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Pietro Gentili – Armonie dell’infinito
La ricerca dell’assoluto si affida alla semplificazione elementare della forma circolare come irradiazione della luce con minime variazioni verso la totalità dell’immagine simbolica, visione archetipica che genera infinite visioni, metafora figurale di un viaggio spirituale che esalta l’armonia e il mistero della luce, misura di tutte le cose
Comunicato stampa
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PIETRO GENTILI, ARTE COME ARMONIA SPIRITUALE
Il percorso creativo di Pietro Gentili ha un carattere talmente singolare da
escludere ogni possibile appartenenza al gioco delle tendenze artistiche
contemporanee, non tanto per assenza di similarità linguistiche che
potrebbero evocare vicinanze con le forme dell’astrattismo lirico e
geometrico, quanto per autonoma ricerca di valori esistenziali e spirituali
che presuppongono una dimensione cosmica che sfugge alle sistemazioni
formalistiche del linguaggio.
Il disagio di inquadrare l’arte di Gentili nelle consuete tipologie dell’arte
del secondo ‘900 è dovuto alla sua concezione dello spazio e del tempo,
visione trascendente non commisurabile sia alle tensioni innovative
delle avanguardie sia alle persistenze della tradizione e alle sue pratiche
contrarie agli sperimentalismi del contemporaneo.
Se si osservano le opere dei primi anni sessanta, si coglie il senso di
rarefazione a cui l’immagine è sottoposta per restituire il valore della forma
allo stato puro, l’originarsi dello spazio attraverso linee essenziali che si
intersecano nel vivo di un’atmosfera luminosa e abbagliante.
La ricerca dell’assoluto si affida alla semplificazione elementare della
forma circolare come irradiazione della luce con minime variazioni verso
la totalità dell’immagine simbolica, visione archetipica che genera infinite
visioni, metafora figurale di un viaggio spirituale che esalta l’armonia e il
mistero della luce, misura di tutte le cose.
L’uso della foglia d’oro si alterna all’argento raggiungendo un forte senso
di smaterializzazione della luce, velo dilatato verso il massimo grado
di sensibilizzazione della superficie. Le sottili cangianze e le leggere
frammentazioni della pellicola luminosa sollecitano una percezione del
monocromo dove la vibrazione del colore-luce è continuamente rigenerata.
Infatti, la superficie non è mai statica, ma segue il movimento di
propagazione delle particelle cromatiche che trapelano dalla superficie
verso uno stato di sublimazione della visione, sostanza impalpabile di pura
luce. La ricchezza decorativa dei “soli d’oro” allude a una dimensione
ultraterrena che dilata la misura circoscritta dello spazio pittorico come
campo ideale di meditazione intorno a ciò che sta oltre la natura, passando
dalla qualità sensoriale delle forme alla loro trasfigurazione trascendente.
A metà degli anni Sessanta l’immagine circolare si arricchisce di altre
componenti, non si basa soltanto sugli elementi strutturali del punto, della
linea e del piano ma utilizza anche minimi ed efficaci rilievi plastici che
accrescono la tensione tattile e illusiva della superficie. La ricerca di
una profondità che implica la terza dimensione è un modo di costruire
la “riflessione di spazio” come campo percettivo aperto a ulteriori
modificazioni di luce. Lo specchio è strumento persistente nella storia
creativa di Gentili, da esso si sprigiona una complessità di effetti che
generano la dialettica avvincente tra realtà e finzione, artificio e natura,
razionalità e sensibilità emozionale.
Negli anni Settanta l’artista interpreta l’energia della natura nel suo
infinito alfabeto e s'impegna a controllarne i molteplici sensi per poter
meglio conoscere l’armonia purificata dalla luce. Dalla minima materia
si sprigiona un mondo illimitato che s’identifica nella natura suprema del
cielo, forma d’immaginazione dove le proprietà del colore sono collegate
alla vastità dell’infinito. In questa concezione estetica, la funzione sociale
dell’arte non è quella di alimentare gli istinti individuali ma di sollecitare
percorsi di creatività che sappiano – come scrive Gentili- “portare l’uomo
verso mondi sublimi della virtualità e della creazione, alla scoperta
della bellezza, all’esplorazione del cielo nel suo ruolo metafisico, alla
conoscenza dell’uomo, alla percezione del dio in noi”.
L’arte si confronta con l’armoniosa bellezza dell’infinito attraverso
l’immagine del cielo stellato, trasfigurato dalla luce solare, abitato da
sonorità luminose, da profumi psichici e da odorose sensazioni tattili:
vibrazioni totali in cui ogni moto dell’anima si rispecchia nelle fonti
elevate dello spazio spirituale. L’artista dipinge cieli pervasi di luce
cosmica, cieli in espansione dove punti luminosi, per quanto calibrati
in strutture elementari, sono liberi di aggregarsi nel fluido divenire di
pulsazioni energetiche. Le dinamiche cromatiche seguono andamenti
concentrici oppure strutture a spirale o semplici movimenti di rotazione
che variano a seconda dei punti di modulazione spaziale, con un senso di
emanazione della luce che va oltre la costruzione geometrica.
Oltre che all’armonia del cielo in continuo divenire, l’artista si affida alla
figura dell’Angelo che si oppone ai conflitti che imprigionano l’uomo al
dramma dell’esistenza. Quest’immagine fondamentale compare all’inizio
degli anni Ottanta, dopo aver rotto lo schema della circonferenza verso una
visione che si eleva e si accende in tutto il suo ardore cromatico.
La figura dell’Angelo è “la rifrazione della luce divina”, tramite tra la
terra mutevole e il cielo assoluto, sostegno indispensabile della vita
spirituale, creatura simbolica che – pur inebriata dai sensi dell’umano
sentire – desidera essere pura spiritualità, corpo di luce in cui si riconosce
ogni essere. Gli angeli dipinti da Gentili evocano la pura beatitudine e
la scintilla divina della conoscenza come gioia e serenità, guardano in
tal senso all’esperienza mistica come parte nascosta dell’individualità
dell’essere, ben lontana dalle astrazioni del pensiero che spesso sfuggono
alla realtà veritiera della vita.
L’immagine della “porta” si sviluppa negli anni Novanta come soglia di
meditazione e di ascolto del canto spirituale del colore, spazio appropriato
per stare al cospetto del mistero della luce. L’icona della “porta” è
luogo di congiunzione dell’umano e del sacro, rivelazione del messaggio
divino che abbraccia nella visione frontale l’intera luce del creato. Lo
sguardo è predisposto a sprofondare nel cuore della rappresentazione,
fino a immedesimarsi con le infinite possibilità della soglia, libera da
ogni vincolo iconografico, dunque afferente a molteplici dimensioni
dell’immaginario. La “porta” indica il senso di apertura verso l’altrove,
la materia-luce risplende emanando la sua presenza concreta attraverso
il progressivo disvelamento dei suoi processi visibili, tesi a trascendere i
limiti imposti, fino a percepire l’ampiezza dei colori misteriosi che stanno
nel cosmo invisibile. Quando riflette intorno alla funzione dell’architettura
Gentili parla della capacità di sintetizzare la complessità delle forze
esteriori nell’immagine del sé interiore, con questo orientamento l’artista
allude all’elemento architettonico come fonte di equilibrio che collega la
misura terrestre all’immensità del creato.
Allo stesso modo, la “porta” è un canone spaziale basato su valori
pittorici primari che permettono di commisurare il pensiero dell’arte al
sogno dell’altrove, a esso l’artista dedica tutte le sue attitudini creative:
sensibilità, emozione, relazione tra eterna temporalità e condizione
del presente. Parallelamente alle “Porte”, con differenti dinamismi del
colore Gentili si dedica a dipingere paesaggi dalle atmosfere mutevoli,
vaporose e fluenti, fissando con gessetti colorati su grandi carte l’immagine
della natura nel suo tripudio di sensazioni fisiche e spirituali sollecitate
dall’intensità luminosa del paesaggio. Le mutazioni della natura si rivelano
attraverso stati del colore che sono l’espressione diretta della luce divina, i
caratteri formali oscillano dalla figuralità all’astrazione tessendo tra di loro
le fibre della vegetazione alle vibrazioni atmosferiche delle forme.
In queste opere affiorano colori immersi nel cuore del paesaggio, ardori
del rosso, energie del giallo, luminescenze dell’arancio, profondità del blu,
musicalità dell’azzurro, profumi del verde, incanti del rosa, preziosità del
bianco che rischiarano ogni trama del visibile. Per altre opere va rilevato
un costante interesse a sperimentare nuove materie inserendole nel contesto
delle tecniche già collaudate, dunque non solo tempera, specchio, foglia
d’oro o d’argento, sabbia, ma anche fili di tela, garze, pietre, listelli di
legno, plastica. Materie che -nel loro insieme- sono toccate dall’artista
quasi in punta di dita, gesti lievi e sapienti che dispensano attimi di verità
pittorica attraverso un processo poetico che si origina dall’energia stessa
del colore-luce.
Gentili non rinuncia alle trepidazioni sensoriali del paesaggio, anzi rafforza
questa necessità nella frequentazione quotidiana dei luoghi in cui cerca il
rapporto col Divino attraverso il contatto con la natura.
Nei dipinti dedicati a Colle Oppio, luogo del “cuore terrestre destinato
a essere celeste”, si avverte la capacità di raccogliere dalla solitudine
della meditazione i silenziosi palpiti che la natura trasmette nel giardino
sognato ad ogni aperti. L’incanto lunare, il bagliore dell’estate, il manto
fiorito della primavera, tocchi di rosso come spine che si staccano dalla
vegetazione per vibrare nell’aria come sensazioni cromatiche legate ai
segreti di un mondo visionario.
La casa di Colle Oppio, ricostruita personalmente dall’artista, è la dimora
immersa nella vastità dell’aria come elemento per esprimere la luce del
pensiero creativo, il movimento fisico e mentale che aleggia nel vento
armonioso della creazione. A questo luogo mistico Gentili ha affidato
la poesia della sua vita, il significato totale della sua etica ed estetica,
l’esperienza totale di uomo dedito alla conoscenza interiore della luce
come profonda ricerca d’armonia.
Claudio Cerritelli
Pietro Gentili è nato a San Vito Romano nel 1932.
Dopo essersi trasferito giovanissimo a Roma, dove ha iniziato i suoi studi d’arte, trascorre un anno a
Venezia.
Nel ’59 si reca negli Stati Uniti restandovi circa un anno e soggiornando a lungo a New York.
Al ritorno si stabilisce a Firenze e inizia la sua collaborazione con Fiamma Vigo e la Galleria Numero.
Nel ’62 nuovo viaggio negli Stati Uniti. Al ritorno si stabilisce di nuovo a Firenze, stringe legame con
l’architetto Michelucci. (una sua opera è esposta alla Fondazione Michelucci a Fiesole).
Nel ’65 si sposa con l’artista francese Denise Madin e si trasferisce a Milano, dove alterna la sua attività
pittorica alla collaborazione con la stilista di moda Germana Marucelli, creando gioielli per le sfilate di alta
moda.
Vari soggiorni in Svizzera, in Francia a Parigi e in Inghilterra.
Nel ’71 compie un viaggio in Grecia e Turchia, ma il viaggio più significativo e determinante per gli sviluppi
della sua arte è quello durato più di tre mesi, nel ’76 in India, raggiunta via terra, attraversando il Caucaso, la
Persia, il Pakistan con i mezzi locali, a volte unico straniero in località lontane e mai raggiunte da occidentali.
Qui entra in contatto con le filosofie e le religioni orientali, la mistica islamica e l’astrologia, che ricoprono un
ruolo importante nel successivo sviluppo della sua opera e del suo pensiero, tant’è vero che egli stesso ama
ricordare tale viaggio come “viaggio dell’anima”.
Nel ’78 si trasferisce a San Vito Romano in campagna dove realizza quattro “oasi di pace”, spazi meditativi
con opere pittoriche e scultoree sia all’interno che all’esterno.
Nel ’79 compie un viaggio in Spagna, a cui fanno seguito, nell’81 un viaggio in Egitto, Siria e Palestina con
un soggiorno a Gerusalemme.
Dall’83 al 2001 vive e lavora a Milano con brevi spostamenti in Europa e in Italia.
Nel 2002 lascia Milano e vive tra Roma e San Vito Romano, è qui che nel 2008 lascia la sua vita terrena.
Il percorso creativo di Pietro Gentili ha un carattere talmente singolare da
escludere ogni possibile appartenenza al gioco delle tendenze artistiche
contemporanee, non tanto per assenza di similarità linguistiche che
potrebbero evocare vicinanze con le forme dell’astrattismo lirico e
geometrico, quanto per autonoma ricerca di valori esistenziali e spirituali
che presuppongono una dimensione cosmica che sfugge alle sistemazioni
formalistiche del linguaggio.
Il disagio di inquadrare l’arte di Gentili nelle consuete tipologie dell’arte
del secondo ‘900 è dovuto alla sua concezione dello spazio e del tempo,
visione trascendente non commisurabile sia alle tensioni innovative
delle avanguardie sia alle persistenze della tradizione e alle sue pratiche
contrarie agli sperimentalismi del contemporaneo.
Se si osservano le opere dei primi anni sessanta, si coglie il senso di
rarefazione a cui l’immagine è sottoposta per restituire il valore della forma
allo stato puro, l’originarsi dello spazio attraverso linee essenziali che si
intersecano nel vivo di un’atmosfera luminosa e abbagliante.
La ricerca dell’assoluto si affida alla semplificazione elementare della
forma circolare come irradiazione della luce con minime variazioni verso
la totalità dell’immagine simbolica, visione archetipica che genera infinite
visioni, metafora figurale di un viaggio spirituale che esalta l’armonia e il
mistero della luce, misura di tutte le cose.
L’uso della foglia d’oro si alterna all’argento raggiungendo un forte senso
di smaterializzazione della luce, velo dilatato verso il massimo grado
di sensibilizzazione della superficie. Le sottili cangianze e le leggere
frammentazioni della pellicola luminosa sollecitano una percezione del
monocromo dove la vibrazione del colore-luce è continuamente rigenerata.
Infatti, la superficie non è mai statica, ma segue il movimento di
propagazione delle particelle cromatiche che trapelano dalla superficie
verso uno stato di sublimazione della visione, sostanza impalpabile di pura
luce. La ricchezza decorativa dei “soli d’oro” allude a una dimensione
ultraterrena che dilata la misura circoscritta dello spazio pittorico come
campo ideale di meditazione intorno a ciò che sta oltre la natura, passando
dalla qualità sensoriale delle forme alla loro trasfigurazione trascendente.
A metà degli anni Sessanta l’immagine circolare si arricchisce di altre
componenti, non si basa soltanto sugli elementi strutturali del punto, della
linea e del piano ma utilizza anche minimi ed efficaci rilievi plastici che
accrescono la tensione tattile e illusiva della superficie. La ricerca di
una profondità che implica la terza dimensione è un modo di costruire
la “riflessione di spazio” come campo percettivo aperto a ulteriori
modificazioni di luce. Lo specchio è strumento persistente nella storia
creativa di Gentili, da esso si sprigiona una complessità di effetti che
generano la dialettica avvincente tra realtà e finzione, artificio e natura,
razionalità e sensibilità emozionale.
Negli anni Settanta l’artista interpreta l’energia della natura nel suo
infinito alfabeto e s'impegna a controllarne i molteplici sensi per poter
meglio conoscere l’armonia purificata dalla luce. Dalla minima materia
si sprigiona un mondo illimitato che s’identifica nella natura suprema del
cielo, forma d’immaginazione dove le proprietà del colore sono collegate
alla vastità dell’infinito. In questa concezione estetica, la funzione sociale
dell’arte non è quella di alimentare gli istinti individuali ma di sollecitare
percorsi di creatività che sappiano – come scrive Gentili- “portare l’uomo
verso mondi sublimi della virtualità e della creazione, alla scoperta
della bellezza, all’esplorazione del cielo nel suo ruolo metafisico, alla
conoscenza dell’uomo, alla percezione del dio in noi”.
L’arte si confronta con l’armoniosa bellezza dell’infinito attraverso
l’immagine del cielo stellato, trasfigurato dalla luce solare, abitato da
sonorità luminose, da profumi psichici e da odorose sensazioni tattili:
vibrazioni totali in cui ogni moto dell’anima si rispecchia nelle fonti
elevate dello spazio spirituale. L’artista dipinge cieli pervasi di luce
cosmica, cieli in espansione dove punti luminosi, per quanto calibrati
in strutture elementari, sono liberi di aggregarsi nel fluido divenire di
pulsazioni energetiche. Le dinamiche cromatiche seguono andamenti
concentrici oppure strutture a spirale o semplici movimenti di rotazione
che variano a seconda dei punti di modulazione spaziale, con un senso di
emanazione della luce che va oltre la costruzione geometrica.
Oltre che all’armonia del cielo in continuo divenire, l’artista si affida alla
figura dell’Angelo che si oppone ai conflitti che imprigionano l’uomo al
dramma dell’esistenza. Quest’immagine fondamentale compare all’inizio
degli anni Ottanta, dopo aver rotto lo schema della circonferenza verso una
visione che si eleva e si accende in tutto il suo ardore cromatico.
La figura dell’Angelo è “la rifrazione della luce divina”, tramite tra la
terra mutevole e il cielo assoluto, sostegno indispensabile della vita
spirituale, creatura simbolica che – pur inebriata dai sensi dell’umano
sentire – desidera essere pura spiritualità, corpo di luce in cui si riconosce
ogni essere. Gli angeli dipinti da Gentili evocano la pura beatitudine e
la scintilla divina della conoscenza come gioia e serenità, guardano in
tal senso all’esperienza mistica come parte nascosta dell’individualità
dell’essere, ben lontana dalle astrazioni del pensiero che spesso sfuggono
alla realtà veritiera della vita.
L’immagine della “porta” si sviluppa negli anni Novanta come soglia di
meditazione e di ascolto del canto spirituale del colore, spazio appropriato
per stare al cospetto del mistero della luce. L’icona della “porta” è
luogo di congiunzione dell’umano e del sacro, rivelazione del messaggio
divino che abbraccia nella visione frontale l’intera luce del creato. Lo
sguardo è predisposto a sprofondare nel cuore della rappresentazione,
fino a immedesimarsi con le infinite possibilità della soglia, libera da
ogni vincolo iconografico, dunque afferente a molteplici dimensioni
dell’immaginario. La “porta” indica il senso di apertura verso l’altrove,
la materia-luce risplende emanando la sua presenza concreta attraverso
il progressivo disvelamento dei suoi processi visibili, tesi a trascendere i
limiti imposti, fino a percepire l’ampiezza dei colori misteriosi che stanno
nel cosmo invisibile. Quando riflette intorno alla funzione dell’architettura
Gentili parla della capacità di sintetizzare la complessità delle forze
esteriori nell’immagine del sé interiore, con questo orientamento l’artista
allude all’elemento architettonico come fonte di equilibrio che collega la
misura terrestre all’immensità del creato.
Allo stesso modo, la “porta” è un canone spaziale basato su valori
pittorici primari che permettono di commisurare il pensiero dell’arte al
sogno dell’altrove, a esso l’artista dedica tutte le sue attitudini creative:
sensibilità, emozione, relazione tra eterna temporalità e condizione
del presente. Parallelamente alle “Porte”, con differenti dinamismi del
colore Gentili si dedica a dipingere paesaggi dalle atmosfere mutevoli,
vaporose e fluenti, fissando con gessetti colorati su grandi carte l’immagine
della natura nel suo tripudio di sensazioni fisiche e spirituali sollecitate
dall’intensità luminosa del paesaggio. Le mutazioni della natura si rivelano
attraverso stati del colore che sono l’espressione diretta della luce divina, i
caratteri formali oscillano dalla figuralità all’astrazione tessendo tra di loro
le fibre della vegetazione alle vibrazioni atmosferiche delle forme.
In queste opere affiorano colori immersi nel cuore del paesaggio, ardori
del rosso, energie del giallo, luminescenze dell’arancio, profondità del blu,
musicalità dell’azzurro, profumi del verde, incanti del rosa, preziosità del
bianco che rischiarano ogni trama del visibile. Per altre opere va rilevato
un costante interesse a sperimentare nuove materie inserendole nel contesto
delle tecniche già collaudate, dunque non solo tempera, specchio, foglia
d’oro o d’argento, sabbia, ma anche fili di tela, garze, pietre, listelli di
legno, plastica. Materie che -nel loro insieme- sono toccate dall’artista
quasi in punta di dita, gesti lievi e sapienti che dispensano attimi di verità
pittorica attraverso un processo poetico che si origina dall’energia stessa
del colore-luce.
Gentili non rinuncia alle trepidazioni sensoriali del paesaggio, anzi rafforza
questa necessità nella frequentazione quotidiana dei luoghi in cui cerca il
rapporto col Divino attraverso il contatto con la natura.
Nei dipinti dedicati a Colle Oppio, luogo del “cuore terrestre destinato
a essere celeste”, si avverte la capacità di raccogliere dalla solitudine
della meditazione i silenziosi palpiti che la natura trasmette nel giardino
sognato ad ogni aperti. L’incanto lunare, il bagliore dell’estate, il manto
fiorito della primavera, tocchi di rosso come spine che si staccano dalla
vegetazione per vibrare nell’aria come sensazioni cromatiche legate ai
segreti di un mondo visionario.
La casa di Colle Oppio, ricostruita personalmente dall’artista, è la dimora
immersa nella vastità dell’aria come elemento per esprimere la luce del
pensiero creativo, il movimento fisico e mentale che aleggia nel vento
armonioso della creazione. A questo luogo mistico Gentili ha affidato
la poesia della sua vita, il significato totale della sua etica ed estetica,
l’esperienza totale di uomo dedito alla conoscenza interiore della luce
come profonda ricerca d’armonia.
Claudio Cerritelli
Pietro Gentili è nato a San Vito Romano nel 1932.
Dopo essersi trasferito giovanissimo a Roma, dove ha iniziato i suoi studi d’arte, trascorre un anno a
Venezia.
Nel ’59 si reca negli Stati Uniti restandovi circa un anno e soggiornando a lungo a New York.
Al ritorno si stabilisce a Firenze e inizia la sua collaborazione con Fiamma Vigo e la Galleria Numero.
Nel ’62 nuovo viaggio negli Stati Uniti. Al ritorno si stabilisce di nuovo a Firenze, stringe legame con
l’architetto Michelucci. (una sua opera è esposta alla Fondazione Michelucci a Fiesole).
Nel ’65 si sposa con l’artista francese Denise Madin e si trasferisce a Milano, dove alterna la sua attività
pittorica alla collaborazione con la stilista di moda Germana Marucelli, creando gioielli per le sfilate di alta
moda.
Vari soggiorni in Svizzera, in Francia a Parigi e in Inghilterra.
Nel ’71 compie un viaggio in Grecia e Turchia, ma il viaggio più significativo e determinante per gli sviluppi
della sua arte è quello durato più di tre mesi, nel ’76 in India, raggiunta via terra, attraversando il Caucaso, la
Persia, il Pakistan con i mezzi locali, a volte unico straniero in località lontane e mai raggiunte da occidentali.
Qui entra in contatto con le filosofie e le religioni orientali, la mistica islamica e l’astrologia, che ricoprono un
ruolo importante nel successivo sviluppo della sua opera e del suo pensiero, tant’è vero che egli stesso ama
ricordare tale viaggio come “viaggio dell’anima”.
Nel ’78 si trasferisce a San Vito Romano in campagna dove realizza quattro “oasi di pace”, spazi meditativi
con opere pittoriche e scultoree sia all’interno che all’esterno.
Nel ’79 compie un viaggio in Spagna, a cui fanno seguito, nell’81 un viaggio in Egitto, Siria e Palestina con
un soggiorno a Gerusalemme.
Dall’83 al 2001 vive e lavora a Milano con brevi spostamenti in Europa e in Italia.
Nel 2002 lascia Milano e vive tra Roma e San Vito Romano, è qui che nel 2008 lascia la sua vita terrena.
24
marzo 2012
Pietro Gentili – Armonie dell’infinito
Dal 24 marzo al 15 aprile 2012
arte contemporanea
Location
CERP – CENTRO ESPOSITIVO ROCCA PAOLINA
Perugia, Piazza Italia, 11, (Perugia)
Perugia, Piazza Italia, 11, (Perugia)
Orario di apertura
10.00-13.00 16.00- 19.30 chiuso il lunedì
Vernissage
24 Marzo 2012, ore 17
Autore
Curatore