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Patrizia Deambrogio – Pita
A Conzano (Al) le sale settecentesche di Villa Vidua accolgono dal 7 al 28 settembre 2014 una mostra antologica di Patrizia Deambrogio, per tutti Pita. E PITA non poteva che essere il titolo dell’esposizione, la sintesi del percorso, breve ma intenso, di un’artista che ha saputo raccontare con le tecniche più disparate la fragilità dei nostri tempi, filtrandoli attraverso la lettura disincantata delle proprie inquietudini e dei propri sogni.
Comunicato stampa
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A Conzano (Al) le sale settecentesche di Villa Vidua
accolgono dal 7 al 28 settembre 2014 una mostra
antologica di Patrizia Deambrogio, per tutti Pita. E PITA
non poteva che essere il titolo dell’esposizione, la sintesi
del percorso, breve ma intenso, di un’artista che ha saputo
raccontare con le tecniche più disparate la fragilità dei
nostri tempi, filtrandoli attraverso la lettura disincantata delle
proprie inquietudini e dei propri sogni.
Nata a Varallo Sesia nel 1952, Patrizia Deambrogio
trascorre la giovinezza a Casale Monferrato e frequenta
nella seconda metà degli anni ‘60 lo storico Liceo Artistico
di Via Accademia Albertina a Torino in un clima di grande
fermento sociale e culturale che coinvolge studenti e
professori. Due insegnanti in particolare, Mauro Chessa e
Francesco Casorati, lasciano in lei un segno indelebile.
Trasferitasi a Milano si laurea in Architettura e si dedica
all’insegnamento. Entra in contatto con il movimento
femminista ed inizia ad interpretare, attraverso il disegno, la
complessa realtà del momento.
Le sue strisce essenziali e fulminanti sul mondo femminile,
che non ha mai smesso di esplorare, le valgono nel 1987
il 1° premio disegnatrici umoristiche “Leggere donna” a
Ferrara.
Nei primi anni 80 è a Pienza dove inizia a sperimentare
nuove forme espressive nella bottega di ceramica aperta dal
marito, Dino Cusanno. La Toscana l’incanta ma al contempo
sente il peso della perfezione che la circonda. Inizia a
parlarne in forma di racconto e in quadri di dilatata solitudine
Nel 1987 torna a Casale ed è quello il momento più
prolifico. Lavora assiduamente con il Magico Teatro, si
dedica ai laboratori per ragazzi, allestisce mostre, progetta
installazioni. Il suo buen retiro è la vecchia casa di famiglia di
Frassinello, irrinunciabile crogiuolo di affetti e creatività.
Tutto finisce nel 2004.
Questo scarno riassunto di una vita si rende necessario
per inquadrare i vari periodi della sua ricerca, ognuno
strettamente legato ad un luogo. Torino, Milano, Pienza,
Casale Monferrato sono state per Pita tappe fondamentali,
snodi d’esistenza. Ed è seguendo questo stesso percorso
che si articola la mostra di Villa Vidua, un viaggio a ritroso
compiuto con lei e grazie a lei, tra segni e colori, carte
trasparenti e sovrapposte, tele grezze, materiali di recupero
utilizzati con estrema levità ed eleganza. Pita riusciva a dare
dignità ad una tessera di mosaico, ad uno spartito strappato,
ad un chiodo arrugginito. Non collezionava, raccoglieva.
E lo faceva in modo sistematico, privilegiando ciò che gli
altri avrebbero scartato. Come dal cilindro del prestigiatore
estraeva da scatole e cassetti pochi elementi, li assemblava
e ne faceva un’opera, spesso accompagnata da brevi
pensieri mai descrittivi, sempre integranti.
Scrive il critico d’arte Massimo Olivetti nella presentazione
in catalogo: “La parola che più sento vicina a definirla
è poetessa, una poetessa che cercava di dipanare i fili
del proprio essere dentro una trama pluridimensionale.
Guardava la Luna dentro il pozzo e si stupiva che pur
così vicina fosse irraggiungibile. Così si può capire come
non fosse possibile per lei sottostare ad una sola forma
espressiva, ad un’unica tecnica, ad un solo linguaggio.”
I molteplici linguaggi di Pita riproposti a Villa Vidua
comprendono – e non è che un elenco sommario - i fogli
che indagano ora con ironia, ora con amarezza, il rapporto
uomo – donna, le tavole della “Settima Luna” ispirate alla
canzone di Lucio Dalla, la tenera favola del Porcospino, le
scatole che ospitano storie surreali sospese su tele quasi
astratte, le sirene dalla coda bifida, simbolo di un femminile
diviso tra istinto e ragione, i quadri dei tavoli e delle teiere
volanti, le tele verticali, così essenziali da escludere persino
il telaio. E ancora ceramiche e piatti dipinti, un teatrino
istoriato per il Magico Teatro, la riproposta di un’installazione
ed “il Pendolo del Non Tempo” che scandisce soltanto le ore
dell’ispirazione e della pittura.
La mostra è integrata inoltre da una sezione multimediale,
in cui verranno proiettati il primo lavoro video di ricerca di
Patrizia e due libri illustrati sfogliati virtualmente altrimenti di
difficile consultazione per il pubblico.
Per meglio conoscere Pita si consiglia di entrare nel blog,
ideato da Francesco Cusanno, autore del testo “Mia mamma
era un’artista”.
accolgono dal 7 al 28 settembre 2014 una mostra
antologica di Patrizia Deambrogio, per tutti Pita. E PITA
non poteva che essere il titolo dell’esposizione, la sintesi
del percorso, breve ma intenso, di un’artista che ha saputo
raccontare con le tecniche più disparate la fragilità dei
nostri tempi, filtrandoli attraverso la lettura disincantata delle
proprie inquietudini e dei propri sogni.
Nata a Varallo Sesia nel 1952, Patrizia Deambrogio
trascorre la giovinezza a Casale Monferrato e frequenta
nella seconda metà degli anni ‘60 lo storico Liceo Artistico
di Via Accademia Albertina a Torino in un clima di grande
fermento sociale e culturale che coinvolge studenti e
professori. Due insegnanti in particolare, Mauro Chessa e
Francesco Casorati, lasciano in lei un segno indelebile.
Trasferitasi a Milano si laurea in Architettura e si dedica
all’insegnamento. Entra in contatto con il movimento
femminista ed inizia ad interpretare, attraverso il disegno, la
complessa realtà del momento.
Le sue strisce essenziali e fulminanti sul mondo femminile,
che non ha mai smesso di esplorare, le valgono nel 1987
il 1° premio disegnatrici umoristiche “Leggere donna” a
Ferrara.
Nei primi anni 80 è a Pienza dove inizia a sperimentare
nuove forme espressive nella bottega di ceramica aperta dal
marito, Dino Cusanno. La Toscana l’incanta ma al contempo
sente il peso della perfezione che la circonda. Inizia a
parlarne in forma di racconto e in quadri di dilatata solitudine
Nel 1987 torna a Casale ed è quello il momento più
prolifico. Lavora assiduamente con il Magico Teatro, si
dedica ai laboratori per ragazzi, allestisce mostre, progetta
installazioni. Il suo buen retiro è la vecchia casa di famiglia di
Frassinello, irrinunciabile crogiuolo di affetti e creatività.
Tutto finisce nel 2004.
Questo scarno riassunto di una vita si rende necessario
per inquadrare i vari periodi della sua ricerca, ognuno
strettamente legato ad un luogo. Torino, Milano, Pienza,
Casale Monferrato sono state per Pita tappe fondamentali,
snodi d’esistenza. Ed è seguendo questo stesso percorso
che si articola la mostra di Villa Vidua, un viaggio a ritroso
compiuto con lei e grazie a lei, tra segni e colori, carte
trasparenti e sovrapposte, tele grezze, materiali di recupero
utilizzati con estrema levità ed eleganza. Pita riusciva a dare
dignità ad una tessera di mosaico, ad uno spartito strappato,
ad un chiodo arrugginito. Non collezionava, raccoglieva.
E lo faceva in modo sistematico, privilegiando ciò che gli
altri avrebbero scartato. Come dal cilindro del prestigiatore
estraeva da scatole e cassetti pochi elementi, li assemblava
e ne faceva un’opera, spesso accompagnata da brevi
pensieri mai descrittivi, sempre integranti.
Scrive il critico d’arte Massimo Olivetti nella presentazione
in catalogo: “La parola che più sento vicina a definirla
è poetessa, una poetessa che cercava di dipanare i fili
del proprio essere dentro una trama pluridimensionale.
Guardava la Luna dentro il pozzo e si stupiva che pur
così vicina fosse irraggiungibile. Così si può capire come
non fosse possibile per lei sottostare ad una sola forma
espressiva, ad un’unica tecnica, ad un solo linguaggio.”
I molteplici linguaggi di Pita riproposti a Villa Vidua
comprendono – e non è che un elenco sommario - i fogli
che indagano ora con ironia, ora con amarezza, il rapporto
uomo – donna, le tavole della “Settima Luna” ispirate alla
canzone di Lucio Dalla, la tenera favola del Porcospino, le
scatole che ospitano storie surreali sospese su tele quasi
astratte, le sirene dalla coda bifida, simbolo di un femminile
diviso tra istinto e ragione, i quadri dei tavoli e delle teiere
volanti, le tele verticali, così essenziali da escludere persino
il telaio. E ancora ceramiche e piatti dipinti, un teatrino
istoriato per il Magico Teatro, la riproposta di un’installazione
ed “il Pendolo del Non Tempo” che scandisce soltanto le ore
dell’ispirazione e della pittura.
La mostra è integrata inoltre da una sezione multimediale,
in cui verranno proiettati il primo lavoro video di ricerca di
Patrizia e due libri illustrati sfogliati virtualmente altrimenti di
difficile consultazione per il pubblico.
Per meglio conoscere Pita si consiglia di entrare nel blog,
ideato da Francesco Cusanno, autore del testo “Mia mamma
era un’artista”.
06
settembre 2014
Patrizia Deambrogio – Pita
Dal 06 al 28 settembre 2014
arte contemporanea
Location
VILLA VIDUA
Conzano, Via Francesco Don Oddone, 5, (Alessandria)
Conzano, Via Francesco Don Oddone, 5, (Alessandria)
Orario di apertura
sabato e domenica: 10 -12 / 15 -19
altre visite sono possibili su appuntamento
Vernissage
6 Settembre 2014, h 18.30
Autore
Curatore