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Passengers
Cinque giovani artisti, attraverso le loro opere, riflettono lo statuto delle immagini attraverso una metodologia che unisce tecnica, ricerca e poesia. Le immagini ci sono, ma spesso non si notano. Vanno cercate e accolte, così come avviene nella realtà liquida di tutti i giorni.
Comunicato stampa
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The Flat – Massimo Carasi è lieta di presentare la mostra collettiva “Passengers”.
Sommersi dalle immagini, viviamo in un mondo dove anonimi mobili IKEA e vestiti normcore sembrano essere le uniche vie di conforto ad un sovraffollamento visivo che ci soffoca. Immagini pubblicitarie, spot televisivi, cartelloni affissi ai lampioni o sui muri della metropolitana: i nostri occhi scivolano quotidianamente sulla superficie di forme piatte, senza registrare nulla se non una vaga presenza. E pensare che prima del Novecento il numero di immagini viste da una persona si stima essere sull'ordine delle centinaia.
Ma che fine fa allora l'immagine se la neghiamo, se la ignoriamo? La svuotiamo di senso, finché non resta che una forma. Possiamo attuare una sorta di iconoclastia mentale, ma che senso ha se sempre più immagini vengono prodotte comunque? Forse che l'arte debba abbandonare del tutto le forme riconoscibili della nostra umanità? Vorrebbe dire non lasciare alcuna traccia del nostro presente ai posteri. Vorrebbe dire radicalizzare una necessità che è sempre stata umana, cioè usare l'immagine per conoscere e ri-conoscere, come già Artistotele sosteneva.
I cinque artisti in mostra – Andrea Carpita, Cosimo Casoni, Eracle Dartizio, Domenico Laterza, Marco Strappato – sono accomunati da una metodologia che mette costantemente alla prova questa riflessione che concilia tecnica, ricerca e poesia. Le immagini ci sono, ma spesso non si vedono. Vanno cercate, vanno accolte, come dovrebbe accadere nella realtà di tutti i giorni. Attraverso opere legate a linguaggi tradizionali e che abbracciano ancora l'immagine, senza negarla del tutto e senza darla per scontata, gli artisti invitano a scavare, a ricostruire dai frammenti della bruciatura, come direbbe Georges Didi-Hubermann: è partendo dalla mancanza, dall'assenza, che si ricrea la forma andata perduta, quell'immagine annebbiata o dimenticata volutamente. Nell'arte del nuovo millennio è questo il compito primario di noi osservatori e fruitori.
Andrea Carpita (1988) vive e lavora a Carrara. La sua ricerca l'ha portato ad attraversare varie fasi del processo di rappresentazione: da un immaginario fantastico e delicato a suggestioni fitomorfe reminescenti dell'estetica giapponese, fino ad una radicale sintesi del visibile che nella serie Minimum Portraits utilizza pochi punti e linee per riassumere un corpo, un volto, una persona, senza avere la pretesa di raccontare tutto il raccontabile su di essa. L'immagine si nasconde in un angolo intimo e chiuso al fruitore, mentre ciò che emerge è solo il contorno, una superficialità quasi distaccata nella quale si intuisce tutta la sensibilità dell'artista.
Cosimo Casoni (1990) vive e lavora tra Firenze e Milano. Le sue opere cercano di conciliare l'aspetto ambiguo dell'equilibrio, piegando oggetti della vita quotidiana a mantenere il proprio statuto anche dopo averli destrutturati, riassemblati, e posizionati in uno spazio vuoto, sospeso, avulso dai riferimenti consueti. La potenza delle immagini entra in contatto con una realtà liquida ed instabile come quella del color-fielding: da qui derivano i trompe-l'oeil e le aperture su paesaggi che sono finestre a metà tra l'immaginifico e il reale. Il tutto è invaso da una componente personale, quella della cultura skate, di cui Casoni si nutre e che dà in pasto anche alle sue tele. Anche nei quadri in cui non sono presenti oggetti resta un gesto, quello dello skate, che è autentica figurazione testimone di un passaggio.
Eracle Dartizio (1989) vive e lavora tra Londra e Milano. Affascinato dai temi dell'infinito e del cosmo, l'artista usa gli elementi astronomici come pretesto per una riflessione ed un racconto di storie personali, trovando in esse rifugio per domande a cui è difficile dare risposta. Il risultato sono sculture ed installazioni che parlano dell'uomo e della sua condizione sospesa nell'incertezza, costringendolo a negoziare con la visione antropocentrica sulle cose. La vita scivola su un piano indefinito, come le immagini che scorrono sulle pozzanghere in una giornata di pioggia. Lì, sul pelo dell'acqua, sta il confine fra il di qua e il di là, fra il mondo terreno e quello celeste, entrambi ancora intimamente sconosciuti ed affascinanti.
Domenico Laterza (1988) vive a Milano ma vari progetti lo hanno portato a viaggiare tra Berlino, Francoforte e la California. Nel suo lavoro anima gli oggetti di ironia giocosa e intelligente. Sfidando i limiti di un sapere certo ed enciclopedico, Laterza riflette sull'arte, sul design, sulle azioni e i loro significati, lasciando che si 'sporchino' a vicenda. Nel caso di Dancer l'artista ha raccolto chili di volantini pubblicitari e li ha impilati intorno a un'anima di metallo. Essendo attaccati al palo ma slegati l'un l'altro, la scultura che ne deriva è diversa ogni volta che viene composta, e le forme colorate sembrano danzare nell'aria. Un oggetto considerato superfluo, che guardiamo con occhio distaccato e annoiato, si trasforma in un qualcosa di completamente nuovo ed improvvisamente appetibile.
Marco Strappato (1982) vive e lavora a Londra. Le sue opere ricordano l'aria aperta e l'infinito leopardiano, nonostante l'estetica su cui poggia il suo lavoro, che è formalmente alienante, freddo e distaccato. Ma c'è un lato più profondo in tutto ciò, dato dalla bellezza di ciò che è messo in scena: stralci di natura che, manipolati, quasi perdono la propria identità, a due passi dall'astrazione eppure ancora testimoni di uno stato naturale e, soprattutto, figurativo. Guardare un'opera di Strappato impone di usare un'archeologia dell'immagine che tratti senza superficialità il dispositivo messo in piedi dall'artista, come una roccaforte posta in difesa di un piccolo e preziosissimo segreto che si sceglie di salvare dall'oblio. Siamo allo stesso modo il terrorista che fa saltare gli antichi templi e l'archeologo che ne porta alla luce i frammenti.
Sommersi dalle immagini, viviamo in un mondo dove anonimi mobili IKEA e vestiti normcore sembrano essere le uniche vie di conforto ad un sovraffollamento visivo che ci soffoca. Immagini pubblicitarie, spot televisivi, cartelloni affissi ai lampioni o sui muri della metropolitana: i nostri occhi scivolano quotidianamente sulla superficie di forme piatte, senza registrare nulla se non una vaga presenza. E pensare che prima del Novecento il numero di immagini viste da una persona si stima essere sull'ordine delle centinaia.
Ma che fine fa allora l'immagine se la neghiamo, se la ignoriamo? La svuotiamo di senso, finché non resta che una forma. Possiamo attuare una sorta di iconoclastia mentale, ma che senso ha se sempre più immagini vengono prodotte comunque? Forse che l'arte debba abbandonare del tutto le forme riconoscibili della nostra umanità? Vorrebbe dire non lasciare alcuna traccia del nostro presente ai posteri. Vorrebbe dire radicalizzare una necessità che è sempre stata umana, cioè usare l'immagine per conoscere e ri-conoscere, come già Artistotele sosteneva.
I cinque artisti in mostra – Andrea Carpita, Cosimo Casoni, Eracle Dartizio, Domenico Laterza, Marco Strappato – sono accomunati da una metodologia che mette costantemente alla prova questa riflessione che concilia tecnica, ricerca e poesia. Le immagini ci sono, ma spesso non si vedono. Vanno cercate, vanno accolte, come dovrebbe accadere nella realtà di tutti i giorni. Attraverso opere legate a linguaggi tradizionali e che abbracciano ancora l'immagine, senza negarla del tutto e senza darla per scontata, gli artisti invitano a scavare, a ricostruire dai frammenti della bruciatura, come direbbe Georges Didi-Hubermann: è partendo dalla mancanza, dall'assenza, che si ricrea la forma andata perduta, quell'immagine annebbiata o dimenticata volutamente. Nell'arte del nuovo millennio è questo il compito primario di noi osservatori e fruitori.
Andrea Carpita (1988) vive e lavora a Carrara. La sua ricerca l'ha portato ad attraversare varie fasi del processo di rappresentazione: da un immaginario fantastico e delicato a suggestioni fitomorfe reminescenti dell'estetica giapponese, fino ad una radicale sintesi del visibile che nella serie Minimum Portraits utilizza pochi punti e linee per riassumere un corpo, un volto, una persona, senza avere la pretesa di raccontare tutto il raccontabile su di essa. L'immagine si nasconde in un angolo intimo e chiuso al fruitore, mentre ciò che emerge è solo il contorno, una superficialità quasi distaccata nella quale si intuisce tutta la sensibilità dell'artista.
Cosimo Casoni (1990) vive e lavora tra Firenze e Milano. Le sue opere cercano di conciliare l'aspetto ambiguo dell'equilibrio, piegando oggetti della vita quotidiana a mantenere il proprio statuto anche dopo averli destrutturati, riassemblati, e posizionati in uno spazio vuoto, sospeso, avulso dai riferimenti consueti. La potenza delle immagini entra in contatto con una realtà liquida ed instabile come quella del color-fielding: da qui derivano i trompe-l'oeil e le aperture su paesaggi che sono finestre a metà tra l'immaginifico e il reale. Il tutto è invaso da una componente personale, quella della cultura skate, di cui Casoni si nutre e che dà in pasto anche alle sue tele. Anche nei quadri in cui non sono presenti oggetti resta un gesto, quello dello skate, che è autentica figurazione testimone di un passaggio.
Eracle Dartizio (1989) vive e lavora tra Londra e Milano. Affascinato dai temi dell'infinito e del cosmo, l'artista usa gli elementi astronomici come pretesto per una riflessione ed un racconto di storie personali, trovando in esse rifugio per domande a cui è difficile dare risposta. Il risultato sono sculture ed installazioni che parlano dell'uomo e della sua condizione sospesa nell'incertezza, costringendolo a negoziare con la visione antropocentrica sulle cose. La vita scivola su un piano indefinito, come le immagini che scorrono sulle pozzanghere in una giornata di pioggia. Lì, sul pelo dell'acqua, sta il confine fra il di qua e il di là, fra il mondo terreno e quello celeste, entrambi ancora intimamente sconosciuti ed affascinanti.
Domenico Laterza (1988) vive a Milano ma vari progetti lo hanno portato a viaggiare tra Berlino, Francoforte e la California. Nel suo lavoro anima gli oggetti di ironia giocosa e intelligente. Sfidando i limiti di un sapere certo ed enciclopedico, Laterza riflette sull'arte, sul design, sulle azioni e i loro significati, lasciando che si 'sporchino' a vicenda. Nel caso di Dancer l'artista ha raccolto chili di volantini pubblicitari e li ha impilati intorno a un'anima di metallo. Essendo attaccati al palo ma slegati l'un l'altro, la scultura che ne deriva è diversa ogni volta che viene composta, e le forme colorate sembrano danzare nell'aria. Un oggetto considerato superfluo, che guardiamo con occhio distaccato e annoiato, si trasforma in un qualcosa di completamente nuovo ed improvvisamente appetibile.
Marco Strappato (1982) vive e lavora a Londra. Le sue opere ricordano l'aria aperta e l'infinito leopardiano, nonostante l'estetica su cui poggia il suo lavoro, che è formalmente alienante, freddo e distaccato. Ma c'è un lato più profondo in tutto ciò, dato dalla bellezza di ciò che è messo in scena: stralci di natura che, manipolati, quasi perdono la propria identità, a due passi dall'astrazione eppure ancora testimoni di uno stato naturale e, soprattutto, figurativo. Guardare un'opera di Strappato impone di usare un'archeologia dell'immagine che tratti senza superficialità il dispositivo messo in piedi dall'artista, come una roccaforte posta in difesa di un piccolo e preziosissimo segreto che si sceglie di salvare dall'oblio. Siamo allo stesso modo il terrorista che fa saltare gli antichi templi e l'archeologo che ne porta alla luce i frammenti.
09
febbraio 2017
Passengers
Dal 09 febbraio al 18 marzo 2017
arte contemporanea
Location
THE FLAT – MASSIMO CARASI
Milano, Via Paolo Frisi, 3, (Milano)
Milano, Via Paolo Frisi, 3, (Milano)
Orario di apertura
da martedì a sabato ore 14.30-19.30
Vernissage
9 Febbraio 2017, ore 18
Autore
Curatore