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Poco grano molti frutti
Cinquant’anni di archeologia ad Alba Fucens
Comunicato stampa
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Appartata e quasi inaccessibile tra i monti, circondata da prati e boschi dell’alto territorio del Velino Sirente e del Parco Nazionale d’Abruzzo, è adagiata Alba Fucens, l’antica colonia romana (fondata nel IV secolo a.C. per controllare i territori delle temibili tribù italiche), la piccola Pompei del centro Italia, governata da una raffinata classe dirigente che le conferì un ruolo di spicco.
Meta fin dall’Umanesimo di numerosi studiosi, viaggiatori, amatori richiamati dalla fama letteraria e conquistati dalla “grandiosità naturale e illimitata” (Cesare Brandi) dell’ambiente, fu riportata alla luce nel corso di un’affascinante ed eccezionalmente lunga campagna di scavi durata più di mezzo secolo a partire dal 1949. Gli scavi hanno svelato il cuore dell’antica città romana: protetti da mura possenti sono riemersi il foro, il magnifico anfiteatro, il tempio di Ercole, lungo le strade lastricate il mercato e le terme, i resti di una Basilica, le case patrizie, le tabernae, i magazzini e poi opere in marmo, pietra, metallo, giocattoli in osso e legno.
Così a cinquant’anni dalla prima Alba, la splendida colonia romana torna a vivere nella capitale, lasciando immaginare l’emozione e il fascino dei primi archeologi che ebbero il privilegio di riportarla alla luce. Ci sentiremo così anche noi “archeologi per un giorno” intuendo il mistero e l’eccitazione della scoperta in questo luogo sempre arcano avvolto dalle nebbie sottili dei tramonti d’autunno e dalle prime brune di un mattino d’inverno, in un clima da alpeggio.
Vivremo così l’emozione delle prime scoperte illustrate dalla documentazione di scavo, dalle lettere e dagli articoli a stampa che davano notizia delle prime sensazionali scoperte. Le bellissime foto d’epoca mostreranno il mistero e l’eccitazione della ricerca.
Sarà una particolarissima mostra dal titolo “Poco grano molti frutti” – da Silio Italico. Cinquant’anni di archeologia ad Alba Fucens che cercherà di dare un “volto umano” alla ricerca archeologica, in particolare a quella del sito abruzzese, facendola uscire dall’asetticità dell’ambito accademico e animandola di personaggi, volti e storie autentiche. Insomma, e non sembri un gioco di parole, una mostra che farà la storia della ricerca storica ricordando i momenti “eroici” dell’archeologia.
“Poco grano molti frutti”. Cinquant’anni di archeologia ad Alba Fucens è promossa dall’Ambasciata del Belgio e dall’Accademia Belgica, dalla Direzione regionale e Soprintendenza ai Beni Archeologici d’Abruzzo, dalla Regione Abruzzo e dalla Provincia dell’Aquila ed è ideata e realizzata dall’Associazione Antiqua. La cura scientifica è di Adele Campanelli, archeologa responsabile della zona. La mostra si terrà a Roma dal 31 ottobre al 10 dicembre presso l’Accademia Belgica per poi spostarsi a Bruxelles e a New York.
Dopo cinquant’anni di scavi e prima di avviarne di nuovi, la mostra si sofferma a riflettere sul percorso archeologico condotto finora ad Alba Fucens, tracciando la storia delle ricerche compiute in collaborazione con l’Accademia Belgica tra il 1949 e il 1979. Tra l’altro, una particolarissima coincidenza fa nascere questa mostra sotto il buon auspicio: l’attuale Ambasciatore del Belgio a Roma è Jean De Ruyt, figlio dell’archeologo De Ruyt, un pioniere della ricerca ad Alba e collaboratore di De Visscher, tra i primi ad intraprendere gli scavi. Nell’immediato dopoguerra le accademie straniere, infatti, iniziarono in Italia una collaborazione scientifica su temi e luoghi della storia che portò i Belgi in particolare, in un periodo compreso tra gli anni Cinquanta e Settanta, a compiere un grande lavoro di scavo, analisi ed
approfondimento sul sito di Alba Fucens rendendolo l’unico in Abruzzo ad aver goduto di una tale continuità di ricerche che ha visto protagoniste tre generazioni di archeologi.
In mostra, in un allestimento che documenta le caratteristiche dei luoghi e i materiali archeologici della città romana scomparsa sotto un’immensa coltre di terra, forse a causa di un terremoto, troviamo materiali inediti o ristudiati recentemente, fonti letterarie tra le tantissime esistenti sulla Città, statue, busti in bronzo e suppellettili ritrovati all’interno delle mura ciclopiche (sulle quali in mostra emergono nuove scoperte) della città romana. Ma soprattutto troviamo storie di personaggi eccellenti legati alla storia di Alba come Agrippina di cui in mostra c’è un bellissimo busto in bronzo, o il re Perseo di Macedonia “ospitato” da Alba una volta fatto prigioniero di Roma, Silla, o la regina Zenobia, Sutorio Macrone. Accanto ai capolavori, come statue di Venere, efebi e dignitari con la toga, ritratti e oggetti esotici, sculture e arredi delle domus e dei giardini, mosaici ed affreschi, la mostra offre allo sguardo del visitatore reperti e stralci di vita quotidiana di duemila anni fa. Balsamari in vetro e argilla, veri e propri giochi, bambole in legno, oggetti da toletta in osso e bronzo, aghi da cucito, pesi da telaio, monete, gioielli e ornamenti, lucerne, vasellame, arredi domestici, ceramiche e vetri da tavola.
La vera particolarità, però, è quella, alla vigilia dell’avvio di una nuova importante campagna di scavi che prenderà il via ad ottobre (la mostra rappresenta, quindi, l’anno zero di un nuovo ciclo della ricerca), di voler dare risalto al lato umano e spesso più nascosto o addirittura intimo del percorso archeologico condotto finora ad Alba, raccontando le storie di alcuni degli archeologi che si sono occupati degli scavi e fornendo testimonianza di quanto viaggiatori ottocenteschi, scrittori moderni e studiosi (Dumas, Lear, Cesare Brandi, etc.) hanno scritto di questa magica e una volta inaccessibile città romana conquistati dalla bellezza dell’ambiente. La mostra riesce a stupire con l’esposizione di diari di scavo, lettere, ricordi, bellissime foto che raffigurano perfino i bambini intenti a scavare, oppure i volti provati degli operai addetti agli scavi ricordandoci le difficoltà e l'arretratezza di quegli anni in cui era stridente il confronto con l'elegante formalità degli studiosi belgi ritratti in alcune istantenee mentre romanticamente dipingono le rovine.
Inedito anche l’allestimento, fatto di effetti multimediali che permetteranno ai visitatori di visualizzare le immagini dei personaggi e sentire voci, suoni, rumori di sottofondo in una sorta di esperimento di “radio archeologia” in grado di restituire alla memoria e alle emozioni, attraverso l’ascolto, il fascino di una ricerca avvenuta in tempi tanto lontani da apparire ora quasi mitici. E in grado di regalare ai visitatori, la magia di una città romana nel cuore dell’Appennino centrale, la più alta d’Italia con tutto il fascino di una meta vicina eppure dal sapore arcano, la meta di una “gita” ormai fuori porta per i romani e una volta luogo isolato e irrangiungibile al punto di essere un luogo di esilio, un avamposto militare, costruito, come dicono le fonti, a immagine di Roma in una terra lontana e schiva, favolosa e mitica. “Più in là che Abruzzi” come la definiva Calandrino nel Decamerone.
Una mostra-documentario, insomma, dal sapore un po’ retrò che riporta alla ribalta del grande pubblico la storia e l’attualità di Alba Fucens, per fare in modo che questa affascinante colonia romana riemersa dalle macerie del terremoto del 501 a.c., lo stesso che distrusse il Colosseo (e non quello del Sannio come si era creduto finora), torni a far parlare di sé.
Meta fin dall’Umanesimo di numerosi studiosi, viaggiatori, amatori richiamati dalla fama letteraria e conquistati dalla “grandiosità naturale e illimitata” (Cesare Brandi) dell’ambiente, fu riportata alla luce nel corso di un’affascinante ed eccezionalmente lunga campagna di scavi durata più di mezzo secolo a partire dal 1949. Gli scavi hanno svelato il cuore dell’antica città romana: protetti da mura possenti sono riemersi il foro, il magnifico anfiteatro, il tempio di Ercole, lungo le strade lastricate il mercato e le terme, i resti di una Basilica, le case patrizie, le tabernae, i magazzini e poi opere in marmo, pietra, metallo, giocattoli in osso e legno.
Così a cinquant’anni dalla prima Alba, la splendida colonia romana torna a vivere nella capitale, lasciando immaginare l’emozione e il fascino dei primi archeologi che ebbero il privilegio di riportarla alla luce. Ci sentiremo così anche noi “archeologi per un giorno” intuendo il mistero e l’eccitazione della scoperta in questo luogo sempre arcano avvolto dalle nebbie sottili dei tramonti d’autunno e dalle prime brune di un mattino d’inverno, in un clima da alpeggio.
Vivremo così l’emozione delle prime scoperte illustrate dalla documentazione di scavo, dalle lettere e dagli articoli a stampa che davano notizia delle prime sensazionali scoperte. Le bellissime foto d’epoca mostreranno il mistero e l’eccitazione della ricerca.
Sarà una particolarissima mostra dal titolo “Poco grano molti frutti” – da Silio Italico. Cinquant’anni di archeologia ad Alba Fucens che cercherà di dare un “volto umano” alla ricerca archeologica, in particolare a quella del sito abruzzese, facendola uscire dall’asetticità dell’ambito accademico e animandola di personaggi, volti e storie autentiche. Insomma, e non sembri un gioco di parole, una mostra che farà la storia della ricerca storica ricordando i momenti “eroici” dell’archeologia.
“Poco grano molti frutti”. Cinquant’anni di archeologia ad Alba Fucens è promossa dall’Ambasciata del Belgio e dall’Accademia Belgica, dalla Direzione regionale e Soprintendenza ai Beni Archeologici d’Abruzzo, dalla Regione Abruzzo e dalla Provincia dell’Aquila ed è ideata e realizzata dall’Associazione Antiqua. La cura scientifica è di Adele Campanelli, archeologa responsabile della zona. La mostra si terrà a Roma dal 31 ottobre al 10 dicembre presso l’Accademia Belgica per poi spostarsi a Bruxelles e a New York.
Dopo cinquant’anni di scavi e prima di avviarne di nuovi, la mostra si sofferma a riflettere sul percorso archeologico condotto finora ad Alba Fucens, tracciando la storia delle ricerche compiute in collaborazione con l’Accademia Belgica tra il 1949 e il 1979. Tra l’altro, una particolarissima coincidenza fa nascere questa mostra sotto il buon auspicio: l’attuale Ambasciatore del Belgio a Roma è Jean De Ruyt, figlio dell’archeologo De Ruyt, un pioniere della ricerca ad Alba e collaboratore di De Visscher, tra i primi ad intraprendere gli scavi. Nell’immediato dopoguerra le accademie straniere, infatti, iniziarono in Italia una collaborazione scientifica su temi e luoghi della storia che portò i Belgi in particolare, in un periodo compreso tra gli anni Cinquanta e Settanta, a compiere un grande lavoro di scavo, analisi ed
approfondimento sul sito di Alba Fucens rendendolo l’unico in Abruzzo ad aver goduto di una tale continuità di ricerche che ha visto protagoniste tre generazioni di archeologi.
In mostra, in un allestimento che documenta le caratteristiche dei luoghi e i materiali archeologici della città romana scomparsa sotto un’immensa coltre di terra, forse a causa di un terremoto, troviamo materiali inediti o ristudiati recentemente, fonti letterarie tra le tantissime esistenti sulla Città, statue, busti in bronzo e suppellettili ritrovati all’interno delle mura ciclopiche (sulle quali in mostra emergono nuove scoperte) della città romana. Ma soprattutto troviamo storie di personaggi eccellenti legati alla storia di Alba come Agrippina di cui in mostra c’è un bellissimo busto in bronzo, o il re Perseo di Macedonia “ospitato” da Alba una volta fatto prigioniero di Roma, Silla, o la regina Zenobia, Sutorio Macrone. Accanto ai capolavori, come statue di Venere, efebi e dignitari con la toga, ritratti e oggetti esotici, sculture e arredi delle domus e dei giardini, mosaici ed affreschi, la mostra offre allo sguardo del visitatore reperti e stralci di vita quotidiana di duemila anni fa. Balsamari in vetro e argilla, veri e propri giochi, bambole in legno, oggetti da toletta in osso e bronzo, aghi da cucito, pesi da telaio, monete, gioielli e ornamenti, lucerne, vasellame, arredi domestici, ceramiche e vetri da tavola.
La vera particolarità, però, è quella, alla vigilia dell’avvio di una nuova importante campagna di scavi che prenderà il via ad ottobre (la mostra rappresenta, quindi, l’anno zero di un nuovo ciclo della ricerca), di voler dare risalto al lato umano e spesso più nascosto o addirittura intimo del percorso archeologico condotto finora ad Alba, raccontando le storie di alcuni degli archeologi che si sono occupati degli scavi e fornendo testimonianza di quanto viaggiatori ottocenteschi, scrittori moderni e studiosi (Dumas, Lear, Cesare Brandi, etc.) hanno scritto di questa magica e una volta inaccessibile città romana conquistati dalla bellezza dell’ambiente. La mostra riesce a stupire con l’esposizione di diari di scavo, lettere, ricordi, bellissime foto che raffigurano perfino i bambini intenti a scavare, oppure i volti provati degli operai addetti agli scavi ricordandoci le difficoltà e l'arretratezza di quegli anni in cui era stridente il confronto con l'elegante formalità degli studiosi belgi ritratti in alcune istantenee mentre romanticamente dipingono le rovine.
Inedito anche l’allestimento, fatto di effetti multimediali che permetteranno ai visitatori di visualizzare le immagini dei personaggi e sentire voci, suoni, rumori di sottofondo in una sorta di esperimento di “radio archeologia” in grado di restituire alla memoria e alle emozioni, attraverso l’ascolto, il fascino di una ricerca avvenuta in tempi tanto lontani da apparire ora quasi mitici. E in grado di regalare ai visitatori, la magia di una città romana nel cuore dell’Appennino centrale, la più alta d’Italia con tutto il fascino di una meta vicina eppure dal sapore arcano, la meta di una “gita” ormai fuori porta per i romani e una volta luogo isolato e irrangiungibile al punto di essere un luogo di esilio, un avamposto militare, costruito, come dicono le fonti, a immagine di Roma in una terra lontana e schiva, favolosa e mitica. “Più in là che Abruzzi” come la definiva Calandrino nel Decamerone.
Una mostra-documentario, insomma, dal sapore un po’ retrò che riporta alla ribalta del grande pubblico la storia e l’attualità di Alba Fucens, per fare in modo che questa affascinante colonia romana riemersa dalle macerie del terremoto del 501 a.c., lo stesso che distrusse il Colosseo (e non quello del Sannio come si era creduto finora), torni a far parlare di sé.
31
ottobre 2006
Poco grano molti frutti
Dal 31 ottobre al 10 dicembre 2006
archeologia
Location
ACCADEMIA BELGICA
Roma, Via Omero, 8, (Roma)
Roma, Via Omero, 8, (Roma)
Orario di apertura
tutti i giorni escluso il lunedi 10,00 – 13,00; 15,00 – 19,00
Ufficio stampa
LR COMUNICAZIONE
Curatore