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Patrick Bard – La Transiberiana
Estate in Fotografia alla Fnac di Milano con il racconto fotografico di Patrick Bard sul viaggio della Transiberiana
Comunicato stampa
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Dal 1916, data del completamento dell’ultimo tratto, la Transiberiana decantata da Blaise Cendrars collega Mosca a Vladivostok e Pechino. Se questo treno leggendario – il più lungo del mondo – è una straordinaria macchina per sognare sulle orme di Kessel, Makine e Jules Verne, è anche un vero negozio su ruote. Rimaneva da salire a bordo di un mito vivente alla stazione di Iaroslav. Il primo itinerario, percorso dal Rossiya, collega Mosca a Vladivostok. Il Transmanciuriano raggiunge Pechino passando per Harbin e per il nord-est della Cina.
Anche il Transmongoliano ha come destinazione la capitale cinese, ma la raggiunge attraverso Oulan-Bator, le steppe della Mongolia, il deserto di Gobi e la Grande Muraglia. 7867 chilometri in poco più di sei giorni, 990 stazioni e sei fusi orari! Il mito si esprime in poche parole. I mercanti mongoli spingono per salire sul treno, carichi di fagotti di vestiti fabbricati in Turchia. Falsi Armani, false Nike rivendute per una manciata di rubli lungo la linea da questi negozianti che vivono sul treno, e lo fanno vivere tutto l’anno. Il convoglio si muove, fino alla frontiera mongola rimarrà con l’orario di Mosca e i passeggeri prenderanno sconcertanti abitudini, assaporando dopo qualche giorno la colazione alle due del mattino, mentre sui binari in cui si affretta una folla contagiata dalla febbre dell’acquisto, sono le sette e il sole è già alto in cielo. Sotto la canicola o sotto la neve, nel freddo siberiano, il paesaggio si snoda dal finestrino come una scena cinematografica - taiga, betulle, dodi – e i brandelli della grande Unione Sovietica ammantano i loro terreni industriali incolti intorno alle città come una sciarpa di ruggine. Le soste si susseguono, cadenzate dalle zuffe dei mercati ubriachi di vodka nel vagone ristorante: Ekaterinburg, teatro della tragica fine dei Romanov, la traversata dell'Ienissei, largo come il Rio delle Amazzoni, che corre verso il Mare Artico. Poi Novossibirsk, Krasnoiarsk, Irkoutsk, il lago Baikal. Superata la dogana mongola, appare la steppa infinita costellata da yurte tra le quali galoppano cavalieri dai cappelli a punta, poi Oulan-Bator, il Gobi e le sue tempeste di sabbia. Ecco profilarsi la frontiera cinese. Presto la Grande Muraglia e la città di Pechino in cui il treno, con una puntualità assoluta si ferma al binario. Estate e inverno, questi sei giorni e queste sei notti passano ad una velocità incredibile, a una media di 100 km all’ora. Lontano dagli insipidi TGV francesi, quest’elogio viaggiante della lentezza che, tuttavia, ai suoi tempi fu un simbolo di velocità e di modernità, lascia dietro di sé la noia e la monotonia. Qui non ci sono gadget, né lussuosi vagoni o prodotti derivati. Solo la vita e l’imprevisto degli incontri.
Se ancora una volta fosse ancora necessario dimostrare la giustezza delle parole di Stevenson, l’importante non è la destinazione, ma la deambulazione, di cui questo treno rimane uno dei simboli viventi.
Patrick Bard
Diario di viaggio - estratti
Domenica 3 febbraio
«Un’intera umanità si accalca lungo il binario, all’ombra del palo "km 0" della Transiberiana.
Un cartello annuncia, laconico : « Vladivostok : 9 289 km. Treno Rossiya. Partenza: h.16.27»
Ed eccoci sistemati nella carrozza n° 7. Prima classe. Due cuccette. Tende di nylon. Due tazze nel loro ricettacolo di metallo. I provodnitsas ci distribuiscono lenzuola e salviette, mentre il treno si muove attraverso le interminabili periferie moscovite sulle quali già cala la notte.
h.19.34. Prima fermata, Vladimir. Le fiancate del treno luccicano come i fianchi di un levriero sudato. Il rosso sangue del fanale posteriore macchia la neve. Un po’ più lontano, poco dopo, Gorki. 1980. L’esilio di Sakharov. La radio dello scompartimento trasmette crepitando Emmanuelle di Pierre Bachelet, in una versione di musica d’ascensore.
Su questo treno fa un caldo da morire. Cullati dal dondolio regolare delle carrozze, con l’intima sensazione di essere protetti dall’inverno che morde il buio là fuori, con la dolce luce del faretto di lettura sulle pagine del libro, gli occhi si chiudono.»
Lunedì 18 febbraio
«Mentre viaggiamo da giorni e notti, e abbiamo perso la nozione del tempo, mentre, dopo aver attraversato due continenti, ci sembra che questo treno non arriverà mai al capolinea, in pochi minuti tutto è finito.
Eccoci sul binario, giunti stupidamente a destinazione. Nessun cerimoniale. (…/…) Un po’ smarriti e stravolti, ci lasciamo trasportare dalla folla fino alle gallerie della Stazione centrale, in mezzo alle urla dei facchini. Vorremmo rimanere lì, attardarci davanti a questo lungo serpente di metallo, quest’elogio vivente della lentezza. E persino, risalire sul treno. Siamo colti dal desiderio di fonderci, di diluirci nel viaggio.
Sul piazzale, il brulichio è uno choc dopo le solitudini siberiane, dopo gli orizzonti infiniti del Baikal e delle steppe. Emergendo dal bozzolo del nostro scompartimento, lasciamo dietro di noi gli orpelli dell’inverno. Qui, gli alberi sono già in fiore. Dopo 7867 chilometri, il treno numero 4 si è accostato con assoluta puntualità al binario, alle h.15.33 esatte.»
Mercoledì 20 giugno
«h. 22.30. Piazza delle tre stazioni. I viaggiatori affluiscono in mezzo a piramidi di valigie e di cartoni. Un ragazzino si impegna a sollevare un pacco troppo pesante per lui. E dal momento che non cammina abbastanza in fretta, il capo facchino gli molla una sonora sberla. Sguardo carico di odio del bambino. Ha pianto. I binari della stazione di Laroslay sono bagnati. Sono le 23 passate e il crepuscolo si protrae. Un’orda di mercanti mongoli spinge per accedere al treno mentre un soldato di leva tenta di contenerli. I venditori si riversano ovunque con i loro enormi fagotti. Se impediscono loro di entrare dai marciapiedi, attraversano i binari.
Urla, baruffe, invettive, insulti, i circa cinquecento passeggeri si imbarcano alla bell’è meglio sul Transmongoliano, direzione Oulan-Bator.
La seconda classe assomiglia ai treni delle colonie di vacanza della mia infanzia, ai treni dei soldati. Manca solo la foto in bianco e nero di Rocamadour sotto la rete portabagagli»
«I Transiberiani»
Il plurale qui è d’obbligo, perché Transiberiani lo sono tutti. Attraversano la Siberia per un tratto comune fino a Zaudinsky, poco dopo Oulan-Oudé, la capitale della Buriazia. Partono tutti dalla stazione di Laroslav, a Mosca.
Il tragitto più lungo (9289 chilometri in una settimana) si effettua a bordo del Rossiya, tra Mosca e Vladivostok, sulla costa del Pacifico, senza uscire dalla CEI.
Il Vladivostok-Mosca ha il numero 1 e il Mosca-Vladivostok ha il numero 2.
Il Transmongoliano, invece, collega la capitale russa a Pechino passando per Oulan-Bator e la Mongolia.
Il Pechino-Mosca ha il numero 3, e il Mosca-Pechino il numero 4.
I treni numero 5 e 6 collegano Mosca a Oulan-Bator, via Irkoutsk.
Infine, il Transmanciuriano collega Mosca a Pechino senza attraversare la Mongolia e ferma ad Harbin, in Manciuria. Ha i numeri 19 e 20.
Il treno espresso numero 2 parte da Mosca-Laroslav nei giorni dispari. Il numero 4 tutti i martedì.
Il treno espresso numero 6, quello prediletto dai commercianti mongoli, i quali lo riempiono fino al tetto con i loro fagotti di merce, parte ogni mercoledì da Laroslav.
Quanto al treno numero 20, arriva a Pechino tutti i venerdì.
Il treno più comodo è indubbiamente quello del martedì, il numero 4 Mosca-Pechino, dotato di docce.
Il biglietto non prevede fermate. Quindi conviene acquistare, ad ogni tratta, i biglietti per i tragitti seguenti, o pianificare il viaggio in anticipo e acquistare tutti i titoli di viaggio prima di salire sul treno.
Durante il viaggio invernale, nel febbraio del 2002, abbiamo presso successivamente il treno russo Rossiya (Mosca-Vladivostok) fino a Irkoutsk, poi il treno cinese (Mosca-Pechino) fermandoci a Koultouk, Slioudianka e Oulan Bator, con, come destinazione finale, la capitale del medio Impero.
In estate abbiamo viaggiato a bordo del Transmongoliano (treno del mercoledì, Mosca-Oulan-Bator), poi, dopo la sosta in Mongolia, abbiamo proseguito fino a Pechino a bordo del treno cinese.
Biografia
Nato nel 1958, a Montreuil-sous-Bois, Patrick Bard collabora con l’agenzia Editing dal 1990. Fotografo e scrittore, ha pubblicato i suoi lavori sulla stampa francese e internazionale, soprattutto quelli sulla frontiera americo-messicana a cui ha già dedicato varie mostre e un libro edito da Marval, « El Norte ». Nel 2002 ha pubblicato, edito da Autrement, « Mongolie : le vertige horizontal ». I suoi lavori fotografici sulla periferia sono stati esposti al Centro Georges Pompidou, alla Grande Halle di La Villette e nelle Gallerie fotografiche della Fnac. Sono stati oggetto di numerose monografie. Il suo primo romanzo, « La frontière » è stato pubblicato da Editions du Seuil. Ha vinto il premio Polar Michel Lebrun 2002.
Anche il Transmongoliano ha come destinazione la capitale cinese, ma la raggiunge attraverso Oulan-Bator, le steppe della Mongolia, il deserto di Gobi e la Grande Muraglia. 7867 chilometri in poco più di sei giorni, 990 stazioni e sei fusi orari! Il mito si esprime in poche parole. I mercanti mongoli spingono per salire sul treno, carichi di fagotti di vestiti fabbricati in Turchia. Falsi Armani, false Nike rivendute per una manciata di rubli lungo la linea da questi negozianti che vivono sul treno, e lo fanno vivere tutto l’anno. Il convoglio si muove, fino alla frontiera mongola rimarrà con l’orario di Mosca e i passeggeri prenderanno sconcertanti abitudini, assaporando dopo qualche giorno la colazione alle due del mattino, mentre sui binari in cui si affretta una folla contagiata dalla febbre dell’acquisto, sono le sette e il sole è già alto in cielo. Sotto la canicola o sotto la neve, nel freddo siberiano, il paesaggio si snoda dal finestrino come una scena cinematografica - taiga, betulle, dodi – e i brandelli della grande Unione Sovietica ammantano i loro terreni industriali incolti intorno alle città come una sciarpa di ruggine. Le soste si susseguono, cadenzate dalle zuffe dei mercati ubriachi di vodka nel vagone ristorante: Ekaterinburg, teatro della tragica fine dei Romanov, la traversata dell'Ienissei, largo come il Rio delle Amazzoni, che corre verso il Mare Artico. Poi Novossibirsk, Krasnoiarsk, Irkoutsk, il lago Baikal. Superata la dogana mongola, appare la steppa infinita costellata da yurte tra le quali galoppano cavalieri dai cappelli a punta, poi Oulan-Bator, il Gobi e le sue tempeste di sabbia. Ecco profilarsi la frontiera cinese. Presto la Grande Muraglia e la città di Pechino in cui il treno, con una puntualità assoluta si ferma al binario. Estate e inverno, questi sei giorni e queste sei notti passano ad una velocità incredibile, a una media di 100 km all’ora. Lontano dagli insipidi TGV francesi, quest’elogio viaggiante della lentezza che, tuttavia, ai suoi tempi fu un simbolo di velocità e di modernità, lascia dietro di sé la noia e la monotonia. Qui non ci sono gadget, né lussuosi vagoni o prodotti derivati. Solo la vita e l’imprevisto degli incontri.
Se ancora una volta fosse ancora necessario dimostrare la giustezza delle parole di Stevenson, l’importante non è la destinazione, ma la deambulazione, di cui questo treno rimane uno dei simboli viventi.
Patrick Bard
Diario di viaggio - estratti
Domenica 3 febbraio
«Un’intera umanità si accalca lungo il binario, all’ombra del palo "km 0" della Transiberiana.
Un cartello annuncia, laconico : « Vladivostok : 9 289 km. Treno Rossiya. Partenza: h.16.27»
Ed eccoci sistemati nella carrozza n° 7. Prima classe. Due cuccette. Tende di nylon. Due tazze nel loro ricettacolo di metallo. I provodnitsas ci distribuiscono lenzuola e salviette, mentre il treno si muove attraverso le interminabili periferie moscovite sulle quali già cala la notte.
h.19.34. Prima fermata, Vladimir. Le fiancate del treno luccicano come i fianchi di un levriero sudato. Il rosso sangue del fanale posteriore macchia la neve. Un po’ più lontano, poco dopo, Gorki. 1980. L’esilio di Sakharov. La radio dello scompartimento trasmette crepitando Emmanuelle di Pierre Bachelet, in una versione di musica d’ascensore.
Su questo treno fa un caldo da morire. Cullati dal dondolio regolare delle carrozze, con l’intima sensazione di essere protetti dall’inverno che morde il buio là fuori, con la dolce luce del faretto di lettura sulle pagine del libro, gli occhi si chiudono.»
Lunedì 18 febbraio
«Mentre viaggiamo da giorni e notti, e abbiamo perso la nozione del tempo, mentre, dopo aver attraversato due continenti, ci sembra che questo treno non arriverà mai al capolinea, in pochi minuti tutto è finito.
Eccoci sul binario, giunti stupidamente a destinazione. Nessun cerimoniale. (…/…) Un po’ smarriti e stravolti, ci lasciamo trasportare dalla folla fino alle gallerie della Stazione centrale, in mezzo alle urla dei facchini. Vorremmo rimanere lì, attardarci davanti a questo lungo serpente di metallo, quest’elogio vivente della lentezza. E persino, risalire sul treno. Siamo colti dal desiderio di fonderci, di diluirci nel viaggio.
Sul piazzale, il brulichio è uno choc dopo le solitudini siberiane, dopo gli orizzonti infiniti del Baikal e delle steppe. Emergendo dal bozzolo del nostro scompartimento, lasciamo dietro di noi gli orpelli dell’inverno. Qui, gli alberi sono già in fiore. Dopo 7867 chilometri, il treno numero 4 si è accostato con assoluta puntualità al binario, alle h.15.33 esatte.»
Mercoledì 20 giugno
«h. 22.30. Piazza delle tre stazioni. I viaggiatori affluiscono in mezzo a piramidi di valigie e di cartoni. Un ragazzino si impegna a sollevare un pacco troppo pesante per lui. E dal momento che non cammina abbastanza in fretta, il capo facchino gli molla una sonora sberla. Sguardo carico di odio del bambino. Ha pianto. I binari della stazione di Laroslay sono bagnati. Sono le 23 passate e il crepuscolo si protrae. Un’orda di mercanti mongoli spinge per accedere al treno mentre un soldato di leva tenta di contenerli. I venditori si riversano ovunque con i loro enormi fagotti. Se impediscono loro di entrare dai marciapiedi, attraversano i binari.
Urla, baruffe, invettive, insulti, i circa cinquecento passeggeri si imbarcano alla bell’è meglio sul Transmongoliano, direzione Oulan-Bator.
La seconda classe assomiglia ai treni delle colonie di vacanza della mia infanzia, ai treni dei soldati. Manca solo la foto in bianco e nero di Rocamadour sotto la rete portabagagli»
«I Transiberiani»
Il plurale qui è d’obbligo, perché Transiberiani lo sono tutti. Attraversano la Siberia per un tratto comune fino a Zaudinsky, poco dopo Oulan-Oudé, la capitale della Buriazia. Partono tutti dalla stazione di Laroslav, a Mosca.
Il tragitto più lungo (9289 chilometri in una settimana) si effettua a bordo del Rossiya, tra Mosca e Vladivostok, sulla costa del Pacifico, senza uscire dalla CEI.
Il Vladivostok-Mosca ha il numero 1 e il Mosca-Vladivostok ha il numero 2.
Il Transmongoliano, invece, collega la capitale russa a Pechino passando per Oulan-Bator e la Mongolia.
Il Pechino-Mosca ha il numero 3, e il Mosca-Pechino il numero 4.
I treni numero 5 e 6 collegano Mosca a Oulan-Bator, via Irkoutsk.
Infine, il Transmanciuriano collega Mosca a Pechino senza attraversare la Mongolia e ferma ad Harbin, in Manciuria. Ha i numeri 19 e 20.
Il treno espresso numero 2 parte da Mosca-Laroslav nei giorni dispari. Il numero 4 tutti i martedì.
Il treno espresso numero 6, quello prediletto dai commercianti mongoli, i quali lo riempiono fino al tetto con i loro fagotti di merce, parte ogni mercoledì da Laroslav.
Quanto al treno numero 20, arriva a Pechino tutti i venerdì.
Il treno più comodo è indubbiamente quello del martedì, il numero 4 Mosca-Pechino, dotato di docce.
Il biglietto non prevede fermate. Quindi conviene acquistare, ad ogni tratta, i biglietti per i tragitti seguenti, o pianificare il viaggio in anticipo e acquistare tutti i titoli di viaggio prima di salire sul treno.
Durante il viaggio invernale, nel febbraio del 2002, abbiamo presso successivamente il treno russo Rossiya (Mosca-Vladivostok) fino a Irkoutsk, poi il treno cinese (Mosca-Pechino) fermandoci a Koultouk, Slioudianka e Oulan Bator, con, come destinazione finale, la capitale del medio Impero.
In estate abbiamo viaggiato a bordo del Transmongoliano (treno del mercoledì, Mosca-Oulan-Bator), poi, dopo la sosta in Mongolia, abbiamo proseguito fino a Pechino a bordo del treno cinese.
Biografia
Nato nel 1958, a Montreuil-sous-Bois, Patrick Bard collabora con l’agenzia Editing dal 1990. Fotografo e scrittore, ha pubblicato i suoi lavori sulla stampa francese e internazionale, soprattutto quelli sulla frontiera americo-messicana a cui ha già dedicato varie mostre e un libro edito da Marval, « El Norte ». Nel 2002 ha pubblicato, edito da Autrement, « Mongolie : le vertige horizontal ». I suoi lavori fotografici sulla periferia sono stati esposti al Centro Georges Pompidou, alla Grande Halle di La Villette e nelle Gallerie fotografiche della Fnac. Sono stati oggetto di numerose monografie. Il suo primo romanzo, « La frontière » è stato pubblicato da Editions du Seuil. Ha vinto il premio Polar Michel Lebrun 2002.
26
luglio 2006
Patrick Bard – La Transiberiana
Dal 26 luglio al 07 settembre 2006
fotografia
Location
FNAC
Milano, Via Torino, (Milano)
Milano, Via Torino, (Milano)
Orario di apertura
Lun-sab: dalle 9.30 alle 20
Domenica: dalle 10 alle 20
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