Create an account
Welcome! Register for an account
La password verrà inviata via email.
Recupero della password
Recupera la tua password
La password verrà inviata via email.
-
- container colonna1
- Categorie
- #iorestoacasa
- Agenda
- Archeologia
- Architettura
- Arte antica
- Arte contemporanea
- Arte moderna
- Arti performative
- Attualità
- Bandi e concorsi
- Beni culturali
- Cinema
- Contest
- Danza
- Design
- Diritto
- Eventi
- Fiere e manifestazioni
- Film e serie tv
- Formazione
- Fotografia
- Libri ed editoria
- Mercato
- MIC Ministero della Cultura
- Moda
- Musei
- Musica
- Opening
- Personaggi
- Politica e opinioni
- Street Art
- Teatro
- Viaggi
- Categorie
- container colonna2
- container colonna1
Passo a due. Le avanguardie del movimento
Il progetto approfondisce, attraverso uno spaccato che dalle origini del cinema animato giunge ai giorni nostri, uno degli aspetti più affascinanti delle opere di animazione, quella possibilità accarezzata da molti artisti e cineasti di utilizzare il movimento filmico come un rito magico che dona vita alla linea del disegno, alla silhouette, alla marionetta o all’immagine fotografica
Comunicato stampa
Segnala l'evento
Dal 30 maggio al 29 giugno 2014 il museo MAN di Nuoro presenta la mostra “Passo a due. Le avanguardie del
movimento”. Il progetto, a cura di Lorenzo Giusti, direttore del Museo MAN, ed Elena Volpato, conservatrice della GAM
di Torino, responsabile della Collezione di Film e Video d'Artista, approfondisce, attraverso uno spaccato che dalle
origini del cinema animato giunge ai giorni nostri, uno degli aspetti più affascinanti delle opere di animazione, quella
possibilità accarezzata da molti artisti e cineasti di utilizzare il movimento filmico come un rito magico che dona vita alla
linea del disegno, alla silhouette, alla marionetta o all’immagine fotografica.
L’immaginario creativo, propriamente demiurgico, che è spesso sottostante al disegno e alla rappresentazione per
figure, assume attraverso il movimento e il ritmo musicale i tratti ammalianti dell’incantesimo, di una vita che è danza
della fantasia. Non è un caso che artisti e film-makers, nell’accostarsi alle diverse tecniche dell’animazione, si
concentrino spesso sull’immagine corporea e leghino a essa evocazioni della figura di Frankenstein, del Golem o del
robot, e in genere della nascita artificiale di un corpo, come volessero ripetere nel racconto mitico il loro stesso potere di
animatori: dare anima all’inanimato.
Le opere in esposizione offrono dunque la possibilità di un percorso storico nell’animazione, sperimentale e artistica,
attraverso l’immagine del corpo, della sua costruzione e del suo “montaggio”. Quando l’animazione si basa sul disegno
tutto sembra nascere da una linea, come nel pionieristico Fantasmagorie di Émile Cohl (1908) o in Lifeline (1960) di Ed
Emshwiller, dove il tratto bianco continuo si avviluppa in nodi di materia che a poco a poco divengono arabesco organico
mescolandosi con l’immagine fotografica del corpo di una ballerina. O come in Head di George Griffin (1975), dove la
forma base del volto e la tradizione artistica dell’autoritratto si spogliano di qualsiasi dettaglio realistico per poi rianimarsi
inaspettatamente di espressività emotiva e di sfumature psicologiche rese pittoricamente.
In altre opere il disegno lascia spazio alla scultura e al mito di Pigmalione ad essa collegato, come nel caso di Jan
Švankmejer che in Darkness Light Darkness (1990) mostra un corpo in grado di autoplasmarsi, a partire dalle due mani,
chiuse in una stanza, in cui affluiscono in sequenza tutti gli arti che andranno a comporsi in unità. Le due mani di
Švankmejer hanno un antecedente nel surrealismo di Alexeieff e Parker con Il Naso (1963), dove arti singoli, ribelli e
indipendenti, rivendicano per se stessi la potenza dell’incantesimo vitale, e sembrano trovare uno sviluppo recente in
alcuni lavori di Nathalie Djurberg e Hans Berg.
Il racconto di Frankenstein rivive esplicitamente nel film di Len Lye, Birth of a robot (1936) e ancora in Street of
Crocodiles (1986), dei Fratelli Quay, o nel video di Max Almy, The Perfect Leader (1983), dove a essere costruita
artificialmente non è una creatura destinata a servire il proprio creatore, come per Frankenstein e il Golem, ma è il futuro
leader politico che viene programmato al computer perché rispecchi nella sua ferocia dittatoriale la società che lo ha
voluto e creato.
Altre opere rappresentano il corpo come luogo di costruzione, non dell’identità singola, ma dell’identità sociale. È il caso
del celebre L’idée (1932) di Berthold Bartosh, ma anche, in maniera diversa, dei lavori di William Kentridge, nei quali il
dolore delle masse lascia tracce di polvere nera sulle pagine bianche della storia a fronte dei corpi impudichi bagnati
dall’azzurro dell’acqua dei ricchi magnati. È il caso delle silhouettes di Kara Walker, anch’esse nere contro lo sfondo
bianco, seviziate e violentate dalla ferocia coloniale.
Infine è la danza, espressione ultima della bellezza nel movimento, che consente di mostrare la magia del corpo
animato nei più diversi luoghi del pensiero e dell’immaginazione: in Easter Eggs di Segundo de Chomón (1907), nel
Ballet Mécanique di Fernand Léger, dove macchina e corpo tendono a fondersi in un unico soggetto in movimento, nello
spazio assoluto del Pas de deux di McLaren, nella notte astrologica di The Very Eye of Night (1958) di Maya Deren o
nell’universo bidimensionale del disegno di Robin Rhode, dove corpo e disegno si incontrano su un unico piano di realtà
e di sogno.
Infine è la danza, espressione ultima della bellezza nel movimento, che consente di mostrare la magia del corpo
animato nei più diversi luoghi del pensiero e dell’immaginazione: in Easter Eggs di Segundo de Chomón (1907), nel
Ballet Mécanique di Fernand Léger, dove macchina e corpo tendono a fondersi in un unico soggetto in movimento, nello
spazio assoluto del Pas de deux di McLaren, nella notte astrologica di The Very Eye of Night (1958) di Maya Deren o
nell’universo bidimensionale del disegno di Robin Rhode, dove corpo e disegno si incontrano su un unico piano di realtà
e di sogno.
movimento”. Il progetto, a cura di Lorenzo Giusti, direttore del Museo MAN, ed Elena Volpato, conservatrice della GAM
di Torino, responsabile della Collezione di Film e Video d'Artista, approfondisce, attraverso uno spaccato che dalle
origini del cinema animato giunge ai giorni nostri, uno degli aspetti più affascinanti delle opere di animazione, quella
possibilità accarezzata da molti artisti e cineasti di utilizzare il movimento filmico come un rito magico che dona vita alla
linea del disegno, alla silhouette, alla marionetta o all’immagine fotografica.
L’immaginario creativo, propriamente demiurgico, che è spesso sottostante al disegno e alla rappresentazione per
figure, assume attraverso il movimento e il ritmo musicale i tratti ammalianti dell’incantesimo, di una vita che è danza
della fantasia. Non è un caso che artisti e film-makers, nell’accostarsi alle diverse tecniche dell’animazione, si
concentrino spesso sull’immagine corporea e leghino a essa evocazioni della figura di Frankenstein, del Golem o del
robot, e in genere della nascita artificiale di un corpo, come volessero ripetere nel racconto mitico il loro stesso potere di
animatori: dare anima all’inanimato.
Le opere in esposizione offrono dunque la possibilità di un percorso storico nell’animazione, sperimentale e artistica,
attraverso l’immagine del corpo, della sua costruzione e del suo “montaggio”. Quando l’animazione si basa sul disegno
tutto sembra nascere da una linea, come nel pionieristico Fantasmagorie di Émile Cohl (1908) o in Lifeline (1960) di Ed
Emshwiller, dove il tratto bianco continuo si avviluppa in nodi di materia che a poco a poco divengono arabesco organico
mescolandosi con l’immagine fotografica del corpo di una ballerina. O come in Head di George Griffin (1975), dove la
forma base del volto e la tradizione artistica dell’autoritratto si spogliano di qualsiasi dettaglio realistico per poi rianimarsi
inaspettatamente di espressività emotiva e di sfumature psicologiche rese pittoricamente.
In altre opere il disegno lascia spazio alla scultura e al mito di Pigmalione ad essa collegato, come nel caso di Jan
Švankmejer che in Darkness Light Darkness (1990) mostra un corpo in grado di autoplasmarsi, a partire dalle due mani,
chiuse in una stanza, in cui affluiscono in sequenza tutti gli arti che andranno a comporsi in unità. Le due mani di
Švankmejer hanno un antecedente nel surrealismo di Alexeieff e Parker con Il Naso (1963), dove arti singoli, ribelli e
indipendenti, rivendicano per se stessi la potenza dell’incantesimo vitale, e sembrano trovare uno sviluppo recente in
alcuni lavori di Nathalie Djurberg e Hans Berg.
Il racconto di Frankenstein rivive esplicitamente nel film di Len Lye, Birth of a robot (1936) e ancora in Street of
Crocodiles (1986), dei Fratelli Quay, o nel video di Max Almy, The Perfect Leader (1983), dove a essere costruita
artificialmente non è una creatura destinata a servire il proprio creatore, come per Frankenstein e il Golem, ma è il futuro
leader politico che viene programmato al computer perché rispecchi nella sua ferocia dittatoriale la società che lo ha
voluto e creato.
Altre opere rappresentano il corpo come luogo di costruzione, non dell’identità singola, ma dell’identità sociale. È il caso
del celebre L’idée (1932) di Berthold Bartosh, ma anche, in maniera diversa, dei lavori di William Kentridge, nei quali il
dolore delle masse lascia tracce di polvere nera sulle pagine bianche della storia a fronte dei corpi impudichi bagnati
dall’azzurro dell’acqua dei ricchi magnati. È il caso delle silhouettes di Kara Walker, anch’esse nere contro lo sfondo
bianco, seviziate e violentate dalla ferocia coloniale.
Infine è la danza, espressione ultima della bellezza nel movimento, che consente di mostrare la magia del corpo
animato nei più diversi luoghi del pensiero e dell’immaginazione: in Easter Eggs di Segundo de Chomón (1907), nel
Ballet Mécanique di Fernand Léger, dove macchina e corpo tendono a fondersi in un unico soggetto in movimento, nello
spazio assoluto del Pas de deux di McLaren, nella notte astrologica di The Very Eye of Night (1958) di Maya Deren o
nell’universo bidimensionale del disegno di Robin Rhode, dove corpo e disegno si incontrano su un unico piano di realtà
e di sogno.
Infine è la danza, espressione ultima della bellezza nel movimento, che consente di mostrare la magia del corpo
animato nei più diversi luoghi del pensiero e dell’immaginazione: in Easter Eggs di Segundo de Chomón (1907), nel
Ballet Mécanique di Fernand Léger, dove macchina e corpo tendono a fondersi in un unico soggetto in movimento, nello
spazio assoluto del Pas de deux di McLaren, nella notte astrologica di The Very Eye of Night (1958) di Maya Deren o
nell’universo bidimensionale del disegno di Robin Rhode, dove corpo e disegno si incontrano su un unico piano di realtà
e di sogno.
30
maggio 2014
Passo a due. Le avanguardie del movimento
Dal 30 maggio al 29 giugno 2014
arte contemporanea
Location
MAN – MUSEO D’ARTE DELLA PROVINCIA DI NUORO
Nuoro, Via Sebastiano Satta, 27, (Nuoro)
Nuoro, Via Sebastiano Satta, 27, (Nuoro)
Vernissage
30 Maggio 2014, ore 19
Autore
Curatore