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Piccoli tesori. 150 anni di abiti infantili, 1790-1940
La storia dell’abbigliamento infantile, che percorre tutto l’Ottocento e si protrae fino alla metà del Novecento, viene raccontata da questa Mostra attraverso ventotto autentici tesori di preziosa manifattura tessile, otto parures battesimali e venti tra abiti e completini della prima infanzia: cinque parures sono di proprietà del Museo.
Comunicato stampa
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Il giorno sabato 15 dicembre 2007 avrà luogo l’inaugurazione dell’Esposizione “Piccoli tesori. 150 anni di abiti infantili, 1790-1940” nelle sale del Museo del Merletto di Rapallo alla presenza del Sindaco Mentore Campodonico, del Vice-Sindaco Roberto Di Antonio, del Consigliere delegato alla cultura Gianni Arena, di Giorgio Rossini, Soprintendente per i Beni Architettonici della Liguria, di Aurora Fiorentini, storico del costume e della moda, di Piera Rum, Direttrice Onoraria dei Civici Musei di Rapallo e curatrice della mostra, di Giuliana Parabiago, direttrice delle riviste Vogue Bambino e Vogue sposa, cha ha attivamente collaborato ancora una volta per una buona riuscita dell’iniziativa e di tutte le Autorità civili e militari della Liguria.
La storia dell’abbigliamento infantile, che percorre tutto l’Ottocento e si protrae fino alla metà del Novecento, viene raccontata da questa Mostra attraverso ventotto autentici tesori di preziosa manifattura tessile, otto parures battesimali e venti tra abiti e completini della prima infanzia: cinque parures sono di proprietà del Museo. Generosi signori che seguono l’attività del Museo hanno concesso in prestito le altre parures battesimali e gli abiti.
La storia dell’abbigliamento infantile è anche la vicenda dell’evoluzione dell’infanzia e della sua educazione. Nel passato, presso tutte le classi sociali, il bambino era considerato un essere imperfetto e allo stesso modo la fanciullezza un triste periodo della vita dal quale affrancarsi al più presto. Per questo era necessario mettere in pratica nei confronti dei più piccoli la massima severità assommata ad una inflessibile disciplina e, per incoraggiarli in questa direzione, veniva loro imposto molto presto di comportarsi come adulti in miniatura, fatto questo che andava sottolineato visivamente, a cominciare dal vestito. L’abito quindi impediva loro di comportarsi e di vivere da bambini: non si poteva correre né saltare, tanto meno arrampicarsi sugli alberi o giocare per terra, insomma esprimersi secondo l’età.
Fondamentale a questo proposito il contributo nel 1762 di Jean-Jacques Rousseau che con il suo romanzo “Emile ou De l’éducation” fissa alcuni criteri essenziali per un nuovo pensiero pedagogico: per quanto riguarda l’abbigliamento alcune sue pagine assumono inoltre i toni di un vero e proprio manifesto, egli è contro le fasciature e qualsiasi tipo di costrizione relativa agli indumenti. A partire dalla fine del Settecento infatti si riscoprono le salutari virtù del bagno assieme ai pregi dell’igiene, cosi da aggiungere un tocco di fresca pulizia alle eleganze infantili. In questo periodo , l’uso di vestire gli infanti come adulti in miniatura, paludati in fruscianti abiti serici assai scomodi nella loro aderenza cade lentamente ma progressivamente in disuso.
Col sopraggiungere dell’Ottocento, anche nel momento di muovere i primi passi, si cerca di limitare le disuguaglianze di genere: di solito tutti i bambini fino ai cinque anni indossavano una veste lunga, simile ad una tunichetta molto semplice, generalmente in tinta unita, semmai impreziosita da piccoli ricami, da pizzi o da effetti “à jour” di gusto leggiadro: il rito di passaggio all’età ‘adulta’ veniva tuttavia sancito allo scoccare dei cinque anni
A partire dalla metà dell’Ottocento, per i rampolli dell’aristocrazia anglosassone in occasioni informali e per la vita all’aria aperta, si diffonde la moda dell’abito da marinaretto, di cui il precursore pare sia stato Alberto-Edoardo Principe del Galles (poi Edoardo VII) che gia nel 1846 viene immortalato dal celebre ritrattista Franz X. Winterhalter con l’uniforme bianca e blu dell’equipaggio dello yacht reale, durante una crociera alle isole anglo-normanne. Da questo momento in poi tale divisa si diffonderà a macchia d’olio in tutto il Vecchio Continente, contagiando anche le emulatrici classi alto-borghesi.
Il Novecento di fatto si inaugura con l’affermazione impegnativa quanto categorica di essere “il secolo del fanciullo”, come paiono sottolineare numerosi legislatori dalle pagine di quotidiani e di riviste specializzate: in tutta Europa si è ormai avviata la fase del decollo industriale e le produzioni in serie a buon mercato si confrontano soprattutto con la moda da uomo e con quella per bambino. Per i privilegiati invece si amplia la scelta di sartorie eleganti specializzate in moda per bimbi, che aprono i battenti delle loro succursali in più di un capoluogo italiano: Roma, Genova, Firenze, Napoli diventano noti centri di artigianato specializzato in questo settore. Sono anni di grande transizione, dove ormai tra tutti regna sovrano, e non solo per i primi anni di vita, l’abitino di cotone candido, in piquet o in mussola, spesso con inserti lavorati a nido d’ape. Tutto ciò che è bianco viene solennemente inamidato.
Secondo una cronaca mondana inizi secolo, donna Franca Florio nella villa siciliana dell’Olivuzza è descritta con i suoi due figli, la primogenita Giovannuzza di sette anni appare davvero elegante nel suo abito di raso bianco acquistato a Londra da Liberty e il piccolo Baby Boy di solo due anni viene presentato vestito con un abito lungo color pastello. E dagli Stati Uniti ancora una volta arriva un’altra provocazione, quella della semplicità, rappresentata da una bambina di quattro anni destinata a diventare la mitica ereditiera dei Grandi Magazzini Woolworth, Barbara Hutton, che si presenta davanti all’obbiettivo per una foto ufficiale con un disinvolto vestitino bianco corto al ginocchio, calzettoni e scarpe in tinta; altre bambine italiane fanno parlare di sé attraverso il segno della trasgressione, indossando abiti futuristi disegnati per loro dal padre Giacomo Balla.
Nella prima metà del Novecento nuovi tessuti nati dalla ricerca tecnologica affiancano quelli della tradizione, moltiplicando le possibilità offerte dalle materie prime che si alternano con fantasia in capi sempre più destrutturati e adatti all’esuberanza giovanile. Per le bimbe l’abito è ormai al ginocchio leggero e vaporoso e i bambini indossano pantaloni corti di velluto, camicia di seta con colletto a volant oppure bordato di pizzo, completati da una giacca corta alla vita e chiusa al collo.
Ormai i due sessi, tra gli anni Venti e Trenta, dopo i primi mesi di vita in cui si differenziano solo per il colore delle vesti tradizionalmente spartite tra le due tinte classiche del rosa e del celeste, prendono subito strade diverse. Un comodo pagliaccetto distingue la tenuta per i maschietti; mentre un abitino con carré decorato individua le femminucce.
Tra le parures per raffinata eleganza e rarità spicca quella che ha accompagnato un infante ebraico come si evince dai bottoncini in madreperla con stella di David, mentre la parure battesimale più antica, databile alla metà dell’Ottocento e realizzata interamente in merletto di seta di Bruxelles, è quella donata da una nobile famiglia ligure al Museo.
L’abitino più antico in taffetas di seta verde-grigio composta da redingote e pantaloncini, databile tra la fine del Settecento ed i primissimi anni dell’Ottocento, è appartenuto ad un piccolo gentiluomo siciliano-veneto.
Tre abitini maschili, in cotone operato e in lino e seta, costituiscono un corredo di un piccolo signore che nel 1881 aveva tre anni.
Abitini bianchi in cotone operato e in gros di cotone, arricchiti da merletti di San Gallo con applicazioni tipo Cornely, rappresentano la moda delle bimbe dal 1890 al 1910.
In mostra è presente una significativa divisa maschile alla marinara della prima metà del Novecento, mentre l’allegra e danzante coppia di abitini rosa si ispirano a Shirley Temple, l’allora imperante piccola star hollywoodiana, che diverrà una inimitabile ambasciatrice internazionale per la moda dei bimbi. I suoi vestiti toccano appena il ginocchio, hanno lo sprone, il colletto bianco e sono disegnati a piccoli pois o a fiorellini, caratterizzati da balze soprammesse di tessuto vaporoso con culotte abbinate: è lei il sogno, la rappresentazione animata di un infanzia felice, impeccabilmente abbigliata, che di lì a poco verrà purtroppo spazzata via dalla guerra. A lei sono ispirati anche il vestitino a balze con rami floreali in lenci e l’abito in tulle bianco ricamato a grandi festoni anch’esso con piccoli fiorellini lenci.
La storia dell’abbigliamento infantile, che percorre tutto l’Ottocento e si protrae fino alla metà del Novecento, viene raccontata da questa Mostra attraverso ventotto autentici tesori di preziosa manifattura tessile, otto parures battesimali e venti tra abiti e completini della prima infanzia: cinque parures sono di proprietà del Museo. Generosi signori che seguono l’attività del Museo hanno concesso in prestito le altre parures battesimali e gli abiti.
La storia dell’abbigliamento infantile è anche la vicenda dell’evoluzione dell’infanzia e della sua educazione. Nel passato, presso tutte le classi sociali, il bambino era considerato un essere imperfetto e allo stesso modo la fanciullezza un triste periodo della vita dal quale affrancarsi al più presto. Per questo era necessario mettere in pratica nei confronti dei più piccoli la massima severità assommata ad una inflessibile disciplina e, per incoraggiarli in questa direzione, veniva loro imposto molto presto di comportarsi come adulti in miniatura, fatto questo che andava sottolineato visivamente, a cominciare dal vestito. L’abito quindi impediva loro di comportarsi e di vivere da bambini: non si poteva correre né saltare, tanto meno arrampicarsi sugli alberi o giocare per terra, insomma esprimersi secondo l’età.
Fondamentale a questo proposito il contributo nel 1762 di Jean-Jacques Rousseau che con il suo romanzo “Emile ou De l’éducation” fissa alcuni criteri essenziali per un nuovo pensiero pedagogico: per quanto riguarda l’abbigliamento alcune sue pagine assumono inoltre i toni di un vero e proprio manifesto, egli è contro le fasciature e qualsiasi tipo di costrizione relativa agli indumenti. A partire dalla fine del Settecento infatti si riscoprono le salutari virtù del bagno assieme ai pregi dell’igiene, cosi da aggiungere un tocco di fresca pulizia alle eleganze infantili. In questo periodo , l’uso di vestire gli infanti come adulti in miniatura, paludati in fruscianti abiti serici assai scomodi nella loro aderenza cade lentamente ma progressivamente in disuso.
Col sopraggiungere dell’Ottocento, anche nel momento di muovere i primi passi, si cerca di limitare le disuguaglianze di genere: di solito tutti i bambini fino ai cinque anni indossavano una veste lunga, simile ad una tunichetta molto semplice, generalmente in tinta unita, semmai impreziosita da piccoli ricami, da pizzi o da effetti “à jour” di gusto leggiadro: il rito di passaggio all’età ‘adulta’ veniva tuttavia sancito allo scoccare dei cinque anni
A partire dalla metà dell’Ottocento, per i rampolli dell’aristocrazia anglosassone in occasioni informali e per la vita all’aria aperta, si diffonde la moda dell’abito da marinaretto, di cui il precursore pare sia stato Alberto-Edoardo Principe del Galles (poi Edoardo VII) che gia nel 1846 viene immortalato dal celebre ritrattista Franz X. Winterhalter con l’uniforme bianca e blu dell’equipaggio dello yacht reale, durante una crociera alle isole anglo-normanne. Da questo momento in poi tale divisa si diffonderà a macchia d’olio in tutto il Vecchio Continente, contagiando anche le emulatrici classi alto-borghesi.
Il Novecento di fatto si inaugura con l’affermazione impegnativa quanto categorica di essere “il secolo del fanciullo”, come paiono sottolineare numerosi legislatori dalle pagine di quotidiani e di riviste specializzate: in tutta Europa si è ormai avviata la fase del decollo industriale e le produzioni in serie a buon mercato si confrontano soprattutto con la moda da uomo e con quella per bambino. Per i privilegiati invece si amplia la scelta di sartorie eleganti specializzate in moda per bimbi, che aprono i battenti delle loro succursali in più di un capoluogo italiano: Roma, Genova, Firenze, Napoli diventano noti centri di artigianato specializzato in questo settore. Sono anni di grande transizione, dove ormai tra tutti regna sovrano, e non solo per i primi anni di vita, l’abitino di cotone candido, in piquet o in mussola, spesso con inserti lavorati a nido d’ape. Tutto ciò che è bianco viene solennemente inamidato.
Secondo una cronaca mondana inizi secolo, donna Franca Florio nella villa siciliana dell’Olivuzza è descritta con i suoi due figli, la primogenita Giovannuzza di sette anni appare davvero elegante nel suo abito di raso bianco acquistato a Londra da Liberty e il piccolo Baby Boy di solo due anni viene presentato vestito con un abito lungo color pastello. E dagli Stati Uniti ancora una volta arriva un’altra provocazione, quella della semplicità, rappresentata da una bambina di quattro anni destinata a diventare la mitica ereditiera dei Grandi Magazzini Woolworth, Barbara Hutton, che si presenta davanti all’obbiettivo per una foto ufficiale con un disinvolto vestitino bianco corto al ginocchio, calzettoni e scarpe in tinta; altre bambine italiane fanno parlare di sé attraverso il segno della trasgressione, indossando abiti futuristi disegnati per loro dal padre Giacomo Balla.
Nella prima metà del Novecento nuovi tessuti nati dalla ricerca tecnologica affiancano quelli della tradizione, moltiplicando le possibilità offerte dalle materie prime che si alternano con fantasia in capi sempre più destrutturati e adatti all’esuberanza giovanile. Per le bimbe l’abito è ormai al ginocchio leggero e vaporoso e i bambini indossano pantaloni corti di velluto, camicia di seta con colletto a volant oppure bordato di pizzo, completati da una giacca corta alla vita e chiusa al collo.
Ormai i due sessi, tra gli anni Venti e Trenta, dopo i primi mesi di vita in cui si differenziano solo per il colore delle vesti tradizionalmente spartite tra le due tinte classiche del rosa e del celeste, prendono subito strade diverse. Un comodo pagliaccetto distingue la tenuta per i maschietti; mentre un abitino con carré decorato individua le femminucce.
Tra le parures per raffinata eleganza e rarità spicca quella che ha accompagnato un infante ebraico come si evince dai bottoncini in madreperla con stella di David, mentre la parure battesimale più antica, databile alla metà dell’Ottocento e realizzata interamente in merletto di seta di Bruxelles, è quella donata da una nobile famiglia ligure al Museo.
L’abitino più antico in taffetas di seta verde-grigio composta da redingote e pantaloncini, databile tra la fine del Settecento ed i primissimi anni dell’Ottocento, è appartenuto ad un piccolo gentiluomo siciliano-veneto.
Tre abitini maschili, in cotone operato e in lino e seta, costituiscono un corredo di un piccolo signore che nel 1881 aveva tre anni.
Abitini bianchi in cotone operato e in gros di cotone, arricchiti da merletti di San Gallo con applicazioni tipo Cornely, rappresentano la moda delle bimbe dal 1890 al 1910.
In mostra è presente una significativa divisa maschile alla marinara della prima metà del Novecento, mentre l’allegra e danzante coppia di abitini rosa si ispirano a Shirley Temple, l’allora imperante piccola star hollywoodiana, che diverrà una inimitabile ambasciatrice internazionale per la moda dei bimbi. I suoi vestiti toccano appena il ginocchio, hanno lo sprone, il colletto bianco e sono disegnati a piccoli pois o a fiorellini, caratterizzati da balze soprammesse di tessuto vaporoso con culotte abbinate: è lei il sogno, la rappresentazione animata di un infanzia felice, impeccabilmente abbigliata, che di lì a poco verrà purtroppo spazzata via dalla guerra. A lei sono ispirati anche il vestitino a balze con rami floreali in lenci e l’abito in tulle bianco ricamato a grandi festoni anch’esso con piccoli fiorellini lenci.
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dicembre 2007
Piccoli tesori. 150 anni di abiti infantili, 1790-1940
Dal 15 dicembre 2007 al 30 marzo 2008
arti decorative e industriali
Location
MUSEO DEL MERLETTO – VILLA TIGULLIO
Rapallo, Via Luigi Casale, (Genova)
Rapallo, Via Luigi Casale, (Genova)
Orario di apertura
martedì, mercoledì, venerdì e sabato dalle ore 14.30 alle ore 18.00; giovedì e domenica dalle ore 10.00 alle ore 12.00 e dalle 14.30 alle 17.30. Lunedì chiuso