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Playlist – At Least. You will see the space in between
Playlist è un progetto che chiama critici e curatori attivi sul suolo italiano e non a presentare, in una serata conviviale e aperta, una compilation di video “del cuore” per la durata di 60 minuti.
Comunicato stampa
Segnala l'evento
Tre bambini corrono lungo un piccolo sentiero di campagna. E’ il 1965, Islanda.
Un’immagine di felicità catturata in un momento di singolare leggerezza. Quell’immagine è
rappresentazione astratta di un’emozione unica e allo stesso tempo ripetibile nell’istante in
cui la camera riesce a registrarla, catalogarla, documentarla.
La voce fuori campo prosegue, Ho provato diverse volte ad unire questa ad altre immagini,
però non ha mai funzionato. Un giorno riuscirò a collocarla tra due spazi completamente
neri. IL vuoto permetterà a chi non sarà riuscito a vedere nelle immagini la felicità, di
vedere almeno la parte più nera, l'assenza che a quel punto si trasforma, da non-sense a
costellazione di frammenti.
Il cinema moderno ha tentato in vari modi di ammettere a se stesso la totale apertura al
mondo permettendoci di uscire dall'immagine e dai suoi stilemi della rappresentazione
assecondando una volontà di cogliere la realtà nella sua interezza.
Ecco dunque che Le sperimentazioni d’Isidore Isou ad esempio, e poi Cocteau,
Eisenstein, Jean Vigo, Godard, Antonioni, abbandonano l'idea di montaggio come
concatenamento d’eventi per dare importanza alla spaziatura, al vuoto che si crea tra le
immagini.
In questo senso la cinepresa cerca di uscire nella realtà, indagare più da vicino ambienti
fisici ed emotivi, situazioni e contesti così da rendere in modo più fedele possibile l’idea di
realtà nella sua interezza e nella sua immediatezza. Il cinema, infatti, anche quello più
colto, anche quello apparentemente più criptico, rivela il suo interesse alla
rappresentazione, a volte realistica e a tratti allegorica, di una collettività resa attraverso
l’analisi di situazioni particolari.
Il cinema è e rimane una possibilità aperta, in cui il movimento rassicura il viandante nel
percorso lungo il suo viaggio mentre Il vuoto diventa ponte tra due architetture, sintesi di
due termini che adesso non esistono più, quello della regola e quello dell’infrazione.
L’immagine astratta, quella vuota, è il terreno di conquista di una nuova rappresentazione,
ci priva di uno schema per poterne immaginare un altro, distrugge le regole di sfondo e
primo piano regalandoci un’immagine di superficie che spetta a noi rendere in termini di
profondità.
Lo spazio aperto mi permette di vedere, come all'orizzonte, il movimento delle forze che si
agitano dentro di me, nel mondo, nell'intero campo del sensibile. E’ la dimensione
pubblica, in cui si definiscono convinzioni e possibili azioni, in cui a partire dall’interazione
delle parti si definisce un campo di forze comuni.
Il reale è uno schema di cui non conosciamo il tutto, ma le singole parti che lo
compongono, è com’essere davanti ad un’immagine di cui non riconosciamo esattamente
figure e contorni, ma possiamo solo immaginare come potrebbero apparire ai nostri occhi.
L’immagine priva di rappresentazione è la possibilità di giocare con ciò che si presenta
come potenziale, nebuloso e non ancora posato. E’ il margine di libertà che ci possiamo
concedere per ripensare il nostro rapporto con il reale. E' questo il vuoto che cercavo,
quello dell'onnipresenza, dell'onnicomprensivo perchè senza sistema, quello della Tre bambini corrono lungo un piccolo sentiero di campagna. E’ il 1965, Islanda.
Un’immagine di felicità catturata in un momento di singolare leggerezza. Quell’immagine è
rappresentazione astratta di un’emozione unica e allo stesso tempo ripetibile nell’istante in
cui la camera riesce a registrarla, catalogarla, documentarla.
La voce fuori campo prosegue, Ho provato diverse volte ad unire questa ad altre immagini,
però non ha mai funzionato. Un giorno riuscirò a collocarla tra due spazi completamente
neri. IL vuoto permetterà a chi non sarà riuscito a vedere nelle immagini la felicità, di
vedere almeno la parte più nera, l'assenza che a quel punto si trasforma, da non-sense a
costellazione di frammenti.
Il cinema moderno ha tentato in vari modi di ammettere a se stesso la totale apertura al
mondo permettendoci di uscire dall'immagine e dai suoi stilemi della rappresentazione
assecondando una volontà di cogliere la realtà nella sua interezza.
Ecco dunque che Le sperimentazioni d’Isidore Isou ad esempio, e poi Cocteau,
Eisenstein, Jean Vigo, Godard, Antonioni, abbandonano l'idea di montaggio come
concatenamento d’eventi per dare importanza alla spaziatura, al vuoto che si crea tra le
immagini.
In questo senso la cinepresa cerca di uscire nella realtà, indagare più da vicino ambienti
fisici ed emotivi, situazioni e contesti così da rendere in modo più fedele possibile l’idea di
realtà nella sua interezza e nella sua immediatezza. Il cinema, infatti, anche quello più
colto, anche quello apparentemente più criptico, rivela il suo interesse alla
rappresentazione, a volte realistica e a tratti allegorica, di una collettività resa attraverso
l’analisi di situazioni particolari.
Il cinema è e rimane una possibilità aperta, in cui il movimento rassicura il viandante nel
percorso lungo il suo viaggio mentre Il vuoto diventa ponte tra due architetture, sintesi di
due termini che adesso non esistono più, quello della regola e quello dell’infrazione.
L’immagine astratta, quella vuota, è il terreno di conquista di una nuova rappresentazione,
ci priva di uno schema per poterne immaginare un altro, distrugge le regole di sfondo e
primo piano regalandoci un’immagine di superficie che spetta a noi rendere in termini di
profondità.
Lo spazio aperto mi permette di vedere, come all'orizzonte, il movimento delle forze che si
agitano dentro di me, nel mondo, nell'intero campo del sensibile. E’ la dimensione
pubblica, in cui si definiscono convinzioni e possibili azioni, in cui a partire dall’interazione
delle parti si definisce un campo di forze comuni.
Il reale è uno schema di cui non conosciamo il tutto, ma le singole parti che lo
compongono, è com’essere davanti ad un’immagine di cui non riconosciamo esattamente
figure e contorni, ma possiamo solo immaginare come potrebbero apparire ai nostri occhi.
L’immagine priva di rappresentazione è la possibilità di giocare con ciò che si presenta
come potenziale, nebuloso e non ancora posato. E’ il margine di libertà che ci possiamo
concedere per ripensare il nostro rapporto con il reale. E' questo il vuoto che cercavo,
quello dell'onnipresenza, dell'onnicomprensivo perchè senza sistema, quello della Tre bambini corrono lungo un piccolo sentiero di campagna. E’ il 1965, Islanda.
Un’immagine di felicità catturata in un momento di singolare leggerezza. Quell’immagine è
rappresentazione astratta di un’emozione unica e allo stesso tempo ripetibile nell’istante in
cui la camera riesce a registrarla, catalogarla, documentarla.
La voce fuori campo prosegue, Ho provato diverse volte ad unire questa ad altre immagini,
però non ha mai funzionato. Un giorno riuscirò a collocarla tra due spazi completamente
neri. IL vuoto permetterà a chi non sarà riuscito a vedere nelle immagini la felicità, di
vedere almeno la parte più nera, l'assenza che a quel punto si trasforma, da non-sense a
costellazione di frammenti.
Il cinema moderno ha tentato in vari modi di ammettere a se stesso la totale apertura al
mondo permettendoci di uscire dall'immagine e dai suoi stilemi della rappresentazione
assecondando una volontà di cogliere la realtà nella sua interezza.
Ecco dunque che Le sperimentazioni d’Isidore Isou ad esempio, e poi Cocteau,
Eisenstein, Jean Vigo, Godard, Antonioni, abbandonano l'idea di montaggio come
concatenamento d’eventi per dare importanza alla spaziatura, al vuoto che si crea tra le
immagini.
In questo senso la cinepresa cerca di uscire nella realtà, indagare più da vicino ambienti
fisici ed emotivi, situazioni e contesti così da rendere in modo più fedele possibile l’idea di
realtà nella sua interezza e nella sua immediatezza. Il cinema, infatti, anche quello più
colto, anche quello apparentemente più criptico, rivela il suo interesse alla
rappresentazione, a volte realistica e a tratti allegorica, di una collettività resa attraverso
l’analisi di situazioni particolari.
Il cinema è e rimane una possibilità aperta, in cui il movimento rassicura il viandante nel
percorso lungo il suo viaggio mentre Il vuoto diventa ponte tra due architetture, sintesi di
due termini che adesso non esistono più, quello della regola e quello dell’infrazione.
L’immagine astratta, quella vuota, è il terreno di conquista di una nuova rappresentazione,
ci priva di uno schema per poterne immaginare un altro, distrugge le regole di sfondo e
primo piano regalandoci un’immagine di superficie che spetta a noi rendere in termini di
profondità.
Lo spazio aperto mi permette di vedere, come all'orizzonte, il movimento delle forze che si
agitano dentro di me, nel mondo, nell'intero campo del sensibile. E’ la dimensione
pubblica, in cui si definiscono convinzioni e possibili azioni, in cui a partire dall’interazione
delle parti si definisce un campo di forze comuni.
Il reale è uno schema di cui non conosciamo il tutto, ma le singole parti che lo
compongono, è com’essere davanti ad un’immagine di cui non riconosciamo esattamente
figure e contorni, ma possiamo solo immaginare come potrebbero apparire ai nostri occhi.
L’immagine priva di rappresentazione è la possibilità di giocare con ciò che si presenta
come potenziale, nebuloso e non ancora posato. E’ il margine di libertà che ci possiamo
concedere per ripensare il nostro rapporto con il reale. E' questo il vuoto che cercavo,
quello dell'onnipresenza, dell'onnicomprensivo perchè senza sistema, quello della
moltitudine perchè privata dell’ ideologia.
Lo schermo buio si apre alla riflessione e il tempo si frammenta nella relazione
individuale-collettivo. Il terzo momento diventa dunque quello della pausa, della possibilità.
E’ lo spazio condiviso, l’immagine sottile, di chi sa che il momento è diventato propizio per
l’azione.
Nella società della condivisione in cui persino l’immagine è definita di relazione, la pausa
di riflessione diventa strumento fondamentale per ristabilire la propria posizione e
arricchire con nuova linfa l’immaginazione.
La pausa costituisce la richiesta di un nuovo linguaggio, la produzione della differenza, la
ricognizione che il tempo è arrivato per una grammatica alterata del reale. Ispirare il lettore
ad inventare il futuro, affermano Hardt e Negri nel loro ultimo lavoro.
La privazione diventa ossessione dell'immaginazione costretta a cercare nuove vie per
continuare a sopravvivere.
In questo senso, il cinema senza immagini, quello che preferisce la voce e il suono, è
congiunzione che sospende il fiato, rest-room d’ogni grande e sottile cambiamento, senso
di non-appartenenza e allo stesso tempo riconquista di un nuovo territorio. IL resto sta già
accadendo.
P.S. L’interstizio è anche quello che come curatore mi è possibile costruire, una
dimensione tra me e il reale, che sia utile al suo scopo, ossia far riflettere e creare un
tessuto connettivo in cui la riflessione teorica sia strumento di revisione del sistema-
realtà. Quello del lavoro teorico è come l’astrazione, alle volte sembra eccessiva e non
necessaria, ma serve a distruggere massimi sistemi e costruire un contesto più adeguato,
in un movimento incessante, invisibile e continuo.
Un’immagine di felicità catturata in un momento di singolare leggerezza. Quell’immagine è
rappresentazione astratta di un’emozione unica e allo stesso tempo ripetibile nell’istante in
cui la camera riesce a registrarla, catalogarla, documentarla.
La voce fuori campo prosegue, Ho provato diverse volte ad unire questa ad altre immagini,
però non ha mai funzionato. Un giorno riuscirò a collocarla tra due spazi completamente
neri. IL vuoto permetterà a chi non sarà riuscito a vedere nelle immagini la felicità, di
vedere almeno la parte più nera, l'assenza che a quel punto si trasforma, da non-sense a
costellazione di frammenti.
Il cinema moderno ha tentato in vari modi di ammettere a se stesso la totale apertura al
mondo permettendoci di uscire dall'immagine e dai suoi stilemi della rappresentazione
assecondando una volontà di cogliere la realtà nella sua interezza.
Ecco dunque che Le sperimentazioni d’Isidore Isou ad esempio, e poi Cocteau,
Eisenstein, Jean Vigo, Godard, Antonioni, abbandonano l'idea di montaggio come
concatenamento d’eventi per dare importanza alla spaziatura, al vuoto che si crea tra le
immagini.
In questo senso la cinepresa cerca di uscire nella realtà, indagare più da vicino ambienti
fisici ed emotivi, situazioni e contesti così da rendere in modo più fedele possibile l’idea di
realtà nella sua interezza e nella sua immediatezza. Il cinema, infatti, anche quello più
colto, anche quello apparentemente più criptico, rivela il suo interesse alla
rappresentazione, a volte realistica e a tratti allegorica, di una collettività resa attraverso
l’analisi di situazioni particolari.
Il cinema è e rimane una possibilità aperta, in cui il movimento rassicura il viandante nel
percorso lungo il suo viaggio mentre Il vuoto diventa ponte tra due architetture, sintesi di
due termini che adesso non esistono più, quello della regola e quello dell’infrazione.
L’immagine astratta, quella vuota, è il terreno di conquista di una nuova rappresentazione,
ci priva di uno schema per poterne immaginare un altro, distrugge le regole di sfondo e
primo piano regalandoci un’immagine di superficie che spetta a noi rendere in termini di
profondità.
Lo spazio aperto mi permette di vedere, come all'orizzonte, il movimento delle forze che si
agitano dentro di me, nel mondo, nell'intero campo del sensibile. E’ la dimensione
pubblica, in cui si definiscono convinzioni e possibili azioni, in cui a partire dall’interazione
delle parti si definisce un campo di forze comuni.
Il reale è uno schema di cui non conosciamo il tutto, ma le singole parti che lo
compongono, è com’essere davanti ad un’immagine di cui non riconosciamo esattamente
figure e contorni, ma possiamo solo immaginare come potrebbero apparire ai nostri occhi.
L’immagine priva di rappresentazione è la possibilità di giocare con ciò che si presenta
come potenziale, nebuloso e non ancora posato. E’ il margine di libertà che ci possiamo
concedere per ripensare il nostro rapporto con il reale. E' questo il vuoto che cercavo,
quello dell'onnipresenza, dell'onnicomprensivo perchè senza sistema, quello della Tre bambini corrono lungo un piccolo sentiero di campagna. E’ il 1965, Islanda.
Un’immagine di felicità catturata in un momento di singolare leggerezza. Quell’immagine è
rappresentazione astratta di un’emozione unica e allo stesso tempo ripetibile nell’istante in
cui la camera riesce a registrarla, catalogarla, documentarla.
La voce fuori campo prosegue, Ho provato diverse volte ad unire questa ad altre immagini,
però non ha mai funzionato. Un giorno riuscirò a collocarla tra due spazi completamente
neri. IL vuoto permetterà a chi non sarà riuscito a vedere nelle immagini la felicità, di
vedere almeno la parte più nera, l'assenza che a quel punto si trasforma, da non-sense a
costellazione di frammenti.
Il cinema moderno ha tentato in vari modi di ammettere a se stesso la totale apertura al
mondo permettendoci di uscire dall'immagine e dai suoi stilemi della rappresentazione
assecondando una volontà di cogliere la realtà nella sua interezza.
Ecco dunque che Le sperimentazioni d’Isidore Isou ad esempio, e poi Cocteau,
Eisenstein, Jean Vigo, Godard, Antonioni, abbandonano l'idea di montaggio come
concatenamento d’eventi per dare importanza alla spaziatura, al vuoto che si crea tra le
immagini.
In questo senso la cinepresa cerca di uscire nella realtà, indagare più da vicino ambienti
fisici ed emotivi, situazioni e contesti così da rendere in modo più fedele possibile l’idea di
realtà nella sua interezza e nella sua immediatezza. Il cinema, infatti, anche quello più
colto, anche quello apparentemente più criptico, rivela il suo interesse alla
rappresentazione, a volte realistica e a tratti allegorica, di una collettività resa attraverso
l’analisi di situazioni particolari.
Il cinema è e rimane una possibilità aperta, in cui il movimento rassicura il viandante nel
percorso lungo il suo viaggio mentre Il vuoto diventa ponte tra due architetture, sintesi di
due termini che adesso non esistono più, quello della regola e quello dell’infrazione.
L’immagine astratta, quella vuota, è il terreno di conquista di una nuova rappresentazione,
ci priva di uno schema per poterne immaginare un altro, distrugge le regole di sfondo e
primo piano regalandoci un’immagine di superficie che spetta a noi rendere in termini di
profondità.
Lo spazio aperto mi permette di vedere, come all'orizzonte, il movimento delle forze che si
agitano dentro di me, nel mondo, nell'intero campo del sensibile. E’ la dimensione
pubblica, in cui si definiscono convinzioni e possibili azioni, in cui a partire dall’interazione
delle parti si definisce un campo di forze comuni.
Il reale è uno schema di cui non conosciamo il tutto, ma le singole parti che lo
compongono, è com’essere davanti ad un’immagine di cui non riconosciamo esattamente
figure e contorni, ma possiamo solo immaginare come potrebbero apparire ai nostri occhi.
L’immagine priva di rappresentazione è la possibilità di giocare con ciò che si presenta
come potenziale, nebuloso e non ancora posato. E’ il margine di libertà che ci possiamo
concedere per ripensare il nostro rapporto con il reale. E' questo il vuoto che cercavo,
quello dell'onnipresenza, dell'onnicomprensivo perchè senza sistema, quello della Tre bambini corrono lungo un piccolo sentiero di campagna. E’ il 1965, Islanda.
Un’immagine di felicità catturata in un momento di singolare leggerezza. Quell’immagine è
rappresentazione astratta di un’emozione unica e allo stesso tempo ripetibile nell’istante in
cui la camera riesce a registrarla, catalogarla, documentarla.
La voce fuori campo prosegue, Ho provato diverse volte ad unire questa ad altre immagini,
però non ha mai funzionato. Un giorno riuscirò a collocarla tra due spazi completamente
neri. IL vuoto permetterà a chi non sarà riuscito a vedere nelle immagini la felicità, di
vedere almeno la parte più nera, l'assenza che a quel punto si trasforma, da non-sense a
costellazione di frammenti.
Il cinema moderno ha tentato in vari modi di ammettere a se stesso la totale apertura al
mondo permettendoci di uscire dall'immagine e dai suoi stilemi della rappresentazione
assecondando una volontà di cogliere la realtà nella sua interezza.
Ecco dunque che Le sperimentazioni d’Isidore Isou ad esempio, e poi Cocteau,
Eisenstein, Jean Vigo, Godard, Antonioni, abbandonano l'idea di montaggio come
concatenamento d’eventi per dare importanza alla spaziatura, al vuoto che si crea tra le
immagini.
In questo senso la cinepresa cerca di uscire nella realtà, indagare più da vicino ambienti
fisici ed emotivi, situazioni e contesti così da rendere in modo più fedele possibile l’idea di
realtà nella sua interezza e nella sua immediatezza. Il cinema, infatti, anche quello più
colto, anche quello apparentemente più criptico, rivela il suo interesse alla
rappresentazione, a volte realistica e a tratti allegorica, di una collettività resa attraverso
l’analisi di situazioni particolari.
Il cinema è e rimane una possibilità aperta, in cui il movimento rassicura il viandante nel
percorso lungo il suo viaggio mentre Il vuoto diventa ponte tra due architetture, sintesi di
due termini che adesso non esistono più, quello della regola e quello dell’infrazione.
L’immagine astratta, quella vuota, è il terreno di conquista di una nuova rappresentazione,
ci priva di uno schema per poterne immaginare un altro, distrugge le regole di sfondo e
primo piano regalandoci un’immagine di superficie che spetta a noi rendere in termini di
profondità.
Lo spazio aperto mi permette di vedere, come all'orizzonte, il movimento delle forze che si
agitano dentro di me, nel mondo, nell'intero campo del sensibile. E’ la dimensione
pubblica, in cui si definiscono convinzioni e possibili azioni, in cui a partire dall’interazione
delle parti si definisce un campo di forze comuni.
Il reale è uno schema di cui non conosciamo il tutto, ma le singole parti che lo
compongono, è com’essere davanti ad un’immagine di cui non riconosciamo esattamente
figure e contorni, ma possiamo solo immaginare come potrebbero apparire ai nostri occhi.
L’immagine priva di rappresentazione è la possibilità di giocare con ciò che si presenta
come potenziale, nebuloso e non ancora posato. E’ il margine di libertà che ci possiamo
concedere per ripensare il nostro rapporto con il reale. E' questo il vuoto che cercavo,
quello dell'onnipresenza, dell'onnicomprensivo perchè senza sistema, quello della
moltitudine perchè privata dell’ ideologia.
Lo schermo buio si apre alla riflessione e il tempo si frammenta nella relazione
individuale-collettivo. Il terzo momento diventa dunque quello della pausa, della possibilità.
E’ lo spazio condiviso, l’immagine sottile, di chi sa che il momento è diventato propizio per
l’azione.
Nella società della condivisione in cui persino l’immagine è definita di relazione, la pausa
di riflessione diventa strumento fondamentale per ristabilire la propria posizione e
arricchire con nuova linfa l’immaginazione.
La pausa costituisce la richiesta di un nuovo linguaggio, la produzione della differenza, la
ricognizione che il tempo è arrivato per una grammatica alterata del reale. Ispirare il lettore
ad inventare il futuro, affermano Hardt e Negri nel loro ultimo lavoro.
La privazione diventa ossessione dell'immaginazione costretta a cercare nuove vie per
continuare a sopravvivere.
In questo senso, il cinema senza immagini, quello che preferisce la voce e il suono, è
congiunzione che sospende il fiato, rest-room d’ogni grande e sottile cambiamento, senso
di non-appartenenza e allo stesso tempo riconquista di un nuovo territorio. IL resto sta già
accadendo.
P.S. L’interstizio è anche quello che come curatore mi è possibile costruire, una
dimensione tra me e il reale, che sia utile al suo scopo, ossia far riflettere e creare un
tessuto connettivo in cui la riflessione teorica sia strumento di revisione del sistema-
realtà. Quello del lavoro teorico è come l’astrazione, alle volte sembra eccessiva e non
necessaria, ma serve a distruggere massimi sistemi e costruire un contesto più adeguato,
in un movimento incessante, invisibile e continuo.
21
gennaio 2010
Playlist – At Least. You will see the space in between
21 gennaio 2010
arte contemporanea
Location
NEON>CAMPOBASE
Bologna, Via Francesco Zanardi, 2/5, (Bologna)
Bologna, Via Francesco Zanardi, 2/5, (Bologna)
Vernissage
21 Gennaio 2010, ore 19.30-21
Curatore