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Pierre Casè – Mnemosine per Venezia
In San Stae Casè realizzerà due alti muri convergenti a imbuto verso l’altare maggiore
Comunicato stampa
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Dal 10 marzo all’1 maggio si terrà nella chiesa di S. Stae a Venezia la mostra Mnemosine per Venezia di Pierre Casè. Nato a Locarno nel 1944, l’artista vive e lavora a Maggia nel Canton Ticino. Per dieci anni, dal 1990 al 200, è stato il direttore artistico della Pinacoteca casa Rusca di Locarno per cui ha curato l’organizzazione di importanti rassegne dedicate all’arte europea del Novecento. Da sempre, però, Casè è pittore e lungo è l’elenco delle esposizioni tenute in spazi pubblici e privati. Tra le rassegne più recenti, vanno ricordate quelle proposte nel 1998 al Museo Russo di San Pietroburgo e al Manège di Mosca, nel 1999 alla Galleria SPSAS di Locarno, nel 2001 alla Galleria del Credito Valtellinese ( Palazzo Sertoli ) di Sondrio, nel 2002 alla Kunstgarten Galerie Hedy Ernst di Mühlehof e presso il Design Center di Langenthal, nel 2003 alla Galleria San Carlo di Milano, alla Galleria Rotta di Genova e al Museo Civico Floriano Bodini di Gemonio, nel 2004 l’antologica alla Pinacoteca Casa Rusca di Locarno.
Per Venezia l’artista ha operato in due direzioni. La prima è quella che affonda le radici nell’ictus che lo ha colpito nel 2000 e che lo ha portato a confrontarsi con se stesso, impersonato dagli emisferi del cervello fissati in successione da una TAC, la seconda prende consistenza dalla storia e dalle suggestioni della chiesa di San Stae, luogo egregio dell’architettura veneziana, restaurata negli anni ’80 dalla Confederazione Svizzera tramite la Fondazione Pro Venezia e luogo deputato ad accogliere parte della presenza svizzera alla Biennale di Venezia.
In San Stae Casè realizzerà due alti muri convergenti a imbuto verso l’altare maggiore. Su di essi sono disposti in una scansione regolare su dieci file per parte 1040 teste arcaiche o mnemosine (in mitologia Mnemosine, figlia di Geo ed Urano, è la personificazione della memoria): si tratta di formelle realizzate su una base di ferro volutamente arrugginito, con interventi che utilizzano sabbia, catrame, colori e imitano la forma di due emisferi cerebrali quali si possono osservare nelle radiografie. Così riproposte e ripetute - ciascuna diversa dall’altra - esse forniscono l’incubo di una perdita dell’intelligenza, della sensibilità e soprattutto della memoria. Il non conoscersi più o il non sapersi più collocare nel luogo e nel momento di competenza spalanca le porte abissali dell’angoscia. È quindi da ritenersi un gesto rituale, quasi scaramantico, quello attuato da Pierre Casè che ha ricondotto l’essenza della rappresentazione a quel primitivo arco incontrato più volte nel cammino; è quell’arco che preserva il nucleo, la fucina dei pensieri e delle emozioni.
Le 1040 essenze craniche vanno considerate non solo un necessario promemoria ma anche un modo insistente e diretto per colloquiare col destino, per misurare e anticipare il tempo che ci identifica e ci compete. Saper interpretare i lievi movimenti e mutamenti cerebrali, non attraverso i freddi calcoli della scienza ma attraverso la corrosiva e invadente manipolazione dei materiali elaborati in un’azione tecnico-alchemica (nella quale il fuoco ha avuto un ruolo fondamentale) concede all’artista il vantaggio della prima mossa, dell’invenzione. Così l’arte si apparenta con la scienza e con la medicina, proprio come accadeva agli albori della nostra civiltà.
Pierre Casè si racconta e ci racconta dunque per seduzioni visive e per emozioni narrative con straordinaria sensibilità pittorica e con finissima partecipazione interiore. L’aver vissuto l’annichilente travaglio dell’impotenza di comunicare coi gesti e con le immagini, gli permette ora, superati i momenti dello smarrimento, di mettere a frutto quel silenzio, quella pausa del vivere e del fare arte. La riflessione su quei momenti accompagna la creatività ritrovata: “… Emisfero destro, emisfero sinistro e la ritrovata creatività drammaticamente sospesa tra l’essere e il non essere come l’impronta di un continuo evolversi del vissuto verso un raggiungimento di nuove testimonianze e di nuovi significati”.
L’operazione Mnemosine a Venezia non si ferma qui. Sul retro dei grandi muri, infatti, sono ricavate 26 stazioni, delle nicchie entro cui si dipana un discorso che da una parte è antecedente, dall’altra conseguente all’azione pittorica di Casè. Ne è autore Marco D’Anna, giovane fotografo ticinese che da tempo segue, con intenti documentari ma con esiti di evidente poesia, il lavoro del pittore: ecco allora, da una parte 13 elaborazioni fantastiche della testa dell’artista e, dall’altra, 13 elaborazioni sul tema del cranio con immagini che indagano tra gli ossari delle chiese di montagna. E sotto ogni fotografia è riportata una lirica di Angelo Casè, il poeta fratello dell’artista scomparso nel marzo del 2005.
L’evento veneziano è accompagnato da un catalogo edito da Fidia edizioni d’arte di Lugano/Milano, introdotto da testi di Luciano Caprile, Maurizio Ferraris e Graziano Martignoni.
Per Venezia l’artista ha operato in due direzioni. La prima è quella che affonda le radici nell’ictus che lo ha colpito nel 2000 e che lo ha portato a confrontarsi con se stesso, impersonato dagli emisferi del cervello fissati in successione da una TAC, la seconda prende consistenza dalla storia e dalle suggestioni della chiesa di San Stae, luogo egregio dell’architettura veneziana, restaurata negli anni ’80 dalla Confederazione Svizzera tramite la Fondazione Pro Venezia e luogo deputato ad accogliere parte della presenza svizzera alla Biennale di Venezia.
In San Stae Casè realizzerà due alti muri convergenti a imbuto verso l’altare maggiore. Su di essi sono disposti in una scansione regolare su dieci file per parte 1040 teste arcaiche o mnemosine (in mitologia Mnemosine, figlia di Geo ed Urano, è la personificazione della memoria): si tratta di formelle realizzate su una base di ferro volutamente arrugginito, con interventi che utilizzano sabbia, catrame, colori e imitano la forma di due emisferi cerebrali quali si possono osservare nelle radiografie. Così riproposte e ripetute - ciascuna diversa dall’altra - esse forniscono l’incubo di una perdita dell’intelligenza, della sensibilità e soprattutto della memoria. Il non conoscersi più o il non sapersi più collocare nel luogo e nel momento di competenza spalanca le porte abissali dell’angoscia. È quindi da ritenersi un gesto rituale, quasi scaramantico, quello attuato da Pierre Casè che ha ricondotto l’essenza della rappresentazione a quel primitivo arco incontrato più volte nel cammino; è quell’arco che preserva il nucleo, la fucina dei pensieri e delle emozioni.
Le 1040 essenze craniche vanno considerate non solo un necessario promemoria ma anche un modo insistente e diretto per colloquiare col destino, per misurare e anticipare il tempo che ci identifica e ci compete. Saper interpretare i lievi movimenti e mutamenti cerebrali, non attraverso i freddi calcoli della scienza ma attraverso la corrosiva e invadente manipolazione dei materiali elaborati in un’azione tecnico-alchemica (nella quale il fuoco ha avuto un ruolo fondamentale) concede all’artista il vantaggio della prima mossa, dell’invenzione. Così l’arte si apparenta con la scienza e con la medicina, proprio come accadeva agli albori della nostra civiltà.
Pierre Casè si racconta e ci racconta dunque per seduzioni visive e per emozioni narrative con straordinaria sensibilità pittorica e con finissima partecipazione interiore. L’aver vissuto l’annichilente travaglio dell’impotenza di comunicare coi gesti e con le immagini, gli permette ora, superati i momenti dello smarrimento, di mettere a frutto quel silenzio, quella pausa del vivere e del fare arte. La riflessione su quei momenti accompagna la creatività ritrovata: “… Emisfero destro, emisfero sinistro e la ritrovata creatività drammaticamente sospesa tra l’essere e il non essere come l’impronta di un continuo evolversi del vissuto verso un raggiungimento di nuove testimonianze e di nuovi significati”.
L’operazione Mnemosine a Venezia non si ferma qui. Sul retro dei grandi muri, infatti, sono ricavate 26 stazioni, delle nicchie entro cui si dipana un discorso che da una parte è antecedente, dall’altra conseguente all’azione pittorica di Casè. Ne è autore Marco D’Anna, giovane fotografo ticinese che da tempo segue, con intenti documentari ma con esiti di evidente poesia, il lavoro del pittore: ecco allora, da una parte 13 elaborazioni fantastiche della testa dell’artista e, dall’altra, 13 elaborazioni sul tema del cranio con immagini che indagano tra gli ossari delle chiese di montagna. E sotto ogni fotografia è riportata una lirica di Angelo Casè, il poeta fratello dell’artista scomparso nel marzo del 2005.
L’evento veneziano è accompagnato da un catalogo edito da Fidia edizioni d’arte di Lugano/Milano, introdotto da testi di Luciano Caprile, Maurizio Ferraris e Graziano Martignoni.
09
marzo 2007
Pierre Casè – Mnemosine per Venezia
Dal 09 marzo al primo maggio 2007
arte contemporanea
Location
CHIESA DI SAN STAE
Venezia, Campo San Stae, 3013, (Venezia)
Venezia, Campo San Stae, 3013, (Venezia)
Orario di apertura
10-18, chiuso lunedì
Vernissage
9 Marzo 2007, ore 18
Ufficio stampa
UESSEARTE
Autore