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Primož Bizjak – Focus on the Invisible
Bizjak si cala all’interno di cantieri, sempre fuori orario, per ritrarre le strutture degli edifici, per osservare cosa resti del loro passato e come vengano mutando
Comunicato stampa
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Per l’occasione di Triestefotografia, LipanjePuntin artecontemporanea e Jarach Gallery hanno il piacere di presentare Focus on the Invisible, una personale di Primož Bizjak (1976, Šempeter pri Gorici - Slovenia), a cura di Riccardo Caldura.
Primož Bizjak, fotografo d’origini slovene e di preparazione internazionale, studi compiuti fra Venezia e Madrid nonché una intensa attività di viaggiatore sempre accompagnata da una notevole capacità di osservazione e interpretazione dei luoghi, sta sondando da alcuni anni le caratteristiche meno appariscenti, gli aspetti marginali del contesto urbano.
Venezia, in una serie di lavori del 2003-2005, era stata ritratta da scorci assolutamente inusuali, cioè dall’interno dei cantieri, fuori orario di lavoro, adibiti in diversi punti della città lagunare per l’escavo dei canali e la manutenzione delle rive. Un’anatomia urbana per immagini dove il suggestivo sfondo serale costituito da case d’epoca e palazzi, stava accanto alle paratie per lo sbarramento dell’acqua, alle tubazioni e alle cablature ancora da posare: cioè i segni dell’ammodernamento funzionale di un centro storico unico al mondo proprio perché estraneo alla modernità. Ma evidentemente a Bizjak non interessava la mera descrizione di un cantiere edile, quanto semmai cogliere quel punto nel quale le fasi di trasformazione e di rinnovamento urbani vengono a coincidere con l’aspetto da ‘rovina’ contemporanea che emana dal luogo stesso.
Nella recentissima serie d’immagini dedicate a Madrid in mostra alla LipanjePuntin, questa ricerca del punto di contatto fra rovina e (eventuale) rinnovamento si fa ancora più evidente. Bizjak si cala (in senso letterale, a volte mettendo a rischio la propria incolumità fisica) all’interno di cantieri, sempre fuori orario, per ritrarre le strutture degli edifici, per osservare cosa resti del loro passato e come vengano mutando. La città assume così l’aspetto di una crisalide che sta per abbandonare il proprio involucro, e l’immagine fotografica coglie questa delicatissima fase di mutazione: fra il non più’ dello stadio precedente e il non ancora della condizione a venire. E’ vero che le città si trasformano, a volte in modo appena percettibile, altre volte in modo eclatante; sono cioè degli organismi entro i quali viviamo, in modo spesso disattento. Da questo vivere disattenti ci redime il punto di vista di Bizjak, il quale coglie la scena di una trasformazione dei luoghi come se la trasformazione non fosse più dovuta solo al lavoro dell’uomo, ma avesse per così dire una propria dinamica interna. Quando non più le persone, ma le cose dominano la scena ritratta, come nelle fotografie dell’autore sloveno, il modificarsi della città pare non essere più dovuto al solo intervento umano. La città-crisalide sembra avere una propria cadenza minerale, un proprio ritmo fatto dall’alternarsi di stadi di crescita e decadenza. L’immagine si appresta a cogliere il punto di transizione fra rovina e rinnovamento, lasciando alle cose il tempo del loro manifestarsi, rappresentandole in un’ora che non sapremo facilmente collocare lungo il consueto scorrere di una giornata. Nelle fotografie di Bizjak l’imbrunire sembra confondersi con l’alba, rivelando la lenta pulsazione onirica dello spazio urbano. La durata dell’esposizione della lastra fotosensibile può essere lunghissima, perché il fotografo-entomologo non può prevedere quando accadrà il dischiudersi della crisalide-città, e dunque può solo lasciar libero gioco all’interazione, in una scena deserta, fra due attori: la luce e le cose. La fotografia diventa così l’unico mezzo in grado di registrare un avvenimento altrimenti non percepibile. Come in un’accurata messa a fuoco i due stadi della rovina e dello splendore vengono a coincidere; il passato degli edifici, le tracce di precedenti stagioni della città, le sue membra sparse, anatomizzate, e già in parte ricomposte, vengono illuminate da una luce che ricorda, non a caso, quella di un dipinto di scuola barocca. Perché probabilmente solo un sentire barocco, ne sono un esempio i versi di Luis de Gongora y Argote, poteva descrivere fasto e transitorietà come condizioni profondamente iscritte nelle cose, e cifre dell’umana esistenza: “Máquina funeral, que desta vida / nos decís la mudanza estando queda…” (Funebre macchina, che immobile posando / di questa vita ci dici l’incostanza).
Primož Bizjak, fotografo d’origini slovene e di preparazione internazionale, studi compiuti fra Venezia e Madrid nonché una intensa attività di viaggiatore sempre accompagnata da una notevole capacità di osservazione e interpretazione dei luoghi, sta sondando da alcuni anni le caratteristiche meno appariscenti, gli aspetti marginali del contesto urbano.
Venezia, in una serie di lavori del 2003-2005, era stata ritratta da scorci assolutamente inusuali, cioè dall’interno dei cantieri, fuori orario di lavoro, adibiti in diversi punti della città lagunare per l’escavo dei canali e la manutenzione delle rive. Un’anatomia urbana per immagini dove il suggestivo sfondo serale costituito da case d’epoca e palazzi, stava accanto alle paratie per lo sbarramento dell’acqua, alle tubazioni e alle cablature ancora da posare: cioè i segni dell’ammodernamento funzionale di un centro storico unico al mondo proprio perché estraneo alla modernità. Ma evidentemente a Bizjak non interessava la mera descrizione di un cantiere edile, quanto semmai cogliere quel punto nel quale le fasi di trasformazione e di rinnovamento urbani vengono a coincidere con l’aspetto da ‘rovina’ contemporanea che emana dal luogo stesso.
Nella recentissima serie d’immagini dedicate a Madrid in mostra alla LipanjePuntin, questa ricerca del punto di contatto fra rovina e (eventuale) rinnovamento si fa ancora più evidente. Bizjak si cala (in senso letterale, a volte mettendo a rischio la propria incolumità fisica) all’interno di cantieri, sempre fuori orario, per ritrarre le strutture degli edifici, per osservare cosa resti del loro passato e come vengano mutando. La città assume così l’aspetto di una crisalide che sta per abbandonare il proprio involucro, e l’immagine fotografica coglie questa delicatissima fase di mutazione: fra il non più’ dello stadio precedente e il non ancora della condizione a venire. E’ vero che le città si trasformano, a volte in modo appena percettibile, altre volte in modo eclatante; sono cioè degli organismi entro i quali viviamo, in modo spesso disattento. Da questo vivere disattenti ci redime il punto di vista di Bizjak, il quale coglie la scena di una trasformazione dei luoghi come se la trasformazione non fosse più dovuta solo al lavoro dell’uomo, ma avesse per così dire una propria dinamica interna. Quando non più le persone, ma le cose dominano la scena ritratta, come nelle fotografie dell’autore sloveno, il modificarsi della città pare non essere più dovuto al solo intervento umano. La città-crisalide sembra avere una propria cadenza minerale, un proprio ritmo fatto dall’alternarsi di stadi di crescita e decadenza. L’immagine si appresta a cogliere il punto di transizione fra rovina e rinnovamento, lasciando alle cose il tempo del loro manifestarsi, rappresentandole in un’ora che non sapremo facilmente collocare lungo il consueto scorrere di una giornata. Nelle fotografie di Bizjak l’imbrunire sembra confondersi con l’alba, rivelando la lenta pulsazione onirica dello spazio urbano. La durata dell’esposizione della lastra fotosensibile può essere lunghissima, perché il fotografo-entomologo non può prevedere quando accadrà il dischiudersi della crisalide-città, e dunque può solo lasciar libero gioco all’interazione, in una scena deserta, fra due attori: la luce e le cose. La fotografia diventa così l’unico mezzo in grado di registrare un avvenimento altrimenti non percepibile. Come in un’accurata messa a fuoco i due stadi della rovina e dello splendore vengono a coincidere; il passato degli edifici, le tracce di precedenti stagioni della città, le sue membra sparse, anatomizzate, e già in parte ricomposte, vengono illuminate da una luce che ricorda, non a caso, quella di un dipinto di scuola barocca. Perché probabilmente solo un sentire barocco, ne sono un esempio i versi di Luis de Gongora y Argote, poteva descrivere fasto e transitorietà come condizioni profondamente iscritte nelle cose, e cifre dell’umana esistenza: “Máquina funeral, que desta vida / nos decís la mudanza estando queda…” (Funebre macchina, che immobile posando / di questa vita ci dici l’incostanza).
04
ottobre 2008
Primož Bizjak – Focus on the Invisible
Dal 04 ottobre al 25 novembre 2008
fotografia
Location
LIPANJEPUNTIN ARTE CONTEMPORANEA
Trieste, Via Armando Diaz, 4, (Trieste)
Trieste, Via Armando Diaz, 4, (Trieste)
Orario di apertura
martedì-venerdì 15.30-19.30, sabato 16.30-19.30. Mattina su appuntamento
Vernissage
4 Ottobre 2008, dalle 19 alle 21
Autore
Curatore