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Pina Inferrera – OroLuce
OroLuce è un viaggio nei dualismi dell’artista Pina Inferrera tra realtà e apparenza, tra silenzio e melanconia, tra introspezione ed estroversione, tra solitudine e grandezza.
Comunicato stampa
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Il percorso fotografico di Pina Inferrera è sempre stato seguito da valenti critici i quali hanno scritto testi che penetrano nelle sue immagini per arrivare fino all'anima di chi le ha create.
Denis Curti scrive che la dimensione surreale delle sue opere convive con uno scenario malinconico di una natura deturpata. Maria Cilena Sanguini ne esalta la solitudine e la grandezza, mentre il critico Roberto Mutti evoca il silenzio e la melanconia e con Giorgio Bonomi si domanda quale sia la realtà vera o quella apparente. Ed infine non si può non essere d'accordo su quanto sostiene Angela Madesani nel testo Camminando verso se stessa, che individua nelle opere di Pina Inferrera un cammino introspettivo verso la scoperta di se stessa attraverso la scoperta dell'altro e questo in totale simbiosi con la natura da un lato e con l'uomo dall'altro.
Gli elementi individuati e saggiamente descritti sono tanti e tutti validi, tutti appropriati alla poetica messa in atto da Pina Inferrera. Ma quello che più mi ha colpito e che forse, in qualche modo, caratterizza quasi tutti i testi critici è il riferimento ad un ipotetico dualismo: tra realtà e apparenza, tra silenzio e melanconia, tra introspezione ed estroversione, tra solitudine e grandezza. Allora mi sono chiesto se anche in Pina può esserci un dualismo, da un lato essere una donna con il ruolo di madre e di indipendente relazionista nel mondo dell'editoria, e dall'altro essere una donna impegnata nella sua ricerca artistica. Sinceramente non ho trovato una risposta risolutiva, preferisco rimanere nel dubbio e lasciare che il tempo dia delle risposte. Mi affascina di più immaginare Pina mentre va alla ricerca dei suoi soggetti, mentre percorre le sue terre apparentemente morte, mentre mette a fuoco l'anima dei tronchi, mentre come un magico folletto indora i suoi stagni ed i suoi ruscelli. Lei, come gli artisti bizantini, mette a frutto la sua sensibilità solo dopo essersi depurata dalle contaminazioni della realtà immanente e la natura diventa un'intermediaria sensibile tra lei e l'intelligibile.
Io credo che Pina, in questi momenti, proprio quando riesce ad immedesimarsi e poi ad inquadrare questo mondo dimenticato, l'altro mondo, quello invisibile, lei veramente ritrovi se stessa. Le opere di Pina Inferrera hanno anche il merito di farci conoscere e di renderci partecipi, con discrezione e con grande abilità tecnica, a quel mondo incontaminato. E, non è forse compito dell'artista quello di consegnare agli altri oltre che le proprie emozioni anche lo stimolo a partecipare emotivamente?
"il desiderio di capire il senso fa parte essenziale del vedere"
I riferimenti artistici non mancano, all'arte povera ad esempio, con Piero Gilardi e Penone, a Fluxus con l'indole ecologista di Merz e Beuys. Per non parlare dei collegamenti con la fotografia contemporanea, si possono citare la berlinese Giselle Freund, ed i suoi “arbres petrifies”, l'olandese Anna Pisula Mandziej, e le sue piante del deserto ed infine, la ceca Jitka Hanzlova che con la serie Forest ridà volto alla foresta, fotografandola in solitudine, e ritrae alberi, rami, radure nel tentativo di ritrovare le proprie e le nostre radici. Vorrei far notare che oggi la fotografia artistica parla quasi esclusivamente al femminile e che vi è una forte competizione con i maschi, in una logica di mercato dell'arte dominato dagli uomini. Ma sappiamo già quanto questa logica sia sempre più debole e stia traballando e, volendo scagliare una lancia in favore del mondo femminile, aggiungo questo paradosso: per gli uomini una retta che congiunge due punti può anche essere una curva, e questa é una notevole apertura, mentre per le donne non c'é una sola retta che congiunge due punti, possono essere due se non di più.
Ricompare il già citato dualismo che accompagna e tormenta Pina, ma che forse a lei più non compete, quante volte dovrà percorrere ancora quel lungo, solitario e impervio sentiero per ritrovare se stessa, non è dato di sapere, nel frattempo godiamoci, in un naturale silenzio, queste stupende immagini.
di Sandro Orlandi, Come rendere visibile l'invisibile
· Pina Inferrera’s career as a photographer has always been attended by eminent critics whose writings have penetrated deep within her images, arriving right at the soul of their creator.
Denis Curti writes that her works’ surreal dimension cohabits with a melancholic scenario of violated nature. Maria Cilena Sanguini celebrates its solitude and grandeur, while the critic Roberto Mutti conjures up its silence and melancholy and joins with Giorgio Bonomi to wonder which is true reality and which its apparent equivalent. Lastly, who could venture to disagree with the case made by Angela Madesani in her essay Walking Towards Herself, which singles out in Pina Inferrera’s work an introspective progression towards self-discovery through the discovery of the other, all in total symbiosis with nature on the one hand and with man on the other.
Many are the elements identified and wisely described, all of them valid, all of them appropriate to the poetic practised by Pina Inferrera. But what struck me most and may somehow constitute a Leitmotiv that passes through nearly all these critical writings is the reference to a hypothetical dualism: between reality and appearance, between silence and melancholy, between introspection and extroversion, between solitude and grandeur. So I asked myself whether there might not also be a dualism in Pina herself, between on the one hand being a woman with the role of mother and of independent author in the publishing industry and, on the other, being a woman who is committed to her artistic research. To tell the truth, I did not find any ultimate response, but prefer to keep my options open and let time be the source of answers. I am more enticed by imagining Pina as she sets out in search of her subjects, as she criss-crosses her apparently dead terrains, as she focuses on the souls of tree trunks, as she dons the garb of an enchanted elf to gild her ponds and streams. Like the artists of Byzantium, she only puts her sensitivity to work after first purifying it of the contaminations of immanent reality, as nature becomes a sensitive intermediary between her and the intelligible.
I believe that it is in these moments, when she manages to identify and then to frame this forgotten world, this other world, the invisible one, that Pina truly finds herself. Pina Inferrera’s works also have the merit of introducing us to that uncontaminated world and of enabling us to take part in it, with discretion and with great technical skill. Is it not, after all, the task of the artist to deliver to others not only their own emotions, but also the stimulus to take part emotionally?
“the desire to understand meaning is an essential part of seeing.”
There is no shortage of artistic references in her work, to Poor Art, for example, with Piero Gilardi and Penone; to Fluxus, with the ecological spirit of a Merz or a Beuys. Not to mention the links in her work to contemporary photography: suffice to mention the Berlin photographer Giselle Freund and her petrified trees, the Dutch photographer Anna Pisula Mandziej and her desert plants, or the Czech Jitka Hanzlova, whose Forest series restores a face to the forest, photographed in solitude, portraying trees, branches and clearings in an attempt to rediscover their roots and ours. I would like to point out, at this stage, that artistic photography speaks an almost exclusively female language these days and that there is a strong competition with men, in the logic of a male-dominated art market. But we already know how much this logic is flagging and teetering, so that, should we wish to hazard a word in favour of the female gender, we can add this paradox: for men, a straight line that connects two points together may sometimes be a curve, and this indicates considerable mental agility, while for women there is not just one straight line between those two points, as there may be two lines or even more.
Which brings me back to the dualism that accompanies Pina and torments her, although it may well be outside her remit: how many times she will have to progress again along that long, solitary, impervious path if she is to find herself is something that we cannot know, so in the meantime let’s simply enjoy these stupendous images, in a natural silence.
by Sandro Orlandi, Making the invisible visible
Denis Curti scrive che la dimensione surreale delle sue opere convive con uno scenario malinconico di una natura deturpata. Maria Cilena Sanguini ne esalta la solitudine e la grandezza, mentre il critico Roberto Mutti evoca il silenzio e la melanconia e con Giorgio Bonomi si domanda quale sia la realtà vera o quella apparente. Ed infine non si può non essere d'accordo su quanto sostiene Angela Madesani nel testo Camminando verso se stessa, che individua nelle opere di Pina Inferrera un cammino introspettivo verso la scoperta di se stessa attraverso la scoperta dell'altro e questo in totale simbiosi con la natura da un lato e con l'uomo dall'altro.
Gli elementi individuati e saggiamente descritti sono tanti e tutti validi, tutti appropriati alla poetica messa in atto da Pina Inferrera. Ma quello che più mi ha colpito e che forse, in qualche modo, caratterizza quasi tutti i testi critici è il riferimento ad un ipotetico dualismo: tra realtà e apparenza, tra silenzio e melanconia, tra introspezione ed estroversione, tra solitudine e grandezza. Allora mi sono chiesto se anche in Pina può esserci un dualismo, da un lato essere una donna con il ruolo di madre e di indipendente relazionista nel mondo dell'editoria, e dall'altro essere una donna impegnata nella sua ricerca artistica. Sinceramente non ho trovato una risposta risolutiva, preferisco rimanere nel dubbio e lasciare che il tempo dia delle risposte. Mi affascina di più immaginare Pina mentre va alla ricerca dei suoi soggetti, mentre percorre le sue terre apparentemente morte, mentre mette a fuoco l'anima dei tronchi, mentre come un magico folletto indora i suoi stagni ed i suoi ruscelli. Lei, come gli artisti bizantini, mette a frutto la sua sensibilità solo dopo essersi depurata dalle contaminazioni della realtà immanente e la natura diventa un'intermediaria sensibile tra lei e l'intelligibile.
Io credo che Pina, in questi momenti, proprio quando riesce ad immedesimarsi e poi ad inquadrare questo mondo dimenticato, l'altro mondo, quello invisibile, lei veramente ritrovi se stessa. Le opere di Pina Inferrera hanno anche il merito di farci conoscere e di renderci partecipi, con discrezione e con grande abilità tecnica, a quel mondo incontaminato. E, non è forse compito dell'artista quello di consegnare agli altri oltre che le proprie emozioni anche lo stimolo a partecipare emotivamente?
"il desiderio di capire il senso fa parte essenziale del vedere"
I riferimenti artistici non mancano, all'arte povera ad esempio, con Piero Gilardi e Penone, a Fluxus con l'indole ecologista di Merz e Beuys. Per non parlare dei collegamenti con la fotografia contemporanea, si possono citare la berlinese Giselle Freund, ed i suoi “arbres petrifies”, l'olandese Anna Pisula Mandziej, e le sue piante del deserto ed infine, la ceca Jitka Hanzlova che con la serie Forest ridà volto alla foresta, fotografandola in solitudine, e ritrae alberi, rami, radure nel tentativo di ritrovare le proprie e le nostre radici. Vorrei far notare che oggi la fotografia artistica parla quasi esclusivamente al femminile e che vi è una forte competizione con i maschi, in una logica di mercato dell'arte dominato dagli uomini. Ma sappiamo già quanto questa logica sia sempre più debole e stia traballando e, volendo scagliare una lancia in favore del mondo femminile, aggiungo questo paradosso: per gli uomini una retta che congiunge due punti può anche essere una curva, e questa é una notevole apertura, mentre per le donne non c'é una sola retta che congiunge due punti, possono essere due se non di più.
Ricompare il già citato dualismo che accompagna e tormenta Pina, ma che forse a lei più non compete, quante volte dovrà percorrere ancora quel lungo, solitario e impervio sentiero per ritrovare se stessa, non è dato di sapere, nel frattempo godiamoci, in un naturale silenzio, queste stupende immagini.
di Sandro Orlandi, Come rendere visibile l'invisibile
· Pina Inferrera’s career as a photographer has always been attended by eminent critics whose writings have penetrated deep within her images, arriving right at the soul of their creator.
Denis Curti writes that her works’ surreal dimension cohabits with a melancholic scenario of violated nature. Maria Cilena Sanguini celebrates its solitude and grandeur, while the critic Roberto Mutti conjures up its silence and melancholy and joins with Giorgio Bonomi to wonder which is true reality and which its apparent equivalent. Lastly, who could venture to disagree with the case made by Angela Madesani in her essay Walking Towards Herself, which singles out in Pina Inferrera’s work an introspective progression towards self-discovery through the discovery of the other, all in total symbiosis with nature on the one hand and with man on the other.
Many are the elements identified and wisely described, all of them valid, all of them appropriate to the poetic practised by Pina Inferrera. But what struck me most and may somehow constitute a Leitmotiv that passes through nearly all these critical writings is the reference to a hypothetical dualism: between reality and appearance, between silence and melancholy, between introspection and extroversion, between solitude and grandeur. So I asked myself whether there might not also be a dualism in Pina herself, between on the one hand being a woman with the role of mother and of independent author in the publishing industry and, on the other, being a woman who is committed to her artistic research. To tell the truth, I did not find any ultimate response, but prefer to keep my options open and let time be the source of answers. I am more enticed by imagining Pina as she sets out in search of her subjects, as she criss-crosses her apparently dead terrains, as she focuses on the souls of tree trunks, as she dons the garb of an enchanted elf to gild her ponds and streams. Like the artists of Byzantium, she only puts her sensitivity to work after first purifying it of the contaminations of immanent reality, as nature becomes a sensitive intermediary between her and the intelligible.
I believe that it is in these moments, when she manages to identify and then to frame this forgotten world, this other world, the invisible one, that Pina truly finds herself. Pina Inferrera’s works also have the merit of introducing us to that uncontaminated world and of enabling us to take part in it, with discretion and with great technical skill. Is it not, after all, the task of the artist to deliver to others not only their own emotions, but also the stimulus to take part emotionally?
“the desire to understand meaning is an essential part of seeing.”
There is no shortage of artistic references in her work, to Poor Art, for example, with Piero Gilardi and Penone; to Fluxus, with the ecological spirit of a Merz or a Beuys. Not to mention the links in her work to contemporary photography: suffice to mention the Berlin photographer Giselle Freund and her petrified trees, the Dutch photographer Anna Pisula Mandziej and her desert plants, or the Czech Jitka Hanzlova, whose Forest series restores a face to the forest, photographed in solitude, portraying trees, branches and clearings in an attempt to rediscover their roots and ours. I would like to point out, at this stage, that artistic photography speaks an almost exclusively female language these days and that there is a strong competition with men, in the logic of a male-dominated art market. But we already know how much this logic is flagging and teetering, so that, should we wish to hazard a word in favour of the female gender, we can add this paradox: for men, a straight line that connects two points together may sometimes be a curve, and this indicates considerable mental agility, while for women there is not just one straight line between those two points, as there may be two lines or even more.
Which brings me back to the dualism that accompanies Pina and torments her, although it may well be outside her remit: how many times she will have to progress again along that long, solitary, impervious path if she is to find herself is something that we cannot know, so in the meantime let’s simply enjoy these stupendous images, in a natural silence.
by Sandro Orlandi, Making the invisible visible
12
novembre 2013
Pina Inferrera – OroLuce
Dal 12 novembre al 21 dicembre 2013
arte contemporanea
Location
NELLIMYA: LIGHT ART EXHIBITION
Cademario, Via Ur Strdón, 11, (Lugano)
Cademario, Via Ur Strdón, 11, (Lugano)
Orario di apertura
giovedì: 10.30 – 13.30 | 15.00 – 21.00
sabato: 10.30 – 13.30
domenica: 15.00 – 18.00
Vernissage
12 Novembre 2013, h 18.00
Autore