Create an account
Welcome! Register for an account
La password verrà inviata via email.
Recupero della password
Recupera la tua password
La password verrà inviata via email.
-
- container colonna1
- Categorie
- #iorestoacasa
- Agenda
- Archeologia
- Architettura
- Arte antica
- Arte contemporanea
- Arte moderna
- Arti performative
- Attualità
- Bandi e concorsi
- Beni culturali
- Cinema
- Contest
- Danza
- Design
- Diritto
- Eventi
- Fiere e manifestazioni
- Film e serie tv
- Formazione
- Fotografia
- Libri ed editoria
- Mercato
- MIC Ministero della Cultura
- Moda
- Musei
- Musica
- Opening
- Personaggi
- Politica e opinioni
- Street Art
- Teatro
- Viaggi
- Categorie
- container colonna2
- container colonna1
per neon>fdv
un sistema architettonico di memoria artificiale sui generis composto da idee, fotografie, video, letture, teorie, intuizioni raccolte e disposte in due ordini architettonici giustapposti a capriccio o invenzione manierata da aurelio andrighetto
Comunicato stampa
Segnala l'evento
per neon>fdv è un sistema architettonico di memoria artificiale sui generis composto da idee, fotografie, video, letture, teorie, intuizioni raccolte e disposte in due ordini architettonici giustapposti a capriccio o invenzione manierata da aurelio andrighetto.
Il primo ordine è composto da due fotografie di Giulio Paolini esposte a parete e un video di Marco Belpoliti proiettato nel vano interno di una libreria, insieme a una scelta di testi sul vedere messi a disposizione del pubblico per la consultazione. Un tavolo completa l’esposizione trasformando lo spazio espositivo in una biblioteca.
Sul primo ordine poggia il secondo: il tavolo che servirà da piano per i materiali e le idee presentate, discusse e prodotte in modo sincrono o asincrono sul posto o a distanza, nel corso di successivi incontri sul tema proposto dall’esposizione: lo scambio tra fotografia, video e scrittura.
L’indipendenza dei due ordini giustapposti sulla linea orizzontale del tavolo, skyline di un nuovo paesaggio mentale, è contrassegnata dalla scansione temporale in cui si susseguono gli eventi e dalla suddivisione dello spazio in cui si collocano, richiamando la complessità con la quale lo spazio e il tempo vengono diversamente impiegati per la conservazione e l’impiego della memoria.
ESPOSIZIONE 16.11.06 ore 18:30
Tutti i raggi luminosi che attraversano il sistema ottico di una fotocamera e di una videocamera sono rifratti, sono cioè deviati in modo tale da poter ricomporre l’immagine in una logica prospettica e focale, ma i raggi periferici rischiano varie aberrazioni sferiche, caustiche e cromatiche, rischiano cioè la distorsione e la dispersione. Alla dispersione sono destinati anche tutti gli altri una volta che si rinunci appositamente alla focalizzazione, sfruttando i ritardi della messa a fuoco automatica, come nel caso del video girato da Marco Belpoliti. L’ottica di rifrazione studiata per focalizzare il raggio visivo e luminoso è dunque la stessa che provoca la sua dispersione con effetti di evanescenza e pulviscolarità. Lo sguardo eccentrico che caratterizza gran parte della nostra cultura visiva è complementare a quello concentrico e focale. Emblematico a questo riguardo è il lavoro di Italo Calvino che scruta il mondo attraverso la scrittura, come lo si potrebbe scrutare attraverso un dispositivo ottico. Ogni messa a fuoco dell’oggetto, sia esso un formaggio, un riflesso sul mare o un seno nudo, è accompagnato da una rifrazione della sua descrizione in una varietà di possibili descrizioni.
L’accostamento del dittico fotografico di Giulio Paolini al video con libreria di Marco Belpoliti segnala la complessità del vedere in rapporto al modo in cui le tecniche di produzione e percezione visiva scambiano con quelle di scrittura e lettura. Lo segnala richiamando il mito del raggio che ancora domina la nostra cultura visiva.
Avvicinandosi per contrastare il movimento di apertura dello zoom e allontanandosi per contrastare quello di chiusura, Belpoliti avanza e indietreggia a rapidi passi parando e deviando come uno schermidore lo stesso raggio visivo e luminoso che nel dittico fotografico di Paolini perfora lo studio da parte a parte.
Il raggio si rifrange per focalizzarsi concentricamente o per disperdersi eccentricamente, come la stessa proposta espositiva, destinata a rifrangersi e disperdersi negli incontri che seguiranno.
PRIMO INCONTRO 22.11.06 ore 18:30
Una serie di interventi dal vivo e in diretta accostati a videoproiezioni, trasmissioni di testi e immagini, letture, proposte di ascolto... un fluire alluvionale di voci, immagini, suoni che trasporta opinioni e interrogativi, un pensiero per immagini e parole in piena che sradica lungo gli argini e smuove sul fondo.
>
Alcune fotografie possono essere esposte senza un orientamento privilegiato. Questo vale solo per le fotografie con più punti di vista che possono essere viste anche se capovolte. Alcune di queste, stampate da Constantin Brancusi, sono state esposte al Peggy Guggenheim di Venezia su delle basi semitrasparenti in perspex. Il curatore della mostra Paola Mola ha fotografato l’allestimento restituendo, insieme alla circolarità dello sguardo suggerita dall’esposizione, la percezione dell’orizzonte liquido, a pelo del quale lo stampatore vede apparire l’immagine in camera oscura. All’orizzonte da percorrere con lo sguardo in linea retta da un punto all’altro della parete o della bacheca, come da un punto all’altro della pagina scritta, la proposta espositiva oppone l’orizzonte da percorrere circolarmente, all’infinito. A tutto questo aggiunge anche la meraviglia dell’apparizione in camera oscura, suggerita dai piani obliqui di luce rifratta che galleggiano sopra le basi semitrasparenti in perspex, insieme alle fotografie.
La proposta espositiva rompe lo schema visivo dell’esposizione verticale a parete e a bacheca riferito alla lettura della pagina scritta, ma la “postfazione fotografica” alla mostra, montata da Aurelio Andrighetto, Andrea Balossi e Francisca Parrino riapre l’intera questione presentandosi come testo visivo che problematizza ulteriormente le modalità di lettura e visione.
>
Leo Steinberg indica i flatbed (piani di stampa) orizzontali riferendosi alla composizione tipografica e al piano del tavolo, al pari del pavimento dello studio e a qualsiasi altra superficie su cui vengano raccolti oggetti e sparsi dati, come paradigma della “visione orizzontale” opposta a quella “verticale”.
Partendo da questi riferimenti e da alcune sue originali osservazioni sul Cubismo, Elio Grazioli costruisce un percorso di lettura della modernità sulla base del quale sono stati raccolti e “impaginati” con l’aiuto di Aurelio Andrighetto, Dario Bellini e Gianluca Codeghini, vari contributi di artisti, critici, storici dell’arte e intellettuali per il numero zero di una rivista di cui si annuncia la prossima uscita.
Una rivista che non è cartacea e neppure digitale. Un incontro dal vivo con il pubblico su temi che incrociano storia dell’arte, riflessioni sul fare artistico e critico con stratificazioni visive e testuali. Una serie scandita di brevi interventi con inserti musicali, videoproiezioni, trasmissioni di testi e immagini in diretta e altro.
>
Con un gioco complesso di aperture e chiusure, di sguardi e di transiti tra scrittura e immagine dipinta, filmata, disegnata e scolpita vengono messi a confronto due testi: il saggio Figura di schiena di Luigi Grazioli dedicato alla rappresentazione delle figure viste di schiena in pittura, pubblicato da Bacacay, e l’esperimento di scrittura Volumen – MR1 di Aurelio Andrighetto, pubblicato nel numero 45 di Nuova Prosa con un montaggio di immagini che dalla pagina scritta si trasferiscono al video e viceversa.
Due testi con i quali si problematizza il rapporto tra immagine e scrittura. Nel primo caso con una scrittura dell’immagine, con una sua estenuazione testuale che la dipana, la scioglie in un discorso liberamente composto da narrazioni, divagazioni a sfondo filosofico e da spunti autobiografici indiretti e divertiti; nel secondo caso con un esperimento video di scrittura cancellato e riscritto ad ogni proiezione, un palinsesto annotato in margine con alcune considerazioni sul rapporto tra immagine e parola.
>
“Io credo che lo sforzo di Gorret sia quello di svuotare le parole, diciamo così, d’una ben precisa direzione significativa, in modo che possano apparire come tracce ritmiche, movimenti della mano, eco dell’orecchio”. Così Gianni Celati presenta la scrittura ritmica e musicale di Daniele Gorret, una poesia narrativa o “ballata”, come la definisce l’autore. Ballata dei tredici mesi pubblicato da Garzanti è infatti il titolo del suo penultimo libro. In “ballate” è suddiviso anche Venticinque modi per morire pubblicato da End.
Per la Venticinquesima maniera di morire Gianluca Codeghini e Stefano Brizzi propongono una ri-lettura musicale del testo. In Correggere lo stupore le parole sono private di una “precisa direzione significativa” e sembrano girare a vuoto, togliendo prevedibilità e aspettativa all’ascolto.
>
Giuseppe Chiari invierà via fax delle frasi da riprodurre e distribuire tra i presenti. Una di queste contiene un refuso, una svista: Quit Classic Music invece che Quit Classical Music a causa della quale è stata restituita al mittente dal direttore del museo al quale Chiari l’aveva inviata. È un errore grammaticale che Chiari non ha voluto correggere.
Le parole impiegate per comporre la frase sono disposte tipograficamente sul foglio. Quit, Classic, Music sono impaginate a bandiera sul corpo del nome dell’autore, come dei tasti irregolari sul corpo del pianoforte. Irregolarità dei suoni generati da percussioni e sfregamenti sul piano, irregolarità con la quale il segno è messo alla prova non solo al confine tra grafica e scrittura ma anche tra visione e ascolto. E in funzione di critica sociale.
Il cigolio delle finestre con il quale Chiari modifica l’intensità della luce e il modo di percepirla nello studio di Turi Simeti a Milano nel ‘75 è interrotto dai colpi di bastone sui pilastri (courtesy Giancarlo Denti - associazione culturale La Meridiana), richiamando le linee tratteggiate di rumore disegnate e suonate con un bastone lungo una cancellata. Tratteggio di rumore con il quale si liberano i suoni dall’obbedienza imposta loro dalla circolazione ordinata del traffico cittadino.
Sull’impaginazione grafica e pittorica del testo che tende a soffocare l’eco residuo della lingua, che pur resiste, Amedeo Martegani mette a disposizione una selezione di articoli, saggi e cataloghi estratti dall’archivio di a+m bookstore.
>
Ex Eden Rock di Gabicce Monte, workshop che precede l’incontro con il pubblico. La conversazione sul rapporto tra aratura e scrittura è interrotto dall’arrivo di Paolo Rosa che si unisce in ritardo al gruppo dei relatori (Aurelio Andrighetto, Giordano Berti, Giulio Calegari, Enzo Fabbrucci, Katia Migliori e Luigi Pellini).
Con una cesura, vale a dire con una interruzione o pausa ritmica che modula i tempi e la distanza, Paolo Rosa riarticola la discussione, adattandola al progetto per neon>fdv con uno spostamento dell’intero registro.
SECONDO INCONTRO 28.11.06 ore 18:30
a cura di Gino Gianuizzi
altri interventi dal vivo e in diretta. testimonianze raccolte in video. testi e letture. immagini proiettate.
>
Alberto Zanazzo, Giovanni Mazzitelli, com.plot.city' Massimo Mazzone e Nicoletta Braga
CH-Ailleur – Quaderni dell’altrove
O.Q. – Del dicibile/indicibile - numerabile/innumerabile tra la chimica dell’idrogeno e del carbonio, tra Hermes e Chrono.
Pre-testo: un giocattolo di produzione cinese che, grazie a un piccolo campo elettromagnetico (e alla forza di gravità) produce le evoluzioni di due acrobati. Già l’etimologia - akros alto, cima, estremità, punta, e batew, io vado / vado in punta di piedi – prefigura la metafora di un cammino rischioso: quale è il limite entro il quale perdura un equilibrio, prima di esaurirsi e lasciare spazio a un altro equilibrio? O anche, più semplicemente, dal punto di vista dell’osservatore, come porsi davanti al giocattolo? Solo guardandone incantati le evoluzioni? O cercando di capirne leggi e geometrie, di pre-vedere le evoluzioni delle due figurine circensi?
Le leggi della fisica, la teoria del caos, il calcolo delle probabilità, la geometria dei frattali, possono aiutarci a studiare il piccolo sistema caotico-entropico (la batteria che alimenta il campo magnetico, prima o poi si esaurisce) un sistema chiuso che, per la posizione di partenza e altri parametri tra cui le mutevoli condizioni - anche ambientali - in cui si svolge l’esperimento, ha possibilità dinamiche al tempo stesso finite e indefinite. Come suggerisce la stessa struttura dell’insieme di Mandelbrot. Quel che è certo è che, nella dimensione temporale, c’è sempre una frazione, un momento giusto perché una certa acrobazia si compia in un determinato modo e perché un fenomeno possa essere osservato.
Analogamente, anche se con variabili ed esiti difficilmente misurabili, esiste un momento opportuno (Kairós, Platone, Fedro) per pronunciare una parola, per poterla ascoltare e per dar vita a qualcosa. Ma come individuare l’eventuale ostacolo per il linguaggio, la roccia contro cui può infrangersi la vanga? Come riconoscere il limite tra dicibile e indicibile? È lecito ignorarlo e superarlo? Ed eventualmente, in che modo? Ma soprattutto, come individuare la giusta sintonia e come ri-comporre il senso di un corpo frammentato, nel tempo e nello spazio, tra idee, culture, identità, discipline, linguaggi - il corpo disseminato di un’Orfeo Quantistico? Come ri-conoscere un’armonia tra le parti, un denominatore comune, una forza unificatrice al di là di apparenze e differenze? Certo, prescindendo dai termini strettamente utilitaristici della necessità prepolitica (H. Arendt) e dagli automatismi istintuali, primitivi. Piuttosto, continuando a interrogarsi e a porre dubbi (la Natura, come il dio che dimora a Delfi, non svela né nasconde, ma parla per enigmi). Non rinunciando, dunque, a cercare - nonostante la consapevolezza dell’insolvibilità dell’equazione - una via d’uscita dal frattale di appartenenza, una prospettiva che sia in grado di dissolvere in filigrana, con filtraggi sempre più sottili, tanto la stasis quanto le dinamiche illusorie, i moti virtuali, per riconoscere e coltivare la conoscenza, la sapienza socratica, per non confonderla con la curiosità di Ulisse, dei turisti e dei professionisti dell’anima, che consumano ‘esperienze autentiche’ senza tregua, tra gite, trasferte di lavoro, evasioni più o meno eccitanti (Z. Bauman) magari ‘in cerca di se stessi’. Un’uscita come viaggio, come Ek-stasis, per tentare l’impossibile, e cioè dar forma, come potesse essere ‘ritagliato’ e compreso dallo sguardo, all’invisibile, all’imponderabile, al problema insolvibile (M. Cacciari).
La mia tendenza – dice Wittgenstein - … è stata di avventarsi contro i limiti del linguaggio. Questo avventarsi contro le pareti della nostra gabbia è perfettamente, assolutamente disperato. L’etica, in quanto sgorga dal desiderio di dire qualcosa sul significato ultimo della vita, il bene assoluto, l’assoluto valore, non può essere una scienza. Ciò che dice, non aggiunge nulla, in nessun senso, alla nostra conoscenza. Ma è un documento di una tendenza dell’animo umano che io personalmente non posso non rispettare profondamente e che non vorrei davvero mai, a costo della vita, porre in ridicolo.
Dafne - Del visibile/invisibile tra simmetria/asimmetria - onde/masse - materia/antimateria.
Pre-testo: un Acceleratore di particelle, denominato Dafne, entrato in funzione nel 1997 per generare mesoni K e mesoni anti-K. Riflessioni scientifiche di Giovanni Mazzitelli, ricercatore presso i Laboratori Nazionali di Frascati dell’INFN, nel campo della Fisica subnucleare (Video).
Il viaggio a ritroso nel tempo, nella memoria del Cosmo, che la fisica nucleare compie per studiare l’evoluzione della materia e l’origine dell’Universo. Ricerca del punto limite in cui si è determinata l’asimmetria tra materia e antimateria, dando origine al mondo che conosciamo; teoria del Modello Standard con sei tipi di leptoni e sei tipi di quark, raggruppati ciascuno in tre famiglie di particelle; tentativo di unificare le quattro Forze Fondamentali; ricerca del bosone di Higgs; Teoria delle Stringhe; particelle supersimmetriche e ricerca della Grande Unificazione o Teoria del Tutto.
>
Mauro Folci
Kadavergehorsam
Scheda etimologica – bottiglia di rosolio
Kadavergehorsam, parola ossimorica che conserva nell’etimo la storia di una prassi politica secolarizzata, tanto passata quanto presente.
Kadavergehorsam che vuol dire ‘obbedienza cadaverica’ è l’espressione usata dal nazista Eichmann durante il processo in Israele, ripresa da H. Arendt in La banalità del male, per descrivere lo stato di cieca obbedienza che colpì carnefici e vittime dell'olocausto.
Ci sono alcune parole che indubbiamente posseggono un peso specifico di senso aggiunto, capaci più di altre di raccontare storie, dire, evocare narrazioni, e kadavergehorsam, grazie anche ad un’ammaliante estetica fono-grafica, è certamente tra queste. L’analisi etimologica è uno storyboard della civiltà cristiana e occidentale: dall’obbedienza come quella di ‘un corpo morto’ di San Francesco ( Tommaso da Celano) che risponde alla Legge di Dio, al perinde ac cadaver (allo stesso modo di un cadavere) di S. Ignazio in riferimento all’ordine gerarchico ecclesiastico (controriforma), fino all’obbedienza cadaverica di Eichmann che descrive lo stato di ‘cieca obbedienza’ del popolo del terzo Reich alla Legge di Hitler. Un percorso che mostra come il processo di secolarizzazione abbia trasformato un concetto appartenente alla sfera spirituale, monastica, in categoria politica, o meglio, per essere più pertinenti alla contemporaneità, lo abbia trasposto in categoria economica: in un mondo plasmato dalla ragione produttiva, dalle leggi del mercato che riducono l’individuo a soggetto economico, in un contesto di liberalizzazione del mercato del lavoro e di competizione selvaggia, l’essere obbediente corrisponde a una condizione senza la quale si è privi dell’accesso.
Il collegamento con Warburg, oltre l’esilio condiviso con la Arendt, è nella scheda etimologica che somiglia, come strumento della memoria e dunque di conoscenza, e non escludendo la funzione politica delle genealogie foucaultiane, all’idea di archivio.
Kadavergehorsam è un lavoro del 2002 che qui presento in una versione ridotta alla sola scheda etimologica accompagnata da una bottiglia di rosolio.
Scheda etimologica a cura di Giuliano Ranucci (Letteratura Latina, Dipartimento di Filologia Classica, Università di Pisa)
Kadavergehorsam
Questo vocabolo è in tedesco un sostantivo di genere maschile, risultante dalla composizione di due altri sostantivi, entrambi di genere maschile: Kadaver (che nel composto ha funzione secondaria, in quanto determina l’altro sostantivo, quello principale) e Gehorsam: una traduzione approssimativa in italiano suona “obbedienza passiva e totale come quella di un cadavere”.
Gehorsam è parola a sua volta composta da un prefisso (Ge-), una radice (hor-) e un suffisso (-sam).
Il suffisso -sam compare frequentemente in tedesco nella formazione di nomi e aggettivi: più interessante appare invece analizzare le due altre componenti della parola in questione.
La radice hor- è la stessa che compare nel verbo hören = “ascoltare”. Allo stesso modo, in latino, il verbo oboedire (= “obbedire”) è una forma parallela di obaudire, termine composto dalla preposizione ob e dal verbo audire = “ascoltare”. In sostanza, l’obbedienza è sentita, in tedesco come in latino (e nelle lingue da esso derivate: cfr. l’italiano “obbedire”, il francese “obéir” ecc.). come conseguenza dell’aver bene udito l’ordine ricevuto.
Il prefisso ge-, in tedesco, dà ai sostantivi significato collettivo o iterativo (cioè di ripetizione). Nel caso di Gehorsam il valore del prefisso appare essere iterativo: l’obbedienza è dunque vista come un “ascoltare ripetutamente” o “abitualmente” gli ordini che si sono ricevuti, eseguendoli ogni volta.
Il vocabolo composto Kadavergehorsam non è una rarità in tedesco, tanto che il dizionario Bidoli-Cosciani (ed. Paravia), nella sezione tedesco-italiano, lo inserisce tra i lemmi (dato che in tedesco i possibili vocaboli composti sono praticamente infiniti, la scelta di inserirne uno in un dizionario è indizio che il suo uso è relativamente frequente).
Questo vocabolo è entrato nella lingua tedesca certamente per influsso della locuzione latina perinde ac cadaver (= “allo stesso modo di un cadavere”) che i Gesuiti usavano per definire con quale sottomissione un sottoposto deve obbedire al suo superiore. A loro volta, i Gesuiti mutuarono la similitudine da un passo della vita di San Francesco scritta da Tommaso da Celano (parte 2, cap. 112): il Santo, richiesto di un paragone che definisse il suo concetto di obbedienza, aveva citato l’esempio di un corpo morto.
È curioso come la lingua tedesca, per indicare un’obbedienza assoluta, abbia privilegiato la metafora del cadavere, mentre l’italiano ha scelto quella del cieco (il cadavere compare invece in altre similitudini più pertinenti, come per indicare il pallore, l’immobilità ecc.): noi diciamo “obbedienza cieca” (e, analogamente, i francesi parlano di “obéissance aveugle” e gl’inglesi di “blind obedience”).
Il luogo, in italiano suona diversamente dal topos greco; nel luogo ci sono lucus e lux, alludono al bosco, alla radura, al raggio di sole che penetra l’oscurità come spazio indeterminato e potenziale detentore di memorie. Il bosco ci porta anche l’eco di Hieronymus Jeroen Anthoniszoon van Aeken, Bosch come di Barbizon, dunque il luogo è per l’uomo, la vera possibilità di persistenza, di traccia, di Storia. Warburg per primo, attraverso coordinate differenti, ha costituito nel Moderno, un tessuto permeabile che del Moderno ha esteso l’orizzonte di ricerca. Questo approccio e l’omonimo Istituto, sono a mio avviso la sua vera eredità.
Del luogo, come territorio, come edificio, bosco e luce, qui trattiamo l’opera, opus, oppidum, Op-Era, Ara, il confine, il vallo, il muro e la trasparenza che, nel Moderno era sintomo e simbolo di una prospettiva sociale orizzontale e che oggi, è rappresentata negli edifici di banche e multinazionali, solo come illusione, tutto è facilmente raggiungibile col solo sguardo e profondamente oscuro, impenetrabile, in realtà.
Se la cultura, il progresso sono apertura e osmosi, oggi viviamo un periodo oscuro.
Barriere, muri, dividono; crollano per poi riemergere in altri luoghi come se il nostro cervello dimenticasse troppo presto il passato appena trascorso. Le immagini della trasparenza del nostro vivere sono in fondo muri di un’eleganza sottile e perversa. Lo spazio come custode della memoria, lo spazio dell’elaborazione intellettuale, dell’arte e della ricerca, rimangono così i soli che sono in grado di offrire il dono del sogno alle future generazioni. Una città di libri (com. plot city) dilata i confini consentendo l’estensione del pensiero. L’edificio reale invece, (museo, auditorium, ecc.), prende forma segnando il tempo, talvolta perde il proprio contenuto manifestando l’involucro solo, dietro al quale si nascondere la mediocrità contemporanea.
Nicoletta Braga, muro da tavolo
>
Anna Valeria Borsari
Anna Valeria Borsari leggerà ad alta voce i suoi "Dipinti perduti": "Paesaggio", "Casa gialla", "Interno con figure", "Ritratto di donna". Una serie progressiva di descrizioni di dipinti presumibilmente perduti, i cui testi (di dimensioni decrescenti), ricchi di informazioni pittoriche e di dettagli di carattere cromatico, conducono dalla visione di un iniziale paesaggio - senza tracce di vita umana o animale, ma solo con alcuni indizi di eventi naturali -, all’esterno di una casa con la porta ed una finestra aperta - quasi a lasciar intendere che qualcuno vi abita -, ad un interno ove quattro dipinti sono appesi alle pareti - forse gli stessi che si stanno descrivendo -, due uomini sono seduti a un tavolo e una donna è in piedi, di fronte; si giunge infine ad un ritratto di donna (che potrebbe essere la stessa che è presente nel precedente quadro, ed anche una raffigurazione dell’artista), nei cui occhi si riflette il verde del paesaggio. La progressione, che procede per immagini "adiacenti" e successive, che si tende a concatenare, come avviene normalmente nei processi di comunicazione, compie quindi un percorso circolare, chiudendosi con il riflesso del paesaggio iniziale negli occhi di chi lo guarda. La memoria dei quattro dipinti, ove la vita è stata raggelata in materiche pennellate di colore, ripercorre l’itinerario di chi ha visto ed ora, con uno sdoppiamento del punto di osservazione, si specchia in quella visione nel momento in cui la offre agli altri.
Il primo di questi "Dipinti perduti", "Paesaggio", è stato pubblicato nel 1987 dalla rivista "Alfabeta" tra le "Prove d’artista"; l’intera sequenza è stata invece pubblicata a metà degli anni ‘90 dalle edizioni Sintesi. Alcuni esemplari del libro (con testo italiano/inglese) saranno sul tavolo ove si raccolgono i materiali della mostra in corso.
>
Mili Romano, Horatio Goni ...
Il primo ordine è composto da due fotografie di Giulio Paolini esposte a parete e un video di Marco Belpoliti proiettato nel vano interno di una libreria, insieme a una scelta di testi sul vedere messi a disposizione del pubblico per la consultazione. Un tavolo completa l’esposizione trasformando lo spazio espositivo in una biblioteca.
Sul primo ordine poggia il secondo: il tavolo che servirà da piano per i materiali e le idee presentate, discusse e prodotte in modo sincrono o asincrono sul posto o a distanza, nel corso di successivi incontri sul tema proposto dall’esposizione: lo scambio tra fotografia, video e scrittura.
L’indipendenza dei due ordini giustapposti sulla linea orizzontale del tavolo, skyline di un nuovo paesaggio mentale, è contrassegnata dalla scansione temporale in cui si susseguono gli eventi e dalla suddivisione dello spazio in cui si collocano, richiamando la complessità con la quale lo spazio e il tempo vengono diversamente impiegati per la conservazione e l’impiego della memoria.
ESPOSIZIONE 16.11.06 ore 18:30
Tutti i raggi luminosi che attraversano il sistema ottico di una fotocamera e di una videocamera sono rifratti, sono cioè deviati in modo tale da poter ricomporre l’immagine in una logica prospettica e focale, ma i raggi periferici rischiano varie aberrazioni sferiche, caustiche e cromatiche, rischiano cioè la distorsione e la dispersione. Alla dispersione sono destinati anche tutti gli altri una volta che si rinunci appositamente alla focalizzazione, sfruttando i ritardi della messa a fuoco automatica, come nel caso del video girato da Marco Belpoliti. L’ottica di rifrazione studiata per focalizzare il raggio visivo e luminoso è dunque la stessa che provoca la sua dispersione con effetti di evanescenza e pulviscolarità. Lo sguardo eccentrico che caratterizza gran parte della nostra cultura visiva è complementare a quello concentrico e focale. Emblematico a questo riguardo è il lavoro di Italo Calvino che scruta il mondo attraverso la scrittura, come lo si potrebbe scrutare attraverso un dispositivo ottico. Ogni messa a fuoco dell’oggetto, sia esso un formaggio, un riflesso sul mare o un seno nudo, è accompagnato da una rifrazione della sua descrizione in una varietà di possibili descrizioni.
L’accostamento del dittico fotografico di Giulio Paolini al video con libreria di Marco Belpoliti segnala la complessità del vedere in rapporto al modo in cui le tecniche di produzione e percezione visiva scambiano con quelle di scrittura e lettura. Lo segnala richiamando il mito del raggio che ancora domina la nostra cultura visiva.
Avvicinandosi per contrastare il movimento di apertura dello zoom e allontanandosi per contrastare quello di chiusura, Belpoliti avanza e indietreggia a rapidi passi parando e deviando come uno schermidore lo stesso raggio visivo e luminoso che nel dittico fotografico di Paolini perfora lo studio da parte a parte.
Il raggio si rifrange per focalizzarsi concentricamente o per disperdersi eccentricamente, come la stessa proposta espositiva, destinata a rifrangersi e disperdersi negli incontri che seguiranno.
PRIMO INCONTRO 22.11.06 ore 18:30
Una serie di interventi dal vivo e in diretta accostati a videoproiezioni, trasmissioni di testi e immagini, letture, proposte di ascolto... un fluire alluvionale di voci, immagini, suoni che trasporta opinioni e interrogativi, un pensiero per immagini e parole in piena che sradica lungo gli argini e smuove sul fondo.
>
Alcune fotografie possono essere esposte senza un orientamento privilegiato. Questo vale solo per le fotografie con più punti di vista che possono essere viste anche se capovolte. Alcune di queste, stampate da Constantin Brancusi, sono state esposte al Peggy Guggenheim di Venezia su delle basi semitrasparenti in perspex. Il curatore della mostra Paola Mola ha fotografato l’allestimento restituendo, insieme alla circolarità dello sguardo suggerita dall’esposizione, la percezione dell’orizzonte liquido, a pelo del quale lo stampatore vede apparire l’immagine in camera oscura. All’orizzonte da percorrere con lo sguardo in linea retta da un punto all’altro della parete o della bacheca, come da un punto all’altro della pagina scritta, la proposta espositiva oppone l’orizzonte da percorrere circolarmente, all’infinito. A tutto questo aggiunge anche la meraviglia dell’apparizione in camera oscura, suggerita dai piani obliqui di luce rifratta che galleggiano sopra le basi semitrasparenti in perspex, insieme alle fotografie.
La proposta espositiva rompe lo schema visivo dell’esposizione verticale a parete e a bacheca riferito alla lettura della pagina scritta, ma la “postfazione fotografica” alla mostra, montata da Aurelio Andrighetto, Andrea Balossi e Francisca Parrino riapre l’intera questione presentandosi come testo visivo che problematizza ulteriormente le modalità di lettura e visione.
>
Leo Steinberg indica i flatbed (piani di stampa) orizzontali riferendosi alla composizione tipografica e al piano del tavolo, al pari del pavimento dello studio e a qualsiasi altra superficie su cui vengano raccolti oggetti e sparsi dati, come paradigma della “visione orizzontale” opposta a quella “verticale”.
Partendo da questi riferimenti e da alcune sue originali osservazioni sul Cubismo, Elio Grazioli costruisce un percorso di lettura della modernità sulla base del quale sono stati raccolti e “impaginati” con l’aiuto di Aurelio Andrighetto, Dario Bellini e Gianluca Codeghini, vari contributi di artisti, critici, storici dell’arte e intellettuali per il numero zero di una rivista di cui si annuncia la prossima uscita.
Una rivista che non è cartacea e neppure digitale. Un incontro dal vivo con il pubblico su temi che incrociano storia dell’arte, riflessioni sul fare artistico e critico con stratificazioni visive e testuali. Una serie scandita di brevi interventi con inserti musicali, videoproiezioni, trasmissioni di testi e immagini in diretta e altro.
>
Con un gioco complesso di aperture e chiusure, di sguardi e di transiti tra scrittura e immagine dipinta, filmata, disegnata e scolpita vengono messi a confronto due testi: il saggio Figura di schiena di Luigi Grazioli dedicato alla rappresentazione delle figure viste di schiena in pittura, pubblicato da Bacacay, e l’esperimento di scrittura Volumen – MR1 di Aurelio Andrighetto, pubblicato nel numero 45 di Nuova Prosa con un montaggio di immagini che dalla pagina scritta si trasferiscono al video e viceversa.
Due testi con i quali si problematizza il rapporto tra immagine e scrittura. Nel primo caso con una scrittura dell’immagine, con una sua estenuazione testuale che la dipana, la scioglie in un discorso liberamente composto da narrazioni, divagazioni a sfondo filosofico e da spunti autobiografici indiretti e divertiti; nel secondo caso con un esperimento video di scrittura cancellato e riscritto ad ogni proiezione, un palinsesto annotato in margine con alcune considerazioni sul rapporto tra immagine e parola.
>
“Io credo che lo sforzo di Gorret sia quello di svuotare le parole, diciamo così, d’una ben precisa direzione significativa, in modo che possano apparire come tracce ritmiche, movimenti della mano, eco dell’orecchio”. Così Gianni Celati presenta la scrittura ritmica e musicale di Daniele Gorret, una poesia narrativa o “ballata”, come la definisce l’autore. Ballata dei tredici mesi pubblicato da Garzanti è infatti il titolo del suo penultimo libro. In “ballate” è suddiviso anche Venticinque modi per morire pubblicato da End.
Per la Venticinquesima maniera di morire Gianluca Codeghini e Stefano Brizzi propongono una ri-lettura musicale del testo. In Correggere lo stupore le parole sono private di una “precisa direzione significativa” e sembrano girare a vuoto, togliendo prevedibilità e aspettativa all’ascolto.
>
Giuseppe Chiari invierà via fax delle frasi da riprodurre e distribuire tra i presenti. Una di queste contiene un refuso, una svista: Quit Classic Music invece che Quit Classical Music a causa della quale è stata restituita al mittente dal direttore del museo al quale Chiari l’aveva inviata. È un errore grammaticale che Chiari non ha voluto correggere.
Le parole impiegate per comporre la frase sono disposte tipograficamente sul foglio. Quit, Classic, Music sono impaginate a bandiera sul corpo del nome dell’autore, come dei tasti irregolari sul corpo del pianoforte. Irregolarità dei suoni generati da percussioni e sfregamenti sul piano, irregolarità con la quale il segno è messo alla prova non solo al confine tra grafica e scrittura ma anche tra visione e ascolto. E in funzione di critica sociale.
Il cigolio delle finestre con il quale Chiari modifica l’intensità della luce e il modo di percepirla nello studio di Turi Simeti a Milano nel ‘75 è interrotto dai colpi di bastone sui pilastri (courtesy Giancarlo Denti - associazione culturale La Meridiana), richiamando le linee tratteggiate di rumore disegnate e suonate con un bastone lungo una cancellata. Tratteggio di rumore con il quale si liberano i suoni dall’obbedienza imposta loro dalla circolazione ordinata del traffico cittadino.
Sull’impaginazione grafica e pittorica del testo che tende a soffocare l’eco residuo della lingua, che pur resiste, Amedeo Martegani mette a disposizione una selezione di articoli, saggi e cataloghi estratti dall’archivio di a+m bookstore.
>
Ex Eden Rock di Gabicce Monte, workshop che precede l’incontro con il pubblico. La conversazione sul rapporto tra aratura e scrittura è interrotto dall’arrivo di Paolo Rosa che si unisce in ritardo al gruppo dei relatori (Aurelio Andrighetto, Giordano Berti, Giulio Calegari, Enzo Fabbrucci, Katia Migliori e Luigi Pellini).
Con una cesura, vale a dire con una interruzione o pausa ritmica che modula i tempi e la distanza, Paolo Rosa riarticola la discussione, adattandola al progetto per neon>fdv con uno spostamento dell’intero registro.
SECONDO INCONTRO 28.11.06 ore 18:30
a cura di Gino Gianuizzi
altri interventi dal vivo e in diretta. testimonianze raccolte in video. testi e letture. immagini proiettate.
>
Alberto Zanazzo, Giovanni Mazzitelli, com.plot.city' Massimo Mazzone e Nicoletta Braga
CH-Ailleur – Quaderni dell’altrove
O.Q. – Del dicibile/indicibile - numerabile/innumerabile tra la chimica dell’idrogeno e del carbonio, tra Hermes e Chrono.
Pre-testo: un giocattolo di produzione cinese che, grazie a un piccolo campo elettromagnetico (e alla forza di gravità) produce le evoluzioni di due acrobati. Già l’etimologia - akros alto, cima, estremità, punta, e batew, io vado / vado in punta di piedi – prefigura la metafora di un cammino rischioso: quale è il limite entro il quale perdura un equilibrio, prima di esaurirsi e lasciare spazio a un altro equilibrio? O anche, più semplicemente, dal punto di vista dell’osservatore, come porsi davanti al giocattolo? Solo guardandone incantati le evoluzioni? O cercando di capirne leggi e geometrie, di pre-vedere le evoluzioni delle due figurine circensi?
Le leggi della fisica, la teoria del caos, il calcolo delle probabilità, la geometria dei frattali, possono aiutarci a studiare il piccolo sistema caotico-entropico (la batteria che alimenta il campo magnetico, prima o poi si esaurisce) un sistema chiuso che, per la posizione di partenza e altri parametri tra cui le mutevoli condizioni - anche ambientali - in cui si svolge l’esperimento, ha possibilità dinamiche al tempo stesso finite e indefinite. Come suggerisce la stessa struttura dell’insieme di Mandelbrot. Quel che è certo è che, nella dimensione temporale, c’è sempre una frazione, un momento giusto perché una certa acrobazia si compia in un determinato modo e perché un fenomeno possa essere osservato.
Analogamente, anche se con variabili ed esiti difficilmente misurabili, esiste un momento opportuno (Kairós, Platone, Fedro) per pronunciare una parola, per poterla ascoltare e per dar vita a qualcosa. Ma come individuare l’eventuale ostacolo per il linguaggio, la roccia contro cui può infrangersi la vanga? Come riconoscere il limite tra dicibile e indicibile? È lecito ignorarlo e superarlo? Ed eventualmente, in che modo? Ma soprattutto, come individuare la giusta sintonia e come ri-comporre il senso di un corpo frammentato, nel tempo e nello spazio, tra idee, culture, identità, discipline, linguaggi - il corpo disseminato di un’Orfeo Quantistico? Come ri-conoscere un’armonia tra le parti, un denominatore comune, una forza unificatrice al di là di apparenze e differenze? Certo, prescindendo dai termini strettamente utilitaristici della necessità prepolitica (H. Arendt) e dagli automatismi istintuali, primitivi. Piuttosto, continuando a interrogarsi e a porre dubbi (la Natura, come il dio che dimora a Delfi, non svela né nasconde, ma parla per enigmi). Non rinunciando, dunque, a cercare - nonostante la consapevolezza dell’insolvibilità dell’equazione - una via d’uscita dal frattale di appartenenza, una prospettiva che sia in grado di dissolvere in filigrana, con filtraggi sempre più sottili, tanto la stasis quanto le dinamiche illusorie, i moti virtuali, per riconoscere e coltivare la conoscenza, la sapienza socratica, per non confonderla con la curiosità di Ulisse, dei turisti e dei professionisti dell’anima, che consumano ‘esperienze autentiche’ senza tregua, tra gite, trasferte di lavoro, evasioni più o meno eccitanti (Z. Bauman) magari ‘in cerca di se stessi’. Un’uscita come viaggio, come Ek-stasis, per tentare l’impossibile, e cioè dar forma, come potesse essere ‘ritagliato’ e compreso dallo sguardo, all’invisibile, all’imponderabile, al problema insolvibile (M. Cacciari).
La mia tendenza – dice Wittgenstein - … è stata di avventarsi contro i limiti del linguaggio. Questo avventarsi contro le pareti della nostra gabbia è perfettamente, assolutamente disperato. L’etica, in quanto sgorga dal desiderio di dire qualcosa sul significato ultimo della vita, il bene assoluto, l’assoluto valore, non può essere una scienza. Ciò che dice, non aggiunge nulla, in nessun senso, alla nostra conoscenza. Ma è un documento di una tendenza dell’animo umano che io personalmente non posso non rispettare profondamente e che non vorrei davvero mai, a costo della vita, porre in ridicolo.
Dafne - Del visibile/invisibile tra simmetria/asimmetria - onde/masse - materia/antimateria.
Pre-testo: un Acceleratore di particelle, denominato Dafne, entrato in funzione nel 1997 per generare mesoni K e mesoni anti-K. Riflessioni scientifiche di Giovanni Mazzitelli, ricercatore presso i Laboratori Nazionali di Frascati dell’INFN, nel campo della Fisica subnucleare (Video).
Il viaggio a ritroso nel tempo, nella memoria del Cosmo, che la fisica nucleare compie per studiare l’evoluzione della materia e l’origine dell’Universo. Ricerca del punto limite in cui si è determinata l’asimmetria tra materia e antimateria, dando origine al mondo che conosciamo; teoria del Modello Standard con sei tipi di leptoni e sei tipi di quark, raggruppati ciascuno in tre famiglie di particelle; tentativo di unificare le quattro Forze Fondamentali; ricerca del bosone di Higgs; Teoria delle Stringhe; particelle supersimmetriche e ricerca della Grande Unificazione o Teoria del Tutto.
>
Mauro Folci
Kadavergehorsam
Scheda etimologica – bottiglia di rosolio
Kadavergehorsam, parola ossimorica che conserva nell’etimo la storia di una prassi politica secolarizzata, tanto passata quanto presente.
Kadavergehorsam che vuol dire ‘obbedienza cadaverica’ è l’espressione usata dal nazista Eichmann durante il processo in Israele, ripresa da H. Arendt in La banalità del male, per descrivere lo stato di cieca obbedienza che colpì carnefici e vittime dell'olocausto.
Ci sono alcune parole che indubbiamente posseggono un peso specifico di senso aggiunto, capaci più di altre di raccontare storie, dire, evocare narrazioni, e kadavergehorsam, grazie anche ad un’ammaliante estetica fono-grafica, è certamente tra queste. L’analisi etimologica è uno storyboard della civiltà cristiana e occidentale: dall’obbedienza come quella di ‘un corpo morto’ di San Francesco ( Tommaso da Celano) che risponde alla Legge di Dio, al perinde ac cadaver (allo stesso modo di un cadavere) di S. Ignazio in riferimento all’ordine gerarchico ecclesiastico (controriforma), fino all’obbedienza cadaverica di Eichmann che descrive lo stato di ‘cieca obbedienza’ del popolo del terzo Reich alla Legge di Hitler. Un percorso che mostra come il processo di secolarizzazione abbia trasformato un concetto appartenente alla sfera spirituale, monastica, in categoria politica, o meglio, per essere più pertinenti alla contemporaneità, lo abbia trasposto in categoria economica: in un mondo plasmato dalla ragione produttiva, dalle leggi del mercato che riducono l’individuo a soggetto economico, in un contesto di liberalizzazione del mercato del lavoro e di competizione selvaggia, l’essere obbediente corrisponde a una condizione senza la quale si è privi dell’accesso.
Il collegamento con Warburg, oltre l’esilio condiviso con la Arendt, è nella scheda etimologica che somiglia, come strumento della memoria e dunque di conoscenza, e non escludendo la funzione politica delle genealogie foucaultiane, all’idea di archivio.
Kadavergehorsam è un lavoro del 2002 che qui presento in una versione ridotta alla sola scheda etimologica accompagnata da una bottiglia di rosolio.
Scheda etimologica a cura di Giuliano Ranucci (Letteratura Latina, Dipartimento di Filologia Classica, Università di Pisa)
Kadavergehorsam
Questo vocabolo è in tedesco un sostantivo di genere maschile, risultante dalla composizione di due altri sostantivi, entrambi di genere maschile: Kadaver (che nel composto ha funzione secondaria, in quanto determina l’altro sostantivo, quello principale) e Gehorsam: una traduzione approssimativa in italiano suona “obbedienza passiva e totale come quella di un cadavere”.
Gehorsam è parola a sua volta composta da un prefisso (Ge-), una radice (hor-) e un suffisso (-sam).
Il suffisso -sam compare frequentemente in tedesco nella formazione di nomi e aggettivi: più interessante appare invece analizzare le due altre componenti della parola in questione.
La radice hor- è la stessa che compare nel verbo hören = “ascoltare”. Allo stesso modo, in latino, il verbo oboedire (= “obbedire”) è una forma parallela di obaudire, termine composto dalla preposizione ob e dal verbo audire = “ascoltare”. In sostanza, l’obbedienza è sentita, in tedesco come in latino (e nelle lingue da esso derivate: cfr. l’italiano “obbedire”, il francese “obéir” ecc.). come conseguenza dell’aver bene udito l’ordine ricevuto.
Il prefisso ge-, in tedesco, dà ai sostantivi significato collettivo o iterativo (cioè di ripetizione). Nel caso di Gehorsam il valore del prefisso appare essere iterativo: l’obbedienza è dunque vista come un “ascoltare ripetutamente” o “abitualmente” gli ordini che si sono ricevuti, eseguendoli ogni volta.
Il vocabolo composto Kadavergehorsam non è una rarità in tedesco, tanto che il dizionario Bidoli-Cosciani (ed. Paravia), nella sezione tedesco-italiano, lo inserisce tra i lemmi (dato che in tedesco i possibili vocaboli composti sono praticamente infiniti, la scelta di inserirne uno in un dizionario è indizio che il suo uso è relativamente frequente).
Questo vocabolo è entrato nella lingua tedesca certamente per influsso della locuzione latina perinde ac cadaver (= “allo stesso modo di un cadavere”) che i Gesuiti usavano per definire con quale sottomissione un sottoposto deve obbedire al suo superiore. A loro volta, i Gesuiti mutuarono la similitudine da un passo della vita di San Francesco scritta da Tommaso da Celano (parte 2, cap. 112): il Santo, richiesto di un paragone che definisse il suo concetto di obbedienza, aveva citato l’esempio di un corpo morto.
È curioso come la lingua tedesca, per indicare un’obbedienza assoluta, abbia privilegiato la metafora del cadavere, mentre l’italiano ha scelto quella del cieco (il cadavere compare invece in altre similitudini più pertinenti, come per indicare il pallore, l’immobilità ecc.): noi diciamo “obbedienza cieca” (e, analogamente, i francesi parlano di “obéissance aveugle” e gl’inglesi di “blind obedience”).
Il luogo, in italiano suona diversamente dal topos greco; nel luogo ci sono lucus e lux, alludono al bosco, alla radura, al raggio di sole che penetra l’oscurità come spazio indeterminato e potenziale detentore di memorie. Il bosco ci porta anche l’eco di Hieronymus Jeroen Anthoniszoon van Aeken, Bosch come di Barbizon, dunque il luogo è per l’uomo, la vera possibilità di persistenza, di traccia, di Storia. Warburg per primo, attraverso coordinate differenti, ha costituito nel Moderno, un tessuto permeabile che del Moderno ha esteso l’orizzonte di ricerca. Questo approccio e l’omonimo Istituto, sono a mio avviso la sua vera eredità.
Del luogo, come territorio, come edificio, bosco e luce, qui trattiamo l’opera, opus, oppidum, Op-Era, Ara, il confine, il vallo, il muro e la trasparenza che, nel Moderno era sintomo e simbolo di una prospettiva sociale orizzontale e che oggi, è rappresentata negli edifici di banche e multinazionali, solo come illusione, tutto è facilmente raggiungibile col solo sguardo e profondamente oscuro, impenetrabile, in realtà.
Se la cultura, il progresso sono apertura e osmosi, oggi viviamo un periodo oscuro.
Barriere, muri, dividono; crollano per poi riemergere in altri luoghi come se il nostro cervello dimenticasse troppo presto il passato appena trascorso. Le immagini della trasparenza del nostro vivere sono in fondo muri di un’eleganza sottile e perversa. Lo spazio come custode della memoria, lo spazio dell’elaborazione intellettuale, dell’arte e della ricerca, rimangono così i soli che sono in grado di offrire il dono del sogno alle future generazioni. Una città di libri (com. plot city) dilata i confini consentendo l’estensione del pensiero. L’edificio reale invece, (museo, auditorium, ecc.), prende forma segnando il tempo, talvolta perde il proprio contenuto manifestando l’involucro solo, dietro al quale si nascondere la mediocrità contemporanea.
Nicoletta Braga, muro da tavolo
>
Anna Valeria Borsari
Anna Valeria Borsari leggerà ad alta voce i suoi "Dipinti perduti": "Paesaggio", "Casa gialla", "Interno con figure", "Ritratto di donna". Una serie progressiva di descrizioni di dipinti presumibilmente perduti, i cui testi (di dimensioni decrescenti), ricchi di informazioni pittoriche e di dettagli di carattere cromatico, conducono dalla visione di un iniziale paesaggio - senza tracce di vita umana o animale, ma solo con alcuni indizi di eventi naturali -, all’esterno di una casa con la porta ed una finestra aperta - quasi a lasciar intendere che qualcuno vi abita -, ad un interno ove quattro dipinti sono appesi alle pareti - forse gli stessi che si stanno descrivendo -, due uomini sono seduti a un tavolo e una donna è in piedi, di fronte; si giunge infine ad un ritratto di donna (che potrebbe essere la stessa che è presente nel precedente quadro, ed anche una raffigurazione dell’artista), nei cui occhi si riflette il verde del paesaggio. La progressione, che procede per immagini "adiacenti" e successive, che si tende a concatenare, come avviene normalmente nei processi di comunicazione, compie quindi un percorso circolare, chiudendosi con il riflesso del paesaggio iniziale negli occhi di chi lo guarda. La memoria dei quattro dipinti, ove la vita è stata raggelata in materiche pennellate di colore, ripercorre l’itinerario di chi ha visto ed ora, con uno sdoppiamento del punto di osservazione, si specchia in quella visione nel momento in cui la offre agli altri.
Il primo di questi "Dipinti perduti", "Paesaggio", è stato pubblicato nel 1987 dalla rivista "Alfabeta" tra le "Prove d’artista"; l’intera sequenza è stata invece pubblicata a metà degli anni ‘90 dalle edizioni Sintesi. Alcuni esemplari del libro (con testo italiano/inglese) saranno sul tavolo ove si raccolgono i materiali della mostra in corso.
>
Mili Romano, Horatio Goni ...
16
novembre 2006
per neon>fdv
Dal 16 al 28 novembre 2006
fotografia
arte contemporanea
incontro - conferenza
arte contemporanea
incontro - conferenza
Location
NEON>FDV
Milano, Via Giulio Cesare Procaccini, 4, (Milano)
Milano, Via Giulio Cesare Procaccini, 4, (Milano)
Orario di apertura
mar_sab 15_19
Vernissage
16 Novembre 2006, ore 18.30
Autore