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Patrizia Nicolosi – Tutte si muovono le foglie del bosco / Nel velarsi l’antico gesto di una donna (… e ogni storia viene sempre dopo)
Lungo lo svolgersi dei 3 tomi del libro “Tutte si muovono le foglie del bosco”, ho provato a scrivere qualche considerazione nel merito della mia vita d’artista. Quel tanto che potesse inquadrare alcune contraddizioni nelle quali sono incappata:alla dualità fra architettura e fotografia…
Comunicato stampa
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Come lavoro ho fatto l’architetta. La fotografia è stata una passione aggiunta che, piano piano, mi ha preso la mano. Di certo io sono convinta che l’immagine fotografica non testimoni la realtà, piuttosto la interpreti. La si usa spesso, fra gli architetti, come foto segnaletica di un’avvenuta costruzione. Ma ciò è del tutto subordinato dall’essere,l’immagine, un autonomo giudizio di merito. Ci tengo a dirlo subito. Questo è un punto fermo per me. I miei scatti sono altro dalla mia architettura.
Mi piace pensare che le mie foto, anziché raccontare una loro chiusa verità, possano essere percepite come un’impalcatura di domande che, poste nel bel mezzo del fare architettura, non ne chiudano il discorso, bensì lo riaprano: partecipando alla costruzione di un’idea, non santificando quello che è fatto (o sembra solo esserlo, vista l’incessante mutazione sia dell’idea che del segno).
E poi mi misuro, per la prima volta, con ritratti in posa in studio, donne comuni, amiche, che fanno e ripetono e ripetono ancora i gesti consueti del mettersi il velo.Avevo cominciato questo lavoro attorno al velo e la donna oggi, cercando di indagare, come fotografa, il rapporto fra il volto di una qualsiasi donna e il pezzo di una qualsiasi stoffa che ne diviene il copricapo.
Se possibile lontano da quel dibattito violento attorno al diritto al velo che, mi preme dirlo subito, non prevede per me oggi e nella maniera più assoluta, il divieto al velo. Facevo affidamento a quello statuto di libertà che viene attribuito all’atto artistico ovunque la parola civiltà abbia la forza e la capacità di declinarsi. Lontano da parole spesso abusate, dove per libertà mi accontenterei di incrociare la liberazione (o la sospensione) da quanti più pregiudizi possibile. Attimo di reciproca fiducia per l’artista prima, per i fruitori poi (nell’infinita varietà di culture, sensibilità, private debolezze). Una specie di diritto di transito concesso anche a quella immagine, anche se costretta a testimoniare di contraddizioni e oscenità irrisolte. Così facendo, e nel corso del lavoro, mi sono accorta che la mia attenzione veniva mano a mano catturata non tanto dall’oggetto, quanto dai gesti che conducono alla costruzione dell’oggetto. Parliamo di quei gesti che la donna compie nel preparare, avvolgere, sistemare il velo sulla propria testa, con le mani e le braccia che recitano una loro commedia di fronte a un volto che è tutto fuorché in posa (anche in un set fotografico). Ogni donna, nell’attimo senza tempo durante il quale si vela, esprime con tutta evidenza ciò che sta per avvenire. O forse no. Comunque lei non è assente ed è sicuramente concentrata sulla propria femminilità. Mi sono così ritrovata, partendo dall’ingarbugliata vicenda del diritto a velo, a dire a me stessa: guardate, siamo di fronte a un gesto così antico e così associato alla donna (ci sono anche uomini, bellissimi, con il turbante), che ogni storia, ogni sovrastruttura viene dopo. Il pregiudizio, nel caso, una stupidaggine in sé.
Mi piace pensare che le mie foto, anziché raccontare una loro chiusa verità, possano essere percepite come un’impalcatura di domande che, poste nel bel mezzo del fare architettura, non ne chiudano il discorso, bensì lo riaprano: partecipando alla costruzione di un’idea, non santificando quello che è fatto (o sembra solo esserlo, vista l’incessante mutazione sia dell’idea che del segno).
E poi mi misuro, per la prima volta, con ritratti in posa in studio, donne comuni, amiche, che fanno e ripetono e ripetono ancora i gesti consueti del mettersi il velo.Avevo cominciato questo lavoro attorno al velo e la donna oggi, cercando di indagare, come fotografa, il rapporto fra il volto di una qualsiasi donna e il pezzo di una qualsiasi stoffa che ne diviene il copricapo.
Se possibile lontano da quel dibattito violento attorno al diritto al velo che, mi preme dirlo subito, non prevede per me oggi e nella maniera più assoluta, il divieto al velo. Facevo affidamento a quello statuto di libertà che viene attribuito all’atto artistico ovunque la parola civiltà abbia la forza e la capacità di declinarsi. Lontano da parole spesso abusate, dove per libertà mi accontenterei di incrociare la liberazione (o la sospensione) da quanti più pregiudizi possibile. Attimo di reciproca fiducia per l’artista prima, per i fruitori poi (nell’infinita varietà di culture, sensibilità, private debolezze). Una specie di diritto di transito concesso anche a quella immagine, anche se costretta a testimoniare di contraddizioni e oscenità irrisolte. Così facendo, e nel corso del lavoro, mi sono accorta che la mia attenzione veniva mano a mano catturata non tanto dall’oggetto, quanto dai gesti che conducono alla costruzione dell’oggetto. Parliamo di quei gesti che la donna compie nel preparare, avvolgere, sistemare il velo sulla propria testa, con le mani e le braccia che recitano una loro commedia di fronte a un volto che è tutto fuorché in posa (anche in un set fotografico). Ogni donna, nell’attimo senza tempo durante il quale si vela, esprime con tutta evidenza ciò che sta per avvenire. O forse no. Comunque lei non è assente ed è sicuramente concentrata sulla propria femminilità. Mi sono così ritrovata, partendo dall’ingarbugliata vicenda del diritto a velo, a dire a me stessa: guardate, siamo di fronte a un gesto così antico e così associato alla donna (ci sono anche uomini, bellissimi, con il turbante), che ogni storia, ogni sovrastruttura viene dopo. Il pregiudizio, nel caso, una stupidaggine in sé.
15
gennaio 2018
Patrizia Nicolosi – Tutte si muovono le foglie del bosco / Nel velarsi l’antico gesto di una donna (… e ogni storia viene sempre dopo)
Dal 15 gennaio al 02 febbraio 2018
architettura
fotografia
fotografia
Location
AOCF58 – GALLERIA BRUNO LISI
Roma, Via Flaminia, 58, (Roma)
Roma, Via Flaminia, 58, (Roma)
Orario di apertura
dal lunedì al venerdì ore 16.30 - 19.00 (chiuso sabato e festivi)
Vernissage
15 Gennaio 2018, h 18.00
Autore
Curatore