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Peter Malmdin – Cut
Peter Malmdin non ha tutti i torti. Chiamato a presentare il suo lavoro, l’artista svedese si è elegantemente prodotto in un’apologia delle piccole cose
Comunicato stampa
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Peter Malmdin non ha tutti i torti. Chiamato a presentare il suo lavoro, l’artista svedese si è elegantemente prodotto in un’apologia delle piccole cose: ha argomentato che le foto da cui parte sono per lo più amatoriali, che il formato che predilige per sé è quello ridotto (“nessuno dei miei quadri – ha precisato – è più grande di una sezione di corpo umano”), che i toni enfatici no e che le immagini estetizzanti neanche a parlarne. Tutto vero. Ma sono premesse da bricoleur, che è come dire promesse da marinaio. Perché se il procedimento adottato è certamente riduzionista, e il dato di partenza cheap, altrettanto evidente è che i suoi “tagli” di ritagli dipinti su agili lastre di pvc (cuts) ribaltano il referente in entrambi i sensi di marcia: verso il basso, consegnando ad una più schietta dimensione fictional il soggetto stentoreo e/o struggente; verso l’alto, sottoponendo a blow-up tutto quanto si direbbe quotidiano o abituale, facendo del concettualmente “piccolo” qualcosa di magniloquente, scentrato e spaventevole. Viene in mente il grande Roy Lichtenstein, un massimalista anche lui alle prese con le “piccole cose”.
La compostezza di un allestimento pressoché museale si spiega così, con la voglia di stare al gioco. La convinzione è che l’epos da fermo immagine approntato da Malmdin vada servito ben cotto, senza stratagemmi didascalici. E poi l’artista è “postmediale” sul serio: fotografia e pittura intrecciano il loro raggio d’azione direttamente sul campo e senza ricorrere a pose “contaminanti”. Malmdin è uno che scatta dipingendo, un obiettivo che si aggira nel dormiveglia come sul set, uno snapshooter che afferra e raffredda tele-visioni piuttosto che visioni – inquadrature di apparizioni anziché apparizioni. La prima impressione è anche quella giusta: il suo è un safari psych fatto di accelerazioni da close-up, presenze fuori campo quel tanto che basta, momenti ad alto tasso metaforico tallonati come tranche de vie (e viceversa). Si direbbe un espressionista al neon, uno arrivato cent’anni dopo con negli occhi la poesia di Dan Flavin e i film geometrici di David Lynch. Ovvio che, per osare quel “poco” che dice, gli serve moltissimo. Intanto gli sono indispensabili un paio di cose: un’immagine fotografica sceltissima e ampiamente rielaborata, icastica ma “lenta”; poi, un manufatto pittorico – viceversa – spedito e imparziale, “istantaneo”, che incede al modo inflessibile della ri(pro)duzione ed è determinato oltre ogni ritegno dall’inquadratura. A conti fatti, ben due paradossi da condurre a saldatura. Poco?
Oggi si fa presto a dire medium, a parlare di specifiche tecno-logiche. Malmdin si rivolge all’occhio meccanico perché intende infilarsi nel varco stretto in cui il subliminale “prende” a farsi monumentale. Proprio per questo chiama in causa la ri-presa fotografica, per indagare a fondo il suo passo infiltrante e predatorio, la sua insopprimibile componente performativa, i suoi tempi comunque impellenti; non gli importa, in definitiva, di risalire ai moventi ab astracto disvelanti del processo di attestazione visiva. Per converso, nella pittura individua il medium davvero intermedio con cui azzardare esiti – e radiografici e cinematici – perfettamente ambigui: una pittura che, appunto, resta nel mezzo, fredda ma anche allibita, che non ha niente a che spartire con l’esasperata nitidezza degli iperrealisti. Niente giochi di specchi; semmai, una spessa lente (una cine-presa) impugnata in modo sicuro e vibrante. Buona visione.
- Pericle Guaglianone -
La compostezza di un allestimento pressoché museale si spiega così, con la voglia di stare al gioco. La convinzione è che l’epos da fermo immagine approntato da Malmdin vada servito ben cotto, senza stratagemmi didascalici. E poi l’artista è “postmediale” sul serio: fotografia e pittura intrecciano il loro raggio d’azione direttamente sul campo e senza ricorrere a pose “contaminanti”. Malmdin è uno che scatta dipingendo, un obiettivo che si aggira nel dormiveglia come sul set, uno snapshooter che afferra e raffredda tele-visioni piuttosto che visioni – inquadrature di apparizioni anziché apparizioni. La prima impressione è anche quella giusta: il suo è un safari psych fatto di accelerazioni da close-up, presenze fuori campo quel tanto che basta, momenti ad alto tasso metaforico tallonati come tranche de vie (e viceversa). Si direbbe un espressionista al neon, uno arrivato cent’anni dopo con negli occhi la poesia di Dan Flavin e i film geometrici di David Lynch. Ovvio che, per osare quel “poco” che dice, gli serve moltissimo. Intanto gli sono indispensabili un paio di cose: un’immagine fotografica sceltissima e ampiamente rielaborata, icastica ma “lenta”; poi, un manufatto pittorico – viceversa – spedito e imparziale, “istantaneo”, che incede al modo inflessibile della ri(pro)duzione ed è determinato oltre ogni ritegno dall’inquadratura. A conti fatti, ben due paradossi da condurre a saldatura. Poco?
Oggi si fa presto a dire medium, a parlare di specifiche tecno-logiche. Malmdin si rivolge all’occhio meccanico perché intende infilarsi nel varco stretto in cui il subliminale “prende” a farsi monumentale. Proprio per questo chiama in causa la ri-presa fotografica, per indagare a fondo il suo passo infiltrante e predatorio, la sua insopprimibile componente performativa, i suoi tempi comunque impellenti; non gli importa, in definitiva, di risalire ai moventi ab astracto disvelanti del processo di attestazione visiva. Per converso, nella pittura individua il medium davvero intermedio con cui azzardare esiti – e radiografici e cinematici – perfettamente ambigui: una pittura che, appunto, resta nel mezzo, fredda ma anche allibita, che non ha niente a che spartire con l’esasperata nitidezza degli iperrealisti. Niente giochi di specchi; semmai, una spessa lente (una cine-presa) impugnata in modo sicuro e vibrante. Buona visione.
- Pericle Guaglianone -
27
settembre 2007
Peter Malmdin – Cut
Dal 27 settembre al 10 novembre 2007
arte contemporanea
Location
EXTRASPAZIO
Roma, Via Di San Francesco Di Sales, 16A, (Roma)
Roma, Via Di San Francesco Di Sales, 16A, (Roma)
Orario di apertura
martedì-sabato 15.30-19.30
Vernissage
27 Settembre 2007, ore 19
Autore
Curatore