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Nati in un mondo sovraccarico di accelerazioni visive dovute al bombardamento di immagini mediatiche e tecnologiche fino dall’infanzia, gli artisti emergenti non hanno un rapporto conflittuale con queste immagini, ma tendono ad incorporarle nei loro dipinti.
Comunicato stampa
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“Per le nuove generazioni di artisti la decisione di diventare pittore non è meno seria o ambiziosa di come è sempre stato, anzi è più irta di complicazioni. Nati in un mondo sovraccarico di accelerazioni visive dovute al bombardamento di immagini mediatiche e tecnologiche fino dall’infanzia, gli artisti emergenti non hanno un rapporto conflittuale con queste immagini, ma tendono ad incorporarle nei loro dipinti.
Il risultato è che la pittura del XXI secolo ha già caratteri distintivi. Le superfici sono vertiginose, affollate. I riferimenti sono sofisticati, storicamente astuti e spruzzati d’ironia. Il tono è impassibile. Le gerarchie tra alto e basso sono scomparse così completamente, che le citazioni dalla cultura popolare vengono date per scontate, senza venir usate per dichiarazioni estetiche o politiche. Nessuno fa più dichiarazioni: una società confusa, impaurita, ma piena di desideri incoerenti, di contingenze, è quello che emerge. Tutto viene espresso con un alto grado di pittoricità e inventiva.”
Jackie Wullschlager, Financial Times “Collecting”, Nov.29, 2008
Dan Attoe (*1975 Bremerton, Washington, vive a Portland) è scultore e pittore conosciuto per i suoi dipinti “noir”, surrealisti, che possono ricordare i film di Gus Van Sant e David Linch. Si rivolge ai suoi soggetti con un’empatia genuina, un’indagine esistenziale, un’integrità e una consapevolezza d’ambiguità morale. Le figure e i luoghi ritratti sono al contempo reali e immaginari. Le storie nei suoi dipinti esplorano l’identità maschile all’interno della cultura popolare, della vita rurale e sono piene di humor e mistero. Utilizza spesso una prospettiva aerea che invita lo spettatore ad osservare la scena dall’alto. Il suo lavoro è stato presentato in una personale al museo MUSAC a Leon in Spagna ed in una mostra collettiva alla Saatchi Gallery di Londra.
Amy Bessone (*1970 New York, vive a Los Angeles) è cresciuta a New York ma ha studiato a Parigi, Amsterdam e Bruxelles per poi tornare in America, ma a Los Angeles. Nel 2007 è stata inclusa nella mostra “Red Eye: Los Angeles Artists from the Rubell Family Collection” a Miami. I dipinti di Bessone rappresentano piccole figurine di porcellana ingrandite in maniera monumentale su fondali monocromi che ricordano scenografie teatrali o fotografiche. Ridimensionandole e togliendole dal contesto originario, dà loro uno spazio psicologico autonomo. Esse coinvolgono lo spettatore in un modo performativo, quasi animato, ma rimangono fredde e distaccate in quanto funzioni del pennello dell’artista. Come i saltimbanchi di Picasso, appaiono estraniati dalla rappresentazione di cui dovrebbero far parte.
Fin da studente Bessone era attratta dall’idea del dipinto di una scultura, o del dipinto nel dipinto. Partendo dall’idea shakespeariana del gioco all’interno del gioco, la pittrice cerca la verità attraverso l’artificio: un tuffo nella superficialità per scoprire profondità inedite, attraverso un gioco tra forme sinuose e colori brillanti.
I dipinti di Michael Cline (*1973 Cape Canaveral, vive a New York) ricordano la critica sociale di Georg Grosz e Otto Dix. Utilizzando colori luminosi e un segno molto plastico, ci svela un mondo miserabile che vive ai margini della società, generalmente nascosto e silenzioso. Cline parla spesso di questioni politiche e sociali utilizzando occasionalmente anche delle scritte. Con una pittura morbida e quasi nostalgica, crea scene spesso violente, oscure e sessualmente esplicite.
Iain Hetherington (*1978 Glasgow), reduce da un Project Space alla Whitechapel e da una personale all’ICA a Londra, lavora con diverse tecniche riflettendo sui significati dell’arte e della pittura con immagini intense e piene di humor. Recentemente ha ritratto alcuni personaggi con cappelli da baseball e catene dorate, il volto oscurato da macchie di colore come quelle che si trovano sulla tavolozza di un pittore. Si potrebbe dire che questi simboli tradizionalmente demonizzati incorporano forme radicali di soggettività; i dipinti offrono un chiaro significato di cultura contemporanea, ma anche teste astratte senza volto.
La naturalezza è al centro del lavoro di Laleh Khorramian (*1974 Teheran, vive a New York) che include pittura, disegno e animazione. L’artista iraniana dipinge con olio e inchiostro su vetro e poi trasferisce attentamente l’immagine su una carta non porosa per creare un monotipo. I risultati sono imprevisti e le astrazioni finali hanno superfici densamente stratificate e screziate che suggeriscono mondi surreali e underground. Dopo aver identificato suggestivi passaggi di pittura e aver aggiunto dettagli a mano Khorramian usa le stampe come impostazioni e materiale di base per le sue odissee animate.
Friedrich Kunath (*1974 Chemnitz, vive a Los Angeles) nel 2008 ha avuto una mostra personale all’Aspen Art Museum ed è stato incluso al 55°Carnegie International a Pittsburgh. Recentemente ha partecipato a mostre al Walker Art Center di Minneapolis, alla Tate Modern a Londra e al Museum für Moderne Kunst a Francoforte. Da poco si è trasferito da Colonia alla California. Kunath è un artista eclettico che ama utilizzare le tecniche espressive più disparate (pittura, disegno, installazione, fotografia, scrittura). Il suo è un lavoro tragicomico, a tratti romantico, nel disperato tentativo di connettere astrazione e rappresentazione. A volte sembra di assistere a storie di eroi senza speranza, ma subito dopo ci si accorge (leggendo un suo titolo folgorante, oppure osservando una sua installazione) che c’è molta energia vitale ed ironia, nonostante il tutto sembri universale e poco terreno.
Nel lavoro di Kristine Moran (*1974 Montreal, vive a New York) la pittura è assoluta protagonista. Il colore e le pennellate vigorose interagiscono con uno spazio teatrale che simula il 3d; un po’ come accadeva per Francis Bacon (artista che spesso torna in mente osservando i suoi quadri) ma tralasciando la figura umana. Gli spazi rappresentati sono frutto di una disciplina pittorica che viene violentata e sovvertita da un’atmosfera talvolta apocalittica. Storie di lotta tra vitalità esplosiva e inevitabili fallimenti.
L’immaginario misterioso di Helen Verhoeven (*1974 Olanda, vive a Berlino) è il prodotto di una ricerca estesa che trascende i confini storici e culturali, ispirato dalle immagini di internet, archivi storici e scientifici, dai fantasmi dell’infanzia, dalla ricerca clinica sugli incubi e dal linguaggio visivo dei film surrealisti. I suoi dipinti combinano il familiare con lo sconosciuto, costruendo un collage ambiguo di narrazioni non classificabili. Il risultato sono scene fantastiche e frammentarie, cariche di una incertezza persistente. Le sue immagini spesso suggeriscono un movimento sospeso e ridotto ad un momento di contemplazione, concetti elementari come l’attesa e la partenza, la vita e la morte.
Come per uno scontro antropomorfo, i dipinti di Haeri Yoo (*1970 Corea, vive a New York) mostrano collisioni incendiate di colori e forme che vibrano e gemono come per l’arresto improvviso di narrazioni impilate e compatte. Il suo lavoro esplora l’umore psicologico, la sessualità e la sottile relazione tra bellezza e violenza. Cresciuta nella cultura coreana, è influenzata anche dalla questione dello “spazio negativo” o meglio dal vuoto. Ogni segno eseguito con il pennello o la matita, diventa spazio positivo che ha una memoria dell’emotività dei movimenti in cui sono stati fatti.
Il risultato è che la pittura del XXI secolo ha già caratteri distintivi. Le superfici sono vertiginose, affollate. I riferimenti sono sofisticati, storicamente astuti e spruzzati d’ironia. Il tono è impassibile. Le gerarchie tra alto e basso sono scomparse così completamente, che le citazioni dalla cultura popolare vengono date per scontate, senza venir usate per dichiarazioni estetiche o politiche. Nessuno fa più dichiarazioni: una società confusa, impaurita, ma piena di desideri incoerenti, di contingenze, è quello che emerge. Tutto viene espresso con un alto grado di pittoricità e inventiva.”
Jackie Wullschlager, Financial Times “Collecting”, Nov.29, 2008
Dan Attoe (*1975 Bremerton, Washington, vive a Portland) è scultore e pittore conosciuto per i suoi dipinti “noir”, surrealisti, che possono ricordare i film di Gus Van Sant e David Linch. Si rivolge ai suoi soggetti con un’empatia genuina, un’indagine esistenziale, un’integrità e una consapevolezza d’ambiguità morale. Le figure e i luoghi ritratti sono al contempo reali e immaginari. Le storie nei suoi dipinti esplorano l’identità maschile all’interno della cultura popolare, della vita rurale e sono piene di humor e mistero. Utilizza spesso una prospettiva aerea che invita lo spettatore ad osservare la scena dall’alto. Il suo lavoro è stato presentato in una personale al museo MUSAC a Leon in Spagna ed in una mostra collettiva alla Saatchi Gallery di Londra.
Amy Bessone (*1970 New York, vive a Los Angeles) è cresciuta a New York ma ha studiato a Parigi, Amsterdam e Bruxelles per poi tornare in America, ma a Los Angeles. Nel 2007 è stata inclusa nella mostra “Red Eye: Los Angeles Artists from the Rubell Family Collection” a Miami. I dipinti di Bessone rappresentano piccole figurine di porcellana ingrandite in maniera monumentale su fondali monocromi che ricordano scenografie teatrali o fotografiche. Ridimensionandole e togliendole dal contesto originario, dà loro uno spazio psicologico autonomo. Esse coinvolgono lo spettatore in un modo performativo, quasi animato, ma rimangono fredde e distaccate in quanto funzioni del pennello dell’artista. Come i saltimbanchi di Picasso, appaiono estraniati dalla rappresentazione di cui dovrebbero far parte.
Fin da studente Bessone era attratta dall’idea del dipinto di una scultura, o del dipinto nel dipinto. Partendo dall’idea shakespeariana del gioco all’interno del gioco, la pittrice cerca la verità attraverso l’artificio: un tuffo nella superficialità per scoprire profondità inedite, attraverso un gioco tra forme sinuose e colori brillanti.
I dipinti di Michael Cline (*1973 Cape Canaveral, vive a New York) ricordano la critica sociale di Georg Grosz e Otto Dix. Utilizzando colori luminosi e un segno molto plastico, ci svela un mondo miserabile che vive ai margini della società, generalmente nascosto e silenzioso. Cline parla spesso di questioni politiche e sociali utilizzando occasionalmente anche delle scritte. Con una pittura morbida e quasi nostalgica, crea scene spesso violente, oscure e sessualmente esplicite.
Iain Hetherington (*1978 Glasgow), reduce da un Project Space alla Whitechapel e da una personale all’ICA a Londra, lavora con diverse tecniche riflettendo sui significati dell’arte e della pittura con immagini intense e piene di humor. Recentemente ha ritratto alcuni personaggi con cappelli da baseball e catene dorate, il volto oscurato da macchie di colore come quelle che si trovano sulla tavolozza di un pittore. Si potrebbe dire che questi simboli tradizionalmente demonizzati incorporano forme radicali di soggettività; i dipinti offrono un chiaro significato di cultura contemporanea, ma anche teste astratte senza volto.
La naturalezza è al centro del lavoro di Laleh Khorramian (*1974 Teheran, vive a New York) che include pittura, disegno e animazione. L’artista iraniana dipinge con olio e inchiostro su vetro e poi trasferisce attentamente l’immagine su una carta non porosa per creare un monotipo. I risultati sono imprevisti e le astrazioni finali hanno superfici densamente stratificate e screziate che suggeriscono mondi surreali e underground. Dopo aver identificato suggestivi passaggi di pittura e aver aggiunto dettagli a mano Khorramian usa le stampe come impostazioni e materiale di base per le sue odissee animate.
Friedrich Kunath (*1974 Chemnitz, vive a Los Angeles) nel 2008 ha avuto una mostra personale all’Aspen Art Museum ed è stato incluso al 55°Carnegie International a Pittsburgh. Recentemente ha partecipato a mostre al Walker Art Center di Minneapolis, alla Tate Modern a Londra e al Museum für Moderne Kunst a Francoforte. Da poco si è trasferito da Colonia alla California. Kunath è un artista eclettico che ama utilizzare le tecniche espressive più disparate (pittura, disegno, installazione, fotografia, scrittura). Il suo è un lavoro tragicomico, a tratti romantico, nel disperato tentativo di connettere astrazione e rappresentazione. A volte sembra di assistere a storie di eroi senza speranza, ma subito dopo ci si accorge (leggendo un suo titolo folgorante, oppure osservando una sua installazione) che c’è molta energia vitale ed ironia, nonostante il tutto sembri universale e poco terreno.
Nel lavoro di Kristine Moran (*1974 Montreal, vive a New York) la pittura è assoluta protagonista. Il colore e le pennellate vigorose interagiscono con uno spazio teatrale che simula il 3d; un po’ come accadeva per Francis Bacon (artista che spesso torna in mente osservando i suoi quadri) ma tralasciando la figura umana. Gli spazi rappresentati sono frutto di una disciplina pittorica che viene violentata e sovvertita da un’atmosfera talvolta apocalittica. Storie di lotta tra vitalità esplosiva e inevitabili fallimenti.
L’immaginario misterioso di Helen Verhoeven (*1974 Olanda, vive a Berlino) è il prodotto di una ricerca estesa che trascende i confini storici e culturali, ispirato dalle immagini di internet, archivi storici e scientifici, dai fantasmi dell’infanzia, dalla ricerca clinica sugli incubi e dal linguaggio visivo dei film surrealisti. I suoi dipinti combinano il familiare con lo sconosciuto, costruendo un collage ambiguo di narrazioni non classificabili. Il risultato sono scene fantastiche e frammentarie, cariche di una incertezza persistente. Le sue immagini spesso suggeriscono un movimento sospeso e ridotto ad un momento di contemplazione, concetti elementari come l’attesa e la partenza, la vita e la morte.
Come per uno scontro antropomorfo, i dipinti di Haeri Yoo (*1970 Corea, vive a New York) mostrano collisioni incendiate di colori e forme che vibrano e gemono come per l’arresto improvviso di narrazioni impilate e compatte. Il suo lavoro esplora l’umore psicologico, la sessualità e la sottile relazione tra bellezza e violenza. Cresciuta nella cultura coreana, è influenzata anche dalla questione dello “spazio negativo” o meglio dal vuoto. Ogni segno eseguito con il pennello o la matita, diventa spazio positivo che ha una memoria dell’emotività dei movimenti in cui sono stati fatti.
05
febbraio 2009
Play
Dal 05 febbraio al 14 marzo 2009
arte contemporanea
Location
GALLERIA MONICA DE CARDENAS
Milano, Via Francesco Viganò, 4, (Milano)
Milano, Via Francesco Viganò, 4, (Milano)
Orario di apertura
da martedì a sabato ore 15 - 19
Vernissage
5 Febbraio 2009, ore 18
Autore
Curatore