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Paolo Staccioli – Ceramiche e bronzi
Ritorno a Mantova l’artista Paolo Staccioli con le sue ultime opere realizzate in bronzo e in ceramica: guerrieri, uomini e donne oltre ai suoi inconfondibili cavalli.
Comunicato stampa
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La Galleria Arianna Sartori di Mantova, nella sala di via Cappello 17, presenterà la nuova mostra personale dell’artista fiorentino Paolo Staccioli che per questa occasione porterà sculture “Ceramiche e bronzi”.
Guerrieri, cavalli e centauri. Paolo Staccioli e l’attualità del mito
(…) Le sue figure – veridiche eppure astratte, tornite e levigate, austere anche quando le raffinano decori eleganti e colorati e perfino con qualche bagliore dorato – sono segnate dalla vena severa che, dai primordi, sotterranea traversa la cultura della nostra terra.
I suoi guerrieri, di complessione solida, compatti come se la corazza si fosse incarnata nei loro corpi rendendoli invulnerabili, sono della stessa genìa dell’armigero di Capestrano; ma di lui – se possibile – ancor più primitivi. Corazze senza snodi; quasi che gli arti ne possano spuntare come dal guscio d’una bezzuga. Al loro cospetto ho spesso coltivato la fantasia di vederne decine, irreggimentati come l’esercito cinese di terracotta. E mi sono immaginato il loro schieramento, fitto di presenze tutte eguali, disposte in un lungo corteo silenzioso, non già a simboleggiare (come in oriente) la difesa strenua dell’imperatore anche oltre la morte, bensì a evocare un’umanità che si schiera per proteggersi – stavolta – dall’omologazione imposta dal regime informatico, ultimo despota. Un’umanità che, forte d’una coscienza storica salda, non teme il nuovo, ma la violenza invadente e prepotente d’un nuovo che fa terra bruciata dietro di sé. (…)
Nelle creazioni di Staccioli l’antico e la tradizione seguitano a proporsi come modelli; non già per via di sentimenti nostalgici, bensì in virtù della convinzione che il passato, quand’è lirico e cólto, pur sempre resta esemplare; indispensabile a vivere consapevolmente la stagione che c’è toccata. Vigili come sentinelle, i “guerrieri” (ormai continuerò a chiamarli così) da lui plasmati non s’oppongono ai tempi nuovi; sorvegliano però che la nobiltà trascorsa non venga dimenticata o irrisa addirittura. La loro militanza sarà utile per le generazioni giovani, cui la memoria dell’antico dovrà suonare quale magistero amabile e non tedioso, come invece una formazione scolastica senza più passione glielo fa avvertire. (…)
Ogni attore delle ribalte teatrali di Paolo è una creatura silente, assorta in pensieri impossibili da comunicare, come fosse un kouros; oppure, una kore, quando un accenno di seno traspaia sotto le trame d’una ceramica d’eleganza sobria messe a fasciare il busto. Creatura solitaria anche quando sola non sia. Anche quando salga sul carro con altri personaggi; o, con altri ancora, cavalchi – in una giostra in miniatura – uno di quei cavallini ritti sulle zampe di dietro, che in circolo s’inseguono senza speranza di raggiungersi mai. Donne e uomini di fiaba che se ne stanno seduti su mondi a loro estranei, volgendosi – disinteressati l’uno dell’altro – le spalle. Figure raggelate nell’indifferenza; pronte, ora a partire per viaggi che l’esigue valigie lasciano presagire di piccolo tragitto, ora a farsi carico, come fossero della stessa schiatta d’un Atlante primordiale, del peso d’un globo. (…)
Antonio Natali
Le ombre lunghe di durevoli ricordi
(…) Per Paolo, il cavallo è un animale mitico, divino plasmato dalla dea Atena, trapassato nella sua memoria, con libertà, leggerezza, e l'ironia riconosciute dalla critica fin dagli esordi (Nicola Micieli 1997, Tommaso Paloscia 1999, Antonio Paolucci e Ornella Casazza 2005, Claudio Paolini 2011).
L'arte del cavalcare, che attraversa il Tempo, entra nel suo repertorio figurativo rivelandosi ricco di suggestioni sapientemente combinate. Chiuso nel suo laboratorio "l'antico e la tradizione – come ha detto Antonio Natali nel catalogo della mostra di Paolo Staccioli nel Comune di Scandicci nel 2017 – seguitano a proporsi come modelli; non già per via di sentimenti nostalgici, bensì in virtù della convinzione che il passato quand'è lirico e colto, pur sempre resta esemplare; indispensabile per vivere consapevolmente la stagione che c'è toccata".
Nel silenzio l'artista riflette plasmando memorie lontane, di piaceri provati sui testi, nelle sale dei musei "riscoperti e ricreati con libertà e candore; modella la sua identità e la sua partita si gioca in una contraddizione tra il bisogno di essere moderno e antico, conservatore di forme e di cangianti superfici" (Ornella Casazza 2001).
Recupera linee di tensioni, suggerisce varianti; ironico il suo Eros che, come bambino alato, gioca da solo o con altri fanciulli divini modellati sul collo di un vaso, che rievoca, i vasi prodotti in antico a Canosa di Puglia, da lui realizzati negli anni novanta (Maria Anna Di Pede, 2009) in faenza ingobbiata dipinta con ossidi e sali sotto vernice e lustrata in splendidi colori che rifulgono di bagliori di tramonto o iridescenze lunari, favoriti dalla complicità del fuoco.
Un puttino sa cavalcare dall'aprile 2000 nella bellissima natura del Parco di Poggio Valicaia, sopra Scandicci, abbracciato al collo di un possente cavallo in bronzo, alto due metri, verde come il cavallo di terra verde di Paolo Uccello che guida sicuro, a esplorare il creato e le vie degli uomini.
Staccioli, con imprevedibile novità, sapienza compositiva, genialità espressiva, costruisce l’immagine fantastica e visionaria del reale nel suo rapporto con il paesaggio: un paesaggio che è sempre lo stesso, carico di racconti, incastonati, ancora, in racconti di cavalli, di leggeri cavalieri sospesi nel vuoto, di personaggi in bilico in originali dondoli; forme fitte nello spazio, senza gerarchie prospettiche o temporali: vicino e lontano, prima e dopo perdono di senso.
La spazialità, pur sempre compressa da piccoli cavalli in rilievo si definisce nelle armature dei suoi bonari e immobili guerrieri che, pur provando forse un sentimento di rimpianto per un luogo dove non sono mai stati, non torneranno né partiranno mai per combattere pur armati di lancia e scudo.
Poi c'è la nostalgia, pena della lontananza, perdita non di un luogo cui vorremmo tornare, ma di quello che in quel luogo e in quel tempo siamo stati e non possiamo più essere; ma la salvezza per Paolo è questo assecondare un vento di inquieti turbamenti che ci riconduce ad una terra emozionale a noi nota.
Appaiono poi, malinconici, uniti con solida naturalezza, gruppi di sette, otto, dieci, cento: numerosi e silenziosi guerrieri, enigmatici viaggiatori che, sebbene pronti per un viaggio di ritorno nella memoria, non partono: attendono, forse un gruppo di altri Viaggiatori con sfera in giacca e cravatta sgargianti che tengono in mano o sulla spalla una sfera, atlanti del quotidiano, che sorreggono il mondo.
Mitografie del presente, queste figure maschili e femminili si allontanano dalla realtà, in un mondo che non esiste ma tangibile nella mente di Staccioli quando riflette su memorie surreali e metafisiche.
Ornella Casazza
Nato a Scandicci nel 1943, Paolo Staccioli inizia la sua esperienza di artista negli anni Settanta del Novecento, esordendo come pittore e facendosi presto notare in ambito locale. Al principio degli anni Novanta la necessità di sperimentare nuovi linguaggi espressivi lo spinge a Faenza, nella bottega di un ceramista locale, Umberto Santandrea, dove apprende le tecniche di quest’arte. È qui che Staccioli realizza i suoi primi vasi, dapprima con la tecnica della ceramica invetriata, poi sperimentando la cottura a “riduzione”, che gli consente di ottenere straordinari effetti d’iridescenza e lucentezza.
Ottenuta assoluta padronanza del mestiere, Staccioli allestisce nel suo studio di Scandicci, nei pressi di Firenze, un laboratorio, dove continua autonomamente e quotidianamente a misurarsi con l’uso del fuoco e degli ossidi di rame, dando vita a una miriade di vasi che riveste con fantastici racconti pittorici, fissati definitivamente dalla smaltatura a lustro. È con queste opere che ottiene i primi successi, facendosi notare in mostre personali e collettive, nonché in occasione di importanti manifestazioni culturali: le sue ceramiche, dal forte effetto metallizzato e dallo smalto scintillante si impongono presto, per eleganza e originalità, nel panorama artistico non più solamente fiorentino, ma nazionale.
I personaggi che in questa fase popolano la superficie delle sue ceramiche (giostre di cavalli giocattolo sospesi nell’aria e accompagnati da putti alati, suonatori di trombe, bambole e Pulcinella) presto si guadagnano la terza dimensione, divenendo sculture che tuttavia non perdono l’accento di accadimento fiabesco, estranee come sono ad ogni nozione di tempo e luogo: forme idealizzate memori della statuaria preromana, etrusca in particolare, sulle quali interviene la policromia della ceramica, a rendere un vigoroso effetto di masse in contrasto. Guerrieri, viaggiatori, cardinali e cavalli si aggiungono ben presto alla folla già nutrita dei fantastici personaggi ed iniziano, dalla seconda metà degli anni Novanta, ad animare importanti collezioni pubbliche e private, italiane ed estere. Nei primi anni del Duemila, nella volontà di sperimentare nuovi materiali e, con questi, altre dimensioni espressive, Staccioli inizia a trasferire – senza comunque mai abbandonare l’amore per la lavorazione delle terre – le sue forme nel più duraturo bronzo, passando dalle ricerche con gli ossidi di rame a quelle con le patine metalliche. È in questa più recente fase che le sue figure acquistano una monumentalità prima ignota, che ancor più tende a fissare in una dimensione al di fuori del tempo i suoi cavalli e i suoi guerrieri. Molti i riconoscimenti tributati all’artista, in particolare nell’ultimo decennio, da pubblico e critica, e molte le partecipazioni a premi ed esposizioni che hanno consentito a Paolo Staccioli di conquistare un posto di assoluto prestigio nell’attuale panorama artistico nazionale.
Guerrieri, cavalli e centauri. Paolo Staccioli e l’attualità del mito
(…) Le sue figure – veridiche eppure astratte, tornite e levigate, austere anche quando le raffinano decori eleganti e colorati e perfino con qualche bagliore dorato – sono segnate dalla vena severa che, dai primordi, sotterranea traversa la cultura della nostra terra.
I suoi guerrieri, di complessione solida, compatti come se la corazza si fosse incarnata nei loro corpi rendendoli invulnerabili, sono della stessa genìa dell’armigero di Capestrano; ma di lui – se possibile – ancor più primitivi. Corazze senza snodi; quasi che gli arti ne possano spuntare come dal guscio d’una bezzuga. Al loro cospetto ho spesso coltivato la fantasia di vederne decine, irreggimentati come l’esercito cinese di terracotta. E mi sono immaginato il loro schieramento, fitto di presenze tutte eguali, disposte in un lungo corteo silenzioso, non già a simboleggiare (come in oriente) la difesa strenua dell’imperatore anche oltre la morte, bensì a evocare un’umanità che si schiera per proteggersi – stavolta – dall’omologazione imposta dal regime informatico, ultimo despota. Un’umanità che, forte d’una coscienza storica salda, non teme il nuovo, ma la violenza invadente e prepotente d’un nuovo che fa terra bruciata dietro di sé. (…)
Nelle creazioni di Staccioli l’antico e la tradizione seguitano a proporsi come modelli; non già per via di sentimenti nostalgici, bensì in virtù della convinzione che il passato, quand’è lirico e cólto, pur sempre resta esemplare; indispensabile a vivere consapevolmente la stagione che c’è toccata. Vigili come sentinelle, i “guerrieri” (ormai continuerò a chiamarli così) da lui plasmati non s’oppongono ai tempi nuovi; sorvegliano però che la nobiltà trascorsa non venga dimenticata o irrisa addirittura. La loro militanza sarà utile per le generazioni giovani, cui la memoria dell’antico dovrà suonare quale magistero amabile e non tedioso, come invece una formazione scolastica senza più passione glielo fa avvertire. (…)
Ogni attore delle ribalte teatrali di Paolo è una creatura silente, assorta in pensieri impossibili da comunicare, come fosse un kouros; oppure, una kore, quando un accenno di seno traspaia sotto le trame d’una ceramica d’eleganza sobria messe a fasciare il busto. Creatura solitaria anche quando sola non sia. Anche quando salga sul carro con altri personaggi; o, con altri ancora, cavalchi – in una giostra in miniatura – uno di quei cavallini ritti sulle zampe di dietro, che in circolo s’inseguono senza speranza di raggiungersi mai. Donne e uomini di fiaba che se ne stanno seduti su mondi a loro estranei, volgendosi – disinteressati l’uno dell’altro – le spalle. Figure raggelate nell’indifferenza; pronte, ora a partire per viaggi che l’esigue valigie lasciano presagire di piccolo tragitto, ora a farsi carico, come fossero della stessa schiatta d’un Atlante primordiale, del peso d’un globo. (…)
Antonio Natali
Le ombre lunghe di durevoli ricordi
(…) Per Paolo, il cavallo è un animale mitico, divino plasmato dalla dea Atena, trapassato nella sua memoria, con libertà, leggerezza, e l'ironia riconosciute dalla critica fin dagli esordi (Nicola Micieli 1997, Tommaso Paloscia 1999, Antonio Paolucci e Ornella Casazza 2005, Claudio Paolini 2011).
L'arte del cavalcare, che attraversa il Tempo, entra nel suo repertorio figurativo rivelandosi ricco di suggestioni sapientemente combinate. Chiuso nel suo laboratorio "l'antico e la tradizione – come ha detto Antonio Natali nel catalogo della mostra di Paolo Staccioli nel Comune di Scandicci nel 2017 – seguitano a proporsi come modelli; non già per via di sentimenti nostalgici, bensì in virtù della convinzione che il passato quand'è lirico e colto, pur sempre resta esemplare; indispensabile per vivere consapevolmente la stagione che c'è toccata".
Nel silenzio l'artista riflette plasmando memorie lontane, di piaceri provati sui testi, nelle sale dei musei "riscoperti e ricreati con libertà e candore; modella la sua identità e la sua partita si gioca in una contraddizione tra il bisogno di essere moderno e antico, conservatore di forme e di cangianti superfici" (Ornella Casazza 2001).
Recupera linee di tensioni, suggerisce varianti; ironico il suo Eros che, come bambino alato, gioca da solo o con altri fanciulli divini modellati sul collo di un vaso, che rievoca, i vasi prodotti in antico a Canosa di Puglia, da lui realizzati negli anni novanta (Maria Anna Di Pede, 2009) in faenza ingobbiata dipinta con ossidi e sali sotto vernice e lustrata in splendidi colori che rifulgono di bagliori di tramonto o iridescenze lunari, favoriti dalla complicità del fuoco.
Un puttino sa cavalcare dall'aprile 2000 nella bellissima natura del Parco di Poggio Valicaia, sopra Scandicci, abbracciato al collo di un possente cavallo in bronzo, alto due metri, verde come il cavallo di terra verde di Paolo Uccello che guida sicuro, a esplorare il creato e le vie degli uomini.
Staccioli, con imprevedibile novità, sapienza compositiva, genialità espressiva, costruisce l’immagine fantastica e visionaria del reale nel suo rapporto con il paesaggio: un paesaggio che è sempre lo stesso, carico di racconti, incastonati, ancora, in racconti di cavalli, di leggeri cavalieri sospesi nel vuoto, di personaggi in bilico in originali dondoli; forme fitte nello spazio, senza gerarchie prospettiche o temporali: vicino e lontano, prima e dopo perdono di senso.
La spazialità, pur sempre compressa da piccoli cavalli in rilievo si definisce nelle armature dei suoi bonari e immobili guerrieri che, pur provando forse un sentimento di rimpianto per un luogo dove non sono mai stati, non torneranno né partiranno mai per combattere pur armati di lancia e scudo.
Poi c'è la nostalgia, pena della lontananza, perdita non di un luogo cui vorremmo tornare, ma di quello che in quel luogo e in quel tempo siamo stati e non possiamo più essere; ma la salvezza per Paolo è questo assecondare un vento di inquieti turbamenti che ci riconduce ad una terra emozionale a noi nota.
Appaiono poi, malinconici, uniti con solida naturalezza, gruppi di sette, otto, dieci, cento: numerosi e silenziosi guerrieri, enigmatici viaggiatori che, sebbene pronti per un viaggio di ritorno nella memoria, non partono: attendono, forse un gruppo di altri Viaggiatori con sfera in giacca e cravatta sgargianti che tengono in mano o sulla spalla una sfera, atlanti del quotidiano, che sorreggono il mondo.
Mitografie del presente, queste figure maschili e femminili si allontanano dalla realtà, in un mondo che non esiste ma tangibile nella mente di Staccioli quando riflette su memorie surreali e metafisiche.
Ornella Casazza
Nato a Scandicci nel 1943, Paolo Staccioli inizia la sua esperienza di artista negli anni Settanta del Novecento, esordendo come pittore e facendosi presto notare in ambito locale. Al principio degli anni Novanta la necessità di sperimentare nuovi linguaggi espressivi lo spinge a Faenza, nella bottega di un ceramista locale, Umberto Santandrea, dove apprende le tecniche di quest’arte. È qui che Staccioli realizza i suoi primi vasi, dapprima con la tecnica della ceramica invetriata, poi sperimentando la cottura a “riduzione”, che gli consente di ottenere straordinari effetti d’iridescenza e lucentezza.
Ottenuta assoluta padronanza del mestiere, Staccioli allestisce nel suo studio di Scandicci, nei pressi di Firenze, un laboratorio, dove continua autonomamente e quotidianamente a misurarsi con l’uso del fuoco e degli ossidi di rame, dando vita a una miriade di vasi che riveste con fantastici racconti pittorici, fissati definitivamente dalla smaltatura a lustro. È con queste opere che ottiene i primi successi, facendosi notare in mostre personali e collettive, nonché in occasione di importanti manifestazioni culturali: le sue ceramiche, dal forte effetto metallizzato e dallo smalto scintillante si impongono presto, per eleganza e originalità, nel panorama artistico non più solamente fiorentino, ma nazionale.
I personaggi che in questa fase popolano la superficie delle sue ceramiche (giostre di cavalli giocattolo sospesi nell’aria e accompagnati da putti alati, suonatori di trombe, bambole e Pulcinella) presto si guadagnano la terza dimensione, divenendo sculture che tuttavia non perdono l’accento di accadimento fiabesco, estranee come sono ad ogni nozione di tempo e luogo: forme idealizzate memori della statuaria preromana, etrusca in particolare, sulle quali interviene la policromia della ceramica, a rendere un vigoroso effetto di masse in contrasto. Guerrieri, viaggiatori, cardinali e cavalli si aggiungono ben presto alla folla già nutrita dei fantastici personaggi ed iniziano, dalla seconda metà degli anni Novanta, ad animare importanti collezioni pubbliche e private, italiane ed estere. Nei primi anni del Duemila, nella volontà di sperimentare nuovi materiali e, con questi, altre dimensioni espressive, Staccioli inizia a trasferire – senza comunque mai abbandonare l’amore per la lavorazione delle terre – le sue forme nel più duraturo bronzo, passando dalle ricerche con gli ossidi di rame a quelle con le patine metalliche. È in questa più recente fase che le sue figure acquistano una monumentalità prima ignota, che ancor più tende a fissare in una dimensione al di fuori del tempo i suoi cavalli e i suoi guerrieri. Molti i riconoscimenti tributati all’artista, in particolare nell’ultimo decennio, da pubblico e critica, e molte le partecipazioni a premi ed esposizioni che hanno consentito a Paolo Staccioli di conquistare un posto di assoluto prestigio nell’attuale panorama artistico nazionale.
18
maggio 2020
Paolo Staccioli – Ceramiche e bronzi
Dal 18 maggio al 20 giugno 2020
arte contemporanea
Location
GALLERIA ARIANNA SARTORI
Mantova, Via Cappello, 17 , (Mantova)
Mantova, Via Cappello, 17 , (Mantova)
Orario di apertura
dal Lunedì al Sabato 10.00-12.30 / 15.30-19.30. Chiuso festivi
Vernissage
18 Maggio 2020, riapertura post lockdown
Autore
Curatore