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Paride Bianco – Focus. 1968-2018
Presso il Palazzo del Bargello di Gubbio, sede della Galleria d’Arte Contemporanea, Via Dei Consoli, Largo del Bargello si inaugura sabato 8 settembre alle ore 17 la mostra “FOCUS 1968-2018”, rappresentativa dei 50 anni di attività artistica del Maestro veneziano Paride Bianco.
Comunicato stampa
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Presso il Palazzo del Bargello di Gubbio, sede della Galleria d’Arte Contemporanea, Via Dei Consoli, Largo del Bargello, si inaugura sabato 8 settembre alle ore 11 la mostra “FOCUS 1968-2018”, rappresentativa dei 50 anni di attività artistica del Maestro veneziano Paride Bianco.
Formatosi nella Venezia delle testimonianze pittoriche sociali del Novecento veneziano (Marco Novati, Fioravante Seibezzi, Virgilio Guidi, Alberto Gianquinto), Paride Bianco guarda ad Armando Pizzinato, come lui formatosi in un solitario tirocinio e accomunato da una nascita artistica tutta milanese. Ad unirli è soprattutto la condivisione politica, il concetto di rapporto artista-tempo e sul piano artistico lo studio dei segni (Il partigiano).
Esordisce nel 1968 con una mostra di disegni a china e acqueforti alla Galleria “La Torre” di Mestre. Con i primi Anni Settanta inizia il periodo della neofigurazione e dell’espressionismo astratto con prestiti baconiani che apre alle mostre della “Galleria Bevilacqua La Masa” di Venezia. Evento importante si rivela la frequentazione di Milano e dei galleristi Fumagalli, Schwarz e Gianferrari. Sono gli anni della frequentazione dei corsi accademici di tecniche calcografiche sotto la guida di Luciano Zarotti, Giuseppe Fantinato e Mario Abis, grazie ai quali Paride apprende le tecniche incisorie e realizza una serie di acqueforti e acquetinte. Verso la fine degli Anni Settanta Paride abbraccia la visione di Georg Lukács. Rispecchiatosi nei suoi insegnamenti sperimenta pittoricamente l’alienazione borghese (o più esattamente, dell’individuo borghese, che ha già avuto il suo incipit nella realizzazione dell’Uomo della borghesia, per la Galleria Internazionale d’Arte Moderna di Venezia, nei primi anni Settanta) e poi l’alienazione comunista (o più esattamente, del “compagno” comunista). Come Lukacs sceglie l’incerto per il certo per abbracciare totalmente l’arte.
Nel 1981 l’artista produce una grande quantità di lavori fortemente strutturati, affidati a diverse matite con le quali riesce a dare profondità alla scena e plasticità alle figure. Contemporaneamente con una serie di ritratti e paesaggi “ostativi” sperimenta una sua tecnica esclusiva, quella di un bassorilievo con o senza l’uso della paraffina calda.
Gli Anni Duemila aprono alle grandi tele, ai primi lavori estroflessi, alle rappresentazioni multiple.
In cinquant’anni di lavoro assiduo e di crescita formativa, una critica un po’ miope si è impegnata forse troppo a rilevare ciò che Paride non è, piuttosto che cercare degli elementi fondanti, o almeno gli stilemi della sua ricerca più recente. È stato perso completamente di vista come il colore, sempre più filante, ha finito col diventare numero nelle composizioni a noi più vicine, e tanti numeri dialogano tra loro, interagiscono, catturano. Una sinfonia che ha ascoltato solo chi ha visitato la mostra al Museo di San Francisco (2013), dove protagonista è stata davvero la simbologia dei numeri. Su tutti finisce per dominare il “Numero1”, mentre nei quadri estroflessi, ma soprattutto nelle installazioni cariche di ironia e di valore simbolico c’è un rimando continuo a una realtà che è estranea ai futuristi.
È invece Maurizio Scudiero a inserirlo con una performance nel suo evento “Parole, suoni, immagini, rumori…futuristi” (2011) a Rovereto. Lo studioso trentino resta l’unico ad aver colto la perdita del pensiero e dei valori fondanti dell’arte. “Poeticamente abita l’uomo”, scriveva Heidegger. Ma oggi – riconosce Scudiero - “la Poesia non abita più nemmeno l’arte, troppo asservita al mercato; un vero paradosso, se si pensa che la Poesia è stata il motore delle avanguardie storiche (…)”.
Guardando a Paride e a quegli artisti che non si riconoscono in un panorama dell’arte contemporanea che si identifica univocamente con le logiche di mercato, Scudiero riconosce loro una ricerca “eccentrica”, cioè “non allineata”, avvalorando quanto da tempo entrambi andiamo dicendo e scrivendo, anche nel manifesto del Gruppo Sedna, di cui Paride Bianco è stato cofondatore (il gruppo si scioglierà nell’autunno del 2013), e cioè che “fare avanguardia non significa necessariamente imporsi per il grado di azioni scandalistiche (…), ma piuttosto usare i meccanismi dell’analogia universale” . Altrimenti detto “ciò che sta a significare non è la forma, quello che conta è il contenuto, il pensiero, meglio se poetico, meglio se filosofico, meglio se motivato”. E in quanto alla poetica di Paride tali aspetti sono fondanti del suo “fare arte”.
In quanto critico del Gruppo scrivevo nel catalogo della mostra “Pat(s)to a 4” (2010) che l’uso di mezzi linguistici utilizzati nell’atto comunicativo, fanno sì che un quadro, un’installazione o altro diventi un’opera d’arte solo quando esso astrae il dato reale e si presta allo studio della valenza comunicativa del colore, degli assembramenti materici e scenici, e del linguaggio del corpo, alla ricerca del senso di fare arte. Passaggi importanti su cui si fonda lo studio dell’ostativo, per il quale il bassorilievo assume il carattere di medium. Importanti, ma anche sostanziali, perché in perfetta sintonia con il concetto di contemporaneità, laddove teorizzo non un atto “creativo”, ma piuttosto un atto “comunicativo”, perché dietro alla comunicazione vi è un progetto, quindi un pensiero, mentre dietro alla creazione ”vi è quella che gli artisti praticavano prima delle avanguardie: l’ispirazione (…). E tutto ciò non è visto come una certezza (…), quanto un mezzo per giungere ad una risposta che per l’artista è esistenziale, e cioè la ricerca del significato del senso di “fare arte”.
Dal 2012 a oggi il lavoro di Paride Bianco si è impreziosito, grazie alla ripresa della tecnica a olio e paraffina e all'utilizzo del calco, ma l’artista non rinuncia al suo ruolo di denuncia e di impegno civile, pur servendosi dei soli mezzi di cui dispone: la parola, i colori, i pennelli. È anche il tempo di eventi importanti, dei primi riconoscimenti, tardivi e spesso indigesti, perché – per riprendere Lawrence Johns – la sua è un’arte di rottura che cattura, scombussola e mette in crisi chi tenta di incasellarlo.
Il 2013 è scelto per una personale dal Museo d’arte italiana a S. Francisco, in occasione dell’”Anno dell’arte italiana in America”, e i suoi “numeri” sbalordiscono e i colori affascinano. Ma è anche l’anno in cui il Museo Macia del Costarica espone due sue tele alla 55^ Biennale di Venezia.
E più recentemente i suoi “Amanti infelici” vengono esposti alla Biennale di Milano (2017) e alla 57^ Biennale di Venezia al “Spoleto Pavillion” (2017), entrambe curate da Vittorio Sgarbi e Salvo Nugnes.
Resta da chiedersi, a questo punto della vita artistica di Paride, come poter guardare al suo complesso e proficuo lavoro di un’intera vita.
Ricorrendo a Kant, vorrei ricordare che occorre guardare l’opera astratta di Paride “non dal libero gioco tra sensibilità e intelletto, ma dal libero conflitto tra sensibilità e ragione”.
Ancora oggi è il segno iconico a decidere i momenti significativi della sua ricerca e a farlo propendere per una composizione a dominanza coloristica o segnica, talora equipresenti nelle tele o carte incollate su tavola, di alto spessore artistico e lirico, oggi universalmente riconosciuti.
Giuliana Donzello
Formatosi nella Venezia delle testimonianze pittoriche sociali del Novecento veneziano (Marco Novati, Fioravante Seibezzi, Virgilio Guidi, Alberto Gianquinto), Paride Bianco guarda ad Armando Pizzinato, come lui formatosi in un solitario tirocinio e accomunato da una nascita artistica tutta milanese. Ad unirli è soprattutto la condivisione politica, il concetto di rapporto artista-tempo e sul piano artistico lo studio dei segni (Il partigiano).
Esordisce nel 1968 con una mostra di disegni a china e acqueforti alla Galleria “La Torre” di Mestre. Con i primi Anni Settanta inizia il periodo della neofigurazione e dell’espressionismo astratto con prestiti baconiani che apre alle mostre della “Galleria Bevilacqua La Masa” di Venezia. Evento importante si rivela la frequentazione di Milano e dei galleristi Fumagalli, Schwarz e Gianferrari. Sono gli anni della frequentazione dei corsi accademici di tecniche calcografiche sotto la guida di Luciano Zarotti, Giuseppe Fantinato e Mario Abis, grazie ai quali Paride apprende le tecniche incisorie e realizza una serie di acqueforti e acquetinte. Verso la fine degli Anni Settanta Paride abbraccia la visione di Georg Lukács. Rispecchiatosi nei suoi insegnamenti sperimenta pittoricamente l’alienazione borghese (o più esattamente, dell’individuo borghese, che ha già avuto il suo incipit nella realizzazione dell’Uomo della borghesia, per la Galleria Internazionale d’Arte Moderna di Venezia, nei primi anni Settanta) e poi l’alienazione comunista (o più esattamente, del “compagno” comunista). Come Lukacs sceglie l’incerto per il certo per abbracciare totalmente l’arte.
Nel 1981 l’artista produce una grande quantità di lavori fortemente strutturati, affidati a diverse matite con le quali riesce a dare profondità alla scena e plasticità alle figure. Contemporaneamente con una serie di ritratti e paesaggi “ostativi” sperimenta una sua tecnica esclusiva, quella di un bassorilievo con o senza l’uso della paraffina calda.
Gli Anni Duemila aprono alle grandi tele, ai primi lavori estroflessi, alle rappresentazioni multiple.
In cinquant’anni di lavoro assiduo e di crescita formativa, una critica un po’ miope si è impegnata forse troppo a rilevare ciò che Paride non è, piuttosto che cercare degli elementi fondanti, o almeno gli stilemi della sua ricerca più recente. È stato perso completamente di vista come il colore, sempre più filante, ha finito col diventare numero nelle composizioni a noi più vicine, e tanti numeri dialogano tra loro, interagiscono, catturano. Una sinfonia che ha ascoltato solo chi ha visitato la mostra al Museo di San Francisco (2013), dove protagonista è stata davvero la simbologia dei numeri. Su tutti finisce per dominare il “Numero1”, mentre nei quadri estroflessi, ma soprattutto nelle installazioni cariche di ironia e di valore simbolico c’è un rimando continuo a una realtà che è estranea ai futuristi.
È invece Maurizio Scudiero a inserirlo con una performance nel suo evento “Parole, suoni, immagini, rumori…futuristi” (2011) a Rovereto. Lo studioso trentino resta l’unico ad aver colto la perdita del pensiero e dei valori fondanti dell’arte. “Poeticamente abita l’uomo”, scriveva Heidegger. Ma oggi – riconosce Scudiero - “la Poesia non abita più nemmeno l’arte, troppo asservita al mercato; un vero paradosso, se si pensa che la Poesia è stata il motore delle avanguardie storiche (…)”.
Guardando a Paride e a quegli artisti che non si riconoscono in un panorama dell’arte contemporanea che si identifica univocamente con le logiche di mercato, Scudiero riconosce loro una ricerca “eccentrica”, cioè “non allineata”, avvalorando quanto da tempo entrambi andiamo dicendo e scrivendo, anche nel manifesto del Gruppo Sedna, di cui Paride Bianco è stato cofondatore (il gruppo si scioglierà nell’autunno del 2013), e cioè che “fare avanguardia non significa necessariamente imporsi per il grado di azioni scandalistiche (…), ma piuttosto usare i meccanismi dell’analogia universale” . Altrimenti detto “ciò che sta a significare non è la forma, quello che conta è il contenuto, il pensiero, meglio se poetico, meglio se filosofico, meglio se motivato”. E in quanto alla poetica di Paride tali aspetti sono fondanti del suo “fare arte”.
In quanto critico del Gruppo scrivevo nel catalogo della mostra “Pat(s)to a 4” (2010) che l’uso di mezzi linguistici utilizzati nell’atto comunicativo, fanno sì che un quadro, un’installazione o altro diventi un’opera d’arte solo quando esso astrae il dato reale e si presta allo studio della valenza comunicativa del colore, degli assembramenti materici e scenici, e del linguaggio del corpo, alla ricerca del senso di fare arte. Passaggi importanti su cui si fonda lo studio dell’ostativo, per il quale il bassorilievo assume il carattere di medium. Importanti, ma anche sostanziali, perché in perfetta sintonia con il concetto di contemporaneità, laddove teorizzo non un atto “creativo”, ma piuttosto un atto “comunicativo”, perché dietro alla comunicazione vi è un progetto, quindi un pensiero, mentre dietro alla creazione ”vi è quella che gli artisti praticavano prima delle avanguardie: l’ispirazione (…). E tutto ciò non è visto come una certezza (…), quanto un mezzo per giungere ad una risposta che per l’artista è esistenziale, e cioè la ricerca del significato del senso di “fare arte”.
Dal 2012 a oggi il lavoro di Paride Bianco si è impreziosito, grazie alla ripresa della tecnica a olio e paraffina e all'utilizzo del calco, ma l’artista non rinuncia al suo ruolo di denuncia e di impegno civile, pur servendosi dei soli mezzi di cui dispone: la parola, i colori, i pennelli. È anche il tempo di eventi importanti, dei primi riconoscimenti, tardivi e spesso indigesti, perché – per riprendere Lawrence Johns – la sua è un’arte di rottura che cattura, scombussola e mette in crisi chi tenta di incasellarlo.
Il 2013 è scelto per una personale dal Museo d’arte italiana a S. Francisco, in occasione dell’”Anno dell’arte italiana in America”, e i suoi “numeri” sbalordiscono e i colori affascinano. Ma è anche l’anno in cui il Museo Macia del Costarica espone due sue tele alla 55^ Biennale di Venezia.
E più recentemente i suoi “Amanti infelici” vengono esposti alla Biennale di Milano (2017) e alla 57^ Biennale di Venezia al “Spoleto Pavillion” (2017), entrambe curate da Vittorio Sgarbi e Salvo Nugnes.
Resta da chiedersi, a questo punto della vita artistica di Paride, come poter guardare al suo complesso e proficuo lavoro di un’intera vita.
Ricorrendo a Kant, vorrei ricordare che occorre guardare l’opera astratta di Paride “non dal libero gioco tra sensibilità e intelletto, ma dal libero conflitto tra sensibilità e ragione”.
Ancora oggi è il segno iconico a decidere i momenti significativi della sua ricerca e a farlo propendere per una composizione a dominanza coloristica o segnica, talora equipresenti nelle tele o carte incollate su tavola, di alto spessore artistico e lirico, oggi universalmente riconosciuti.
Giuliana Donzello
08
settembre 2018
Paride Bianco – Focus. 1968-2018
Dall'otto al 30 settembre 2018
arte contemporanea
Location
PALAZZO DEL BARGELLO
Gubbio, Via Dei Consoli, (Perugia)
Gubbio, Via Dei Consoli, (Perugia)
Orario di apertura
Da martedì a domenica, ore: 10.00-13.00 / 15.00-18.00. Lunedì chiuso
Vernissage
8 Settembre 2018, ore 18.00
Autore
Curatore