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Presentazione del volume a fumetti Rangaku
Presentazione del volume a fumetti “Rangaku”, un insolito noir ambientato nel Giappone del XVII° secolo e pubblicato per il mercato francese dalla casa editrice Les Humanoides Associés. Insieme alla mostra di tavole originali del disegnatore Maurizio Di Vincenzo (“Dylan Dog”, “Magico Vento”), che sarà presente per le dediche, interverrà il disegnatore Massimo Rotundo (“Brendon”, “Volto Nascosto”).
Comunicato stampa
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Venerdì 14 marzo alle ore 16.00 presso la Scuola Romana dei Fumetti (via Flaminia 29, Roma - Metro Flaminio) si terrà la presentazione del volume a fumetti “Rangaku”, un insolito noir ambientato nel Giappone del XVII° secolo e pubblicato per il mercato francese dalla casa editrice Les Humanoides Associés. Insieme alla mostra di tavole originali del disegnatore Maurizio Di Vincenzo (“Dylan Dog”, “Magico Vento”), che sarà presente per le dediche, interverrà il disegnatore Massimo Rotundo (“Brendon”, “Volto Nascosto”).
CONTENUTI
Primo volume di un’inchiesta in due parti.
Si tratta di un suggestivo racconto noir ambientato nel Giappone del XVII° secolo. “Rangaku”, letteralmente “sapere olandese”, si riferisce alle conoscenze tecniche in materia di medicina e di scienza sviluppate in Giappone durante il periodo di chiusura al mondo europeo (periodo Sakoku, isolamento nazionale instaurato dagli Shogun Tokugawa, 1641-1853). Soltanto agli olandesi è concesso avere relazioni commerciali con il paese del Sol Levante ed è in questo contesto che nasce l’improbabile amicizia tra il chirurgo olandese Hendrik Van Effen e il samurai Takeda Kenshin, membro dei samurai Dokoro, organo che si occupava degli affari militari e della polizia. Kenshin è a capo della sicurezza del porto di Nagasaki e durante un’ispezione di controllo a un vascello olandese della Compagnia delle Indie Orientali, ormeggiato all’isola artificiale di Deshima, è protagonista di un incidente. Un carico sospeso ad una gru cede su di lui e suo nipote Shingen lo salva, prendendo in pieno il carico e fratturandosi il braccio. Entra in scena Hendrik, il medico chirurgo, che, nonostante lo scetticismo dei giapponesi, cura il giovane e insieme soddisfa il suo vezzo di ritrarre le persone su un album da disegno. Al sollievo dello scampato pericolo si sostituisce l’imbarazzo di Kenshin, disonorato per aver accettato l’aiuto di uno straniero. Ora è in obbligo con uno sconosciuto (divenuto “jjn on”, persona alla quale si deve un debito d’onore) ed è un fardello pesante per un samurai.
Calano le tenebre, Hendrik trasgredisce al divieto di scendere sulla terra ferma e si traveste da monaco per curiosare nella “città senza notte”, Nagasaki. Subito fermato da una banda di balordi, viene assalito e forte è lo stupore degli aggressori davanti a un “demone dai capelli rossi”, il cui piede scalzo non presenta anomalie (in seguito gli verrà spiegato che in Giappone era diffusa la diceria che gli occidentali mancassero di tallone). A salvare il suo protetto interviene Kenshin, che mette in fuga i malvagi senza nemmeno sguainare la spada. Adesso sono pari, afferma Hendrik al suo salvatore, ma viene smentito dal samurai che, con estrema saggezza, si guarda dallo sdebitarsi troppo in fretta per non incorrere in un altro disonore. I due si dirigono nel “quartiere dei piaceri” di Nagasaki, in un locale dove assistono a un’esibizione femminile di teatro kabuki (Onna Kabuki), vietato dai Tokugawa perché definito immorale. Qui l’olandese, a causa del suo travestimento, viene paragonato a Ikkyu, (il monaco itinerante noto per la commistione di elevati concetti religiosi e di immagini sensuali nelle sue poesie), poi si accorge di aver dimenticato i carboncini con cui disegna i suoi ritratti e incontra nuovamente il giovane Shingen, col braccio fasciato, recatosi solo per assistere allo spettacolo e non per intrattenersi con le “giovani figlie delle tenebre”. Infatti, rivelano le ragazze presenti, è di passaggio prima di recarsi dalla sua amante, alle porte della città. Quella sera, in quello stesso locale, il vecchio marito dell’amante di Shingen, affoga i dispiaceri nel saké. Di ritorno alla nave di Hendrik, Kenshin esprime le sue perplessità sulla politica Tokugawa, lamentando la trasformazione dei samurai da una casta di guerrieri a una casta di burocrati (“la penna e l’inchiostro hanno sostituito la katana e il wakisashi”), quando dei rumori provenienti dalle vicinanze attirano l’attenzione dei due. In mezzo ai cespugli viene ritrovato il cadavere di Shingen, orfano della testa. Interviene la ronda notturna, che ritrova l’astuccio con i carboncini di Hendrik e un crocefisso cristiano nella mano del cadavere. L’accusa è presto formulata e il medico viene arrestato e incarcerato. Ovviamente Kenshin vuole fare luce sulla vicenda e si offre come “avvocato” e insieme investigatore. Il crocefisso non può appartenere a Hendrik che, in quanto luterano, dunque protestante, non si riconosce nei simboli cattolici, anzi, ricorda la feroce guerra tra cristiani cattolici e cristiani riformati che per decenni ha infuriato in Europa mietendo centinaia di migliaia di vittime. Da qui il suo lavoro come medico militare. Il commento del samurai è secco: hanno fatto bene a bandire le religioni occidentali dal Giappone!
L’indomani, dal governatore, Kenshin è messo di fronte a un tragico bivio per chiudere il circolo del “giri”, la serie di obblighi che un uomo nella sua posizione è costretto a rispettare. Da un lato la fedeltà al suo signore, dall’altro il dovere di difendere la sua reputazione in seguito al debito che ha contratto nei confronti dell’amico olandese. Per risolvere questa contraddizione, il nobile guerriero dovrà porre fine alla propria vita come atto onorabile e ragionato per riabilitare la memoria di chi si suicida secondo le regole. Hendrik si oppone e, facendo leva sull’odio nutrito dai giapponesi nei confronti dei cattolici (come i portoghesi e gli spagnoli messi al confino rispetto agli olandesi protestanti), riesce a strappare una proroga di dieci giorni per risolvere l’omicidio di Shingen in cambio di una prova di buona fede. Questa prova consiste nel prendere apertamente le distanze dal cristianesimo, dimostrando nei fatti di non voler assolutamente contribuire alla sua diffusione nei territori giapponesi. Questo è anche il senso della richiesta che all’inizio della nostra storia i funzionari shogun rivolgono al rappresentante olandese della Compagnia delle Indie Orientali, vale a dire la rimozione della scritta “1641 A.D.” dall’ingresso della penisola di Deshima per il chiaro (e dunque offensivo) riferimento alla religione cristiana. Come d’altronde, in passato, fu chiesto proprio agli olandesi di bombardare dalle navi le barricate cristiane durante la sanguinosa rivolta di Shimbara (1637). Hendrik ne ha sentito parlare e lo riporta come episodio onorabile, ma a queste parole insorge il samurai, che si dichiara contrario alle armi da fuoco e sentenzia: “colui che versa il sangue, deve macchiarsi”. Tuttavia, è proprio grazie a quella battaglia -prova di buona fede- che gli olandesi sono gli unici occidentali a relazionarsi con il Giappone.
Ma torniamo al racconto, in seguito a una soffiata, la “strana coppia” si ritrova in un bagno pubblico, dove sorprende un ladro in compagnia di prostitute. Dopo un breve scontro, il criminale viene legato, torturato e fatto parlare. Confessa così di aver rubato l’astuccio di Hendrik e i soldi di Shingen, ma di non aver mai ucciso. Nessuno gli crede, la teoria dei due protagonisti è che il ladro e i suoi compari siano stati ingaggiati da qualcuno per uccidere il nipote di Kenshin, già, ma chi? Forse un ricco mercante geloso di sua moglie? Il faccia a faccia con il vecchio incontrato la sera precedente al locale kabuki è immediato, ma si dimostra più impenetrabile del previsto: il signor Masuda ha lasciato il posto a notte inoltrata e sapeva delle calunnie su sua moglie, che al momento si trova nella villa di campagna, ma non se ne strugge. Una volta fuori dall’abitazione del mercante, Hendrik dichiara di aver visto due sagome dietro i paraventi, i sospetti aumentano e insieme a Kenshin tende un’imboscata ai due ospiti indesiderati riuscendo a catturarne uno. In seguito a un interrogatorio con percosse, il vecchio Masuda confessa di aver ingaggiato i tre malviventi per uccidere l’amante della sua giovane moglie. Il quadro della situazione appare chiaro, ma quelli che avrebbero dovuto essere gli esecutori materiali dell’omicidio insistono a dire di essere stati preceduti da un’eterea figura femminile dai lunghi capelli neri, una sorta di spirito della vendetta. Visto che con le maniere forti non si ottiene nulla, Hendrik chiede di poter di esaminare il corpo del ragazzo per trarne ulteriori informazioni. Entra qui in gioco la sapienza scientifica e l’esperienza sul campo del chirurgo che, analizzando il cadavere, scopre l’arma del delitto, una sciabola, segni di avvelenamento del sangue e ferite da stelle metalliche, le stesse di cui parlavano i briganti arrestati. Si tratta di “shuriken”, armi tipiche dei guerrieri ninja, vili sicari nemmeno paragonabili ai samurai, almeno secondo l’opinione di Kenshin. Inutile ribadirlo, sul luogo del delitto c’era una quarta persona.
Hendrik, travestito da monaco Komuso (e costretto ad indossare l’ingombrante copricapo “tengai”) e Kenshin, sono sulla strada per la casa di campagna della signora Masuda quando si imbattono nei rappresentanti del governatore. Manca soltanto l’ultimo assassino e la confessione del mercante ha scagionato il samurai, che potrebbe in questo modo evitare di compiere il “seppuku” (suicidio riparatore). Giunti a casa della signora Masuda, i due si trovano di fronte a una scena raccapricciante. Le serve sono state massacrate e la moglie del mercante decapitata, sembra proprio il completamento di una vendetta. Tra le varie cose che non tornano, però c’è la questione delle teste, che fine hanno fatto? Un breve apologo tradizionale ci spiega che in tempi remoti un feroce guerriero sorprese sua moglie con l’amante, li decapitò entrambi, legò le teste come se si baciassero per un’ultima volta e buttò i macabri reperti in mare. Dunque è molto probabile che le teste delle vittime siano finite in fondo alla baia. Ma i pezzi non quadrano ancora. Masuda è disperato per la morte di sua moglie e il servitore della donna, impaurito dalle sembianze “demoniache” della chioma rossa di Hendrik, racconta degli incontri notturni tra questa e un gruppo di persone. Le riunioni avevano luogo in una capanna in mezzo al bosco, un piccolo tempio animista abbandonato. Poco fuori il bosco si trova una fattoria, all’interno, altri cadaveri decapitati. A questo punto le incognite si moltiplicano, perché, dunque le serve della signora Masuda non sono state decapitate ma solo uccise? Non c’è tempo per rispondere e proprio nella capanna disabitata i due rinvengono le teste di tutte le vittime. Nella bocca di ciascuna si cela un crocefisso e sotto l’altare un’iscrizione a forma di pesce (simbolo cristologico) e l’occorrente per celebrare una messa (vino e ostia consacrati). Insomma, si tratta di una chiesa segreta, punto di incontro dei cosiddetti “Kakure Kirishitan”, cioè cristiani nascosti. A causa della fama di torturatori che avevano i preti (è questo il periodo della caccia alle streghe) il samurai non fatica a credere che il presunto sacerdote di questa setta cristiana, una volta scoperto, abbia tagliato le teste ai fedeli per offrirle in sacrificio al suo dio. A Hendrik spetta smentire questo ennesimo pregiudizio, seppur basato sui fatti, e a dare una svolta all’indagine, ricostruendo il giorno in cui si svolgevano gli incontri, la domenica, e giungendo alla conclusione che Shingen si recava in quel posto non per incontrare la sua amante, ma per celebrare la messa, Shingen era dunque un cristiano! Inoltre, nessun cristiano avrebbe mai fatto un uso così sacrilego dei crocefissi.
Nel frattempo è scesa la notte e tra gli alberi si muove una persona. È un vecchio che ha spiato i due investigatori al tempio ed è fuggito appena scoperto da Hendrik. Ora è solo, ha paura e si sente minacciato, quando una figura femminile armata di katana si abbassa su di lui. L’uomo ha in mano un crocefisso, recita la sua ultima preghiera in latino…
CONTENUTI
Primo volume di un’inchiesta in due parti.
Si tratta di un suggestivo racconto noir ambientato nel Giappone del XVII° secolo. “Rangaku”, letteralmente “sapere olandese”, si riferisce alle conoscenze tecniche in materia di medicina e di scienza sviluppate in Giappone durante il periodo di chiusura al mondo europeo (periodo Sakoku, isolamento nazionale instaurato dagli Shogun Tokugawa, 1641-1853). Soltanto agli olandesi è concesso avere relazioni commerciali con il paese del Sol Levante ed è in questo contesto che nasce l’improbabile amicizia tra il chirurgo olandese Hendrik Van Effen e il samurai Takeda Kenshin, membro dei samurai Dokoro, organo che si occupava degli affari militari e della polizia. Kenshin è a capo della sicurezza del porto di Nagasaki e durante un’ispezione di controllo a un vascello olandese della Compagnia delle Indie Orientali, ormeggiato all’isola artificiale di Deshima, è protagonista di un incidente. Un carico sospeso ad una gru cede su di lui e suo nipote Shingen lo salva, prendendo in pieno il carico e fratturandosi il braccio. Entra in scena Hendrik, il medico chirurgo, che, nonostante lo scetticismo dei giapponesi, cura il giovane e insieme soddisfa il suo vezzo di ritrarre le persone su un album da disegno. Al sollievo dello scampato pericolo si sostituisce l’imbarazzo di Kenshin, disonorato per aver accettato l’aiuto di uno straniero. Ora è in obbligo con uno sconosciuto (divenuto “jjn on”, persona alla quale si deve un debito d’onore) ed è un fardello pesante per un samurai.
Calano le tenebre, Hendrik trasgredisce al divieto di scendere sulla terra ferma e si traveste da monaco per curiosare nella “città senza notte”, Nagasaki. Subito fermato da una banda di balordi, viene assalito e forte è lo stupore degli aggressori davanti a un “demone dai capelli rossi”, il cui piede scalzo non presenta anomalie (in seguito gli verrà spiegato che in Giappone era diffusa la diceria che gli occidentali mancassero di tallone). A salvare il suo protetto interviene Kenshin, che mette in fuga i malvagi senza nemmeno sguainare la spada. Adesso sono pari, afferma Hendrik al suo salvatore, ma viene smentito dal samurai che, con estrema saggezza, si guarda dallo sdebitarsi troppo in fretta per non incorrere in un altro disonore. I due si dirigono nel “quartiere dei piaceri” di Nagasaki, in un locale dove assistono a un’esibizione femminile di teatro kabuki (Onna Kabuki), vietato dai Tokugawa perché definito immorale. Qui l’olandese, a causa del suo travestimento, viene paragonato a Ikkyu, (il monaco itinerante noto per la commistione di elevati concetti religiosi e di immagini sensuali nelle sue poesie), poi si accorge di aver dimenticato i carboncini con cui disegna i suoi ritratti e incontra nuovamente il giovane Shingen, col braccio fasciato, recatosi solo per assistere allo spettacolo e non per intrattenersi con le “giovani figlie delle tenebre”. Infatti, rivelano le ragazze presenti, è di passaggio prima di recarsi dalla sua amante, alle porte della città. Quella sera, in quello stesso locale, il vecchio marito dell’amante di Shingen, affoga i dispiaceri nel saké. Di ritorno alla nave di Hendrik, Kenshin esprime le sue perplessità sulla politica Tokugawa, lamentando la trasformazione dei samurai da una casta di guerrieri a una casta di burocrati (“la penna e l’inchiostro hanno sostituito la katana e il wakisashi”), quando dei rumori provenienti dalle vicinanze attirano l’attenzione dei due. In mezzo ai cespugli viene ritrovato il cadavere di Shingen, orfano della testa. Interviene la ronda notturna, che ritrova l’astuccio con i carboncini di Hendrik e un crocefisso cristiano nella mano del cadavere. L’accusa è presto formulata e il medico viene arrestato e incarcerato. Ovviamente Kenshin vuole fare luce sulla vicenda e si offre come “avvocato” e insieme investigatore. Il crocefisso non può appartenere a Hendrik che, in quanto luterano, dunque protestante, non si riconosce nei simboli cattolici, anzi, ricorda la feroce guerra tra cristiani cattolici e cristiani riformati che per decenni ha infuriato in Europa mietendo centinaia di migliaia di vittime. Da qui il suo lavoro come medico militare. Il commento del samurai è secco: hanno fatto bene a bandire le religioni occidentali dal Giappone!
L’indomani, dal governatore, Kenshin è messo di fronte a un tragico bivio per chiudere il circolo del “giri”, la serie di obblighi che un uomo nella sua posizione è costretto a rispettare. Da un lato la fedeltà al suo signore, dall’altro il dovere di difendere la sua reputazione in seguito al debito che ha contratto nei confronti dell’amico olandese. Per risolvere questa contraddizione, il nobile guerriero dovrà porre fine alla propria vita come atto onorabile e ragionato per riabilitare la memoria di chi si suicida secondo le regole. Hendrik si oppone e, facendo leva sull’odio nutrito dai giapponesi nei confronti dei cattolici (come i portoghesi e gli spagnoli messi al confino rispetto agli olandesi protestanti), riesce a strappare una proroga di dieci giorni per risolvere l’omicidio di Shingen in cambio di una prova di buona fede. Questa prova consiste nel prendere apertamente le distanze dal cristianesimo, dimostrando nei fatti di non voler assolutamente contribuire alla sua diffusione nei territori giapponesi. Questo è anche il senso della richiesta che all’inizio della nostra storia i funzionari shogun rivolgono al rappresentante olandese della Compagnia delle Indie Orientali, vale a dire la rimozione della scritta “1641 A.D.” dall’ingresso della penisola di Deshima per il chiaro (e dunque offensivo) riferimento alla religione cristiana. Come d’altronde, in passato, fu chiesto proprio agli olandesi di bombardare dalle navi le barricate cristiane durante la sanguinosa rivolta di Shimbara (1637). Hendrik ne ha sentito parlare e lo riporta come episodio onorabile, ma a queste parole insorge il samurai, che si dichiara contrario alle armi da fuoco e sentenzia: “colui che versa il sangue, deve macchiarsi”. Tuttavia, è proprio grazie a quella battaglia -prova di buona fede- che gli olandesi sono gli unici occidentali a relazionarsi con il Giappone.
Ma torniamo al racconto, in seguito a una soffiata, la “strana coppia” si ritrova in un bagno pubblico, dove sorprende un ladro in compagnia di prostitute. Dopo un breve scontro, il criminale viene legato, torturato e fatto parlare. Confessa così di aver rubato l’astuccio di Hendrik e i soldi di Shingen, ma di non aver mai ucciso. Nessuno gli crede, la teoria dei due protagonisti è che il ladro e i suoi compari siano stati ingaggiati da qualcuno per uccidere il nipote di Kenshin, già, ma chi? Forse un ricco mercante geloso di sua moglie? Il faccia a faccia con il vecchio incontrato la sera precedente al locale kabuki è immediato, ma si dimostra più impenetrabile del previsto: il signor Masuda ha lasciato il posto a notte inoltrata e sapeva delle calunnie su sua moglie, che al momento si trova nella villa di campagna, ma non se ne strugge. Una volta fuori dall’abitazione del mercante, Hendrik dichiara di aver visto due sagome dietro i paraventi, i sospetti aumentano e insieme a Kenshin tende un’imboscata ai due ospiti indesiderati riuscendo a catturarne uno. In seguito a un interrogatorio con percosse, il vecchio Masuda confessa di aver ingaggiato i tre malviventi per uccidere l’amante della sua giovane moglie. Il quadro della situazione appare chiaro, ma quelli che avrebbero dovuto essere gli esecutori materiali dell’omicidio insistono a dire di essere stati preceduti da un’eterea figura femminile dai lunghi capelli neri, una sorta di spirito della vendetta. Visto che con le maniere forti non si ottiene nulla, Hendrik chiede di poter di esaminare il corpo del ragazzo per trarne ulteriori informazioni. Entra qui in gioco la sapienza scientifica e l’esperienza sul campo del chirurgo che, analizzando il cadavere, scopre l’arma del delitto, una sciabola, segni di avvelenamento del sangue e ferite da stelle metalliche, le stesse di cui parlavano i briganti arrestati. Si tratta di “shuriken”, armi tipiche dei guerrieri ninja, vili sicari nemmeno paragonabili ai samurai, almeno secondo l’opinione di Kenshin. Inutile ribadirlo, sul luogo del delitto c’era una quarta persona.
Hendrik, travestito da monaco Komuso (e costretto ad indossare l’ingombrante copricapo “tengai”) e Kenshin, sono sulla strada per la casa di campagna della signora Masuda quando si imbattono nei rappresentanti del governatore. Manca soltanto l’ultimo assassino e la confessione del mercante ha scagionato il samurai, che potrebbe in questo modo evitare di compiere il “seppuku” (suicidio riparatore). Giunti a casa della signora Masuda, i due si trovano di fronte a una scena raccapricciante. Le serve sono state massacrate e la moglie del mercante decapitata, sembra proprio il completamento di una vendetta. Tra le varie cose che non tornano, però c’è la questione delle teste, che fine hanno fatto? Un breve apologo tradizionale ci spiega che in tempi remoti un feroce guerriero sorprese sua moglie con l’amante, li decapitò entrambi, legò le teste come se si baciassero per un’ultima volta e buttò i macabri reperti in mare. Dunque è molto probabile che le teste delle vittime siano finite in fondo alla baia. Ma i pezzi non quadrano ancora. Masuda è disperato per la morte di sua moglie e il servitore della donna, impaurito dalle sembianze “demoniache” della chioma rossa di Hendrik, racconta degli incontri notturni tra questa e un gruppo di persone. Le riunioni avevano luogo in una capanna in mezzo al bosco, un piccolo tempio animista abbandonato. Poco fuori il bosco si trova una fattoria, all’interno, altri cadaveri decapitati. A questo punto le incognite si moltiplicano, perché, dunque le serve della signora Masuda non sono state decapitate ma solo uccise? Non c’è tempo per rispondere e proprio nella capanna disabitata i due rinvengono le teste di tutte le vittime. Nella bocca di ciascuna si cela un crocefisso e sotto l’altare un’iscrizione a forma di pesce (simbolo cristologico) e l’occorrente per celebrare una messa (vino e ostia consacrati). Insomma, si tratta di una chiesa segreta, punto di incontro dei cosiddetti “Kakure Kirishitan”, cioè cristiani nascosti. A causa della fama di torturatori che avevano i preti (è questo il periodo della caccia alle streghe) il samurai non fatica a credere che il presunto sacerdote di questa setta cristiana, una volta scoperto, abbia tagliato le teste ai fedeli per offrirle in sacrificio al suo dio. A Hendrik spetta smentire questo ennesimo pregiudizio, seppur basato sui fatti, e a dare una svolta all’indagine, ricostruendo il giorno in cui si svolgevano gli incontri, la domenica, e giungendo alla conclusione che Shingen si recava in quel posto non per incontrare la sua amante, ma per celebrare la messa, Shingen era dunque un cristiano! Inoltre, nessun cristiano avrebbe mai fatto un uso così sacrilego dei crocefissi.
Nel frattempo è scesa la notte e tra gli alberi si muove una persona. È un vecchio che ha spiato i due investigatori al tempio ed è fuggito appena scoperto da Hendrik. Ora è solo, ha paura e si sente minacciato, quando una figura femminile armata di katana si abbassa su di lui. L’uomo ha in mano un crocefisso, recita la sua ultima preghiera in latino…
14
marzo 2008
Presentazione del volume a fumetti Rangaku
14 marzo 2008
presentazione
Location
SCUOLA ROMANA DEI FUMETTI
Roma, Via Flaminia, 29, (Roma)
Roma, Via Flaminia, 29, (Roma)
Vernissage
14 Marzo 2008, ore 16
Autore