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Piero Lerda – I Teatri della Mente
Mostra personale di arte contemporanea
Comunicato stampa
Segnala l'evento
Titolo I TEATRI della MENTE opere 1954 - 1982
Autore Piero LERDA
mostra a cura di Willy Darko
testi critici di Giovanni Cordero e Ivana Mulatero
Inaugurazione giovedì 1° ottobre 2009 ore 18.00 – 22.00
Data di chiusura fino al 17 ottobre 09
orari lun 15.30 – 19.30 mar-giov 10.00 – 12.30 / 15.30 - 22.00 mer-ven 10.00 – 12.30 / 15.30 – 19.30 sab 16.00 – 19.30
durante il periodo della mostra verrà proiettato un videodocumento della personale di Piero Lerda - Dal caos al gioco. Opere dal 1948 al 2007 - realizzato da Willy Darko in collaborazione con Telegranda Cuneo
ingresso libero
mostra personale
arte contemporanea
Nota biografica
a cura di Valeria Gennaro Lerda
Piero Lerda (Caraglio, 29 aprile 1927 — Torino, 14 novembre 2007) fu giovanissimo allievo, nello studio di Caraglio, del pittore abruzzese Vincenzo Alicandri, che gli fece da maestro nelle molteplici tecniche pittoriche, in un apprendistato che ricorda l’antico modo di “stare a bottega”.
Il curriculum studiorum (diploma per l’insegnamento elementare a Cuneo e maturità artistica conseguita presso il Liceo Artistico- Accademia Albertina di Torino, 1948), fu arricchito da un’importante parentesi di docenza come Lettore di Italiano a Nizza, vincitore di concorso bandito dal Ministero della Pubblica Istruzione Francese (1951-1953), con frequentazione di pittori e letterati che caratterizzavano la vita di quella città.
A Nizza collaborò con letture e corsi di italiano alle attività della Società Dante Alighieri,
fu socio fondatore del Club de Jeunes, che annoverava tra i soci onorari nomi prestigiosi come Prévert, Cocteau, Medécins.
Un’esperienza che gli consenti di respirare l’aria vivificante del Secondo Dopo Guerra nel risveglio della libera circolazione delle idee, e nel momento in cui le avanguardie artistiche trasformavano l’universo culturale occidentale.
Si laureò presso l’Università degli Studi di Torino in Lingua e Letteratura Francese nel 1953, con una tesi su Georges Bernanos, da cui iniziò la sua ricerca sui quesiti esistenziali — la lotta tra il Bene e il Male — che alimentarono sempre il suo pensiero e la sua pittura.
Al termine del servizo militare come tenente degli Alpini (1954-1955), un periodo che ricordava sempre con l’orgoglio che caratterizza gli appartenenti a quel corpo, Piero Lerda, vissuto fino all’età di trentatré anni tra Caraglio e Torino, cercò l’avvio professionale come collaboratore della RAI-TV, nella redazione della rubrica televisiva “Orizzonti”, e nei programmi radiofonici per ragazzi, con lavori di sceneggiatura di racconti, insieme ad altri giovani intellettuali di Torino destinati a essere protagonisti della vita culturale italiana e internazionale (tra gli altri Gianni Vattimo, Furio Colombo, Folco Portinari, Claudio Gorlier).
Negli anni 1957-1963 Piero Lerda fu chiamato a dirigere la Biblioteca dell’USIS (United States Information Service - Consolato Americano), ruolo che ricopri con l’organizzazione di prestigiose iniziative culturali, collaterali al servizio bibliotecario, quali conferenze di studiosi italiani e stranieri, concerti, mostre, nonché con la direzione della rivista “Rassegna USIS” per il Piemonte e la presentazione, in veste di conferenziere, delle avanguardie artistiche statunitensi.
Assunse in questo periodo un importante ruolo di operatore culturale nella città di Torino che ne fece una figura spesso indispensabile ad artisti, docenti universitari e scrittori che si affidavano alla sua competenza nel reperimento dei materiali per le loro ricerche.
A seguito della chiusura della Biblioteca USlS da parte del Governo Americano, che stava riducendo i fondi per i programmi culturali nell’Europa occidentale, Piero Lerda partecipò ai concorsi a cattedre di Lingua e Letteratura Francese, ottenendo l’ordinariato prima a Pinerolo poi a Torino. La laurea di Piero Lerda, infatti, era stato il risultato sia del soggiorno in Francia, sia della sua profonda conoscenza della lingua e della letteratura francese.
Si dedicò all’insegnamento della lingua francese negli Istituti Superiori a Torino fino al suo pensionamento.
Pur nella molteplicità degli interessi culturali (saggista, linguista, docente), Lerda non smise mai di produrre opere pittoriche, perché l’arte fu in realtà la sua stessa ragione d’essere per tutta la sua vita. Negli anni 1956-1963, infatti, Piero Lerda partecipò attivamente a mostre collettive nel cuneese, nel momento in cui l’associazione culturale Il Crogiuolo promuoveva l’arte della provincia.
La partecipazione alle collettive fu spesso segnata dal conferimento di premi prestigiosi (il premio Cuneo per l’opera Ferrovie nel 1956; il premio E.PT per l’opera Cupole Rosse, riferita alla Chiesa della Madonna della Riva, un dipinto considerato “opera di nascosti incanti e di poesia interiore” dalla critica nel 1959; la partecipazione alla Rassegna Internazionale del Crogiuolo, con La città arroccata nel 1960 e, nello stesso anno, il Premio Medaglia d’Oro Città di Torino per l’opera Lampi sul Po, esposta Promotrice di Belle Arti di Torino).
Nel 1962 partecipò alla collettiva di Pittori Piemontesi alla galleria Il Traghetto di Venezia, e nel 1963 ottenne il secondo premio assoluto alla Rassegna Internazionale d’Arte di Napoli.
Dopo il grande successo di critica (Dragone, Scroppo, Carluccio, e altri) della sua prima mostra personale del 1962 presso la galleria L’Immagine di Torino, diretta dal pittore Antonio Carena e presentata dal critico Renzo Guasco, Piero Lerda ha scelto di proseguire la sua ricerca in modo solitario, teso al raggiungimento di una completezza di realizzazioni del ricchissimo mondo di pensiero e di creatività. Un atteggiamento che Andy Garcia ben delinea quando scrive: “In un artista convive la libertà di chiudersi in se stessi, e la volontà di aprirsi al mondo”.
Caraglio e il cuneese rimasero il punto di riferimento costante della sua cultura e della sua stessa personalità, poiché il senso profondo delle sue radici prevalse anche quando nel 1979 declinò l’invito del Dipartimento d’Arte della University of Georgia (Athens, Georgia, USA) a trasferirsi come docente e come artista.
Si è trattato di un isolamento dovuto anche alla riservatezza, da un lato, e al desiderio di perfezione, dall’altro; ma si doveva trattare di un isolamento non definitivo, come testimoniano i suoi molteplici e interessanti Progetti di mostra che ricorrono nei suoi carteggi.
Piero Lerda: Frammenti di Infinito
Personalità colta e rigorosa ma appartata. Un artista discreto e schivo, fuori dai circuiti e dalla ribalta di un mercato confuso e frenetico. Aggiornato testimone e protagonista di mezzo secolo di eventi artistico-culturali.
Nel percorso artistico e intellettuale di Piero Lerda si coniugano concentrazione e autorevolezza, rigore e ispirazione compositiva, fuoco interiore e nobile saggezza.
La sua pittura pur andando verso una semplificazione e riduzione dei segni, conserva una larvata figurazione, è una ricerca che non si disperde in un gorgo informale, non si lascia trascinare nel vortice dell’interiorità e, pur contenendone le pulsioni, libera una scrittura che prende una duplice direzione.
Da una parte si articola come attività ludica: gioiosa giostra esistenziale, dispersione gratuita di energia, manipolazione di materia informe intrisa di luce e colore. Dall’altra si sviluppa come gioco strutturato con il suo insieme di regole, di combinazioni e di rapporti precisi.
Tutto questo porta il pittore, agli inizi degli anni sessanta, a sintetizzare la sua poetica in una cifra che lo accompagnerà tutta la vita: sono composizioni che lo inducono alla costruzione di immagini in forma di aquiloni. Forse un colpo d’ala liberatorio per inventare una nuova realtà, più leggera e autonoma di fronte alla pesantezza degli eventi della storia individuale. Aquiloni: metafore della vita e della fragilità dell’esistere. Sono forme che ricordano composizioni astratte. Egli cerca nell’astrazione il risvolto celato della realtà, la profondità sempre più negata dalla società dell’immagine e della comunicazione ( cui ha dedicato anni di professione), per contrapporle un universo visivo che va verso una rarefazione, una riduzione essenziale che si configura come sospensione dell’esistere del tempo e dello spazio. Aquiloni sospesi nel vuoto, pur tuttavia vincolati al reale da un filo sottile: vero anelito di spiritualità. Catturano lo sguardo con la loro grazia aerea, riempiendolo di sorpresa e meraviglia. Simbolo degli aspetti più imprevedibili e fantastici dell’esistenza, si librano nell’aria rarefatta dei nostri sogni dove volteggiano come a risvegliare l’incanto per tutto ciò che è inaspettato o inusuale o che ci viene donato gratuitamente dall’esperienza. Il loro movimento ondeggiante: elegante danza incorporea, si collega all’universo insondabile dei pensieri e della fantasia, all’immaginario, alla poesia. Librare un aquilone con destrezza e divertimento è dunque sinonimo di messaggio di apertura verso le novità e le gioie della vita. In estremo Oriente è visto come l’esteriorizzarsi dell’anima del suo proprietario che resta legato al suolo. Egli è magicamente avvinto ad esso, come l’anima al corpo. L’uomo attraverso il filo percepisce la forza delle correnti celesti cui il fragile apparecchio di carta è affidato.
L’artista è colui che sa conservare lo spirito dell’infanzia nell’età adulta, dove il rapporto con il cielo e la terra, diventa motivo di ispirazione della sua arte.
Piero Lerda cerca di afferrare, come attraverso un caleidoscopio, quell’enigmatica e misteriosa parola che ognuno di noi pronuncia sovente, nel segreto del suo cuore, senza però intenderne il significato. Dal suo misterioso sussurro il pittore riceve suggerimenti per comporre le sue opere. Con brandelli di materia colorata, poche pennellate e semplici segni sa catturare frammenti di infinito per costruire il suo personale universo. Uomo di profonda cultura, sa che essa nasce dalla contrapposizione tra ciò che ha scopo e le necessità della vita quotidiana. Percepisce che il fondamento della conoscenza è il gioco nel quale si compie la definizione della nostra esistenza, anche se il funzionalismo della moderna civiltà tecnologica rende difficile affermare questa autonoma dignità. Egli ci suggerisce che il gioco dell’aquilone può farci ritrovare il piacere per una solennità che esce dal quotidiano perché verso il cielo si innalza il tetto comune che tutte le culture dovrebbero costruire. Aquiloni: strumenti poveri di materia ma ricchi di fantasia, sfrecciano nell’aria, comunicando un senso etico e partecipato tra i popoli della terra.
Il loro volo libero ma allo stesso tempo vincolato alla mano dell’uomo ci induce a inquietanti associazioni con la vita organica, un rarefatto incanto, che possiede il fascino universale della musica, capace di travalicare il mondo dei significati per far spazio a quello dell’emozione.
Giovanni Cordero
Direttore Arte Contemporanea
Soprintendenza storico artistica
Ministero dei beni e attività culturali
Torino 2/04/09
Piero Lerda: Pagine di diario (1954-1962)
Il titolo “Pagine di diario” non è altro che il riportare, da storico dell’arte, quanto Lerda ha conservato in un appunto in cui pianifica la sua (unica) personale che viene realizzata nel maggio 1962 alla Galleria L’Immagine con quattordici opere esposte (tutti disegni tranne un olio su tela) e una cartella di diciotto disegni. In questo foglietto egli elenca i titoli delle opere che pensa di esporre e li fa precedere dal titolo “Pagine di diario”. Per cui si deduce che la personale era da lui concepita non come verifica di una produzione dell’ultimo anno, ma un primo compendio di quasi dieci anni di attività, intrapresa dopo gli anni di formazione a Caraglio presso Alicandri e dopo il soggiorno a Nizza. L’elenco delle opere, confrontato con quanto riportato sul cartoncino stampato per accompagnare la mostra e completato dal testo critico di Guasco, presenta alcune conferme e nell’operazione di scavo compiuta da chi scrive per realizzare il primo testo monografico sull’artista, alcuni di quei disegni della personale sono stati ritrovati e documentati nella retrospettiva “Piero Lerda. Dal caos al gioco. Opere dal 1948 al 2007” (presentata al Filatoio di Caraglio nella primavera 2009, a cura di I. Mulatero), come le opere “Pagina di diario” (1958), “Uomini in trappola” (1961) “Interno Flash” (1961) “Grande specchio” (1962).
La critica è attenta alla personale e non manca di riportare quanto indicato nella presentazione da Guasco, che poi il critico elabora a partire da una autopresentazione dell’artista redatta presumibilmente per fornire qualche elemento in più al pubblico in visita alla mostra. Lerda pittore si conferma anche lucido teorico di se stesso, che analizza il farsi della sua ricerca. C’è un passaggio, nell’autopresentazione, non riportato da Guasco che è importante riprendere: “L’uomo coinvolto in questo mondo subisce le regole del gioco in atto rimanendone intrappolato e affascinato al tempo stesso. Queste aperture luminose rappresentano per lui qualcosa di più di un fatto meccanico; sono in una certa misura dei paesaggi-miti dietro i quali c’è una nuova terra promessa di felicità, di fama, di ricchezza facile e immediata. Penso non sia difficile affermare che questo aspetto della condotta dell’uomo contemporaneo costituisce un problema sociale tra i più caratteristici della nostra epoca e tra i più paradossali. Infatti quasi sempre questo tipo di avventura si conclude in modo tragico alla stregua della farfalla che si brucia le ali affascinata dalla candela o dalla lampada incandescente. Tentando di rappresentare graficamente e pittoricamente queste realtà in forma di un Diario quasi quotidiano, le pagine o le tele lasciano avvertire di volta in volta un senso di denuncia o una pura testimonianza, una partecipazione o un rifiuto. E’ il mio modo di essere socialmente impegnato nel mio tempo”.
Le “Pagine di diario” richiamano i pensieri di Camus: “Dicevo che il mondo è assurdo e andavo troppo veloce; il mondo di per se non è ragionevole, è tutto ciò che se ne può dire. Ma ciò che è assurdo è il confronto tra questo irrazionale con l’intenso desiderio di chiarezza, il cui richiamo risuona nel più profondo dell’uomo”, e di Sartre: “L’uomo non è che una situazione, ma affinché questa situazione sia un uomo, tutto un uomo, bisogna che sia vissuta e oltrepassata verso un obiettivo specifico”, e cioè Lerda colleziona tutta una serie di citazioni di pensieri di Pascal, Descartes, Montaigne, Gide, Mallarmè, Baudelaire, Bataille, Nietzsche e di quest’ultimo il basilare: “Ognuno deve organizzare il caos che trova in sé”.
Scorrono secoli e secoli di filosofia europea nell’elaborazione mentale della pittura di Lerda innestati al pulsare frenetico di una società massificata che accentua la disgregazione di una visione dell’uomo ormai privo di una centralità, svaporato in un intrico assurdo di frammenti segnici, lacerato in una irriconoscibile condizione di un umanesimo allo sbando, ben espressa dalla scrittura di Kafka, dal teatro di Beckett e Ionesco e dalla cinematografia americana che documentava la vita spersonalizzante delle grandi città americane. L’USIS non proiettava quei film, esulavano dalla finalità di espandere una pacificata ed attraente immagine dell’America, ma pensiamo a “Un bacio una pistola “ (1955) di Robert Aldrich o “Uno, due tre!” (1961) di Billy Wilder che trasgredivano il progetto politico del piano Marshall. In quei film le luci abbacinanti dei fari delle automobili, i bianchi e i neri taglienti e infine la figura dell’uomo, semplice meccanismo di un ingranaggio, non paiono dissimili dai filiformi e aggrovigliati esseri che troviamo in “Interno Flash” (1961) e “Personaggio schermo” (1961) di Lerda. Di quelle opere si legge dalla sua autopresentazione: “Gli schermi e gli interni-flash ricorrenti nei titoli sono i protagonisti del mondo rappresentato e si rapportano ad una realtà riscontrabile nel mondo esterno: cinema, televisione, fotoreportages, anche interni di studios cinematografici e televisivi, un’atmosfera quasi allucinante e artificiale dominata dai lampi dei flashes, dalle luci fredde al neon, dei silenzi e delle attese misurate al secondo…”.
La critica, che non ha mancato di rendere conto sui giornali dell’avvenimento, è però tiepida, anche se gentile. Parla della mostra, ma ripetendo le parole di Guasco, come Scroppo su L’Unità del 3 maggio 1962, oppure sottolineando, come Angelo Dragone (Stampa Sera del 3 maggio 1962) la scoperta vicinanza con una letteratura di cui la pittura è quasi in funzione illustrativa. Chi invece non ripete, è il critico torinese per eccellenza, Luigi Carluccio, che pone la personale su un piano di confronto con le altre mostre del momento e scrive: “Un solo dipinto ad olio e quattordici disegni (…) ci fanno conoscere per la prima volta con una mostra personale Pietro Lerda. Si entra nel medesimo cerchio dell’interpretazione esistenziale dei problemi implicati nella presenza stessa dell'uomo in mezzo al creato esteso ormai su dimensioni interplanetarie, che caratterizza altre esposizioni attualmente aperte a Torino: Guerreschi alla Bussola, Crippa alla Narciso, Merz alla Gallerie di Notizie. Tra tante interpretazioni, questa, di Lerda, é la più delicata direi soffiata e fragile, sia sul piano strumentale che sul piano concettuale, giacchè mi pare che rifletta su misura a piccolo raggio una riduzione letteraria dei termini di tale problema più che la testimonianza diretta e viva di un mondo vivo, nelle sue infinite, dunque, probabilità di essere e manifestarsi”. (Gazzetta del Popolo, 4 maggio 1962)
La personale, a conti fatti, è stata soprattutto una mostra difficile, lontana dagli schemi di un’esposizione, anche per il fatto che fosse quasi interamente costituita da disegni e con un solo olio su tela. Insomma, le opere ritenute importanti, quelle che di norma sono i dipinti su tela, qui non figuravano, la preponderanza andava alla produzione grafica. L’identità di questa personale non poteva dunque essere confrontata su uno stesso ordine di problemi con altre esposizioni, già per l’implicita scelta, che poi sarà una vocazione contenuta negli esordi e confermata in seguito, di una dimensione diaristica, entro la quale Lerda concepiva l’atto artistico. Se egli privilegiava dar conto su fogli di carta i pensieri su una umanità in “trappola” era perché meglio si confaceva la visione della fragilità dell’esistenza. Egli come pittore rifuggiva da note altisonanti, da opere che fossero le pietre miliari di un percorso di ricerca. Il suo spirito arguto conosceva troppo bene le insidie di un ragionare per verità assiomatiche. Non cercava il capolavoro, perché non era quello a cui era interessato. E se la pittura, l’arte, s’identificava in un risultato che doveva essere perentorio, deciso e concluso, e la critica consacrarlo, tanto valeva scegliere altre strade per Lerda su cui potesse liberamente continuare a esercitare una ricerca dell’intuizione immediata, della libertà di sconfinare su contraddizioni irrisolvibili. Del resto cercare il capolavoro era come scolpire le parole incontrovertibili, irrigidire la verità, avere un’idea fissa “…fondamento della dittatura”.
Critico fermissimo, linguista e sociologico del linguaggio, egli ha amato e usato la parola come strumento di mediazione di contenuti artistici e come occasione di comunicazione fin dalle prime conferenze albesi del 1950, le letture e le introduzioni a Nizza e poi gli interventi redazionali per i programmi televisivi e radiofonici, fino al ruolo di responsabile culturale all’USIS. Era consapevole di quanto scriveva Jorge Luis Borges: “Nessuno può articolare una sillaba che non sia piena di tenerezze e di terrori; che non sia in uno di quei linguaggi, il nome poderoso di un dio. Parlare è incorrere in tautologie”. Non era così per Lerda, che considerava il lavoro d’artista come l’equivalente di un lavorio sulla genesi infinita di un’opera che è aperta a continue sollecitazioni ed evoluzioni, come ebbe a dire Umberto Eco nel suo famoso volume “Opera Aperta” (1962). Del Lerda acuto vivisezionatore del linguaggio e abile “scovatore” delle presunte tautologie nascoste tra le pieghe, c’è un illuminante articolo da lui scritto per “L’Informazione industriale”, quindicinale dell’Unione Industriale di Torino, del 30 maggio 1971 in cui la sua indagine non risparmia nessuno, passando al vaglio sia i moduli linguistici fumosi della critica d’arte sia i resoconti parlamentari, smascherando il linguaggio dei politici, dei giornalisti e dei sociologici.
Ivana Mulatero
Per le citazioni nel testo e per maggiori approfondimenti si rimanda al saggio “L’indomesticabile caos” (di cui il presente testo costituisce un capitolo) pubblicato nel catalogo “Piero Lerda. Dal caos al gioco. Opere dal 1948 al 2007”, Edizioni Marcovaldo, Caraglio 2009, pp. 13-33.
Autore Piero LERDA
mostra a cura di Willy Darko
testi critici di Giovanni Cordero e Ivana Mulatero
Inaugurazione giovedì 1° ottobre 2009 ore 18.00 – 22.00
Data di chiusura fino al 17 ottobre 09
orari lun 15.30 – 19.30 mar-giov 10.00 – 12.30 / 15.30 - 22.00 mer-ven 10.00 – 12.30 / 15.30 – 19.30 sab 16.00 – 19.30
durante il periodo della mostra verrà proiettato un videodocumento della personale di Piero Lerda - Dal caos al gioco. Opere dal 1948 al 2007 - realizzato da Willy Darko in collaborazione con Telegranda Cuneo
ingresso libero
mostra personale
arte contemporanea
Nota biografica
a cura di Valeria Gennaro Lerda
Piero Lerda (Caraglio, 29 aprile 1927 — Torino, 14 novembre 2007) fu giovanissimo allievo, nello studio di Caraglio, del pittore abruzzese Vincenzo Alicandri, che gli fece da maestro nelle molteplici tecniche pittoriche, in un apprendistato che ricorda l’antico modo di “stare a bottega”.
Il curriculum studiorum (diploma per l’insegnamento elementare a Cuneo e maturità artistica conseguita presso il Liceo Artistico- Accademia Albertina di Torino, 1948), fu arricchito da un’importante parentesi di docenza come Lettore di Italiano a Nizza, vincitore di concorso bandito dal Ministero della Pubblica Istruzione Francese (1951-1953), con frequentazione di pittori e letterati che caratterizzavano la vita di quella città.
A Nizza collaborò con letture e corsi di italiano alle attività della Società Dante Alighieri,
fu socio fondatore del Club de Jeunes, che annoverava tra i soci onorari nomi prestigiosi come Prévert, Cocteau, Medécins.
Un’esperienza che gli consenti di respirare l’aria vivificante del Secondo Dopo Guerra nel risveglio della libera circolazione delle idee, e nel momento in cui le avanguardie artistiche trasformavano l’universo culturale occidentale.
Si laureò presso l’Università degli Studi di Torino in Lingua e Letteratura Francese nel 1953, con una tesi su Georges Bernanos, da cui iniziò la sua ricerca sui quesiti esistenziali — la lotta tra il Bene e il Male — che alimentarono sempre il suo pensiero e la sua pittura.
Al termine del servizo militare come tenente degli Alpini (1954-1955), un periodo che ricordava sempre con l’orgoglio che caratterizza gli appartenenti a quel corpo, Piero Lerda, vissuto fino all’età di trentatré anni tra Caraglio e Torino, cercò l’avvio professionale come collaboratore della RAI-TV, nella redazione della rubrica televisiva “Orizzonti”, e nei programmi radiofonici per ragazzi, con lavori di sceneggiatura di racconti, insieme ad altri giovani intellettuali di Torino destinati a essere protagonisti della vita culturale italiana e internazionale (tra gli altri Gianni Vattimo, Furio Colombo, Folco Portinari, Claudio Gorlier).
Negli anni 1957-1963 Piero Lerda fu chiamato a dirigere la Biblioteca dell’USIS (United States Information Service - Consolato Americano), ruolo che ricopri con l’organizzazione di prestigiose iniziative culturali, collaterali al servizio bibliotecario, quali conferenze di studiosi italiani e stranieri, concerti, mostre, nonché con la direzione della rivista “Rassegna USIS” per il Piemonte e la presentazione, in veste di conferenziere, delle avanguardie artistiche statunitensi.
Assunse in questo periodo un importante ruolo di operatore culturale nella città di Torino che ne fece una figura spesso indispensabile ad artisti, docenti universitari e scrittori che si affidavano alla sua competenza nel reperimento dei materiali per le loro ricerche.
A seguito della chiusura della Biblioteca USlS da parte del Governo Americano, che stava riducendo i fondi per i programmi culturali nell’Europa occidentale, Piero Lerda partecipò ai concorsi a cattedre di Lingua e Letteratura Francese, ottenendo l’ordinariato prima a Pinerolo poi a Torino. La laurea di Piero Lerda, infatti, era stato il risultato sia del soggiorno in Francia, sia della sua profonda conoscenza della lingua e della letteratura francese.
Si dedicò all’insegnamento della lingua francese negli Istituti Superiori a Torino fino al suo pensionamento.
Pur nella molteplicità degli interessi culturali (saggista, linguista, docente), Lerda non smise mai di produrre opere pittoriche, perché l’arte fu in realtà la sua stessa ragione d’essere per tutta la sua vita. Negli anni 1956-1963, infatti, Piero Lerda partecipò attivamente a mostre collettive nel cuneese, nel momento in cui l’associazione culturale Il Crogiuolo promuoveva l’arte della provincia.
La partecipazione alle collettive fu spesso segnata dal conferimento di premi prestigiosi (il premio Cuneo per l’opera Ferrovie nel 1956; il premio E.PT per l’opera Cupole Rosse, riferita alla Chiesa della Madonna della Riva, un dipinto considerato “opera di nascosti incanti e di poesia interiore” dalla critica nel 1959; la partecipazione alla Rassegna Internazionale del Crogiuolo, con La città arroccata nel 1960 e, nello stesso anno, il Premio Medaglia d’Oro Città di Torino per l’opera Lampi sul Po, esposta Promotrice di Belle Arti di Torino).
Nel 1962 partecipò alla collettiva di Pittori Piemontesi alla galleria Il Traghetto di Venezia, e nel 1963 ottenne il secondo premio assoluto alla Rassegna Internazionale d’Arte di Napoli.
Dopo il grande successo di critica (Dragone, Scroppo, Carluccio, e altri) della sua prima mostra personale del 1962 presso la galleria L’Immagine di Torino, diretta dal pittore Antonio Carena e presentata dal critico Renzo Guasco, Piero Lerda ha scelto di proseguire la sua ricerca in modo solitario, teso al raggiungimento di una completezza di realizzazioni del ricchissimo mondo di pensiero e di creatività. Un atteggiamento che Andy Garcia ben delinea quando scrive: “In un artista convive la libertà di chiudersi in se stessi, e la volontà di aprirsi al mondo”.
Caraglio e il cuneese rimasero il punto di riferimento costante della sua cultura e della sua stessa personalità, poiché il senso profondo delle sue radici prevalse anche quando nel 1979 declinò l’invito del Dipartimento d’Arte della University of Georgia (Athens, Georgia, USA) a trasferirsi come docente e come artista.
Si è trattato di un isolamento dovuto anche alla riservatezza, da un lato, e al desiderio di perfezione, dall’altro; ma si doveva trattare di un isolamento non definitivo, come testimoniano i suoi molteplici e interessanti Progetti di mostra che ricorrono nei suoi carteggi.
Piero Lerda: Frammenti di Infinito
Personalità colta e rigorosa ma appartata. Un artista discreto e schivo, fuori dai circuiti e dalla ribalta di un mercato confuso e frenetico. Aggiornato testimone e protagonista di mezzo secolo di eventi artistico-culturali.
Nel percorso artistico e intellettuale di Piero Lerda si coniugano concentrazione e autorevolezza, rigore e ispirazione compositiva, fuoco interiore e nobile saggezza.
La sua pittura pur andando verso una semplificazione e riduzione dei segni, conserva una larvata figurazione, è una ricerca che non si disperde in un gorgo informale, non si lascia trascinare nel vortice dell’interiorità e, pur contenendone le pulsioni, libera una scrittura che prende una duplice direzione.
Da una parte si articola come attività ludica: gioiosa giostra esistenziale, dispersione gratuita di energia, manipolazione di materia informe intrisa di luce e colore. Dall’altra si sviluppa come gioco strutturato con il suo insieme di regole, di combinazioni e di rapporti precisi.
Tutto questo porta il pittore, agli inizi degli anni sessanta, a sintetizzare la sua poetica in una cifra che lo accompagnerà tutta la vita: sono composizioni che lo inducono alla costruzione di immagini in forma di aquiloni. Forse un colpo d’ala liberatorio per inventare una nuova realtà, più leggera e autonoma di fronte alla pesantezza degli eventi della storia individuale. Aquiloni: metafore della vita e della fragilità dell’esistere. Sono forme che ricordano composizioni astratte. Egli cerca nell’astrazione il risvolto celato della realtà, la profondità sempre più negata dalla società dell’immagine e della comunicazione ( cui ha dedicato anni di professione), per contrapporle un universo visivo che va verso una rarefazione, una riduzione essenziale che si configura come sospensione dell’esistere del tempo e dello spazio. Aquiloni sospesi nel vuoto, pur tuttavia vincolati al reale da un filo sottile: vero anelito di spiritualità. Catturano lo sguardo con la loro grazia aerea, riempiendolo di sorpresa e meraviglia. Simbolo degli aspetti più imprevedibili e fantastici dell’esistenza, si librano nell’aria rarefatta dei nostri sogni dove volteggiano come a risvegliare l’incanto per tutto ciò che è inaspettato o inusuale o che ci viene donato gratuitamente dall’esperienza. Il loro movimento ondeggiante: elegante danza incorporea, si collega all’universo insondabile dei pensieri e della fantasia, all’immaginario, alla poesia. Librare un aquilone con destrezza e divertimento è dunque sinonimo di messaggio di apertura verso le novità e le gioie della vita. In estremo Oriente è visto come l’esteriorizzarsi dell’anima del suo proprietario che resta legato al suolo. Egli è magicamente avvinto ad esso, come l’anima al corpo. L’uomo attraverso il filo percepisce la forza delle correnti celesti cui il fragile apparecchio di carta è affidato.
L’artista è colui che sa conservare lo spirito dell’infanzia nell’età adulta, dove il rapporto con il cielo e la terra, diventa motivo di ispirazione della sua arte.
Piero Lerda cerca di afferrare, come attraverso un caleidoscopio, quell’enigmatica e misteriosa parola che ognuno di noi pronuncia sovente, nel segreto del suo cuore, senza però intenderne il significato. Dal suo misterioso sussurro il pittore riceve suggerimenti per comporre le sue opere. Con brandelli di materia colorata, poche pennellate e semplici segni sa catturare frammenti di infinito per costruire il suo personale universo. Uomo di profonda cultura, sa che essa nasce dalla contrapposizione tra ciò che ha scopo e le necessità della vita quotidiana. Percepisce che il fondamento della conoscenza è il gioco nel quale si compie la definizione della nostra esistenza, anche se il funzionalismo della moderna civiltà tecnologica rende difficile affermare questa autonoma dignità. Egli ci suggerisce che il gioco dell’aquilone può farci ritrovare il piacere per una solennità che esce dal quotidiano perché verso il cielo si innalza il tetto comune che tutte le culture dovrebbero costruire. Aquiloni: strumenti poveri di materia ma ricchi di fantasia, sfrecciano nell’aria, comunicando un senso etico e partecipato tra i popoli della terra.
Il loro volo libero ma allo stesso tempo vincolato alla mano dell’uomo ci induce a inquietanti associazioni con la vita organica, un rarefatto incanto, che possiede il fascino universale della musica, capace di travalicare il mondo dei significati per far spazio a quello dell’emozione.
Giovanni Cordero
Direttore Arte Contemporanea
Soprintendenza storico artistica
Ministero dei beni e attività culturali
Torino 2/04/09
Piero Lerda: Pagine di diario (1954-1962)
Il titolo “Pagine di diario” non è altro che il riportare, da storico dell’arte, quanto Lerda ha conservato in un appunto in cui pianifica la sua (unica) personale che viene realizzata nel maggio 1962 alla Galleria L’Immagine con quattordici opere esposte (tutti disegni tranne un olio su tela) e una cartella di diciotto disegni. In questo foglietto egli elenca i titoli delle opere che pensa di esporre e li fa precedere dal titolo “Pagine di diario”. Per cui si deduce che la personale era da lui concepita non come verifica di una produzione dell’ultimo anno, ma un primo compendio di quasi dieci anni di attività, intrapresa dopo gli anni di formazione a Caraglio presso Alicandri e dopo il soggiorno a Nizza. L’elenco delle opere, confrontato con quanto riportato sul cartoncino stampato per accompagnare la mostra e completato dal testo critico di Guasco, presenta alcune conferme e nell’operazione di scavo compiuta da chi scrive per realizzare il primo testo monografico sull’artista, alcuni di quei disegni della personale sono stati ritrovati e documentati nella retrospettiva “Piero Lerda. Dal caos al gioco. Opere dal 1948 al 2007” (presentata al Filatoio di Caraglio nella primavera 2009, a cura di I. Mulatero), come le opere “Pagina di diario” (1958), “Uomini in trappola” (1961) “Interno Flash” (1961) “Grande specchio” (1962).
La critica è attenta alla personale e non manca di riportare quanto indicato nella presentazione da Guasco, che poi il critico elabora a partire da una autopresentazione dell’artista redatta presumibilmente per fornire qualche elemento in più al pubblico in visita alla mostra. Lerda pittore si conferma anche lucido teorico di se stesso, che analizza il farsi della sua ricerca. C’è un passaggio, nell’autopresentazione, non riportato da Guasco che è importante riprendere: “L’uomo coinvolto in questo mondo subisce le regole del gioco in atto rimanendone intrappolato e affascinato al tempo stesso. Queste aperture luminose rappresentano per lui qualcosa di più di un fatto meccanico; sono in una certa misura dei paesaggi-miti dietro i quali c’è una nuova terra promessa di felicità, di fama, di ricchezza facile e immediata. Penso non sia difficile affermare che questo aspetto della condotta dell’uomo contemporaneo costituisce un problema sociale tra i più caratteristici della nostra epoca e tra i più paradossali. Infatti quasi sempre questo tipo di avventura si conclude in modo tragico alla stregua della farfalla che si brucia le ali affascinata dalla candela o dalla lampada incandescente. Tentando di rappresentare graficamente e pittoricamente queste realtà in forma di un Diario quasi quotidiano, le pagine o le tele lasciano avvertire di volta in volta un senso di denuncia o una pura testimonianza, una partecipazione o un rifiuto. E’ il mio modo di essere socialmente impegnato nel mio tempo”.
Le “Pagine di diario” richiamano i pensieri di Camus: “Dicevo che il mondo è assurdo e andavo troppo veloce; il mondo di per se non è ragionevole, è tutto ciò che se ne può dire. Ma ciò che è assurdo è il confronto tra questo irrazionale con l’intenso desiderio di chiarezza, il cui richiamo risuona nel più profondo dell’uomo”, e di Sartre: “L’uomo non è che una situazione, ma affinché questa situazione sia un uomo, tutto un uomo, bisogna che sia vissuta e oltrepassata verso un obiettivo specifico”, e cioè Lerda colleziona tutta una serie di citazioni di pensieri di Pascal, Descartes, Montaigne, Gide, Mallarmè, Baudelaire, Bataille, Nietzsche e di quest’ultimo il basilare: “Ognuno deve organizzare il caos che trova in sé”.
Scorrono secoli e secoli di filosofia europea nell’elaborazione mentale della pittura di Lerda innestati al pulsare frenetico di una società massificata che accentua la disgregazione di una visione dell’uomo ormai privo di una centralità, svaporato in un intrico assurdo di frammenti segnici, lacerato in una irriconoscibile condizione di un umanesimo allo sbando, ben espressa dalla scrittura di Kafka, dal teatro di Beckett e Ionesco e dalla cinematografia americana che documentava la vita spersonalizzante delle grandi città americane. L’USIS non proiettava quei film, esulavano dalla finalità di espandere una pacificata ed attraente immagine dell’America, ma pensiamo a “Un bacio una pistola “ (1955) di Robert Aldrich o “Uno, due tre!” (1961) di Billy Wilder che trasgredivano il progetto politico del piano Marshall. In quei film le luci abbacinanti dei fari delle automobili, i bianchi e i neri taglienti e infine la figura dell’uomo, semplice meccanismo di un ingranaggio, non paiono dissimili dai filiformi e aggrovigliati esseri che troviamo in “Interno Flash” (1961) e “Personaggio schermo” (1961) di Lerda. Di quelle opere si legge dalla sua autopresentazione: “Gli schermi e gli interni-flash ricorrenti nei titoli sono i protagonisti del mondo rappresentato e si rapportano ad una realtà riscontrabile nel mondo esterno: cinema, televisione, fotoreportages, anche interni di studios cinematografici e televisivi, un’atmosfera quasi allucinante e artificiale dominata dai lampi dei flashes, dalle luci fredde al neon, dei silenzi e delle attese misurate al secondo…”.
La critica, che non ha mancato di rendere conto sui giornali dell’avvenimento, è però tiepida, anche se gentile. Parla della mostra, ma ripetendo le parole di Guasco, come Scroppo su L’Unità del 3 maggio 1962, oppure sottolineando, come Angelo Dragone (Stampa Sera del 3 maggio 1962) la scoperta vicinanza con una letteratura di cui la pittura è quasi in funzione illustrativa. Chi invece non ripete, è il critico torinese per eccellenza, Luigi Carluccio, che pone la personale su un piano di confronto con le altre mostre del momento e scrive: “Un solo dipinto ad olio e quattordici disegni (…) ci fanno conoscere per la prima volta con una mostra personale Pietro Lerda. Si entra nel medesimo cerchio dell’interpretazione esistenziale dei problemi implicati nella presenza stessa dell'uomo in mezzo al creato esteso ormai su dimensioni interplanetarie, che caratterizza altre esposizioni attualmente aperte a Torino: Guerreschi alla Bussola, Crippa alla Narciso, Merz alla Gallerie di Notizie. Tra tante interpretazioni, questa, di Lerda, é la più delicata direi soffiata e fragile, sia sul piano strumentale che sul piano concettuale, giacchè mi pare che rifletta su misura a piccolo raggio una riduzione letteraria dei termini di tale problema più che la testimonianza diretta e viva di un mondo vivo, nelle sue infinite, dunque, probabilità di essere e manifestarsi”. (Gazzetta del Popolo, 4 maggio 1962)
La personale, a conti fatti, è stata soprattutto una mostra difficile, lontana dagli schemi di un’esposizione, anche per il fatto che fosse quasi interamente costituita da disegni e con un solo olio su tela. Insomma, le opere ritenute importanti, quelle che di norma sono i dipinti su tela, qui non figuravano, la preponderanza andava alla produzione grafica. L’identità di questa personale non poteva dunque essere confrontata su uno stesso ordine di problemi con altre esposizioni, già per l’implicita scelta, che poi sarà una vocazione contenuta negli esordi e confermata in seguito, di una dimensione diaristica, entro la quale Lerda concepiva l’atto artistico. Se egli privilegiava dar conto su fogli di carta i pensieri su una umanità in “trappola” era perché meglio si confaceva la visione della fragilità dell’esistenza. Egli come pittore rifuggiva da note altisonanti, da opere che fossero le pietre miliari di un percorso di ricerca. Il suo spirito arguto conosceva troppo bene le insidie di un ragionare per verità assiomatiche. Non cercava il capolavoro, perché non era quello a cui era interessato. E se la pittura, l’arte, s’identificava in un risultato che doveva essere perentorio, deciso e concluso, e la critica consacrarlo, tanto valeva scegliere altre strade per Lerda su cui potesse liberamente continuare a esercitare una ricerca dell’intuizione immediata, della libertà di sconfinare su contraddizioni irrisolvibili. Del resto cercare il capolavoro era come scolpire le parole incontrovertibili, irrigidire la verità, avere un’idea fissa “…fondamento della dittatura”.
Critico fermissimo, linguista e sociologico del linguaggio, egli ha amato e usato la parola come strumento di mediazione di contenuti artistici e come occasione di comunicazione fin dalle prime conferenze albesi del 1950, le letture e le introduzioni a Nizza e poi gli interventi redazionali per i programmi televisivi e radiofonici, fino al ruolo di responsabile culturale all’USIS. Era consapevole di quanto scriveva Jorge Luis Borges: “Nessuno può articolare una sillaba che non sia piena di tenerezze e di terrori; che non sia in uno di quei linguaggi, il nome poderoso di un dio. Parlare è incorrere in tautologie”. Non era così per Lerda, che considerava il lavoro d’artista come l’equivalente di un lavorio sulla genesi infinita di un’opera che è aperta a continue sollecitazioni ed evoluzioni, come ebbe a dire Umberto Eco nel suo famoso volume “Opera Aperta” (1962). Del Lerda acuto vivisezionatore del linguaggio e abile “scovatore” delle presunte tautologie nascoste tra le pieghe, c’è un illuminante articolo da lui scritto per “L’Informazione industriale”, quindicinale dell’Unione Industriale di Torino, del 30 maggio 1971 in cui la sua indagine non risparmia nessuno, passando al vaglio sia i moduli linguistici fumosi della critica d’arte sia i resoconti parlamentari, smascherando il linguaggio dei politici, dei giornalisti e dei sociologici.
Ivana Mulatero
Per le citazioni nel testo e per maggiori approfondimenti si rimanda al saggio “L’indomesticabile caos” (di cui il presente testo costituisce un capitolo) pubblicato nel catalogo “Piero Lerda. Dal caos al gioco. Opere dal 1948 al 2007”, Edizioni Marcovaldo, Caraglio 2009, pp. 13-33.
01
ottobre 2009
Piero Lerda – I Teatri della Mente
Dal primo al 17 ottobre 2009
arte contemporanea
Location
MARTINARTE
Torino, Corso Siracusa, 24a, (Torino)
Torino, Corso Siracusa, 24a, (Torino)
Orario di apertura
lun 15.30 – 19.30 mar-giov 10.00 – 12.30 / 15.30 - 22.00 mer-ven 10.00 – 12.30 / 15.30 – 19.30
Vernissage
1 Ottobre 2009, ore 18.30-22.00
Autore
Curatore