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photographers’ gazes on the world
La prima mostra della galleria ZEMA è un viaggio attraverso il mondo raccontato da prospettive diverse dalle tre fotografe della Biennale della Fotografia Femminile di Mantova: Daria Addabbo (Italia), Kiana Hayeri (Iran/Canada) e Luisa Dörr (Brasile
Comunicato stampa
Segnala l'evento
GALLERIA ZEMA Informazioni info@galleriazema.it
Photographers’ gazes on the world
Daria Addabbo Luisa Dörr Kiana Hayeri
Orari: martedì, mercoledì, giovedì, venerdì, sabato 15.00 - 20.00
domenica e lunedì chiuso.
Quando ho iniziato a sviluppare il progetto della galleria, ormai più di due anni fa, ho pensato che avrei potuto dare un contributo per valorizzare e dare visibilità alle opere di artiste donne, che come negli altri ambiti della nostra società, devono superare ostacoli legati al genere e alle aspettative sociali.
Per questa prima mostra che inaugura la galleria, ho scelto di collaborare con la Biennale di Fotografia di Mantova e con la sua curatrice artistica Alessia Locatelli.
Inaugura Z.EMA
La nuova galleria gestita da Emanuela Zamparelli con un focus dedicato al femminile e declinato nella pluralità dei linguaggi delle arti visive.
In un'epoca che dovrebbe essere caratterizzata dall'inclusività e dalla parità di diritti, è fondamentale dare visibilità e opportunità concrete all'arte al femminile. Le statistiche parlano chiaro: le donne continuano a essere una minoranza nelle esposizioni museali, nei progetti curatoriali e nei riconoscimenti artistici. In base ai dati raccolti recentemente, circa il 75% delle opere esposte nei musei d'arte contemporanea sono create da uomini, mentre le artiste donne rappresentano solo il 25%, nonostante la loro crescente presenza nel panorama artistico. Questo divario si riflette nel mondo del professionismo artistico: sebbene la partecipazione delle donne alle scuole d'arte sia ormai pressoché paritaria, le opportunità di carriera, la visibilità e l'accesso ai principali circuiti di mercato restano largamente sbilanciati. Colmare questo gap non è solo una questione di giustizia sociale, ma anche un imperativo culturale: solo arricchendo la scena artistica con voci diverse si può sperare di evolvere un sistema che ha da sempre avuto una visione ristretta e univoca.
OPENING. LE FOTOGRAFE IN MOSTRA A MARZO
Daria Addabbo, Drought. No water in the Owens Valley
Un terzo dell'acqua utilizzata da Los Angeles proviene dalla Owens Valley: un tratto di deserto e prateria delimitato dalla Sierra Nevada ad Ovest e dalle White Mountains a Est. È qui che, un centinaio di anni fa, Los Angeles ha acquistato circa 120mila ettari di terreno, ottenendo così diritti d'uso dell’acqua sul fiume Owens. Successivamente, la città è stata in grado di trasformarsi da un sonnolento villaggio di 15mila abitanti alla Metropoli che conosciamo oggi. All'inizio del 1900, Fred Eaton - allora sindaco - e l'ingegnere irlandese Mulholland concordarono sull’importanza del sistema idrico per il futuro sviluppo della città.
Fu così che la deviazione dell'acqua dal lago - a favore della privatizzazione dell’acquedotto - ha generato un disastro ambientale di vaste proporzioni. I venti oggi sferzano la valle dalle montagne, spazzando via dal letto del lago solfati e particelle tossiche che creano tempeste di polvere pericolose per la cittadinanza. Inoltre, il cambiamento climatico e la conseguente crisi idrica stanno rendendo sempre più grave la siccità in California minacciando la vita delle comunità che vivono nella valle.
Daria Addabbo è nata nel 1979 a Roma, dove attualmente risiede. Nel 2013 ha svolto uno stage presso il World Food Programme. Ha pubblicato sulle più importanti riviste italiane e internazionali tra cui: National Geographic, Espresso, Internazionale, D di Repubblica, Vanity Fair, Grazia, GQ e Washington Post. Ha esposto i suoi lavori in Argentina, in Brasile e in Italia.
Luisa Dörr , Imilla Skate
Le polleras boliviane, gonne ingombranti comunemente associate alle donne indigene degli altipiani, sono state per decenni un simbolo di unicità ma anche oggetto di discriminazione. Ora una nuova generazione di donne che praticano lo Skateboard a Cochabamba, le indossa come un emblema di resistenza.
Se l’indumento fu inizialmente imposto dai colonizzatori spagnoli alla popolazione nativa, nel corso dei secoli si è integrato nell’identità locale, come simbolo ambivalente di autenticità e stigmatizzazione. Riscoprire le polleras negli armadi di zie e nonne, è sembrata la scelta più ovvia per Dani Santiváñez, una giovane skater boliviana che – nel desiderio di recuperare le sue radici – ha creato nel 2019 “ImillaSkate”.
“Imilla” significa giovane ragazza in Aymara e Quechua: le due lingue più parlate in Bolivia, un paese in cui più della metà della popolazione ha radici indigene. Le nove donne che attualmente fanno parte del gruppo indossano le polleras solo per andare in skate. Abbinate a scarpe da ginnastica, queste gonne simboleggiano la scelta di non privarsi della loro cultura e, attraverso questa pratica, veicolano così il loro messaggio di inclusione e accettazione della diversità.
Luisa Dörr è una fotografa brasiliana che utilizza il ritratto come veicolo per esplorare la complessità della natura umana. Attualmente, il suo lavoro si concentra su questioni di genere e sulle tradizioni culturali. Le sue fotografie sono apparse su Time, National Geographic, The New York Times, PDN e Wired. Nel 2019 ha vinto il terzo premio per la categoria “Ritratti – Storie” del World Press Photo.
Kiana Hayeri, Where prison is a kind of freedom
“l’Afghanistan è un paese di estremi”, cita la fotografa. E così è la vita delle donne di questa storia. Intrappolate in matrimoni che le rendono vittime di vessazioni, si sono trovate a considerare l’uxoricidio come unica via di sopravvivenza. Fino al 2021 erano 119 le carcerate della prigione di Herat, dove Kiana Hayeri ha trascorso due settimane, entrando in profondo contatto con alcune di loro. Se da un lato il loro crimine le ha condannate alla privazione di libertà, dall’altro ha offerto loro un’altra vita. La prigionia è diventata una “seconda opportunità”, seppur contornata da quel filo spinato che serve tanto a tenere rinchiuse loro, quanto a proteggerle da possibili desideri di vendetta da parte delle famiglie dei mariti. In un cortocircuito morale la comunità di detenute ha trovato - seppur in celle sovraffollate - uno spiraglio di pace e tranquillità per loro ed i figli minorenni, all’insegna della collaborazione e del mutuo aiuto. Poco prima del ritorno dei talebani al potere, le detenute sono state liberate e attualmente le prigioniere del centro di detenzione vivono in condizioni di abuso e privazioni ben lontane dalla sicurezza degli anni passati.
Kiana Hayeri è una fotografa Iraniano-canadese, nata a Teheran. Collabora attivamente con il New York Times ed è Senior Ted Fellow. Il suo lavoro è apparso su testate giornalistiche internazionali come Le Monde, NPR, il Washington Post e il Wall Street Journal. Da anni interessata all’universo sociale e culturale del Medio Oriente, oggi risiede a Kabul, da cui racconta la realtà dell’Afghanistan.
Photographers’ gazes on the world
Daria Addabbo Luisa Dörr Kiana Hayeri
Orari: martedì, mercoledì, giovedì, venerdì, sabato 15.00 - 20.00
domenica e lunedì chiuso.
Quando ho iniziato a sviluppare il progetto della galleria, ormai più di due anni fa, ho pensato che avrei potuto dare un contributo per valorizzare e dare visibilità alle opere di artiste donne, che come negli altri ambiti della nostra società, devono superare ostacoli legati al genere e alle aspettative sociali.
Per questa prima mostra che inaugura la galleria, ho scelto di collaborare con la Biennale di Fotografia di Mantova e con la sua curatrice artistica Alessia Locatelli.
Inaugura Z.EMA
La nuova galleria gestita da Emanuela Zamparelli con un focus dedicato al femminile e declinato nella pluralità dei linguaggi delle arti visive.
In un'epoca che dovrebbe essere caratterizzata dall'inclusività e dalla parità di diritti, è fondamentale dare visibilità e opportunità concrete all'arte al femminile. Le statistiche parlano chiaro: le donne continuano a essere una minoranza nelle esposizioni museali, nei progetti curatoriali e nei riconoscimenti artistici. In base ai dati raccolti recentemente, circa il 75% delle opere esposte nei musei d'arte contemporanea sono create da uomini, mentre le artiste donne rappresentano solo il 25%, nonostante la loro crescente presenza nel panorama artistico. Questo divario si riflette nel mondo del professionismo artistico: sebbene la partecipazione delle donne alle scuole d'arte sia ormai pressoché paritaria, le opportunità di carriera, la visibilità e l'accesso ai principali circuiti di mercato restano largamente sbilanciati. Colmare questo gap non è solo una questione di giustizia sociale, ma anche un imperativo culturale: solo arricchendo la scena artistica con voci diverse si può sperare di evolvere un sistema che ha da sempre avuto una visione ristretta e univoca.
OPENING. LE FOTOGRAFE IN MOSTRA A MARZO
Daria Addabbo, Drought. No water in the Owens Valley
Un terzo dell'acqua utilizzata da Los Angeles proviene dalla Owens Valley: un tratto di deserto e prateria delimitato dalla Sierra Nevada ad Ovest e dalle White Mountains a Est. È qui che, un centinaio di anni fa, Los Angeles ha acquistato circa 120mila ettari di terreno, ottenendo così diritti d'uso dell’acqua sul fiume Owens. Successivamente, la città è stata in grado di trasformarsi da un sonnolento villaggio di 15mila abitanti alla Metropoli che conosciamo oggi. All'inizio del 1900, Fred Eaton - allora sindaco - e l'ingegnere irlandese Mulholland concordarono sull’importanza del sistema idrico per il futuro sviluppo della città.
Fu così che la deviazione dell'acqua dal lago - a favore della privatizzazione dell’acquedotto - ha generato un disastro ambientale di vaste proporzioni. I venti oggi sferzano la valle dalle montagne, spazzando via dal letto del lago solfati e particelle tossiche che creano tempeste di polvere pericolose per la cittadinanza. Inoltre, il cambiamento climatico e la conseguente crisi idrica stanno rendendo sempre più grave la siccità in California minacciando la vita delle comunità che vivono nella valle.
Daria Addabbo è nata nel 1979 a Roma, dove attualmente risiede. Nel 2013 ha svolto uno stage presso il World Food Programme. Ha pubblicato sulle più importanti riviste italiane e internazionali tra cui: National Geographic, Espresso, Internazionale, D di Repubblica, Vanity Fair, Grazia, GQ e Washington Post. Ha esposto i suoi lavori in Argentina, in Brasile e in Italia.
Luisa Dörr , Imilla Skate
Le polleras boliviane, gonne ingombranti comunemente associate alle donne indigene degli altipiani, sono state per decenni un simbolo di unicità ma anche oggetto di discriminazione. Ora una nuova generazione di donne che praticano lo Skateboard a Cochabamba, le indossa come un emblema di resistenza.
Se l’indumento fu inizialmente imposto dai colonizzatori spagnoli alla popolazione nativa, nel corso dei secoli si è integrato nell’identità locale, come simbolo ambivalente di autenticità e stigmatizzazione. Riscoprire le polleras negli armadi di zie e nonne, è sembrata la scelta più ovvia per Dani Santiváñez, una giovane skater boliviana che – nel desiderio di recuperare le sue radici – ha creato nel 2019 “ImillaSkate”.
“Imilla” significa giovane ragazza in Aymara e Quechua: le due lingue più parlate in Bolivia, un paese in cui più della metà della popolazione ha radici indigene. Le nove donne che attualmente fanno parte del gruppo indossano le polleras solo per andare in skate. Abbinate a scarpe da ginnastica, queste gonne simboleggiano la scelta di non privarsi della loro cultura e, attraverso questa pratica, veicolano così il loro messaggio di inclusione e accettazione della diversità.
Luisa Dörr è una fotografa brasiliana che utilizza il ritratto come veicolo per esplorare la complessità della natura umana. Attualmente, il suo lavoro si concentra su questioni di genere e sulle tradizioni culturali. Le sue fotografie sono apparse su Time, National Geographic, The New York Times, PDN e Wired. Nel 2019 ha vinto il terzo premio per la categoria “Ritratti – Storie” del World Press Photo.
Kiana Hayeri, Where prison is a kind of freedom
“l’Afghanistan è un paese di estremi”, cita la fotografa. E così è la vita delle donne di questa storia. Intrappolate in matrimoni che le rendono vittime di vessazioni, si sono trovate a considerare l’uxoricidio come unica via di sopravvivenza. Fino al 2021 erano 119 le carcerate della prigione di Herat, dove Kiana Hayeri ha trascorso due settimane, entrando in profondo contatto con alcune di loro. Se da un lato il loro crimine le ha condannate alla privazione di libertà, dall’altro ha offerto loro un’altra vita. La prigionia è diventata una “seconda opportunità”, seppur contornata da quel filo spinato che serve tanto a tenere rinchiuse loro, quanto a proteggerle da possibili desideri di vendetta da parte delle famiglie dei mariti. In un cortocircuito morale la comunità di detenute ha trovato - seppur in celle sovraffollate - uno spiraglio di pace e tranquillità per loro ed i figli minorenni, all’insegna della collaborazione e del mutuo aiuto. Poco prima del ritorno dei talebani al potere, le detenute sono state liberate e attualmente le prigioniere del centro di detenzione vivono in condizioni di abuso e privazioni ben lontane dalla sicurezza degli anni passati.
Kiana Hayeri è una fotografa Iraniano-canadese, nata a Teheran. Collabora attivamente con il New York Times ed è Senior Ted Fellow. Il suo lavoro è apparso su testate giornalistiche internazionali come Le Monde, NPR, il Washington Post e il Wall Street Journal. Da anni interessata all’universo sociale e culturale del Medio Oriente, oggi risiede a Kabul, da cui racconta la realtà dell’Afghanistan.
06
marzo 2025
photographers’ gazes on the world
Dal 06 marzo al 30 aprile 2025
fotografia
Location
VIA GIULIA
Roma, Via Giulia, (Roma)
Roma, Via Giulia, (Roma)
Orario di apertura
vernissage 6-7-8 marzo 17.00 - 20.30
martedì - sabato 15.00 - 20.00
Vernissage
6 Marzo 2025, 6-7-8 marzo 17.00 - 20.30
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