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Privato – Francesco Manenti
Alle origini delle forme espressive di Francesco Manenti e di Daniela Alfarano è una comune ricerca, l’intento di utilizzare l’immagine come riflesso dell’anima, come specchio esteriore di un’esperienza esistenziale
Comunicato stampa
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Privato
Quando vengono scosse religione, scienza e morale, quando i sogni eterni stanno per crollare, l'uomo distoglie lo sguardo dall'esteriorità e lo rivolge a se stesso.
(Wassily Kandinsky, "Lo spirituale nell'arte")
Alle origini delle forme espressive di Francesco Manenti e di Daniela Alfarano è una comune ricerca, l'intento di utilizzare l'immagine come riflesso dell'anima, come specchio esteriore di un'esperienza esistenziale. L'opera d'arte, che per sua natura tenderebbe ad essere estroversa, perché destinata ad essere esposta e guardata da estranei, nasce al contrario da una ricerca di intimità tra l'artista ed il suo io interiore.
Francesco Manenti riporta i suoi corpi contorti e stravolti su oggetti dismessi ed abbandonati, assi di legno, carte da parati. L'amore per questi oggetti nasce in Francesco Manenti dall'aver percepito un'anomalia nello stereotipo dell'immagine visibile dalla finestra di camera sua. La pattumiera prospiciente la camera con vista diventava quotidianamente ricettacolo di oggetti anomali, un manichino, una sedia rotta, carte da parati. Presenze dissonanti in quel contesto, che suggeriscono a Manenti una realtà altra. Da qui nasce il suo desiderio di appropriarsene e farne la base già densa di significati per le sue opere. I corpi segnati, impressi sulla superficie, sono il riflesso di una dimensione interiore, di un'anima sconvolta ed inquieta che timidamente emerge dal magma indistinto dell'inconscio e che tenta di assumere le forme della realtà. Il lavoro di Manenti, pur avendo una natura intima, presenta tuttavia qualche connotato di un'arte di strada come il graffito, i supporti che lui utilizza sono rifiuti e vengono dalla strada. Anche il linguaggio grafico di cui si serve ha legami evidenti con le derive fumettistiche e graffitare delle lezioni di Bacon e di Schiele.
Pur rimanendo legato alla casa, come fa presagire l'utilizzo recentemente sempre più ricorrente della carta da parati come superficie di supporto, Manenti tenderebbe verso la strada, ma non lo fa mai completamente. Infatti i suoi lavori non sono concepiti per fare parte della città, dei suoi muri e del suo asfalto. Nascono invece per essere posseduti e custoditi nell'intimità delle pareti domestiche, con cui potrebbero anche confondersi.
Daniela Alfarano si rifugia in se stessa, nelle pieghe dei suoi arti, delle sue estremità corporee, i piedi e le mani, per comunicare, attraverso la descrizione calligrafica della tensione dei nervi, la forza che può nascondersi dietro la timida delicatezza. L'emozione cresce tanto più l'ingrandimento è spinto, come insegna il maestro Mantegna, ponendo in primissimo piano, in un suo famoso compianto, i piedi trapassati del Cristo Morto. Il dettaglio diventa, da un punto di vista emozionale, uno dei momenti più intensi di tutto il quadro. Per questo Daniela elimina tutto ciò che percepisce come inessenziale all'espressione del suo urlo interiore, dell'inquietudine che la anima. La grafite si deposita con lavoro certosino sulla tavola di legno, recuperando tecniche e materiali rinascimentali. I dettagli di mani e piedi ricordano gli studi dei maestri del Cinquecento, trasportati dalla carta alla tavola di legno, il supporto che gli artisti rinascimentali riservavano al lavoro finito. Il legno, semplice compensato, assume un ruolo importante anche nella fase creativa, le naturali venature sono fonte di ispirazione, a volte diventano elementi del disegno stesso, altre emergono in superficie alterando le forme e confondendo la perfezione descrittiva. La casualità e l'errore sono docilmente accettati dall'artista, che sembra cercare un dialogo con la materia, rinunciando alla seduzione di dominarla completamente.
Roberta Russo
Quando vengono scosse religione, scienza e morale, quando i sogni eterni stanno per crollare, l'uomo distoglie lo sguardo dall'esteriorità e lo rivolge a se stesso.
(Wassily Kandinsky, "Lo spirituale nell'arte")
Alle origini delle forme espressive di Francesco Manenti e di Daniela Alfarano è una comune ricerca, l'intento di utilizzare l'immagine come riflesso dell'anima, come specchio esteriore di un'esperienza esistenziale. L'opera d'arte, che per sua natura tenderebbe ad essere estroversa, perché destinata ad essere esposta e guardata da estranei, nasce al contrario da una ricerca di intimità tra l'artista ed il suo io interiore.
Francesco Manenti riporta i suoi corpi contorti e stravolti su oggetti dismessi ed abbandonati, assi di legno, carte da parati. L'amore per questi oggetti nasce in Francesco Manenti dall'aver percepito un'anomalia nello stereotipo dell'immagine visibile dalla finestra di camera sua. La pattumiera prospiciente la camera con vista diventava quotidianamente ricettacolo di oggetti anomali, un manichino, una sedia rotta, carte da parati. Presenze dissonanti in quel contesto, che suggeriscono a Manenti una realtà altra. Da qui nasce il suo desiderio di appropriarsene e farne la base già densa di significati per le sue opere. I corpi segnati, impressi sulla superficie, sono il riflesso di una dimensione interiore, di un'anima sconvolta ed inquieta che timidamente emerge dal magma indistinto dell'inconscio e che tenta di assumere le forme della realtà. Il lavoro di Manenti, pur avendo una natura intima, presenta tuttavia qualche connotato di un'arte di strada come il graffito, i supporti che lui utilizza sono rifiuti e vengono dalla strada. Anche il linguaggio grafico di cui si serve ha legami evidenti con le derive fumettistiche e graffitare delle lezioni di Bacon e di Schiele.
Pur rimanendo legato alla casa, come fa presagire l'utilizzo recentemente sempre più ricorrente della carta da parati come superficie di supporto, Manenti tenderebbe verso la strada, ma non lo fa mai completamente. Infatti i suoi lavori non sono concepiti per fare parte della città, dei suoi muri e del suo asfalto. Nascono invece per essere posseduti e custoditi nell'intimità delle pareti domestiche, con cui potrebbero anche confondersi.
Daniela Alfarano si rifugia in se stessa, nelle pieghe dei suoi arti, delle sue estremità corporee, i piedi e le mani, per comunicare, attraverso la descrizione calligrafica della tensione dei nervi, la forza che può nascondersi dietro la timida delicatezza. L'emozione cresce tanto più l'ingrandimento è spinto, come insegna il maestro Mantegna, ponendo in primissimo piano, in un suo famoso compianto, i piedi trapassati del Cristo Morto. Il dettaglio diventa, da un punto di vista emozionale, uno dei momenti più intensi di tutto il quadro. Per questo Daniela elimina tutto ciò che percepisce come inessenziale all'espressione del suo urlo interiore, dell'inquietudine che la anima. La grafite si deposita con lavoro certosino sulla tavola di legno, recuperando tecniche e materiali rinascimentali. I dettagli di mani e piedi ricordano gli studi dei maestri del Cinquecento, trasportati dalla carta alla tavola di legno, il supporto che gli artisti rinascimentali riservavano al lavoro finito. Il legno, semplice compensato, assume un ruolo importante anche nella fase creativa, le naturali venature sono fonte di ispirazione, a volte diventano elementi del disegno stesso, altre emergono in superficie alterando le forme e confondendo la perfezione descrittiva. La casualità e l'errore sono docilmente accettati dall'artista, che sembra cercare un dialogo con la materia, rinunciando alla seduzione di dominarla completamente.
Roberta Russo
02
giugno 2007
Privato – Francesco Manenti
Dal 02 al 15 giugno 2007
arte contemporanea
Location
D406 ARTE CONTEMPORANEA
Modena, Via Cardinale Giovanni Morone, 31/3, (Modena)
Modena, Via Cardinale Giovanni Morone, 31/3, (Modena)
Orario di apertura
Mecoledì ore 16.30/20. Giovedì ore 10.30/13.
Venerdì 16.30/20 e 21/23. Sabato 10.30/13 e 16.30/20.
Domenica 16.30/20
Vernissage
2 Giugno 2007, ore 18.30
Autore