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Pietro Quartani – Antonio Ligabue. Percorsi pittorici tra arte e follia
Presentazione del libro. Intervengono con l’autore: Marco Barbieri, Stefano Ferrari, Alfredo De Paz, Enrico Maria Davoli
Comunicato stampa
Segnala l'evento
Pietro Quartani
Antonio Ligabue
Percorsi pittorici tra arte e follia
Liguori editore
ISBN: 88-207-3656-X
ed.: 2004
pp.: 192
€ 20,50
Il volume
Questo libro intende tematizzare, in modo monografico, la poetica di colui che è stato definito il «Van Gogh della Val Padana», Antonio Ligabue (1899-1965), figura singolare ed anomala nel panorama dell’arte italiana contemporanea. La vicenda umana ed artistica di Ligabue viene analizzata attraverso l’ottica della ricomposizione per frammenti di una personalità che appare spezzata, scissa, sempre in bilico tra il travaglio dell’esistenza e la pratica pittorica intesa come una sorta di strumento di «riscatto».
Le tappe principali della biografia dell’artista – che appare sempre più come una figura «maledetta», sospesa tra l’isolamento personale e sociale e l’ampio riconoscimento della sua opera dopo la morte – risultano ripercorse in questa monografia, sottraendole alle letture mitiche – «romanzate» e «favolistiche» – per lasciare, invece, grande e significativo spazio all’interpretazione delle opere, assunte, nel caso specifico, come primario strumento comunicativo concesso alla «follia». In tale itinerario critico, ad emergere sono i fili di una duplice consonanza: da un lato, con l’arte ufficiale e, dall’altro, con le aspettative di un più ampio pubblico; pubblico, che nell’arte del «primitivo» Ligabue, ha spesso ritrovate mediate le «icone» di un patrimonio visivo sedimentato e popolare.
Nell’adottare una prospettiva interdisciplinare, sensibile alle categorie delle scienze umane (psicanalisi, psichiatria, sociologia, antropologia culturale, …), l’autore ci ha restituito l’immagine esaustiva di un artista nella cui creazione ed esistenza è legittimo riconoscere molteplici e non marginali dimensioni – sovente rimosse – del nostro sentire contemporaneo.
Indice
Introduzione
Capitolo primo
La follia come isolamento: note intorno alla biografia
Emigrazione, emarginazione, diversità; Il manicomio; Ligabue e Mazzacurati.
Capitolo secondo
Arte e follia
"Arte dei folli" e ricerca artistica nella contemporaneità; Ligabue sul lettino; Comunicare la follia: la strategia obliqua in Ligabue.
Capitolo terzo
Tra reale e visionario: caratteri dell'arte di Antonio Ligabue
Le matrici iconografiche; Ligabue pittore; Ligabue scultore; Ligabue disegnatore ed incisore; Il fascino discreto della follia: Ligabue e la critica; Non ci sono tigri sul Po.
Indice delle illustrazioni
Illustrazioni
Bibliografia
Indice dei nomi
Pietro Quartani
Pietro Quartani si è laureato in Lettere Moderne all’Università di Bologna. È giornalista pubblicista. Vive e lavora a Reggio Emilia dove si occupa di progetti formativi anche nell’ambito dei beni culturali.
http://www.liguori.it/schedanew.asp?isbn=3656
dall’Introduzione
La vicenda umana ed artistica di Antonio Ligabue vive sospesa tra un fascino che tarda ad abbandonarci e la consapevolezza dell’unicità di un percorso artistico segnato, prima ancora che dalla specificità dell’arte, dalla percezione sociale e dal successo di pubblico e commerciale che l’ha connotata fin dal suo apparire. Di Ligabue è stato detto tutto ed il contrario di tutto, in un affollamento di rimandi e di analisi critiche che per molti versi hanno tentato di “normalizzare” i dati, spesso contrastanti e contraddittori, che la sua arte comunicava. La condizione di artista marginale, di “folle” conclamato e un’esistenza votata all’emarginazione ha reso la sua figura spesso oscurante rispetto alla sua arte, che invece vive di luce propria, proponendosi non solo come momento di riscatto sociale, ma come testimonianza della sensibilità e contraltare delle espressioni artistiche del periodo che va dagli anni ’30 ai ’60 del Novecento.
Questa ricerca prende le mosse, né poteva essere diversamente, dalla biografia dell’artista, cercando di sottrarla alle seduzioni di letture votate a confermare il mito del “buon selvaggio”, che hanno accompagnato la figura di Ligabue anche in tempi recenti. Soprattutto si è cercato di lasciare spazio alle opere, riconoscendole come unico strumento comunicativo concesso a Ligabue, che peraltro - e questa è un’altra direzione verso la quale è indirizzato questo studio - ne aveva piena coscienza. Le emergenze della sua pittura sono state perciò assunte come dato storico e narrativo al pari e, se possibile, anche oltre il racconto biografico. Così come una rilettura analitica delle cartelle cliniche originali e dell’ambiente manicomiale ha permesso di restituire fondate ipotesi circa il maturare, anche in quell’ambito segregato, di stimoli artistici. Quello degli influssi, delle suggestioni visive che stanno alla base della produzione artistica di Ligabue rappresenta uno dei temi più stimolanti per chi percorra la sua vicenda artistica, in un alternarsi di rimandi e citazioni di volta in volta “alte” (i libri di animali, la frequentazione dell’atelier di Mazzacurati, i musei) e “popolari” (i film, le figurine, le illustrazioni dei libri d’avventura). Più che l’aspetto filologico del problema ci ha interessato il meccanismo di condensazione di un universo visivo così diverso e articolato nei tre filoni dei soggetti di Ligabue: il dramma degli scontri fra fiere, la pacificazione dei paesaggi agresti, l’indagine interiore di ritratti ed autoritratti. La sedimentazione dei riferimenti visivi in soggetti all’apparenza così “neutri” pare essere alla base del successo di Ligabue, che accosta le sue immagini attingendo ad un patrimonio comune e popolare, ad un repertorio conosciuto, ma traslato sul piano di una rappresentazione fantastica nei modi, ma al tempo stesso reale negli oggetti. A volte pare di essere di fronte a quella stessa cultura contadina che viene studiata per i suoi meccanismi di trasmissione orale, in Ligabue tradotta e innalzata ad arte attraverso un meccanismo di trasmissione visivo, in cui ad ogni passaggio si moltiplicano i particolari ed i rimandi.
Sul rapporto tra la “follia” di Ligabue e la sua arte molto è stato detto sul piano della comprensione umana e della sorpresa per le capacità tecniche ed espressive di un artista privo di cultura e colpito dalla malattia mentale. Meno si è riflettuto sulla libertà espressiva concessa al “folle” dal suo status e sulla sua capacità di filtrare i temi a lui contemporanei attraverso la lente di una oggettiva sovraesposizione ai turbamenti di un inconscio ferito. Gli anni in cui Ligabue si affaccia alla pittura sono gli stessi in cui nasce l’interesse per l’arte dei folli, con il doppio canale degli artisti e degli psichiatri, gli uni alla ricerca di stimoli originari, gli altri di conferma a diagnosi cliniche. Abbiamo cercato di ripercorrere le tappe di quell’avvicinamento della cultura artistica e scientifica all’arte dei folli, che riprendeva nei primi decenni del ‘900 il filo rosso mai troncato dei rapporti tra genio e follia. Lo abbiamo fatto non tanto per stabilire una parentela tra le opere di Ligabue e la cosiddetta Arte dei folli, quanto per mettere a nudo le radici comuni di una ricerca che ha fatto del fare artistico il proprio specifico e del riaffiorare sulla tela del rimosso, dell’istintuale, del primitivo la propria cifra stilistica. Se a quegli aspetti guardava l’arte “ufficiale” come ad un prezioso contenitore di novità, non è difficile comprendere la ressa di rimandi ad arte e a correnti cui Ligabue è stato accostato. Un Ligabue quindi che non soltanto dialoga alla pari con l’arte “colta”, ma anzi sembra poter anticipare ed essere partecipe, per quel suo privilegiare il gesto del fare artistico rispetto al prodotto, della ricerca artistica a lui contemporanea che tentava di uscire dal quadro per approdare alla fisicità di un’arte che trova nell’approccio comportamentale le sue ragioni.
Come per ogni artista anche la figura di Ligabue non si sottrae ad un approccio filologico che ne analizzi i tempi, le tecniche, i soggetti, le caratteristiche formali della sua arte, l’evoluzione della lettura critica della sua opera. L’analisi che abbiamo cercato di riportare tiene tuttavia conto anche degli aspetti di ri-creazione insiti nell’arte di Ligabue, del tentativo cioè di ricomposizione di un io spezzato, di ricucire uno strappo vissuto a livello personale ma percepito e riconosciuto come proprio e consonante dalla larga fascia dei fruitori delle sue opere. Le tappe del mito del “buon selvaggio” sembrano così congiungersi con la restituzione delle suggestioni dell’universo visivo contemporaneo, per approdare in Ligabue ad un linguaggio comune perché ricco di denominatori comuni. Paradossalmente il “fenomeno Ligabue” si presenta come tale più che per la sua arte, per la percezione sociale della stessa, che assurge a paradigma di un’esperienza che si è aperta a una larga schiera di fruitori e di epigoni. Su questa “terza via” di indagine, che sta a metà strada tra la ricerca filologica con i suoi apparentamenti e la lettura magica e sognante del “folle” Ligabue, occorrerà, crediamo, indirizzare gli sforzi di ricerca. Per restituirci a pieno titolo una figura d’artista che attraverso la sua pittura rappresenta un brandello significativo delle pulsioni che hanno attraversato il suo tempo non meno della sua persona.
Antonio Ligabue
Percorsi pittorici tra arte e follia
Liguori editore
ISBN: 88-207-3656-X
ed.: 2004
pp.: 192
€ 20,50
Il volume
Questo libro intende tematizzare, in modo monografico, la poetica di colui che è stato definito il «Van Gogh della Val Padana», Antonio Ligabue (1899-1965), figura singolare ed anomala nel panorama dell’arte italiana contemporanea. La vicenda umana ed artistica di Ligabue viene analizzata attraverso l’ottica della ricomposizione per frammenti di una personalità che appare spezzata, scissa, sempre in bilico tra il travaglio dell’esistenza e la pratica pittorica intesa come una sorta di strumento di «riscatto».
Le tappe principali della biografia dell’artista – che appare sempre più come una figura «maledetta», sospesa tra l’isolamento personale e sociale e l’ampio riconoscimento della sua opera dopo la morte – risultano ripercorse in questa monografia, sottraendole alle letture mitiche – «romanzate» e «favolistiche» – per lasciare, invece, grande e significativo spazio all’interpretazione delle opere, assunte, nel caso specifico, come primario strumento comunicativo concesso alla «follia». In tale itinerario critico, ad emergere sono i fili di una duplice consonanza: da un lato, con l’arte ufficiale e, dall’altro, con le aspettative di un più ampio pubblico; pubblico, che nell’arte del «primitivo» Ligabue, ha spesso ritrovate mediate le «icone» di un patrimonio visivo sedimentato e popolare.
Nell’adottare una prospettiva interdisciplinare, sensibile alle categorie delle scienze umane (psicanalisi, psichiatria, sociologia, antropologia culturale, …), l’autore ci ha restituito l’immagine esaustiva di un artista nella cui creazione ed esistenza è legittimo riconoscere molteplici e non marginali dimensioni – sovente rimosse – del nostro sentire contemporaneo.
Indice
Introduzione
Capitolo primo
La follia come isolamento: note intorno alla biografia
Emigrazione, emarginazione, diversità; Il manicomio; Ligabue e Mazzacurati.
Capitolo secondo
Arte e follia
"Arte dei folli" e ricerca artistica nella contemporaneità; Ligabue sul lettino; Comunicare la follia: la strategia obliqua in Ligabue.
Capitolo terzo
Tra reale e visionario: caratteri dell'arte di Antonio Ligabue
Le matrici iconografiche; Ligabue pittore; Ligabue scultore; Ligabue disegnatore ed incisore; Il fascino discreto della follia: Ligabue e la critica; Non ci sono tigri sul Po.
Indice delle illustrazioni
Illustrazioni
Bibliografia
Indice dei nomi
Pietro Quartani
Pietro Quartani si è laureato in Lettere Moderne all’Università di Bologna. È giornalista pubblicista. Vive e lavora a Reggio Emilia dove si occupa di progetti formativi anche nell’ambito dei beni culturali.
http://www.liguori.it/schedanew.asp?isbn=3656
dall’Introduzione
La vicenda umana ed artistica di Antonio Ligabue vive sospesa tra un fascino che tarda ad abbandonarci e la consapevolezza dell’unicità di un percorso artistico segnato, prima ancora che dalla specificità dell’arte, dalla percezione sociale e dal successo di pubblico e commerciale che l’ha connotata fin dal suo apparire. Di Ligabue è stato detto tutto ed il contrario di tutto, in un affollamento di rimandi e di analisi critiche che per molti versi hanno tentato di “normalizzare” i dati, spesso contrastanti e contraddittori, che la sua arte comunicava. La condizione di artista marginale, di “folle” conclamato e un’esistenza votata all’emarginazione ha reso la sua figura spesso oscurante rispetto alla sua arte, che invece vive di luce propria, proponendosi non solo come momento di riscatto sociale, ma come testimonianza della sensibilità e contraltare delle espressioni artistiche del periodo che va dagli anni ’30 ai ’60 del Novecento.
Questa ricerca prende le mosse, né poteva essere diversamente, dalla biografia dell’artista, cercando di sottrarla alle seduzioni di letture votate a confermare il mito del “buon selvaggio”, che hanno accompagnato la figura di Ligabue anche in tempi recenti. Soprattutto si è cercato di lasciare spazio alle opere, riconoscendole come unico strumento comunicativo concesso a Ligabue, che peraltro - e questa è un’altra direzione verso la quale è indirizzato questo studio - ne aveva piena coscienza. Le emergenze della sua pittura sono state perciò assunte come dato storico e narrativo al pari e, se possibile, anche oltre il racconto biografico. Così come una rilettura analitica delle cartelle cliniche originali e dell’ambiente manicomiale ha permesso di restituire fondate ipotesi circa il maturare, anche in quell’ambito segregato, di stimoli artistici. Quello degli influssi, delle suggestioni visive che stanno alla base della produzione artistica di Ligabue rappresenta uno dei temi più stimolanti per chi percorra la sua vicenda artistica, in un alternarsi di rimandi e citazioni di volta in volta “alte” (i libri di animali, la frequentazione dell’atelier di Mazzacurati, i musei) e “popolari” (i film, le figurine, le illustrazioni dei libri d’avventura). Più che l’aspetto filologico del problema ci ha interessato il meccanismo di condensazione di un universo visivo così diverso e articolato nei tre filoni dei soggetti di Ligabue: il dramma degli scontri fra fiere, la pacificazione dei paesaggi agresti, l’indagine interiore di ritratti ed autoritratti. La sedimentazione dei riferimenti visivi in soggetti all’apparenza così “neutri” pare essere alla base del successo di Ligabue, che accosta le sue immagini attingendo ad un patrimonio comune e popolare, ad un repertorio conosciuto, ma traslato sul piano di una rappresentazione fantastica nei modi, ma al tempo stesso reale negli oggetti. A volte pare di essere di fronte a quella stessa cultura contadina che viene studiata per i suoi meccanismi di trasmissione orale, in Ligabue tradotta e innalzata ad arte attraverso un meccanismo di trasmissione visivo, in cui ad ogni passaggio si moltiplicano i particolari ed i rimandi.
Sul rapporto tra la “follia” di Ligabue e la sua arte molto è stato detto sul piano della comprensione umana e della sorpresa per le capacità tecniche ed espressive di un artista privo di cultura e colpito dalla malattia mentale. Meno si è riflettuto sulla libertà espressiva concessa al “folle” dal suo status e sulla sua capacità di filtrare i temi a lui contemporanei attraverso la lente di una oggettiva sovraesposizione ai turbamenti di un inconscio ferito. Gli anni in cui Ligabue si affaccia alla pittura sono gli stessi in cui nasce l’interesse per l’arte dei folli, con il doppio canale degli artisti e degli psichiatri, gli uni alla ricerca di stimoli originari, gli altri di conferma a diagnosi cliniche. Abbiamo cercato di ripercorrere le tappe di quell’avvicinamento della cultura artistica e scientifica all’arte dei folli, che riprendeva nei primi decenni del ‘900 il filo rosso mai troncato dei rapporti tra genio e follia. Lo abbiamo fatto non tanto per stabilire una parentela tra le opere di Ligabue e la cosiddetta Arte dei folli, quanto per mettere a nudo le radici comuni di una ricerca che ha fatto del fare artistico il proprio specifico e del riaffiorare sulla tela del rimosso, dell’istintuale, del primitivo la propria cifra stilistica. Se a quegli aspetti guardava l’arte “ufficiale” come ad un prezioso contenitore di novità, non è difficile comprendere la ressa di rimandi ad arte e a correnti cui Ligabue è stato accostato. Un Ligabue quindi che non soltanto dialoga alla pari con l’arte “colta”, ma anzi sembra poter anticipare ed essere partecipe, per quel suo privilegiare il gesto del fare artistico rispetto al prodotto, della ricerca artistica a lui contemporanea che tentava di uscire dal quadro per approdare alla fisicità di un’arte che trova nell’approccio comportamentale le sue ragioni.
Come per ogni artista anche la figura di Ligabue non si sottrae ad un approccio filologico che ne analizzi i tempi, le tecniche, i soggetti, le caratteristiche formali della sua arte, l’evoluzione della lettura critica della sua opera. L’analisi che abbiamo cercato di riportare tiene tuttavia conto anche degli aspetti di ri-creazione insiti nell’arte di Ligabue, del tentativo cioè di ricomposizione di un io spezzato, di ricucire uno strappo vissuto a livello personale ma percepito e riconosciuto come proprio e consonante dalla larga fascia dei fruitori delle sue opere. Le tappe del mito del “buon selvaggio” sembrano così congiungersi con la restituzione delle suggestioni dell’universo visivo contemporaneo, per approdare in Ligabue ad un linguaggio comune perché ricco di denominatori comuni. Paradossalmente il “fenomeno Ligabue” si presenta come tale più che per la sua arte, per la percezione sociale della stessa, che assurge a paradigma di un’esperienza che si è aperta a una larga schiera di fruitori e di epigoni. Su questa “terza via” di indagine, che sta a metà strada tra la ricerca filologica con i suoi apparentamenti e la lettura magica e sognante del “folle” Ligabue, occorrerà, crediamo, indirizzare gli sforzi di ricerca. Per restituirci a pieno titolo una figura d’artista che attraverso la sua pittura rappresenta un brandello significativo delle pulsioni che hanno attraversato il suo tempo non meno della sua persona.
16
febbraio 2005
Pietro Quartani – Antonio Ligabue. Percorsi pittorici tra arte e follia
16 febbraio 2005
presentazione
Location
ACCADEMIA DI BELLE ARTI
Bologna, Via Delle Belle Arti, 54, (Bologna)
Bologna, Via Delle Belle Arti, 54, (Bologna)
Vernissage
16 Febbraio 2005, ore 14,30