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Pupi. La nuova storia
Il collettivo Flock presenta la terza tappa del progetto PUPI – La nuova storia, commistione tra il pupo siciliano e l’arte contemporanea. In mostre le opere di 14 artisti.
Comunicato stampa
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Il collettivo Flock è felice di presentare la terza tappa del progetto PUPI – La nuova storia.
Il pupo è un’opera d’arte unica, sviluppatasi in Sicilia intorno alla prima metà dell’800.
Molto simile alla marionetta, si distingue tuttavia da quest’ultima per una serie di caratteristiche peculiari: infatti, la marionetta si presenta come un fantoccio di legno, animata dall’alto esclusivamente per mezzo di fili; invece il pupo, dal volto scolpito o modellato e il corpo rivestito tradizionalmente da una corazza, si muove attraverso due aste di metallo, di cui una ne attraversa il capo e l’altra, collegata al braccio destro, garantisce movimenti più veloci e realistici.
Alcuni studiosi del ‘700 supponevano che l’abilità dei pupari, ovvero gli artigiani dei pupi, derivasse da quella di alcuni siracusani abili nel costruire e far muovere marionette nel IV secolo a.C., al tempo di Socrate e Senofonte.
Inizialmente i Pupi venivano utilizzati “in paggio” ovverosia per raccontare storie siciliane; successivamente Gaetano Greco e Don Liberto Canino, due famosi pupari, decisero di vestire i loro pupi con delle armature. Costruirono così modelli rassomiglianti i guerrieri cristiani e saraceni, sulla base degli affreschi esistenti a Palazzo Reale e allo Steri, a Palermo. Le abili mani dei pupari, davano vita ad Orlando e i suoi paladini, raccontandone le gesta e diventando i migliori interpreti dello spirito epico, eroico e cavalleresco della chanson de geste, un genere poetico epico-cavalleresco sviluppatosi in Francia che segnò lo sviluppo di un’educazione sentimentale e di una visione poetica del mondo. L’opera dei pupi diventò così l’unica fonte d’istruzione e allo stesso tempo una delle poche occasioni di svago e di divertimento per le classi più umili, venendo tuttavia apprezzata in seguito anche dalla borghesia. Sebbene la matrice dell’opera fosse prettamente francese, il popolo siciliano finì per proiettarvi il proprio animo e i propri sentimenti, divenendo sempre più partecipe dei racconti.
Nell’Opera dei Pupi, dunque, si evidenzia una commistione tra tradizioni esterne e indigene, creando una osmosi culturale che ha radici storiche estremamente profonde e che influenzerà la poetica siciliana.
Attraverso l’Opera dei Pupi si ha la trasmissione di alti codici di comportamento dalle antiche origini, che hanno contraddistinto gli ideali del popolo siciliano, codici come la cavalleria, il senso dell’onore, la lotta per la giustizia e la fede.
Il progetto “PUPI la nuova storia” nasce con lo scopo di creare una nuova simbiosi, questa volta tra un oggetto legato alla tradizione e l’arte contemporanea.
Il pupo siciliano necessita di un contesto per divenire entità operante, una vera “Opera”; in essa l’oggetto prende vita e si fa testo. La storia attiva del pupo è però breve, come ogni tradizione che si rispetti nasce da una necessità circa collettiva, e vede il suo apice in un periodo storico determinato. Un periodo fortunato per una terra come la Sicilia ma più turbolento se, allargando in confini, assistiamo al disfacimento delle grandi narrazioni e la crescita dell’industrializzazione. Tale crisi non tarda ad arrivare:
“Alla fine degli anni Cinquanta, a causa della diffusione del cinema e della televisione e alla disgregazione del tessuto urbanistico e sociale dei quartieri, dove i teatri dei pupi insistevano, lo spettacolo dell’opera dei pupi ha attraversato un periodo di grave crisi. Molti pupari hanno venduto i loro pupi, altri, svenduti i paladini ad antiquari e turisti, o messili da parte, hanno cambiato mestiere, pochi hanno continuato, tra stenti e sacrifici. Vi fu un momento, all’inizio degli anni Sessanta, in cui a Palermo non c’era nemmeno un teatro aperto”.
"I ferri dell'Opera. Il teatro delle marionette siciliane", 2010 di Rosario Perricone
Nella maggior parte dei casi, ad oggi, il pupo rimane un oggetto inanimato, un souvenir. Estrapolato dal suo contesto, si svuota di senso perdendo ogni occasione di narrazione. Ne La nuova storia, la solitudine del singolo pupo, diventa punto di forza nel momento in cui l’oggetto - privato del suo puparo e del suo “teatro” - è sia il mezzo che il racconto. Non più una collettività ma una moltitudine di singoli. In un’epoca dove la creolizzazione si estende su scala globale e l’ibridazione diventa entità diffusa è assai più complesso attingere da un unico modello, una monade inattaccabile e solitaria.
Facendo un salto nella storia, si mette a disposizione il pupo nudo, non più in conflitto con un avversario riconoscibile ma reietto dal mito e in attesa di una sua collocazione, come portavoce dell’attuale.
PUPI – La nuova storia ne mostra i risultati.
Il progetto ha visto diverse fasi. Il Collettivo Flock, sulla base di un pupo d’epoca, ha riprodotto fedelmente in serie le parti lignee (ad eccezione della mano destra che solitamente impugna una spada). Per realizzare la testa (originariamente di legno), ha scelto di adottare la tecnica del calco, prediligendo la malta per una riproduzione sempre identica del viso.
A settembre 2018, in occasione di “DISCONTINUO - an open studio”, il collettivo ha aperto al pubblico il proprio spazio, mettendo in luce la fase artigianale e la “serialità” dell’oggetto. Come nel laboratorio di un puparo è stato possibile vedere i materiali e gli attrezzi, compresi i calchi utilizzati per la realizzazione delle teste, e ammirare il pupo nella sua fase primordiale.
Nel 2019, su open call, gli artisti hanno potuto candidarsi inviando una proposta di progetto e un portfolio che illustrasse la propria ricerca. I profili più interessanti sono stati selezionati grazie ad una giuria composta da esperti del settore (Anna D’ambrosio, gallerista di Amy-d Arte Spazio; Concetta Modica, artista; Gabriele Salvaterra, curatore e operatore museale; Valentina Poli, giornalista e collaboratrice di varie riviste d’arte), che hanno affiancato i membri del Collettivo Flock nel valutare le varie candidature. Ai finalisti è stato inviato il pupo “grezzo” al quale hanno potuto lavorare per circa un mese.
In mostra le opere di: Carole Peia, Caterina Quartararo, Francesca Finotti, Francesca Mussi, Marco De Santi, Maria Elena Borsato, Maria Grazia Serina, Marta Di Donna, Marta Scanu, Noemi Mirata, Roberta Gennaro, Valeria Salvo, Vincenzo Zancana, Virginia Dal Magro.
Il pupo è un’opera d’arte unica, sviluppatasi in Sicilia intorno alla prima metà dell’800.
Molto simile alla marionetta, si distingue tuttavia da quest’ultima per una serie di caratteristiche peculiari: infatti, la marionetta si presenta come un fantoccio di legno, animata dall’alto esclusivamente per mezzo di fili; invece il pupo, dal volto scolpito o modellato e il corpo rivestito tradizionalmente da una corazza, si muove attraverso due aste di metallo, di cui una ne attraversa il capo e l’altra, collegata al braccio destro, garantisce movimenti più veloci e realistici.
Alcuni studiosi del ‘700 supponevano che l’abilità dei pupari, ovvero gli artigiani dei pupi, derivasse da quella di alcuni siracusani abili nel costruire e far muovere marionette nel IV secolo a.C., al tempo di Socrate e Senofonte.
Inizialmente i Pupi venivano utilizzati “in paggio” ovverosia per raccontare storie siciliane; successivamente Gaetano Greco e Don Liberto Canino, due famosi pupari, decisero di vestire i loro pupi con delle armature. Costruirono così modelli rassomiglianti i guerrieri cristiani e saraceni, sulla base degli affreschi esistenti a Palazzo Reale e allo Steri, a Palermo. Le abili mani dei pupari, davano vita ad Orlando e i suoi paladini, raccontandone le gesta e diventando i migliori interpreti dello spirito epico, eroico e cavalleresco della chanson de geste, un genere poetico epico-cavalleresco sviluppatosi in Francia che segnò lo sviluppo di un’educazione sentimentale e di una visione poetica del mondo. L’opera dei pupi diventò così l’unica fonte d’istruzione e allo stesso tempo una delle poche occasioni di svago e di divertimento per le classi più umili, venendo tuttavia apprezzata in seguito anche dalla borghesia. Sebbene la matrice dell’opera fosse prettamente francese, il popolo siciliano finì per proiettarvi il proprio animo e i propri sentimenti, divenendo sempre più partecipe dei racconti.
Nell’Opera dei Pupi, dunque, si evidenzia una commistione tra tradizioni esterne e indigene, creando una osmosi culturale che ha radici storiche estremamente profonde e che influenzerà la poetica siciliana.
Attraverso l’Opera dei Pupi si ha la trasmissione di alti codici di comportamento dalle antiche origini, che hanno contraddistinto gli ideali del popolo siciliano, codici come la cavalleria, il senso dell’onore, la lotta per la giustizia e la fede.
Il progetto “PUPI la nuova storia” nasce con lo scopo di creare una nuova simbiosi, questa volta tra un oggetto legato alla tradizione e l’arte contemporanea.
Il pupo siciliano necessita di un contesto per divenire entità operante, una vera “Opera”; in essa l’oggetto prende vita e si fa testo. La storia attiva del pupo è però breve, come ogni tradizione che si rispetti nasce da una necessità circa collettiva, e vede il suo apice in un periodo storico determinato. Un periodo fortunato per una terra come la Sicilia ma più turbolento se, allargando in confini, assistiamo al disfacimento delle grandi narrazioni e la crescita dell’industrializzazione. Tale crisi non tarda ad arrivare:
“Alla fine degli anni Cinquanta, a causa della diffusione del cinema e della televisione e alla disgregazione del tessuto urbanistico e sociale dei quartieri, dove i teatri dei pupi insistevano, lo spettacolo dell’opera dei pupi ha attraversato un periodo di grave crisi. Molti pupari hanno venduto i loro pupi, altri, svenduti i paladini ad antiquari e turisti, o messili da parte, hanno cambiato mestiere, pochi hanno continuato, tra stenti e sacrifici. Vi fu un momento, all’inizio degli anni Sessanta, in cui a Palermo non c’era nemmeno un teatro aperto”.
"I ferri dell'Opera. Il teatro delle marionette siciliane", 2010 di Rosario Perricone
Nella maggior parte dei casi, ad oggi, il pupo rimane un oggetto inanimato, un souvenir. Estrapolato dal suo contesto, si svuota di senso perdendo ogni occasione di narrazione. Ne La nuova storia, la solitudine del singolo pupo, diventa punto di forza nel momento in cui l’oggetto - privato del suo puparo e del suo “teatro” - è sia il mezzo che il racconto. Non più una collettività ma una moltitudine di singoli. In un’epoca dove la creolizzazione si estende su scala globale e l’ibridazione diventa entità diffusa è assai più complesso attingere da un unico modello, una monade inattaccabile e solitaria.
Facendo un salto nella storia, si mette a disposizione il pupo nudo, non più in conflitto con un avversario riconoscibile ma reietto dal mito e in attesa di una sua collocazione, come portavoce dell’attuale.
PUPI – La nuova storia ne mostra i risultati.
Il progetto ha visto diverse fasi. Il Collettivo Flock, sulla base di un pupo d’epoca, ha riprodotto fedelmente in serie le parti lignee (ad eccezione della mano destra che solitamente impugna una spada). Per realizzare la testa (originariamente di legno), ha scelto di adottare la tecnica del calco, prediligendo la malta per una riproduzione sempre identica del viso.
A settembre 2018, in occasione di “DISCONTINUO - an open studio”, il collettivo ha aperto al pubblico il proprio spazio, mettendo in luce la fase artigianale e la “serialità” dell’oggetto. Come nel laboratorio di un puparo è stato possibile vedere i materiali e gli attrezzi, compresi i calchi utilizzati per la realizzazione delle teste, e ammirare il pupo nella sua fase primordiale.
Nel 2019, su open call, gli artisti hanno potuto candidarsi inviando una proposta di progetto e un portfolio che illustrasse la propria ricerca. I profili più interessanti sono stati selezionati grazie ad una giuria composta da esperti del settore (Anna D’ambrosio, gallerista di Amy-d Arte Spazio; Concetta Modica, artista; Gabriele Salvaterra, curatore e operatore museale; Valentina Poli, giornalista e collaboratrice di varie riviste d’arte), che hanno affiancato i membri del Collettivo Flock nel valutare le varie candidature. Ai finalisti è stato inviato il pupo “grezzo” al quale hanno potuto lavorare per circa un mese.
In mostra le opere di: Carole Peia, Caterina Quartararo, Francesca Finotti, Francesca Mussi, Marco De Santi, Maria Elena Borsato, Maria Grazia Serina, Marta Di Donna, Marta Scanu, Noemi Mirata, Roberta Gennaro, Valeria Salvo, Vincenzo Zancana, Virginia Dal Magro.
23
gennaio 2020
Pupi. La nuova storia
Dal 23 al 28 gennaio 2020
arte contemporanea
Location
AMY D
Milano, Via Lovanio, 6, (Milano)
Milano, Via Lovanio, 6, (Milano)
Orario di apertura
10:00/13:00 - 15:00/19:00 (sabato e domenica su appuntamento allo +3902654862)
Vernissage
23 Gennaio 2020, h 18:30
Sito web
Autore
Curatore