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Pony – Abito mentale
Pony, ovviamente uno pseudonimo, è un artista che vuole essere di fatto anonimo, che compare di rado, che non parla di sé, che non mette i suoi dati personali nella proprio biografia. Ma non si tratta di voglia di mistero, quanto di una parte integrante della sua ricerca. Questa, infatti, ci parla della spersonalizzazione, del distacco dalle proprie caratteristiche fisiche, caratteriali e biografiche verso una direzione di spiritualità che viene manifestata tramite simboli e simulacri, imitando una dinamica di matrice religiosa.
Comunicato stampa
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Pony, ovviamente uno pseudonimo, è un artista che vuole essere di fatto anonimo, che compare di rado, che non parla di sé, che non mette i suoi dati personali nella proprio biografia. Ma non si tratta di voglia di mistero, quanto di una parte integrante della sua ricerca. Questa, infatti, ci parla della spersonalizzazione, del distacco dalle proprie caratteristiche fisiche, caratteriali e biografiche verso una direzione di spiritualità che viene manifestata tramite simboli e simulacri, imitando una dinamica di matrice religiosa. L'oggetto che innesca questo processo è il vestito, che viene mano a mano fatto passare tramite diversi stadi di purificazione fino a diventare allegoria di una situazione trascendentale ormai raggiunta e in cui il tessuto resta solo come una mera reliquia. Per questo il vero e proprio protagonista non è il vestito in sé, ma la situazione spirituale e mistica che lo supera e che intuiamo, una soluzione di neutralità corporea che fa prendere all'artista la decisione di non identificarsi con nessun attributo terreno. Non si dà un sesso, non si dà un'età, e nemmeno nessun'altra descrizione fisica. Anzi, svia l'attenzione da se stesso lavorando sul recupero di un abbigliamento molto variegato, che può appartenere una volta a una giovane donna e un'altra a un bambino, come anche a un distinto uomo d'affari e via dicendo. Attraverso le varie tappe che compie su ciascun capo d'abbigliamento, Pony ha modo di identificarsi in diverse tipologie umane e personalità senza esserne univocamente nessuna, ed ottiene da un lato l'effetto di irretire lo spettatore in una specie di gioco scenico, dall'altro di auto-conferirsi una sorta di superiorità sugli stereotipi umani, sorvolando dall'alto le regole che giudicano il legame tra “essere” e “apparire”.
Per l'artista questi due verbi sono dunque già disgiunti e concepisce come due materie distinte l'anima e il corpo, senza dimenticare che quello che forse maggiormente può rappresentare in modo visivo la nostra interiorità è proprio quello che indossiamo e che in più identifica il nostro tempo, il nostro sistema sociale, essendo di fatto un indice dei valori del sistema in cui l'individuo si muove e agisce, svelando tabù, estetiche e convinzioni tanto del singolo quanto della collettività. Ma appunto perché l'abito descrive un codice umano e terrestre è necessario che venga prima o poi abbandonato, e che resti vuoto, privo dell'elemento-persona. Ed è per questo che Pony, dopo aver fotografato il vestito per farne restare una testimonianza, lo cristallizza in una resina che lo irrigidisce e lo fa diventare una scultura dalla consistenza a metà tra il gesso e il cartone. Diventa inservibile, è snaturato, si irrigidisce in una posizione che fa vedere vistosamente i suoi vuoti interni dove era presente in un tempo passato un corpo vivente. Ma allo stesso tempo, cristallizzandolo, lo si rende una testimonianza, un simbolo, un idolo, un reperto e, ripetiamo, una vera e propria reliquia. In fondo, non sono proprio i vecchi abiti che vengono adorati dai fedeli di personaggi religiosi ormai morti e quindi, nell'immaginario cattolico, ricongiunti a Dio? Anche in questo caso il tessuto diventa veicolo della memoria di quello che è spirito, ma in una diversa accezione. Qui non si parla di una forma di trascendenza del risorgere dopo la morte, ma dell'acquisizione di una comprensione raggiungibile già in vita dell'esistenza di una dimensione più totale oltre a quella umana, dove non c'è fisicità, ma energia. Questo sdoppiamento è presente in modo molto visibile nelle opere di Pony che effettuano quasi un confronto tra il prima e il dopo, riproponendo l'immagine del vestito ben due volte in ogni stampa. In primo piano l'immagine è più vivida e definita e si tratta di uno scatto dall'oggetto già cristallizzato, diventato simbolo; sullo sfondo il vestito è più sfocato, tenue, soffuso ed è stato fotografato prima di prendere una forma scultorea, rappresentando così la memoria di un oggetto e allo stesso tempo il suo superamento. Questa composizione finale è stampata inoltre su plexiglas, un materiale trasparente che aumenta il senso di un'atmosfera ultraterrena e impalpabile e che assume il plusvalore di un fervore mistico elevato quando viene steso su un'ulteriore base di led luminosi che creano al di sotto dell'immagine una luce uniforme e inglobante.
E' ovvia la metafora della luce come salvezza divina, illuminazione e presa di coscienza. Così come il vestito testimonia la fisicità abbandonata, la luce testimonia la nuova dimensione a cui lo spirito è andato incontro. E in questo gioco di rimandi e di citazioni di modelli mentali dalla nostra tradizione morale e civile, fa la sua comparsa anche la musica, la forma d'arte senza una forma tangibile che Pony utilizza in installazioni in cui i vestiti vengono immobilizzati nella resina mentre abbracciano, rivestono e avviluppano uno strumento musicale. Lo strumento prende le veci del corpo umano, e la musica/anima, impalpabile e senza sostanza è qualcosa di cui non abbiamo una percezione ma che sappiamo esserci stata e che possiamo immaginare distante e distaccata a raggiungere quella nuova dimensione mistica di cui si parlava. Un ulteriore sviluppo, quasi un aiuto concettuale che Pony regala a chi guarda al suo lavoro, è poi la protezione di alcune di queste opere sotto teche si plexiglas.
L'effetto non è ovviamente solo estetico, ma serve soprattutto a sottolineare una sorta di esigenza di conservazione storica imminente per creare un nuovo lavoro di testimonianza sul testimone, una legittimazione ancora più forte del vestito-simbolo a considerarsi portatore di memoria e cristallizzazione di una dimensione temporale e spirituale.
La cronologia di questo sentiero viene svelata attraverso sentieri espositivi che sono sempre ibridi e che contengono al loro interno le varie tappe della crescita spirituale dell'artista, del suo sganciarsi dalla realtà puramente materiale, testimoniato dai vari passaggi che vengono compiuti per realizzare le opere finali. Così sono esposti i vestiti-scultura come installazioni oppure sono sovrapposte alle foto dei vestiti originali, rifotografate sul plexiglas o esibite in teca, con o senza la base di led luminosi, per fare in modo che ogni mostra sia anche un piccolo museo di testimonianze di una crescita interiore che non nasconde le proprie difficoltà e le varie e numerose prove e tentativi di comprensione di ciò che vi è oltre alla dimensione umana e antropocentrica.
Per l'artista questi due verbi sono dunque già disgiunti e concepisce come due materie distinte l'anima e il corpo, senza dimenticare che quello che forse maggiormente può rappresentare in modo visivo la nostra interiorità è proprio quello che indossiamo e che in più identifica il nostro tempo, il nostro sistema sociale, essendo di fatto un indice dei valori del sistema in cui l'individuo si muove e agisce, svelando tabù, estetiche e convinzioni tanto del singolo quanto della collettività. Ma appunto perché l'abito descrive un codice umano e terrestre è necessario che venga prima o poi abbandonato, e che resti vuoto, privo dell'elemento-persona. Ed è per questo che Pony, dopo aver fotografato il vestito per farne restare una testimonianza, lo cristallizza in una resina che lo irrigidisce e lo fa diventare una scultura dalla consistenza a metà tra il gesso e il cartone. Diventa inservibile, è snaturato, si irrigidisce in una posizione che fa vedere vistosamente i suoi vuoti interni dove era presente in un tempo passato un corpo vivente. Ma allo stesso tempo, cristallizzandolo, lo si rende una testimonianza, un simbolo, un idolo, un reperto e, ripetiamo, una vera e propria reliquia. In fondo, non sono proprio i vecchi abiti che vengono adorati dai fedeli di personaggi religiosi ormai morti e quindi, nell'immaginario cattolico, ricongiunti a Dio? Anche in questo caso il tessuto diventa veicolo della memoria di quello che è spirito, ma in una diversa accezione. Qui non si parla di una forma di trascendenza del risorgere dopo la morte, ma dell'acquisizione di una comprensione raggiungibile già in vita dell'esistenza di una dimensione più totale oltre a quella umana, dove non c'è fisicità, ma energia. Questo sdoppiamento è presente in modo molto visibile nelle opere di Pony che effettuano quasi un confronto tra il prima e il dopo, riproponendo l'immagine del vestito ben due volte in ogni stampa. In primo piano l'immagine è più vivida e definita e si tratta di uno scatto dall'oggetto già cristallizzato, diventato simbolo; sullo sfondo il vestito è più sfocato, tenue, soffuso ed è stato fotografato prima di prendere una forma scultorea, rappresentando così la memoria di un oggetto e allo stesso tempo il suo superamento. Questa composizione finale è stampata inoltre su plexiglas, un materiale trasparente che aumenta il senso di un'atmosfera ultraterrena e impalpabile e che assume il plusvalore di un fervore mistico elevato quando viene steso su un'ulteriore base di led luminosi che creano al di sotto dell'immagine una luce uniforme e inglobante.
E' ovvia la metafora della luce come salvezza divina, illuminazione e presa di coscienza. Così come il vestito testimonia la fisicità abbandonata, la luce testimonia la nuova dimensione a cui lo spirito è andato incontro. E in questo gioco di rimandi e di citazioni di modelli mentali dalla nostra tradizione morale e civile, fa la sua comparsa anche la musica, la forma d'arte senza una forma tangibile che Pony utilizza in installazioni in cui i vestiti vengono immobilizzati nella resina mentre abbracciano, rivestono e avviluppano uno strumento musicale. Lo strumento prende le veci del corpo umano, e la musica/anima, impalpabile e senza sostanza è qualcosa di cui non abbiamo una percezione ma che sappiamo esserci stata e che possiamo immaginare distante e distaccata a raggiungere quella nuova dimensione mistica di cui si parlava. Un ulteriore sviluppo, quasi un aiuto concettuale che Pony regala a chi guarda al suo lavoro, è poi la protezione di alcune di queste opere sotto teche si plexiglas.
L'effetto non è ovviamente solo estetico, ma serve soprattutto a sottolineare una sorta di esigenza di conservazione storica imminente per creare un nuovo lavoro di testimonianza sul testimone, una legittimazione ancora più forte del vestito-simbolo a considerarsi portatore di memoria e cristallizzazione di una dimensione temporale e spirituale.
La cronologia di questo sentiero viene svelata attraverso sentieri espositivi che sono sempre ibridi e che contengono al loro interno le varie tappe della crescita spirituale dell'artista, del suo sganciarsi dalla realtà puramente materiale, testimoniato dai vari passaggi che vengono compiuti per realizzare le opere finali. Così sono esposti i vestiti-scultura come installazioni oppure sono sovrapposte alle foto dei vestiti originali, rifotografate sul plexiglas o esibite in teca, con o senza la base di led luminosi, per fare in modo che ogni mostra sia anche un piccolo museo di testimonianze di una crescita interiore che non nasconde le proprie difficoltà e le varie e numerose prove e tentativi di comprensione di ciò che vi è oltre alla dimensione umana e antropocentrica.
19
aprile 2009
Pony – Abito mentale
Dal 19 aprile al 16 maggio 2009
fotografia
arte contemporanea
giovane arte
arte contemporanea
giovane arte
Location
CASTELLANO ARTE CONTEMPORANEA
Castelfranco Veneto, Via Roma, 38, (Treviso)
Castelfranco Veneto, Via Roma, 38, (Treviso)
Biglietti
ingresso libero
Orario di apertura
da martedì a domenica ore 15,30 - 20,00
Vernissage
19 Aprile 2009, ore 11,00
Autore
Curatore