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Piermarco Mariani / Annamaria Targher – Proliferazioni
Il prefisso pro succeduto da life individua così l’anteriorità della forma, mentre la desinenza azioni indirizza a quel capitolo della
storia dell’arte, dedicato agli Azionisti Viennesi
Comunicato stampa
Segnala l'evento
Nel suggestivo spazio della Sala Roberto Iras Baldessari si snoda
il percorso espositivo Proliferazioni. La mostra bi-personale avvia un dialogo tra le
ricerche pittoriche di due giovani artisti: Piermarco Mariani e Annamaria Targher.
Il primo, nato a Milano, consegue una formazione d’impronta filosofica e partecipa a
numerose mostre e concorsi per la realizzazione di opere pubbliche. Per il concorso
indetto, nel 2010, dall’Ospedale di Santa Maria del Carmine a Rovereto, progetta
Amor Dei, complesso allegorico scandito da tre sculture, sorrette da tre basamenti
in cemento armato e raffiguranti l’alba, il meriggio, il tramonto.
La seconda, di origini trentine, studia presso l’Accademia di Belle Arti “G. B.
Cignaroli” e presso la facoltà di Scienze dei Beni Culturali a Verona e ottiene
molteplici riconoscimenti, il primo dei quali (risalente al 1996) al Concorso
Nazionale di Pittura Sky Style Expression, a Milano, organizzato in collaborazione
con l'Accademia di Brera.
Dal titolo si evince un primo tentativo di coniugare le opere della recente
produzione di entrambi gli artisti sotto il comune denominatore della proliferazione
di forme, o meglio protoforme, in quanto spesso la vita stessa della forma sembra
impressa sulla tela ad uno stadio ancora germinale.
Nel termine Proliferazioni si celano degli spunti per rintracciare affinità tra opere
stilisticamente dissimili. Il prefisso pro succeduto da life individua così l’anteriorità
della forma, mentre la desinenza azioni indirizza a quel capitolo della storia
dell’arte, dedicato agli Azionisti Viennesi. Proprio loro, negli anni Sessanta,
imbrattavano provocatoriamente le tele di materiale organico ricavato durante
rituali atavici. Tale pratica suggestiona osservando le opere schizzate di rosso di
Piermarco Mariani; sono esse sofisticate traslitterazioni di tracce ematiche? Gli
Azionisti si avvalsero di un linguaggio gestuale decifrabile nella stesura e nello
spessore materico del colore sulle loro tele; nelle creazioni di Annamaria Targher
la gestualità si traduce, sebbene in modo oculato, nelle sgocciolature, cifra comune
agli interpreti dell’action painting.
Con queste premesse l’allestimento suggerisce al fruitore una rinnovata lettura
delle opere di due artisti che si incontrano sul labile confine che separa l’astrazione
dalla figurazione, si confrontano sulla componente coloristica - emozionale del
vocabolario artistico e sull’atto fisico della pittura stessa per produrre una bellezza,
intrisa di equilibri e disequilibri interiori.
Piermarco Mariani si occupa di scultura e di pittura con lo stesso fervore
sperimentale. Nel suo modus operandi riaffiora la dedizione degli antichi maestri
alla scrupolosa fabbricazione di tutti gli “ingredienti” dell’arte. Egli privilegia il “fare”
sull’aspetto concettuale che sopravvive piuttosto nelle poetiche di stampo neo-
duchampiano. Arduo affermare di fronte alle sue creazioni la ormai spoetizzante e
ricorrente battuta “lo so fare anch’io”!
Le opere pittoriche esposte in Proliferazioni (realizzazioni del 2010) esprimono la
preziosità della fattura artigianale che prevede diverse fasi di lavorazione.
Al primo step, dedicato allo studio della composizione - abbozzata col pastello
sulla tela - segue la stesura del pigmento. Esso viene miscelato, a seconda
dell’effetto desiderato, con olio e polvere di vetro, o, per accentuare le cromie,
viene sostituito dal colore per stoffa con polvere di mogano. In Incontro subentra
la cera che attrae il tatto, rendendo lisci alcuni frammenti di superficie pittorica.
Al contrario l’essicazione della materia, accentuata dall’inserimento di polvere
di legno nell’amalgama, inspessisce e rende magmatico il colore. In Fascino ed
Emozione condensa le tensioni cromatiche in macchie blu, ottenute con un acrilico
composto artigianalmente al fine di ottenere delicate trasparenze, sottese al rosso
dominante. Le sperimentazioni sui materiali portano l’artista ad introdurre filamenti
plastici (visibili in Desiderio, Incontro) che a mò di pennelli veicolano il colore e lo
irrobustiscono, dandogli una direzione verso cui ampliarsi.
Queste tele sono un’immersione dell’artista nella proteiforme espressività del
colore, orizzonte cromatico altamente seducente.
In questo contesto espositivo la serie di tele emozionali sono abbinate ad una
scultura in gesso plastico, legno e rame, nominata Memoria (2009). Nella visione
d’insieme, d’acchito balza allo sguardo una costante formale ravvisabile anche in
altri suoi lavori, non presenti in mostra: deflagrazioni di forme.
All’interno di esse pare condensarsi l’energia psichica dell’autore che s’irradia
in filamenti di colore, nello spazio bidimensionale della tela, o si concretizza
in raggi, nello spazio tridimensionale della scultura. In Emozione, Desiderio,
Passione, il rosso s’estende in tutte le sue sfaccettature sensoriali ed ha la funzione
di trascrivere le vibrazioni di una sentimento che non investe mai uno spazio
circoscritto, né si espande in modo omogeneo, come si evince dall’eterogeneità
della materia pittorica.
In Memoria invece (come in Memoria Viva, 2009, e in San Giorgio e il Drago, 2009)
la forma s’identifica in un corpo centrale - previsto allo stato bozzettistico in bronzo
- che effonde vettori di speranza in un continuum temporale tra storia passata e
Le opere scultoree di Piermarco Mariani sprigionano positività. Anche quando
materializzano uno stato di sofferenza, non sono prive di risvolti positivi: il bozzolo
trafitto in Alba (2010) diverrà forma perfetta, incarnante la bellezza in Luna (2010),
la sua prosecuzione. Pertanto quando la forma appare conchiusa, in quanto la
tensione che la pervade e la distorce è risolta, appare allora il frutto della bellezza,
della stabilità e della salute, così come in Luna anche in Prosperità, 2010 (qui la
terra appena dischiusa svela allegoricamente un chicco d’uva: la sua anima).
Annamaria Targher presenta una serie di tele, Flowers, rivolte allo stesso
soggetto: le ninfee. Avviata nel 2010, questa produzione annovera ben ventiquattro
pezzi che interpretano le variazioni cromatiche su un unico motivo. Nelle prime fasi
la ninfea è integrata nel contesto, l’acqua che la sospende e la avvolge o travolge,
da Ninfee VII (il numero romano assegnato dall’artista alle sue opere indica le fasi
della loro gestazione) trasmuta e acquista importanza rispetto al luogo, destinato
perciò a divenire puro sfondo cromatico, mero interagente col soggetto.
Studiando le Ninfee di Annamaria Targher balza alla mente la vastissima produzione
di opere seriali, dedicate alle ninfee nel bacino di Giverny, del grande maestro
dell’impressionismo, Claude Monet. Entrambi rimangono catturati dallo stesso fiore,
pretesto per rimettere in discussione i preconcetti sulla forma.
Cos’è la forma? Dalla radice etimologica del termine forma si giunge al greco
Phòrein che significa portare, ovvero l’azione di portare per sembiante; per esteso
essa è un modello per dare alla materia una figura determinata.
Claude Monet (pur essendo guidato dalla visione pleineristica della realtà,
affermava: « Io posso disegnare solo quello che vedo ») nella produzione finale,
consacrata alle ninfee, supera gli ideali dell’Impressionismo stesso. La visione del
giardino viene talmente interiorizzata che la distanza fra memoria e osservazione
risulta quasi abolita, pur continuando a realizzare gli studi dal vero. Quale destino
sottoporrà alla forma? La materia pittorica s’ispessisce, le pennellate s’allungano, lo
spazio, pur frantumato, rimane una segreta struttura dell’immagine: la figurazione
così deformata oscilla nell’indistinto, pertanto la forma trascendere la funzione di
essere un possibile modello di traduzione della realtà.
A.T. avvia la sua ricerca da orizzonti lontani dal dato reale. Il suo pennello trascrive
inattese intuizioni mentali che soverchiano la sua stessa volontà, nella fase iniziale
del concepimento dell’opera. In seguito però tale caos di sapore surrealista viene
calibrato e cede il posto ad un apollineo processo di costruzione dell’opera. In
questa fase emergono spunti di realtà, accenni di ninfee, sistemati con sensibilità
Perché proprio le ninfee? Forse perché sono fiori inscindibili dallo specchio d’acqua
riflettente che consente all’artista di liberare la pennellata in continui vortici ed
ottenere effetti, non più luministici come nelle tele impressioniste, bensì cromatici
e gestuali? In Ninfee (Canneto) le rapide pennellate sembrano risucchiarsi parvenze
di realtà in intrecci isolati che in Ninfee II si fanno sempre più persistenti fino a
dissolversi in linee curve bianche che dinamizzano la visione in Ninfee III. In queste
tele la linea prende il sopravvento sulla forma che subentra invece da Ninfee VI;
A.T. la costruisce e la itera: appaiono le ninfee!
Ormai redenta dalla funzione di preservare la realtà, la ninfea oscilla tra il dato
reale e la sua interiorizzazione in entrambe le produzioni.
Kandinsky, nel 1896, vide un’opera di Claude Monet, della serie dedicata ai covoni,
in una esposizione a Mosca e, non riuscendo a definire il soggetto del quadro,
comprese che le possibilità del colore erano immense. Da questa osservazione egli
trasse spunto per liberare la propria sensibilità, diventando il padre dell’Astrattismo
« La pittura ne ha tratto una forza e una luminosità straordinarie.
Inconsciamente però, anche l’oggetto in quanto elemento indispensabile
del quadro ne fu screditato. […] Mi chiesi… perché un pittore non potrebbe
andare oltre Monet e dipingere liberamente, senza vincolo alcuno da parte
dell’oggetto? » (Claude Monet)
Mentre l’artista francese dissolve soggetti e tridimensionalità, giungendo ad esiti
sempre più materici e gestuali – a tal punto che alcuni storici desumono uno stile
informal ante litteram in alcuni suoi brani di paesaggio - Annamaria Targher dona
spessore alle apparenze, introducendo da Ninfee VII in poi l’elemento semantico
della sgocciolatura. Con la tela sistemata su pannello fisso verticale attende e
veicola, tramite cancellature, il corso della goccia che entra ed esce dai fiori,
ritmando e riempiendo lo spazio stratiforme delle ninfee. La sgocciolatura fluente
dall’alto verso il basso non taglia le ninfee, ma dona loro un habitat gestuale. Tali
interventi, come nelle tele di Emilio Vedova, sono tutt’altro che destinati alla sola
casualità. La sgocciolatura emancipa il colore dalla ricostruzione della realtà; così
liberato, esso acquista una forte identità semantica e volumetrica e supera il suo
destino bidimensionale sulla superficie della tela.
Nel processo creativo delle Ninfee A.T. rivela un approccio dicotomico che culmina
proprio nella colatura: qualcosa sfugge dai suoi intenti e qualcosa governa. La
stessa afferma a tal proposito:
« questa lotta con la colatura che mi piaceva per la sua libertà ma che volevo anche
poter gestire, mi ha letteralmente sconvolto. […] Il fermare la colata è come la
rimozione di un episodio che turba per le sue semplicità e naturalezza: la pulizia
della tela dalla colata è come indotta da un senso di colpa per qualcosa che si ama
ma che ancora mi sfugge ».
Le ninfee paiono allora una fragile e preziosa barriera che a volte fuorvia, a volte
concede affascinanti e intricati universi interiori.
il percorso espositivo Proliferazioni. La mostra bi-personale avvia un dialogo tra le
ricerche pittoriche di due giovani artisti: Piermarco Mariani e Annamaria Targher.
Il primo, nato a Milano, consegue una formazione d’impronta filosofica e partecipa a
numerose mostre e concorsi per la realizzazione di opere pubbliche. Per il concorso
indetto, nel 2010, dall’Ospedale di Santa Maria del Carmine a Rovereto, progetta
Amor Dei, complesso allegorico scandito da tre sculture, sorrette da tre basamenti
in cemento armato e raffiguranti l’alba, il meriggio, il tramonto.
La seconda, di origini trentine, studia presso l’Accademia di Belle Arti “G. B.
Cignaroli” e presso la facoltà di Scienze dei Beni Culturali a Verona e ottiene
molteplici riconoscimenti, il primo dei quali (risalente al 1996) al Concorso
Nazionale di Pittura Sky Style Expression, a Milano, organizzato in collaborazione
con l'Accademia di Brera.
Dal titolo si evince un primo tentativo di coniugare le opere della recente
produzione di entrambi gli artisti sotto il comune denominatore della proliferazione
di forme, o meglio protoforme, in quanto spesso la vita stessa della forma sembra
impressa sulla tela ad uno stadio ancora germinale.
Nel termine Proliferazioni si celano degli spunti per rintracciare affinità tra opere
stilisticamente dissimili. Il prefisso pro succeduto da life individua così l’anteriorità
della forma, mentre la desinenza azioni indirizza a quel capitolo della storia
dell’arte, dedicato agli Azionisti Viennesi. Proprio loro, negli anni Sessanta,
imbrattavano provocatoriamente le tele di materiale organico ricavato durante
rituali atavici. Tale pratica suggestiona osservando le opere schizzate di rosso di
Piermarco Mariani; sono esse sofisticate traslitterazioni di tracce ematiche? Gli
Azionisti si avvalsero di un linguaggio gestuale decifrabile nella stesura e nello
spessore materico del colore sulle loro tele; nelle creazioni di Annamaria Targher
la gestualità si traduce, sebbene in modo oculato, nelle sgocciolature, cifra comune
agli interpreti dell’action painting.
Con queste premesse l’allestimento suggerisce al fruitore una rinnovata lettura
delle opere di due artisti che si incontrano sul labile confine che separa l’astrazione
dalla figurazione, si confrontano sulla componente coloristica - emozionale del
vocabolario artistico e sull’atto fisico della pittura stessa per produrre una bellezza,
intrisa di equilibri e disequilibri interiori.
Piermarco Mariani si occupa di scultura e di pittura con lo stesso fervore
sperimentale. Nel suo modus operandi riaffiora la dedizione degli antichi maestri
alla scrupolosa fabbricazione di tutti gli “ingredienti” dell’arte. Egli privilegia il “fare”
sull’aspetto concettuale che sopravvive piuttosto nelle poetiche di stampo neo-
duchampiano. Arduo affermare di fronte alle sue creazioni la ormai spoetizzante e
ricorrente battuta “lo so fare anch’io”!
Le opere pittoriche esposte in Proliferazioni (realizzazioni del 2010) esprimono la
preziosità della fattura artigianale che prevede diverse fasi di lavorazione.
Al primo step, dedicato allo studio della composizione - abbozzata col pastello
sulla tela - segue la stesura del pigmento. Esso viene miscelato, a seconda
dell’effetto desiderato, con olio e polvere di vetro, o, per accentuare le cromie,
viene sostituito dal colore per stoffa con polvere di mogano. In Incontro subentra
la cera che attrae il tatto, rendendo lisci alcuni frammenti di superficie pittorica.
Al contrario l’essicazione della materia, accentuata dall’inserimento di polvere
di legno nell’amalgama, inspessisce e rende magmatico il colore. In Fascino ed
Emozione condensa le tensioni cromatiche in macchie blu, ottenute con un acrilico
composto artigianalmente al fine di ottenere delicate trasparenze, sottese al rosso
dominante. Le sperimentazioni sui materiali portano l’artista ad introdurre filamenti
plastici (visibili in Desiderio, Incontro) che a mò di pennelli veicolano il colore e lo
irrobustiscono, dandogli una direzione verso cui ampliarsi.
Queste tele sono un’immersione dell’artista nella proteiforme espressività del
colore, orizzonte cromatico altamente seducente.
In questo contesto espositivo la serie di tele emozionali sono abbinate ad una
scultura in gesso plastico, legno e rame, nominata Memoria (2009). Nella visione
d’insieme, d’acchito balza allo sguardo una costante formale ravvisabile anche in
altri suoi lavori, non presenti in mostra: deflagrazioni di forme.
All’interno di esse pare condensarsi l’energia psichica dell’autore che s’irradia
in filamenti di colore, nello spazio bidimensionale della tela, o si concretizza
in raggi, nello spazio tridimensionale della scultura. In Emozione, Desiderio,
Passione, il rosso s’estende in tutte le sue sfaccettature sensoriali ed ha la funzione
di trascrivere le vibrazioni di una sentimento che non investe mai uno spazio
circoscritto, né si espande in modo omogeneo, come si evince dall’eterogeneità
della materia pittorica.
In Memoria invece (come in Memoria Viva, 2009, e in San Giorgio e il Drago, 2009)
la forma s’identifica in un corpo centrale - previsto allo stato bozzettistico in bronzo
- che effonde vettori di speranza in un continuum temporale tra storia passata e
Le opere scultoree di Piermarco Mariani sprigionano positività. Anche quando
materializzano uno stato di sofferenza, non sono prive di risvolti positivi: il bozzolo
trafitto in Alba (2010) diverrà forma perfetta, incarnante la bellezza in Luna (2010),
la sua prosecuzione. Pertanto quando la forma appare conchiusa, in quanto la
tensione che la pervade e la distorce è risolta, appare allora il frutto della bellezza,
della stabilità e della salute, così come in Luna anche in Prosperità, 2010 (qui la
terra appena dischiusa svela allegoricamente un chicco d’uva: la sua anima).
Annamaria Targher presenta una serie di tele, Flowers, rivolte allo stesso
soggetto: le ninfee. Avviata nel 2010, questa produzione annovera ben ventiquattro
pezzi che interpretano le variazioni cromatiche su un unico motivo. Nelle prime fasi
la ninfea è integrata nel contesto, l’acqua che la sospende e la avvolge o travolge,
da Ninfee VII (il numero romano assegnato dall’artista alle sue opere indica le fasi
della loro gestazione) trasmuta e acquista importanza rispetto al luogo, destinato
perciò a divenire puro sfondo cromatico, mero interagente col soggetto.
Studiando le Ninfee di Annamaria Targher balza alla mente la vastissima produzione
di opere seriali, dedicate alle ninfee nel bacino di Giverny, del grande maestro
dell’impressionismo, Claude Monet. Entrambi rimangono catturati dallo stesso fiore,
pretesto per rimettere in discussione i preconcetti sulla forma.
Cos’è la forma? Dalla radice etimologica del termine forma si giunge al greco
Phòrein che significa portare, ovvero l’azione di portare per sembiante; per esteso
essa è un modello per dare alla materia una figura determinata.
Claude Monet (pur essendo guidato dalla visione pleineristica della realtà,
affermava: « Io posso disegnare solo quello che vedo ») nella produzione finale,
consacrata alle ninfee, supera gli ideali dell’Impressionismo stesso. La visione del
giardino viene talmente interiorizzata che la distanza fra memoria e osservazione
risulta quasi abolita, pur continuando a realizzare gli studi dal vero. Quale destino
sottoporrà alla forma? La materia pittorica s’ispessisce, le pennellate s’allungano, lo
spazio, pur frantumato, rimane una segreta struttura dell’immagine: la figurazione
così deformata oscilla nell’indistinto, pertanto la forma trascendere la funzione di
essere un possibile modello di traduzione della realtà.
A.T. avvia la sua ricerca da orizzonti lontani dal dato reale. Il suo pennello trascrive
inattese intuizioni mentali che soverchiano la sua stessa volontà, nella fase iniziale
del concepimento dell’opera. In seguito però tale caos di sapore surrealista viene
calibrato e cede il posto ad un apollineo processo di costruzione dell’opera. In
questa fase emergono spunti di realtà, accenni di ninfee, sistemati con sensibilità
Perché proprio le ninfee? Forse perché sono fiori inscindibili dallo specchio d’acqua
riflettente che consente all’artista di liberare la pennellata in continui vortici ed
ottenere effetti, non più luministici come nelle tele impressioniste, bensì cromatici
e gestuali? In Ninfee (Canneto) le rapide pennellate sembrano risucchiarsi parvenze
di realtà in intrecci isolati che in Ninfee II si fanno sempre più persistenti fino a
dissolversi in linee curve bianche che dinamizzano la visione in Ninfee III. In queste
tele la linea prende il sopravvento sulla forma che subentra invece da Ninfee VI;
A.T. la costruisce e la itera: appaiono le ninfee!
Ormai redenta dalla funzione di preservare la realtà, la ninfea oscilla tra il dato
reale e la sua interiorizzazione in entrambe le produzioni.
Kandinsky, nel 1896, vide un’opera di Claude Monet, della serie dedicata ai covoni,
in una esposizione a Mosca e, non riuscendo a definire il soggetto del quadro,
comprese che le possibilità del colore erano immense. Da questa osservazione egli
trasse spunto per liberare la propria sensibilità, diventando il padre dell’Astrattismo
« La pittura ne ha tratto una forza e una luminosità straordinarie.
Inconsciamente però, anche l’oggetto in quanto elemento indispensabile
del quadro ne fu screditato. […] Mi chiesi… perché un pittore non potrebbe
andare oltre Monet e dipingere liberamente, senza vincolo alcuno da parte
dell’oggetto? » (Claude Monet)
Mentre l’artista francese dissolve soggetti e tridimensionalità, giungendo ad esiti
sempre più materici e gestuali – a tal punto che alcuni storici desumono uno stile
informal ante litteram in alcuni suoi brani di paesaggio - Annamaria Targher dona
spessore alle apparenze, introducendo da Ninfee VII in poi l’elemento semantico
della sgocciolatura. Con la tela sistemata su pannello fisso verticale attende e
veicola, tramite cancellature, il corso della goccia che entra ed esce dai fiori,
ritmando e riempiendo lo spazio stratiforme delle ninfee. La sgocciolatura fluente
dall’alto verso il basso non taglia le ninfee, ma dona loro un habitat gestuale. Tali
interventi, come nelle tele di Emilio Vedova, sono tutt’altro che destinati alla sola
casualità. La sgocciolatura emancipa il colore dalla ricostruzione della realtà; così
liberato, esso acquista una forte identità semantica e volumetrica e supera il suo
destino bidimensionale sulla superficie della tela.
Nel processo creativo delle Ninfee A.T. rivela un approccio dicotomico che culmina
proprio nella colatura: qualcosa sfugge dai suoi intenti e qualcosa governa. La
stessa afferma a tal proposito:
« questa lotta con la colatura che mi piaceva per la sua libertà ma che volevo anche
poter gestire, mi ha letteralmente sconvolto. […] Il fermare la colata è come la
rimozione di un episodio che turba per le sue semplicità e naturalezza: la pulizia
della tela dalla colata è come indotta da un senso di colpa per qualcosa che si ama
ma che ancora mi sfugge ».
Le ninfee paiono allora una fragile e preziosa barriera che a volte fuorvia, a volte
concede affascinanti e intricati universi interiori.
03
giugno 2011
Piermarco Mariani / Annamaria Targher – Proliferazioni
Dal 03 al 17 giugno 2011
arte contemporanea
Location
SALA IRAS BALDESSARI
Rovereto, Via Portici, 14, (Trento)
Rovereto, Via Portici, 14, (Trento)
Orario di apertura
martedì – venerdì 18–22; sabato–domenica 10-12 / 18–22
Vernissage
3 Giugno 2011, ore 18.30
Sito web
www.annamariatargher.it
Autore
Curatore