione di effetto e di impressione generale dell’immagine, infatti, c’è un tono di fondo preciso e inconfondibile del lavoro di Paolo Iacchetti, che è forse proprio quell’idea, di cui parlò Giovanni Maria Accame nel 2003, di un «colore pensato», che pur non cedendo mai a un abbandono emotivo non è nemmeno frutto di un’azione progettuale che distingua il momento creativo e inventivo da quello prettamente esecutivo: il quadro prende forma un po’ alla volta, e lentamente conduce l’occhio e la mano dell’artista seguendo un metodo di lavoro ma non un’idea già cristallizzata che deve essere solo meccanicamente eseguita.
È alla luce di questo, infatti, che si spiega il “museo ideale” di Paolo Iacchetti, di cui l’artista stesso chiarì le coordinate in un breve testo del 1996, dichiarando la sua partenza nel segno di Claude Monet, passando poi dalla costruzione ontologica deducibile dalla lezione di Cézanne, per poi approdare a Jackson Pollock e Mark Rothko. In mezzo, però, c’erano altri nomi apparentemente spuri rispetto a questa linea modernista: Mario Mafai, Giorgio Morandi e Nicolas De Stäel. In un altro testo del dicembre 2001, invece, la riflessione ad ampio spettro che da Cézanne arrivava a Pollock passava ad un certo punto, in un breve e folgorante passaggio, attraverso la lezione di cromatismo solare di Henri Matisse. È in questa fila di nomi, inseriti in un flusso di dense considerazioni teoriche volte a delineare il profilo intellettuale dell’artista sotteso all’operazione visiva, che si spiega la complessa molteplicità di suggestioni su cui si regge la ricerca di Paolo Iacchetti: da Monet a Matisse passava una lezione di puro colore come mezzo espressivo autonomo che non aveva bisogno di essere sorretto da una struttura disegnativa, ma che al contempo necessitava di essere governato da una misura più attenta, maturata sostando su maestri puramente tonali (Morandi), astraente nella modulazione di una gamma cromatica ristretta ma capace di estrarre la luce dal pigmento: è qui, in una stagione che metteva la pittura di Iacchetti in sintonia con altri maestri della generazione precedente che si erano giocati tutto sulla smaterializzazione del colore, che interveniva come reagente la lezione di Lucio Fontana, fra “barocchi” e “aniline”. Pollock, invece, in questo diagramma sta a indicare il cambio di paradigma, l’annullamento del soggetto in favore del quadro come superficie de-gerarchizzata, in cui ogni porzione di tela ha un valore equipollente. «Ed è alla luce delle opere di Pollock e Fontana», scriveva l’artista nel 2001, «che il primato del vedere hegeliano, culmine della parabola del pensiero occidentale, va definitivamente rivisitato».
La lezione dell’Informale e della pittura d’azione, apparentemente così lontana dalla pittura di Iacchetti e dalla sua conformazione, aveva lasciato una traccia più profonda, che egli stesso ha rilevato di recente in un’inchiesta sul tema del “disegno”, risolta in un testo lungo e denso di implicazioni fenomenologiche in cui il discorso scivola rapidamente sulla questione del “segno”, consentendogli di trasferire quell’idea di immediatezza tipica dello schizzo a matita direttamente sull’uso del colore per tracciare una serie di linee. Queste immagini fatte dalla somma di segmenti mistilinei incastrati fra loro in una struttura solida e plasticamente risolta - pronta a una traduzione tridimensionale che amplificherebbe il segno con una trama di ombre portate – nascono dunque da una serie di tracciati spontanei, su cui poi il pittore ritorna andando a definire e chiarire la struttura, e mettendo in gioco una serie di rimandi cromatici che rimbalzano da un capo all’altro della tela suggerendo una struttura solida ma in qualche modo pulsante. Ma soprattutto, questo meccanismo invita lo sguardo ad avvicinarsi al quadro e a indugiare lungo i percorsi lineari dei singoli colori, a volte saldati fra loro, altre ingaggiati in un incastro mobile di sovrapposizione di piani, e induce ad un apprezzamento palmare della sofisticata qualità cromatica, tono su tono, in un disteso concerto di misura matematica.
NUMERAZIONI OCCULTE
ANTICO OSPEDALE DEI BATTUTI
COMUNE DI SAN VITO AL TAGLIAMENTO PN
A CURA DI:
LUCA PIETRO NICOLETTI
OLTREARTE GALLERIA CONTEMPORANEA
INAUGURAZIONE SABATO 15 GIUGNO 2024 ORE 17.00
ALLA PRESENZA DELL'ARTISTA
PRESENTAZIONE DI LUCA PIETRO NICOLETTI
ORARI APERTURA MOSTRA:
SABATO-DOMENICA
10.30-12.30 15.30-19.00
PER INFORMAZIONI
UFFICIO CULTURA 0434 843050
cultura@sanvitoaltagliamento.fvg.it
PUNTO IAT 0434 843030
iat@sanvitoaltagliamento.fvg.it
OLTREARTE 338.2705193
info@oltrearte.com
La mostra dedicata all’artista Paolo Iacchetti (Milano 1953) raccoglie circa 30 lavori della produzione più recente dell’artista, nelle quali la ricerca raggiunge la piena maturità e originalità.
Paolo Iacchetti.
Luca Pietro Nicoletti
Paolo Iacchetti appartiene alla generazione di artisti cui spettò raccogliere il testimone dai pionieri delle ricerche aniconiche, approfondendo gli assunti “analitici” con nuovi motivazioni di poetica e aderendo a un’idea di pittura fedele al dato puramente visivo e percettivo. A lui e agli altri pittori nati all’inizio degli anni Cinquanta si era posto infatti il problema di dare un senso e un significato nuovo a un metodo di lavoro che aveva stabilito un rapporto molto intenso fra l’immagine e la superficie su cui questa era stata dipinta, andando ad accentuare la percezione del quadro come un oggetto fisico su cui era steso del colore, e che non andava inteso al di là di questa sua presenza fisica nello spazio.
In questa cornice, Iacchetti ha scelto di declinare quelle premesse oscillando fra una costruzione razionale, sostenuta da una importante consapevolezza teorica, e una vocazione alla dissoluzione dell’immagine. Nel suo percorso ci sono stati infatti momenti in cui il dato costruttivo della composizione si è alternato con altri di abbandono quasi lirico al colore: ci fu una stagione di scrittura libera sul piano, volta a delineare un’immagine icastica e fluttuante con una trama pittorica di tocco vibrante; e una immediatamente successiva in cui quelle sagome dal profilo irregolare lasciarono il posto a figure più ampie e incerte, come delle ombre luminose che prendevano forma sulla superficie, sempre all’insegna di una tessitura che portava alla dissoluzione dell’immagine. Infine, una volta accantonata la questione dell’immagine, o della partizione dello spazio in campiture tonali comprese entro un sezionamento compositivo ritmico, memore di alcune lezioni del morandismo letto in chiave astratta, Iacchetti giunse a una trama tissulare, ottenuta dall’infittirsi di piccoli segni che si addensavano sulla tela fino ad una stratificazione di colori vibrante, fatta di affioramenti di notazioni cromatiche interne alla maglia di virgole o di segni circolari ottenuti dalla libera reiterazione ritmica di una propria scrittura. È questo, semplificando molto, il preludio alla sua pittura più recente, in cui quella trama si è chiarita, come sotto l’effetto di un ingrandimento macroscopico che ha rivelato una struttura profonda nitida e leggibile, cristallizzando in un reticolo fermo nella sua costruzione, senza però impedire all’occhio una perlustrazione libera all’interno del quadro e delle sue continue variazioni. Al contrario, si ha l’impressione che il margine della tela abbia ritagliato un frammento di una superficie più ampia, che potrebbe proliferare all’infinito secondo una logica e una misura metodologicamente codificata.
Ne emerge dunque un percorso in cui si leggono molto bene dei passaggi stilistici da un ciclo al successivo, anche quando ductus differenti si trovano a convivere nel suo studio nello stesso periodo. Eppure, emerge una coerenza di motivazioni di fondo che si sono approfondite nel tempo, e che permettono una lettura unitaria del suo lavoro. Pur nella mutazione di effetto e di impressione generale dell’immagine, infatti, c’è un tono di fondo preciso e inconfondibile del lavoro di Paolo Iacchetti, che è forse proprio quell’idea, di cui parlò Giovanni Maria Accame nel 2003, di un «colore pensato», che pur non cedendo mai a un abbandono emotivo non è nemmeno frutto di un’azione progettuale che distingua il momento creativo e inventivo da quello prettamente esecutivo: il quadro prende forma un po’ alla volta, e lentamente conduce l’occhio e la mano dell’artista seguendo un metodo di lavoro ma non un’idea già cristallizzata che deve essere solo meccanicamente eseguita.
È alla luce di questo, infatti, che si spiega il “museo ideale” di Paolo Iacchetti, di cui l’artista stesso chiarì le coordinate in un breve testo del 1996, dichiarando la sua partenza nel segno di Claude Monet, passando poi dalla costruzione ontologica deducibile dalla lezione di Cézanne, per poi approdare a Jackson Pollock e Mark Rothko. In mezzo, però, c’erano altri nomi apparentemente spuri rispetto a questa linea modernista: Mario Mafai, Giorgio Morandi e Nicolas De Stäel. In un altro testo del dicembre 2001, invece, la riflessione ad ampio spettro che da Cézanne arrivava a Pollock passava ad un certo punto, in un breve e folgorante passaggio, attraverso la lezione di cromatismo solare di Henri Matisse. È in questa fila di nomi, inseriti in un flusso di dense considerazioni teoriche volte a delineare il profilo intellettuale dell’artista sotteso all’operazione visiva, che si spiega la complessa molteplicità di suggestioni su cui si regge la ricerca di Paolo Iacchetti: da Monet a Matisse passava una lezione di puro colore come mezzo espressivo autonomo che non aveva bisogno di essere sorretto da una struttura disegnativa, ma che al contempo necessitava di essere governato da una misura più attenta, maturata sostando su maestri puramente tonali (Morandi), astraente nella modulazione di una gamma cromatica ristretta ma capace di estrarre la luce dal pigmento: è qui, in una stagione che metteva la pittura di Iacchetti in sintonia con altri maestri della generazione precedente che si erano giocati tutto sulla smaterializzazione del colore, che interveniva come reagente la lezione di Lucio Fontana, fra “barocchi” e “aniline”. Pollock, invece, in questo diagramma sta a indicare il cambio di paradigma, l’annullamento del soggetto in favore del quadro come superficie de-gerarchizzata, in cui ogni porzione di tela ha un valore equipollente. «Ed è alla luce delle opere di Pollock e Fontana», scriveva l’artista nel 2001, «che il primato del vedere hegeliano, culmine della parabola del pensiero occidentale, va definitivamente rivisitato».
La lezione dell’Informale e della pittura d’azione, apparentemente così lontana dalla pittura di Iacchetti e dalla sua conformazione, aveva lasciato una traccia più profonda, che egli stesso ha rilevato di recente in un’inchiesta sul tema del “disegno”, risolta in un testo lungo e denso di implicazioni fenomenologiche in cui il discorso scivola rapidamente sulla questione del “segno”, consentendogli di trasferire quell’idea di immediatezza tipica dello schizzo a matita direttamente sull’uso del colore per tracciare una serie di linee. Queste immagini fatte dalla somma di segmenti mistilinei incastrati fra loro in una struttura solida e plasticamente risolta - pronta a una traduzione tridimensionale che amplificherebbe il segno con una trama di ombre portate – nascono dunque da una serie di tracciati spontanei, su cui poi il pittore ritorna andando a definire e chiarire la struttura, e mettendo in gioco una serie di rimandi cromatici che rimbalzano da un capo all’altro della tela suggerendo una struttura solida ma in qualche modo pulsante. Ma soprattutto, questo meccanismo invita lo sguardo ad avvicinarsi al quadro e a indugiare lungo i percorsi lineari dei singoli colori, a volte saldati fra loro, altre ingaggiati in un incastro mobile di sovrapposizione di piani, e induce ad un apprezzamento palmare della sofisticata qualità cromatica, tono su tono, in un disteso concerto di misura matematica.
15
giugno 2024
PAOLO IACCHETTI – NUMERAZIONI OCCULTE
Dal 15 giugno al 04 agosto 2024
arte contemporanea
Location
Antico Ospedale dei Battuti
San Vito al Tagliamento, Via Bellunello, 24, (PN)
San Vito al Tagliamento, Via Bellunello, 24, (PN)
Orario di apertura
SABATO-DOMENICA
10.30-12.30 15.30-19.00
Vernissage
15 Giugno 2024, 17.00-19.30
Sito web
Editore
Oltrearte Edizioni
Ufficio stampa
Oltrearte Galleria Contemporanea
Autore
Curatore
Autore testo critico
Allestimento
Produzione organizzazione
Patrocini