Create an account
Welcome! Register for an account
La password verrà inviata via email.
Recupero della password
Recupera la tua password
La password verrà inviata via email.
-
- container colonna1
- Categorie
- #iorestoacasa
- Agenda
- Archeologia
- Architettura
- Arte antica
- Arte contemporanea
- Arte moderna
- Arti performative
- Attualità
- Bandi e concorsi
- Beni culturali
- Cinema
- Contest
- Danza
- Design
- Diritto
- Eventi
- Fiere e manifestazioni
- Film e serie tv
- Formazione
- Fotografia
- Libri ed editoria
- Mercato
- MIC Ministero della Cultura
- Moda
- Musei
- Musica
- Opening
- Personaggi
- Politica e opinioni
- Street Art
- Teatro
- Viaggi
- Categorie
- container colonna2
- container colonna1
Questo mondo è fantastico. Vent’anni con Guido Carbone
La mostra ripercorre, grazie alle opere di numerosi artisti, la vita e il lavoro del gallerista torinese prematuramente scomparso nel maggio del 2006
Comunicato stampa
Segnala l'evento
Vent’otto artisti e un libro per ricordare Guido Carbone nella mostra allestita nelle Sale Storiche di Palazzo Bricherasio.
Le cinque sale storiche di Palazzo Bricherasio ospitano – dal 19 marzo al 13 aprile 2008 – la mostra QUESTO MONDO È FANTASTICO: VENT’ANNI CON GUIDO CARBONE che ripercorre, grazie alle opere di numerosi artisti, la vita e il lavoro del gallerista torinese prematuramente scomparso nel maggio del 2006.
Illuminato gallerista, concedeva spazio nella sua galleria al talento dei giovani artisti che incrociavano la sua straordinaria capacità di vedere nelle persone. È questo l’impareggiabile contributo che Guido Carbone ha dato alla sua città e più in generale alla dimensione dell’arte contemporanea italiana: uno spazio d’arte fortemente contestualizzato e sensibile alle dinamiche cittadine. Promossa dall’Associazione Artegiovane oltre che da un comitato costituito da parenti, amici, critici, artisti della galleria e collezionisti, la mostra è un omaggio all’esistenza di Guido Carbone, esistenza pienamente e profondamente dedicata all’arte. QUESTO MONDO È FANTASTICO, non è solo il titolo di un’opera del ’97 di Mario Consiglio esposta nel corso di una mostra fondamentale nella storia del rapporto tra il gallerista e l’artista, ma rispecchia soprattutto l’attitudine di Guido Carbone verso la vita e l’arte.
Dopo una breve esperienza in Via Sant’Anselmo 8, è il 1986 quando, in corso Casale 20, Guido Carbone apre la sua galleria: questa nuova vetrina per l’arte è costituita da una sola stanza, ragion per cui spesso la mostra prevedeva due inaugurazioni con un ricambio di opere in corsa. La Galleria Carbone apre offrendo al pubblico torinese i quadri di due giovani sconosciuti: Bruno Zanichelli e Pierluigi Pusole, rappresentanti delle principali dinamiche giovanili della scena underground del momento. Attorno a loro trovano spazio alcune figure milanesi, rappresentanti del concettualismo ludico e della leggerezza: Stefano Arienti, che nel 1987 da Carbone realizza la prima personale e soprattutto Corrado Levi, intellettuale, talent scout, collezionista, artista lui stesso. Sempre nel 1987 approda nella scuderia Maurizio Vetrugno ed esordisce un altro giovanissimo pittore, Raffaello Ferrazzi.
A fine anni ’80, dopo soli quattro anni di attività, la Galleria Carbone vanta un nucleo compatto di artisti. Sempre recettivo alle sollecitazioni provenienti dall’esterno, Carbone contribuisce a formare un pubblico nuovo delle gallerie, proponendo un gruppo di pittori giovani che difende dall’eccessiva diffusione sul mercato. Entrano a far parte della galleria di corso Casale altri due torinesi, Andrea Mandarino e Mario Marucci.
La scomparsa di Bruno Zanichelli nel 1990, porta alla luce lo straordinario rapporto che Guido Carbone ha cercato di tenere vivo con tutti i suoi artisti, ponendosi come punto di riferimento culturale ed esistenziale in un legame che va ben oltre il semplice rapporto artista-mercante. Il programma della Galleria si fa ambizioso e Carbone si trasferisce in via Vanchiglia 36. In uno spazio finalmente ampio e senza luce naturale, si afferma la seconda generazione di artisti della galleria che eredita la passione per una pittura giovane e fresca, estremizzandone contenuti e contaminazioni: sono Enrico De Paris, Sergio Cascavilla, Stefano Pisano e, unica fotografa e sola donna, Monica Carocci. Carbone diventa uno dei cardini del nuovo a Torino e realizza in rapida successione le mostre personali dei suoi artisti. Tra le “new entry” si segnalano Ronald Victor Kastelic e lo scultore Paolo Cassarà.
Gli anni ’90 rappresentano per la Galleria e soprattutto per Carbone uno spartiacque tra il prima e il dopo: la volontà di puntare su poche individualità, capaci di competere nella nuova dimensione di confronto su larga scala, porta il gallerista a intraprendere un percorso di ricerca, durante il quale riscopre il fascino intrigante della scultura: Paolo Schmidlin, scultore iperrealista dal divertito cinismo, e Luisa Valentini sono protagonisti di questa nuova tendenza. In questi anni Guido stesso affronta una significativa trasformazione: da gallerista tende a trasformarsi in “producer”. È così che stabilisce un rapporto fortemente interattivo e di reciproca influenza con artisti come Sergio Bonino, Mario Consiglio e Francesco Lauretta. Verso la fine degli anni ’90 l’attenzione di Carbone si sposta verso il panorama internazionale e nei nuovi spazi della Galleria, che intanto si è spostata in via dei Mille 38, presentano i loro lavori Elisa Sighicelli, torinese trapiantata a Londra, e in anteprima italiana Jane Mulfinger, Bob and Roberta Smith e Alexandra Ranner. Un discorso a parte va dedicato all’incontro con Laura Viale, artista torinese i cui linguaggi espressivi variano dalla fotografia al video, dall’oggetto all’installazione, che segna non solo l’attività ma soprattutto la vita privata di Carbone. Il nuovo millennio porta un sostanziale rinnovo nella galleria che presenta al pubblico Francesco Sena, Maria Bruno, Davide Cantoni e Cristiano Berti, accanto ai graditi ritorni di Pierluigi Pusole e Maurizio Vetrugno.
La malattia improvvisa accelera la sua attività di mostre e intensifica l’impegno nella progettazione del futuro. Le esposizioni dell’ultimo periodo danno spazio, celebrandone l’attività, agli artisti presentati nel corso della storia della Galleria oltre a due nuovi artisti: Pierluigi Calignano ed Elizabeth Aro.
In mostra a Palazzo Bricherasio sarà presente una selezione significativa degli “artisti di Guido Carbone”, che in un viaggio lungo vent’anni hanno avuto spazio, sostegno e possibilità di esprimere al meglio il loro talento. Con le vent’otto opere presentate nelle sale storiche della Fondazione torinese, la mostra vuole essere un omaggio alla vita di un gallerista coerente, coraggioso, innovativo, lucido e originale, di un “esercente culturale”, come lo ha definito Eugenio Borroni, “nel senso che esercitava il potere della cultura, e solo quello, sulle menti degli altri”.
***
La galleria di Guido Carbone. 1985 - 2006
Di Luca Beatrice
Quando, nel 1985, apre in via Sant’Anselmo 8 la Galleria Guido Carbone, Torino era ben lontana dall’essere la città dell’arte contemporanea di oggi. L’inaugurazione del Castello di Rivoli nel 1984, allora diretto da Rudi Fuchs, sembra sì indicare una strada nuova, ma in un contesto pubblico allora piuttosto desertificato. La Galleria d’Arte Moderna è chiusa da anni per restauri. Il sistema delle gallerie private è ancora saldamente ancorato agli spazi attivi nel decennio precedente e legati alla fortuna dell’Arte Povera – Giorgio Persano, Christian Stein, Tucci Russo – al concettuale o alla pittura astratta – Martano, Eva Menzio. Soprattutto, non esiste ancora la cosiddetta corsa al giovane: approdare in una galleria così istituzionale rappresentava un punto di arrivo, una nota di merito, una medaglia. Pochi rischiano la novità. Il solo Franz Paludetto, nel grattacielo di piazza Solferino e al Castello di Rivara, alterna presenze internazionali a giovani sconosciuti, indovinandone molti e bruciandone qualcuno.
Logico quindi che l’apertura di un nuovo spazio d’arte contemporanea, con un occhio particolare a ciò che succede in città, destasse particolare interesse. Nel locale di San Salvario Carbone allestisce solo quattro mostre, proponendo, tra l’altro, le personali di Emilia Pecorini (pittrice astratta poi rappresentata dalla galleria Giancarlo Salzano) e Enzo Bersezio (scultore concettuale che ha lavorato a lungo con il critico Edoardo Di Mauro). Il trasferimento in corso Casale 20 nel 1986 segna lo scatto decisivo di Guido Carbone, dopo un solo anno di apprendistato. Fondamentale l’intuizione che una galleria di proposta debba funzionare da “agente provocatorio”: non limitarsi a raccogliere le tendenze in atto ma crearne di nuove, non percorrere strade già battute ma tentare di rompere gli schemi. Tra gli emergenti nella Torino di metà anni Ottanta (Stoisa, Ponzio, Zaccone, Rossino, Benatello, Biffaro, Juliano, molti dei quali esporrano nella galleria di Filippo Fossati) la linea dominante è quella della continuità con l’Arte Povera, ad eccezione di Salvatore Astore, Sergio Ragalzi e del primo Ferdi Giardini, non a caso venuti fuori dalla fucina di Paludetto. Carbone fiuta l’idea di leggerezza come testimone attendibile del tempo ma non la ritiene sufficientemente “eretica”. La spaccatura, paradossalmente, avviene recuperando il più antico dei mezzi – la pittura – e il più tradizionale dei linguaggi – la figurazione – in una città peraltro poco permeabile all’esperienza, altrove prorompente, della Transavanguardia.
La vetrina su corso Casale, una sola stanza, e infatti spesso la mostra prevedeva due inaugurazioni con un ricambio di opere in corsa, offre al pubblico torinese i quadri di due giovani sconosciuti: Bruno Zanichelli e Pierluigi Pusole, entrambi ventitrenni (nati nel 1963). Il primo è completamente immerso nel mondo del fumetto e dell’illustrazione, cartina al tornasole di modi e mode giovanili dell’underground, rivelando nella pittura la stessa padronanza linguistica e la stessa eterodossia tematica di un Andrea Pazienza. Pusole, invece, ha fin da subito un tratto più nervoso, più marcatamente pittorico, una sorta di techno–pop fondato sul meccanismo della ripetizione e della serialità. Zanichelli e Pusole sono i bad boys di punta della Galleria Carbone, attorno ai quali ruotano figure milanesi in rappresentanza del concettualismo ludico e della leggerezza, Stefano Arienti, che nel 1987 da Carbone realizza la prima personale con Alghe, Muffe e Turbine, Mario Dellavedova, e soprattutto Corrado Levi, atipica figura di intellettuale, talent scout, collezionista, artista lui stesso, testimone a New York della generazione East Village di cui vorrebbe riportare la stessa energia anche in Italia. Sono di Levi i progetti curatoriali più interessanti e innovativi di quegli anni: alla Fabbrica Brown Boveri e al Pac di Milano (Il cangiante, 1987) al Castello di Volpaia, Radda in Chianti, con la complicità vigile di Luciano Pistoi. Gli artisti proposti da Carbone non mancano mai: entrambi sono infatti motivati dalla ferma intenzione di lanciare un italian new wave, logica dunque la condivisione di una strategia che allora sembrava funzionare benissimo, pur su scala economica ridotta.
Il 1987 è un anno molto importante per la galleria di Guido: seconda personale di Zanichelli e Pusole (espone i fortunati Telecomandi e le prime TV in bianco e nero), approdo nella scuderia di Maurizio Vetrugno (che proviene da Neon, Bologna) ed esordio di un altro giovanissimo pittore, Raffaello Ferrazzi. C’è fermento, elettricità, nelle scelte di Carbone che incuriosiscono non poco i nuovi curatori italiani: Di Mauro invita vari artisti nel suo progetto GE.MI.TO! (triangolo industrial – estetico tra Genova, Milano e Torino) e in Alta tensione ad Alba (curata insieme a Francesca Alfano Miglietti). Alla nuova edizione di Volpaia partecipano Zanichelli e Arienti. Corrado Levi, che nel frattempo espone da Guido come artista in due personali, ambisce al lancio oltre confine e organizza presso la Galeria Buades di Madrid la collettiva Spunti di giovane arte italiana, (presenti tra gli altri Ferrazzi, Santo Leonardo, Pusole, Vetrugno e Zanichelli). Replicando nel 1989 con Examples. New Italian Art al Riverside Studios di Londra (in catalogo scrivono due curatori internazionali, Norman Rosenthal e Anthony Iannacci). Sull’onda del consenso di un pubblico nuovo, che Carbone contribuisce a formare, la galleria di corso Casale inserisce nel gruppo altri due giovani torinesi, Andrea Mandarino, Mario Marucci, continua il dialogo con Milano (Aldo Spoldi), e osserva con interesse la situazione bolognese, dove lo sviluppo di una nuova pittura figurativa (Gianmarco Montesano, Luigi Mastrangelo, Antonella Mazzoni) ricalca in parte ciò che sta accadendo a Torino. A fine anni Ottanta, in soli quattro anni di attività, la Galleria Carbone vanta un nucleo compatto di artisti come poche altre realtà italiane.
Il 1990 è un anno tragico e bellissimo per Guido Carbone. Da tempo malato, Bruno Zanichelli scompare. Sapendo che la malattia non gli avrebbe concesso scampo, Bruno nell’ultimo periodo produce quadri bellissimi, pieni di vita e di morte. Poi tiene un diario rivolgendosi a Guido, suo amico e scopritore, punto di riferimento culturale ed esistenziale, testimonianza commovente di una comune militanza che va ben oltre il semplice rapporto artista – mercante.
Rapporto che Guido ha cercato di tenere alto con tutti i “suoi” artisti, assumendone i rischi ma raccogliendone indubbie soddisfazioni. La più grande è certamente l’invito di Pusole alla sezione Aperto della XLIV Biennale di Venezia appunto del 1990 con la serie dei Televisori. Ma non va dimenticata la massiccia presenza di artisti della Galleria nella grande rassegna organizzata da Flash Art dal titolo Italia ’90 (è l’anno dei mondiali) alla Fabbrica del Vapore in via Procaccini a Milano. Una mega–collettiva sulla cultura visiva dell’ultimo scorcio di secolo, in pieno spirito “indie”, suddivisa città per città, che coinvolge decine di curatori e oltre duecento artisti. Per Carbone siamo già alla seconda generazione, i “fratelli minori” di Pusole e Zanichelli ereditano la passione per una pittura giovane e fresca, estremizzandone contenuti e contaminazioni con l’universo LowBrow Culture: protagonisti di questa nuova stagione Enrico De Paris, Sergio Cascavilla, Stefano Pisano e, unica fotografa e sola donna, Monica Carocci, talento irregolare e visionario come pochi. Il programma si fa ambizoso, la piccola vetrina in corso Casale non basta più. Carbone si trasferisce in via Vanchiglia 36. Lo spazio, finalmente, è ampio, un loft all’americana senza luce naturale, che consento a Guido di sfoderare la propria abilità progettuale e la particolare perizia nell’allestimento, che ha sempre curato con maniacale dedizione.
Frequentare la nuova Galleria diventa per me, dal 1991, una piacevole consuetudine. Insieme alla Galleria In Arco di Sergio Bertaccini, Carbone è il cardine del nuovo a Torino. Logico che un giovane critico cerchi l’occasione di un dialogo costante che, auspicabilmente, sfoci in una progettualità comune. La visita alla mostra finiva per “allungarsi” in pomeriggi di chiacchere, scambio di opinioni e pareri, accompagnati da una nuvola di fumo e una (o più) bottiglie di bianco che Guido teneva regolarmente in fresco per gli amici e i collezionisti. Nonostante la gran mole di lavoro svolta e il consenso attribuitogli, Carbone è ossessionato dal “far strategia”. Nelle sue intenzioni le mostre in galleria devono servire a lanciare gli artisti fuori: l’agenda è piena di numeri, appuntamenti, riunioni, lettere, progetti.
Si guarda intorno, si interroga, domanda. Ma non è tanto la città a offrirgli stimoli particolari, quanto le sollecitazioni che provengono dall’esterno. Con Flash Art, per esempio, ha funzionato, a partire proprio da Italia ’90. La rivista di Giancarlo Politi si dimostra a tratti realmente interessata a sostenere il lavoro di Carbone, una delle poche gallerie italiane a proporre un gruppo di pittori giovani e soprattutto a difenderli dall’eccessiva diffusione sul mercato. Si tratta inoltre di artisti che intendono la pittura come fenomeno ultramoderno, contaminato, disinvolto, niente affatto tradizionale. Sembra fatta apposta per una teoria che si basi sul rapporto tra arte e media, carattere precipuo dell’attuale. All’inizio degli anni Novanta il critico napoletano Gabriele Perretta brevetta il “Medialismo”: gruppo, movimento, sensibilità che comprende esperienze svariate, dalla pittura al video, dal concettuale all’arte relazionale, tenute insieme dallo sguardo contingente hic et nunc. Una trattazione non sempre lineare, talora pretestuosa, ma che ha l’indubbio merito di vivacizzare il panorama italiano ponendo un’alternativa credibile alla linea dominante, raccogliendo una gran quantità di artisti e coinvolgendo nel progetto diverse gallerie, oltre a Carbone, Ruggerini e Zonca di Milano, Loretta Cristofori di Bologna per l’area pittorica, Paolo Vitolo prima a Roma poi a Milano per il concettuale. L’esperienza trova la sua naturale collocazione nell’apertura del Trevi Flash Art Museum in Umbria che inaugura proprio con Medialismo nel 1993, cui seguirà Icastica, alla GAM di Bologna nel 1994.
In galleria, Carbone realizza in rapida successione le mostre personali dei suoi artisti. Tra le “new entry” si segnalano Ronald Victor Kastelic e lo scultore Paolo Cassarà. Tra i passaggi, più o meno occasionali, quello di Aldo Damioli, Fabrizio Passarella, Gabriele Lamberti, Igort e Marcello Jori. Alla fine del 1992 Pierluigi Pusole allestisce il suo nuovo progetto di straordinaria qualità: otto quadri della stessa dimensione appoggiati a terra, che rivelano la raggiunta maturità del pittore torinese, ormai lontano dai giovanilismi degli esordi. Mostra che segna però l’interruzione del rapporto lavorativo tra Pusole (di lì a poco approderà alla galleria di Enzo Cannaviello a Milano) e Carbone. Una fine più simbolica che traumatica, ma l’indubbio segnale che una stagione sta volgendo al termine.
Forse l’incanto del primo momento si è interrotto. Diversi artisti, sedotti dal rapido successo e illusi da aspettative più grandi di loro, lasciano la Galleria Carbone per altre realtà più consolidate sul mercato. Con poca lungimiranza non tengono conto del fatto che un gruppo coeso poteva mascherare limiti e pecche di ognuno e che forse la vera artisticità consisteva nell’aver unito individualità non poi così eccelse. Quando marciano da soli i cosiddetti mediali dimostrano tutta la loro debolezza. Guido non nasconde la propria delusione, ma ben presto si guarda intorno, lui stesso ha voglia di cambiare. E soprattutto capisce che il mondo dell’arte sta vivendo una nuova, rapidissima e irreversibile rivoluzione: dal localismo degli anni Ottanta alla inedita realtà globale verso il Duemila che implicherà, da qui in poi, un confronto a 360 gradi con il mondo, senza più alcuna rete di protezione. La Biennale di Venezia del 1993, curata da Achille Bonito Oliva, si propone come autentico spartiacque tra il prima e il dopo. La chimera di un nuovo gruppo sul modello della Transavanguardia lascia il posto alla consapevolezza che d’ora in avanti bisognerà puntare su poche individualità. I migliori, i più bravi, i più fortunati, in ogni caso quelli capaci di competere a largo raggio.
Il biennio 1994 – 95 rappresenta per Carbone la necessità di una ricerca che non tradisca il percorso fin qui svolto e introduca qualche elemento di novità che non sconcerti i suoi numerosi fans. Trova sul suo cammino Elke Warth, tedesca naturalizzata torinese, autrice di una pittura femminile in linea con le esperienze americane, Yumi Karasumaru, giapponese che vive a Bologna, Paolo Schmidlin, scultore iperrealista dal divertito cinismo. Ed è proprio la scultura a intrigare il gallerista, anche grazie alla duttilità dello spazio: nel 1995 propone a sorpresa Luisa Valentini, intervenendo pesantemente sul lavoro dell’artista e costringendola a mettersi profondamente in discussione. Dei “vecchi”, continua una proficua collaborazione con Pisano e Carocci.
In questi anni Guido stesso affronta una significativa trasformazione: da gallerista tende a trasformarsi in “producer”. Con l’artista che lo incuriosisce, sempre che vi siano una stima intellettuale e una complicità, Carbone instaura un dialogo serratissimo che spesso porta a cambiare le carte in tavola, se non a modificare radicalmente i piani. A titolo esemplificativo, vanno ricordati i “casi” di Sergio Bonino, Mario Consiglio e Francesco Lauretta. Bonino (prima mostra in Galleria nel 1996) è uno scultore introverso e accademico ma dotato di una precisione e di una sensibilità non comuni. Secondo Guido deve “minimalizzarsi” senza perdere per strada l’ossessione artigianale del fatto a mano. E infatti i suoi lavori acquisteranno, col tempo, una perfezione maniacale mai fredda o gratuita. Mario Consiglio (perugino, prima mostra da Carbone nel 1996) è il tipico artista piacevole e immediato: se messo nelle mani sbagliate (o giuste, a seconda dei punti di vista), può diventare una macchina da soldi abbandonando per contro qualsiasi altra velleità. Carbone si impunta e lo costringe a progettare, ogni volta, una tipologia di lavoro che non conceda troppo all’intrattenimento: con opere molto grandi (Questo mondo è fantastico, 1997, una sorta di Tutto boettiano in lycra), spingendolo verso la monocromia, oppure sposando il progetto “folle” di 570 piccoli quadri che incorniceranno l’intero perimetro della galleria (mostra del 2002). Francesco Lauretta, siciliano di Ispica, vive da tempo a Torino e conosce bene la realtà poverista avendo lavorato da assistente di Giorgio Persano. Ragazzo colto e di poche parole si barcamena esponendo in spazi di seconda fascia con opere di natura concettuale, mai del tutto risolte. L’incontro con Carbone è folgorante, aldilà del feeling personale: Guido lo invita a dipingere, anzi a produrre una pittura zuccherosa, di genere, che metta al centro le sue radici meridionali. Uno stimolo pericoloso e sottile, ambizioso e importante i cui risultati vanno ben oltre le aspettative: straordinaria soprattutto la personale del 2000.
Tra il 1996 e il1998 (nel frattempo la Galleria trasloca in via dei Mille 38, uno spazio ampio e luminoso, suddiviso in più stanze che gli consentono un ulteriore affinamento della scienza espostiva) Guido Carbone butta un occhio al panorama internazionale, approcciando situazioni peraltro in fieri, come d’abitudine. Nel ’96 affida alla giovane curatrice Marcella Beccaria (che poi andrà al Castello di Rivoli) la collettiva Fictions, dove spiccano il nome di Janieta Eyre, e inizia la collaborazione con Elisa Sighicelli, torinese trapiantata a Londra, destinata a una brillante carriera. Del 1997 è la personale di Jane Mulfinger. Nel 1998 un altro group show Again and Again e la personale di Tim Hemington. Nel 1999 inizia il rapporto con l’inglese Bob and Roberta Smith, destinato a cementarsi negli anni. Quindi nel 2001 presenta in anteprima italiana lo spagnolo Enrique Marty e la tedesca Alexandra Ranner.
L’episodio che più segna non solo l’attività ma soprattutto la vita privata di Carbone è l’incontro con Laura Viale. L’artista torinese, i cui linguaggi espressivi variano dalla fotografia al video, dall’oggetto all’installazione, esordisce in Galleria nel novembre 1997 con la personale If You Lived Here You’d Be Home by Now. Insieme all’intesa professonale nasce il rapporto sentimentale che li legherà, indissolubilmente, per dieci anni.
L’amore di Laura, l’apertura del nuovo spazio, inaugurano un biennio attivissimo (1998 – 2000) per la Galleria Carbone. Guido è in grande forma, rinnova la scuderia arruolando Francesco Sena, Maria Bruno, Davide Cantoni e Cristiano Berti. Di buona parte degli artisti pubblica cataloghi coinvolgendo diversi critici (oltre al sottoscritto, Francesca Pasini, Luisa Perlo, Tiziana Conti, Francesca Comisso, Maria Teresa Roberto, Gianni Romano). Gradito ritorno quello di Pierluigi Pusole, autore nel maggio 1998 di una doppia personale in collaborazione con Alberto Peola: due cicli di lavori distinti ma complementari, in bianco e nero e sui toni del verde. Dopo oltre dieci anni riprende la collaborazione anche con Maurizio Vetrugno. Ma il fiore all’occhiello è senz’altro la prima mostra antologica pubblica di Bruno Zanichelli, organizzata da Carbone alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo nella sede di Guarene, progetto inseguito con tenacia negli anni, che testimonia tutta la freschezza e l’innovazione del pittore torinese scomparso.
Poi improvvisamente Guido si ammala. La notizia si diffonde rapidamente tra gli amici increduli, tra gli artisti che gli vogliono bene, tra i colleghi che lo stimano. Tra momenti di cupo pessimismo e altri di speranza, Carbone non accenna a smettere di lavorare. La stanchezza non ne sfibra la voglia di lottare, non ne frena la curiosità. Anzi, sapendo di non avere più tanto tempo, intensifica l’attività di mostre e si impegna moltissimo progettando il futuro come non mai. Le esposizioni dell’ultimo periodo sono tra le più belle nella Galleria di via dei Mille: Bonino, Viale, Cantoni, Lauretta, Vetrugno, Berti e Consiglio, oltre a altri due nuovi artisti, l’elegante Pierluigi Calignano e la sottile Elizabeth Aro.
Il 18 maggio 2006 Guido Carbone inaugura The Humanist, personale di Bob and Roberta Smith. Pur provatissimo, non rinuncia a presenziare all’inaugurazione. Poi stanchissimo va a casa.
Muore la mattina presto del 20 maggio 2006.
Lascia la testimonianza di un tragitto durato vent’anni, coerente, coraggioso, innovativo, lucido e originale.
Le cinque sale storiche di Palazzo Bricherasio ospitano – dal 19 marzo al 13 aprile 2008 – la mostra QUESTO MONDO È FANTASTICO: VENT’ANNI CON GUIDO CARBONE che ripercorre, grazie alle opere di numerosi artisti, la vita e il lavoro del gallerista torinese prematuramente scomparso nel maggio del 2006.
Illuminato gallerista, concedeva spazio nella sua galleria al talento dei giovani artisti che incrociavano la sua straordinaria capacità di vedere nelle persone. È questo l’impareggiabile contributo che Guido Carbone ha dato alla sua città e più in generale alla dimensione dell’arte contemporanea italiana: uno spazio d’arte fortemente contestualizzato e sensibile alle dinamiche cittadine. Promossa dall’Associazione Artegiovane oltre che da un comitato costituito da parenti, amici, critici, artisti della galleria e collezionisti, la mostra è un omaggio all’esistenza di Guido Carbone, esistenza pienamente e profondamente dedicata all’arte. QUESTO MONDO È FANTASTICO, non è solo il titolo di un’opera del ’97 di Mario Consiglio esposta nel corso di una mostra fondamentale nella storia del rapporto tra il gallerista e l’artista, ma rispecchia soprattutto l’attitudine di Guido Carbone verso la vita e l’arte.
Dopo una breve esperienza in Via Sant’Anselmo 8, è il 1986 quando, in corso Casale 20, Guido Carbone apre la sua galleria: questa nuova vetrina per l’arte è costituita da una sola stanza, ragion per cui spesso la mostra prevedeva due inaugurazioni con un ricambio di opere in corsa. La Galleria Carbone apre offrendo al pubblico torinese i quadri di due giovani sconosciuti: Bruno Zanichelli e Pierluigi Pusole, rappresentanti delle principali dinamiche giovanili della scena underground del momento. Attorno a loro trovano spazio alcune figure milanesi, rappresentanti del concettualismo ludico e della leggerezza: Stefano Arienti, che nel 1987 da Carbone realizza la prima personale e soprattutto Corrado Levi, intellettuale, talent scout, collezionista, artista lui stesso. Sempre nel 1987 approda nella scuderia Maurizio Vetrugno ed esordisce un altro giovanissimo pittore, Raffaello Ferrazzi.
A fine anni ’80, dopo soli quattro anni di attività, la Galleria Carbone vanta un nucleo compatto di artisti. Sempre recettivo alle sollecitazioni provenienti dall’esterno, Carbone contribuisce a formare un pubblico nuovo delle gallerie, proponendo un gruppo di pittori giovani che difende dall’eccessiva diffusione sul mercato. Entrano a far parte della galleria di corso Casale altri due torinesi, Andrea Mandarino e Mario Marucci.
La scomparsa di Bruno Zanichelli nel 1990, porta alla luce lo straordinario rapporto che Guido Carbone ha cercato di tenere vivo con tutti i suoi artisti, ponendosi come punto di riferimento culturale ed esistenziale in un legame che va ben oltre il semplice rapporto artista-mercante. Il programma della Galleria si fa ambizioso e Carbone si trasferisce in via Vanchiglia 36. In uno spazio finalmente ampio e senza luce naturale, si afferma la seconda generazione di artisti della galleria che eredita la passione per una pittura giovane e fresca, estremizzandone contenuti e contaminazioni: sono Enrico De Paris, Sergio Cascavilla, Stefano Pisano e, unica fotografa e sola donna, Monica Carocci. Carbone diventa uno dei cardini del nuovo a Torino e realizza in rapida successione le mostre personali dei suoi artisti. Tra le “new entry” si segnalano Ronald Victor Kastelic e lo scultore Paolo Cassarà.
Gli anni ’90 rappresentano per la Galleria e soprattutto per Carbone uno spartiacque tra il prima e il dopo: la volontà di puntare su poche individualità, capaci di competere nella nuova dimensione di confronto su larga scala, porta il gallerista a intraprendere un percorso di ricerca, durante il quale riscopre il fascino intrigante della scultura: Paolo Schmidlin, scultore iperrealista dal divertito cinismo, e Luisa Valentini sono protagonisti di questa nuova tendenza. In questi anni Guido stesso affronta una significativa trasformazione: da gallerista tende a trasformarsi in “producer”. È così che stabilisce un rapporto fortemente interattivo e di reciproca influenza con artisti come Sergio Bonino, Mario Consiglio e Francesco Lauretta. Verso la fine degli anni ’90 l’attenzione di Carbone si sposta verso il panorama internazionale e nei nuovi spazi della Galleria, che intanto si è spostata in via dei Mille 38, presentano i loro lavori Elisa Sighicelli, torinese trapiantata a Londra, e in anteprima italiana Jane Mulfinger, Bob and Roberta Smith e Alexandra Ranner. Un discorso a parte va dedicato all’incontro con Laura Viale, artista torinese i cui linguaggi espressivi variano dalla fotografia al video, dall’oggetto all’installazione, che segna non solo l’attività ma soprattutto la vita privata di Carbone. Il nuovo millennio porta un sostanziale rinnovo nella galleria che presenta al pubblico Francesco Sena, Maria Bruno, Davide Cantoni e Cristiano Berti, accanto ai graditi ritorni di Pierluigi Pusole e Maurizio Vetrugno.
La malattia improvvisa accelera la sua attività di mostre e intensifica l’impegno nella progettazione del futuro. Le esposizioni dell’ultimo periodo danno spazio, celebrandone l’attività, agli artisti presentati nel corso della storia della Galleria oltre a due nuovi artisti: Pierluigi Calignano ed Elizabeth Aro.
In mostra a Palazzo Bricherasio sarà presente una selezione significativa degli “artisti di Guido Carbone”, che in un viaggio lungo vent’anni hanno avuto spazio, sostegno e possibilità di esprimere al meglio il loro talento. Con le vent’otto opere presentate nelle sale storiche della Fondazione torinese, la mostra vuole essere un omaggio alla vita di un gallerista coerente, coraggioso, innovativo, lucido e originale, di un “esercente culturale”, come lo ha definito Eugenio Borroni, “nel senso che esercitava il potere della cultura, e solo quello, sulle menti degli altri”.
***
La galleria di Guido Carbone. 1985 - 2006
Di Luca Beatrice
Quando, nel 1985, apre in via Sant’Anselmo 8 la Galleria Guido Carbone, Torino era ben lontana dall’essere la città dell’arte contemporanea di oggi. L’inaugurazione del Castello di Rivoli nel 1984, allora diretto da Rudi Fuchs, sembra sì indicare una strada nuova, ma in un contesto pubblico allora piuttosto desertificato. La Galleria d’Arte Moderna è chiusa da anni per restauri. Il sistema delle gallerie private è ancora saldamente ancorato agli spazi attivi nel decennio precedente e legati alla fortuna dell’Arte Povera – Giorgio Persano, Christian Stein, Tucci Russo – al concettuale o alla pittura astratta – Martano, Eva Menzio. Soprattutto, non esiste ancora la cosiddetta corsa al giovane: approdare in una galleria così istituzionale rappresentava un punto di arrivo, una nota di merito, una medaglia. Pochi rischiano la novità. Il solo Franz Paludetto, nel grattacielo di piazza Solferino e al Castello di Rivara, alterna presenze internazionali a giovani sconosciuti, indovinandone molti e bruciandone qualcuno.
Logico quindi che l’apertura di un nuovo spazio d’arte contemporanea, con un occhio particolare a ciò che succede in città, destasse particolare interesse. Nel locale di San Salvario Carbone allestisce solo quattro mostre, proponendo, tra l’altro, le personali di Emilia Pecorini (pittrice astratta poi rappresentata dalla galleria Giancarlo Salzano) e Enzo Bersezio (scultore concettuale che ha lavorato a lungo con il critico Edoardo Di Mauro). Il trasferimento in corso Casale 20 nel 1986 segna lo scatto decisivo di Guido Carbone, dopo un solo anno di apprendistato. Fondamentale l’intuizione che una galleria di proposta debba funzionare da “agente provocatorio”: non limitarsi a raccogliere le tendenze in atto ma crearne di nuove, non percorrere strade già battute ma tentare di rompere gli schemi. Tra gli emergenti nella Torino di metà anni Ottanta (Stoisa, Ponzio, Zaccone, Rossino, Benatello, Biffaro, Juliano, molti dei quali esporrano nella galleria di Filippo Fossati) la linea dominante è quella della continuità con l’Arte Povera, ad eccezione di Salvatore Astore, Sergio Ragalzi e del primo Ferdi Giardini, non a caso venuti fuori dalla fucina di Paludetto. Carbone fiuta l’idea di leggerezza come testimone attendibile del tempo ma non la ritiene sufficientemente “eretica”. La spaccatura, paradossalmente, avviene recuperando il più antico dei mezzi – la pittura – e il più tradizionale dei linguaggi – la figurazione – in una città peraltro poco permeabile all’esperienza, altrove prorompente, della Transavanguardia.
La vetrina su corso Casale, una sola stanza, e infatti spesso la mostra prevedeva due inaugurazioni con un ricambio di opere in corsa, offre al pubblico torinese i quadri di due giovani sconosciuti: Bruno Zanichelli e Pierluigi Pusole, entrambi ventitrenni (nati nel 1963). Il primo è completamente immerso nel mondo del fumetto e dell’illustrazione, cartina al tornasole di modi e mode giovanili dell’underground, rivelando nella pittura la stessa padronanza linguistica e la stessa eterodossia tematica di un Andrea Pazienza. Pusole, invece, ha fin da subito un tratto più nervoso, più marcatamente pittorico, una sorta di techno–pop fondato sul meccanismo della ripetizione e della serialità. Zanichelli e Pusole sono i bad boys di punta della Galleria Carbone, attorno ai quali ruotano figure milanesi in rappresentanza del concettualismo ludico e della leggerezza, Stefano Arienti, che nel 1987 da Carbone realizza la prima personale con Alghe, Muffe e Turbine, Mario Dellavedova, e soprattutto Corrado Levi, atipica figura di intellettuale, talent scout, collezionista, artista lui stesso, testimone a New York della generazione East Village di cui vorrebbe riportare la stessa energia anche in Italia. Sono di Levi i progetti curatoriali più interessanti e innovativi di quegli anni: alla Fabbrica Brown Boveri e al Pac di Milano (Il cangiante, 1987) al Castello di Volpaia, Radda in Chianti, con la complicità vigile di Luciano Pistoi. Gli artisti proposti da Carbone non mancano mai: entrambi sono infatti motivati dalla ferma intenzione di lanciare un italian new wave, logica dunque la condivisione di una strategia che allora sembrava funzionare benissimo, pur su scala economica ridotta.
Il 1987 è un anno molto importante per la galleria di Guido: seconda personale di Zanichelli e Pusole (espone i fortunati Telecomandi e le prime TV in bianco e nero), approdo nella scuderia di Maurizio Vetrugno (che proviene da Neon, Bologna) ed esordio di un altro giovanissimo pittore, Raffaello Ferrazzi. C’è fermento, elettricità, nelle scelte di Carbone che incuriosiscono non poco i nuovi curatori italiani: Di Mauro invita vari artisti nel suo progetto GE.MI.TO! (triangolo industrial – estetico tra Genova, Milano e Torino) e in Alta tensione ad Alba (curata insieme a Francesca Alfano Miglietti). Alla nuova edizione di Volpaia partecipano Zanichelli e Arienti. Corrado Levi, che nel frattempo espone da Guido come artista in due personali, ambisce al lancio oltre confine e organizza presso la Galeria Buades di Madrid la collettiva Spunti di giovane arte italiana, (presenti tra gli altri Ferrazzi, Santo Leonardo, Pusole, Vetrugno e Zanichelli). Replicando nel 1989 con Examples. New Italian Art al Riverside Studios di Londra (in catalogo scrivono due curatori internazionali, Norman Rosenthal e Anthony Iannacci). Sull’onda del consenso di un pubblico nuovo, che Carbone contribuisce a formare, la galleria di corso Casale inserisce nel gruppo altri due giovani torinesi, Andrea Mandarino, Mario Marucci, continua il dialogo con Milano (Aldo Spoldi), e osserva con interesse la situazione bolognese, dove lo sviluppo di una nuova pittura figurativa (Gianmarco Montesano, Luigi Mastrangelo, Antonella Mazzoni) ricalca in parte ciò che sta accadendo a Torino. A fine anni Ottanta, in soli quattro anni di attività, la Galleria Carbone vanta un nucleo compatto di artisti come poche altre realtà italiane.
Il 1990 è un anno tragico e bellissimo per Guido Carbone. Da tempo malato, Bruno Zanichelli scompare. Sapendo che la malattia non gli avrebbe concesso scampo, Bruno nell’ultimo periodo produce quadri bellissimi, pieni di vita e di morte. Poi tiene un diario rivolgendosi a Guido, suo amico e scopritore, punto di riferimento culturale ed esistenziale, testimonianza commovente di una comune militanza che va ben oltre il semplice rapporto artista – mercante.
Rapporto che Guido ha cercato di tenere alto con tutti i “suoi” artisti, assumendone i rischi ma raccogliendone indubbie soddisfazioni. La più grande è certamente l’invito di Pusole alla sezione Aperto della XLIV Biennale di Venezia appunto del 1990 con la serie dei Televisori. Ma non va dimenticata la massiccia presenza di artisti della Galleria nella grande rassegna organizzata da Flash Art dal titolo Italia ’90 (è l’anno dei mondiali) alla Fabbrica del Vapore in via Procaccini a Milano. Una mega–collettiva sulla cultura visiva dell’ultimo scorcio di secolo, in pieno spirito “indie”, suddivisa città per città, che coinvolge decine di curatori e oltre duecento artisti. Per Carbone siamo già alla seconda generazione, i “fratelli minori” di Pusole e Zanichelli ereditano la passione per una pittura giovane e fresca, estremizzandone contenuti e contaminazioni con l’universo LowBrow Culture: protagonisti di questa nuova stagione Enrico De Paris, Sergio Cascavilla, Stefano Pisano e, unica fotografa e sola donna, Monica Carocci, talento irregolare e visionario come pochi. Il programma si fa ambizoso, la piccola vetrina in corso Casale non basta più. Carbone si trasferisce in via Vanchiglia 36. Lo spazio, finalmente, è ampio, un loft all’americana senza luce naturale, che consento a Guido di sfoderare la propria abilità progettuale e la particolare perizia nell’allestimento, che ha sempre curato con maniacale dedizione.
Frequentare la nuova Galleria diventa per me, dal 1991, una piacevole consuetudine. Insieme alla Galleria In Arco di Sergio Bertaccini, Carbone è il cardine del nuovo a Torino. Logico che un giovane critico cerchi l’occasione di un dialogo costante che, auspicabilmente, sfoci in una progettualità comune. La visita alla mostra finiva per “allungarsi” in pomeriggi di chiacchere, scambio di opinioni e pareri, accompagnati da una nuvola di fumo e una (o più) bottiglie di bianco che Guido teneva regolarmente in fresco per gli amici e i collezionisti. Nonostante la gran mole di lavoro svolta e il consenso attribuitogli, Carbone è ossessionato dal “far strategia”. Nelle sue intenzioni le mostre in galleria devono servire a lanciare gli artisti fuori: l’agenda è piena di numeri, appuntamenti, riunioni, lettere, progetti.
Si guarda intorno, si interroga, domanda. Ma non è tanto la città a offrirgli stimoli particolari, quanto le sollecitazioni che provengono dall’esterno. Con Flash Art, per esempio, ha funzionato, a partire proprio da Italia ’90. La rivista di Giancarlo Politi si dimostra a tratti realmente interessata a sostenere il lavoro di Carbone, una delle poche gallerie italiane a proporre un gruppo di pittori giovani e soprattutto a difenderli dall’eccessiva diffusione sul mercato. Si tratta inoltre di artisti che intendono la pittura come fenomeno ultramoderno, contaminato, disinvolto, niente affatto tradizionale. Sembra fatta apposta per una teoria che si basi sul rapporto tra arte e media, carattere precipuo dell’attuale. All’inizio degli anni Novanta il critico napoletano Gabriele Perretta brevetta il “Medialismo”: gruppo, movimento, sensibilità che comprende esperienze svariate, dalla pittura al video, dal concettuale all’arte relazionale, tenute insieme dallo sguardo contingente hic et nunc. Una trattazione non sempre lineare, talora pretestuosa, ma che ha l’indubbio merito di vivacizzare il panorama italiano ponendo un’alternativa credibile alla linea dominante, raccogliendo una gran quantità di artisti e coinvolgendo nel progetto diverse gallerie, oltre a Carbone, Ruggerini e Zonca di Milano, Loretta Cristofori di Bologna per l’area pittorica, Paolo Vitolo prima a Roma poi a Milano per il concettuale. L’esperienza trova la sua naturale collocazione nell’apertura del Trevi Flash Art Museum in Umbria che inaugura proprio con Medialismo nel 1993, cui seguirà Icastica, alla GAM di Bologna nel 1994.
In galleria, Carbone realizza in rapida successione le mostre personali dei suoi artisti. Tra le “new entry” si segnalano Ronald Victor Kastelic e lo scultore Paolo Cassarà. Tra i passaggi, più o meno occasionali, quello di Aldo Damioli, Fabrizio Passarella, Gabriele Lamberti, Igort e Marcello Jori. Alla fine del 1992 Pierluigi Pusole allestisce il suo nuovo progetto di straordinaria qualità: otto quadri della stessa dimensione appoggiati a terra, che rivelano la raggiunta maturità del pittore torinese, ormai lontano dai giovanilismi degli esordi. Mostra che segna però l’interruzione del rapporto lavorativo tra Pusole (di lì a poco approderà alla galleria di Enzo Cannaviello a Milano) e Carbone. Una fine più simbolica che traumatica, ma l’indubbio segnale che una stagione sta volgendo al termine.
Forse l’incanto del primo momento si è interrotto. Diversi artisti, sedotti dal rapido successo e illusi da aspettative più grandi di loro, lasciano la Galleria Carbone per altre realtà più consolidate sul mercato. Con poca lungimiranza non tengono conto del fatto che un gruppo coeso poteva mascherare limiti e pecche di ognuno e che forse la vera artisticità consisteva nell’aver unito individualità non poi così eccelse. Quando marciano da soli i cosiddetti mediali dimostrano tutta la loro debolezza. Guido non nasconde la propria delusione, ma ben presto si guarda intorno, lui stesso ha voglia di cambiare. E soprattutto capisce che il mondo dell’arte sta vivendo una nuova, rapidissima e irreversibile rivoluzione: dal localismo degli anni Ottanta alla inedita realtà globale verso il Duemila che implicherà, da qui in poi, un confronto a 360 gradi con il mondo, senza più alcuna rete di protezione. La Biennale di Venezia del 1993, curata da Achille Bonito Oliva, si propone come autentico spartiacque tra il prima e il dopo. La chimera di un nuovo gruppo sul modello della Transavanguardia lascia il posto alla consapevolezza che d’ora in avanti bisognerà puntare su poche individualità. I migliori, i più bravi, i più fortunati, in ogni caso quelli capaci di competere a largo raggio.
Il biennio 1994 – 95 rappresenta per Carbone la necessità di una ricerca che non tradisca il percorso fin qui svolto e introduca qualche elemento di novità che non sconcerti i suoi numerosi fans. Trova sul suo cammino Elke Warth, tedesca naturalizzata torinese, autrice di una pittura femminile in linea con le esperienze americane, Yumi Karasumaru, giapponese che vive a Bologna, Paolo Schmidlin, scultore iperrealista dal divertito cinismo. Ed è proprio la scultura a intrigare il gallerista, anche grazie alla duttilità dello spazio: nel 1995 propone a sorpresa Luisa Valentini, intervenendo pesantemente sul lavoro dell’artista e costringendola a mettersi profondamente in discussione. Dei “vecchi”, continua una proficua collaborazione con Pisano e Carocci.
In questi anni Guido stesso affronta una significativa trasformazione: da gallerista tende a trasformarsi in “producer”. Con l’artista che lo incuriosisce, sempre che vi siano una stima intellettuale e una complicità, Carbone instaura un dialogo serratissimo che spesso porta a cambiare le carte in tavola, se non a modificare radicalmente i piani. A titolo esemplificativo, vanno ricordati i “casi” di Sergio Bonino, Mario Consiglio e Francesco Lauretta. Bonino (prima mostra in Galleria nel 1996) è uno scultore introverso e accademico ma dotato di una precisione e di una sensibilità non comuni. Secondo Guido deve “minimalizzarsi” senza perdere per strada l’ossessione artigianale del fatto a mano. E infatti i suoi lavori acquisteranno, col tempo, una perfezione maniacale mai fredda o gratuita. Mario Consiglio (perugino, prima mostra da Carbone nel 1996) è il tipico artista piacevole e immediato: se messo nelle mani sbagliate (o giuste, a seconda dei punti di vista), può diventare una macchina da soldi abbandonando per contro qualsiasi altra velleità. Carbone si impunta e lo costringe a progettare, ogni volta, una tipologia di lavoro che non conceda troppo all’intrattenimento: con opere molto grandi (Questo mondo è fantastico, 1997, una sorta di Tutto boettiano in lycra), spingendolo verso la monocromia, oppure sposando il progetto “folle” di 570 piccoli quadri che incorniceranno l’intero perimetro della galleria (mostra del 2002). Francesco Lauretta, siciliano di Ispica, vive da tempo a Torino e conosce bene la realtà poverista avendo lavorato da assistente di Giorgio Persano. Ragazzo colto e di poche parole si barcamena esponendo in spazi di seconda fascia con opere di natura concettuale, mai del tutto risolte. L’incontro con Carbone è folgorante, aldilà del feeling personale: Guido lo invita a dipingere, anzi a produrre una pittura zuccherosa, di genere, che metta al centro le sue radici meridionali. Uno stimolo pericoloso e sottile, ambizioso e importante i cui risultati vanno ben oltre le aspettative: straordinaria soprattutto la personale del 2000.
Tra il 1996 e il1998 (nel frattempo la Galleria trasloca in via dei Mille 38, uno spazio ampio e luminoso, suddiviso in più stanze che gli consentono un ulteriore affinamento della scienza espostiva) Guido Carbone butta un occhio al panorama internazionale, approcciando situazioni peraltro in fieri, come d’abitudine. Nel ’96 affida alla giovane curatrice Marcella Beccaria (che poi andrà al Castello di Rivoli) la collettiva Fictions, dove spiccano il nome di Janieta Eyre, e inizia la collaborazione con Elisa Sighicelli, torinese trapiantata a Londra, destinata a una brillante carriera. Del 1997 è la personale di Jane Mulfinger. Nel 1998 un altro group show Again and Again e la personale di Tim Hemington. Nel 1999 inizia il rapporto con l’inglese Bob and Roberta Smith, destinato a cementarsi negli anni. Quindi nel 2001 presenta in anteprima italiana lo spagnolo Enrique Marty e la tedesca Alexandra Ranner.
L’episodio che più segna non solo l’attività ma soprattutto la vita privata di Carbone è l’incontro con Laura Viale. L’artista torinese, i cui linguaggi espressivi variano dalla fotografia al video, dall’oggetto all’installazione, esordisce in Galleria nel novembre 1997 con la personale If You Lived Here You’d Be Home by Now. Insieme all’intesa professonale nasce il rapporto sentimentale che li legherà, indissolubilmente, per dieci anni.
L’amore di Laura, l’apertura del nuovo spazio, inaugurano un biennio attivissimo (1998 – 2000) per la Galleria Carbone. Guido è in grande forma, rinnova la scuderia arruolando Francesco Sena, Maria Bruno, Davide Cantoni e Cristiano Berti. Di buona parte degli artisti pubblica cataloghi coinvolgendo diversi critici (oltre al sottoscritto, Francesca Pasini, Luisa Perlo, Tiziana Conti, Francesca Comisso, Maria Teresa Roberto, Gianni Romano). Gradito ritorno quello di Pierluigi Pusole, autore nel maggio 1998 di una doppia personale in collaborazione con Alberto Peola: due cicli di lavori distinti ma complementari, in bianco e nero e sui toni del verde. Dopo oltre dieci anni riprende la collaborazione anche con Maurizio Vetrugno. Ma il fiore all’occhiello è senz’altro la prima mostra antologica pubblica di Bruno Zanichelli, organizzata da Carbone alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo nella sede di Guarene, progetto inseguito con tenacia negli anni, che testimonia tutta la freschezza e l’innovazione del pittore torinese scomparso.
Poi improvvisamente Guido si ammala. La notizia si diffonde rapidamente tra gli amici increduli, tra gli artisti che gli vogliono bene, tra i colleghi che lo stimano. Tra momenti di cupo pessimismo e altri di speranza, Carbone non accenna a smettere di lavorare. La stanchezza non ne sfibra la voglia di lottare, non ne frena la curiosità. Anzi, sapendo di non avere più tanto tempo, intensifica l’attività di mostre e si impegna moltissimo progettando il futuro come non mai. Le esposizioni dell’ultimo periodo sono tra le più belle nella Galleria di via dei Mille: Bonino, Viale, Cantoni, Lauretta, Vetrugno, Berti e Consiglio, oltre a altri due nuovi artisti, l’elegante Pierluigi Calignano e la sottile Elizabeth Aro.
Il 18 maggio 2006 Guido Carbone inaugura The Humanist, personale di Bob and Roberta Smith. Pur provatissimo, non rinuncia a presenziare all’inaugurazione. Poi stanchissimo va a casa.
Muore la mattina presto del 20 maggio 2006.
Lascia la testimonianza di un tragitto durato vent’anni, coerente, coraggioso, innovativo, lucido e originale.
18
marzo 2008
Questo mondo è fantastico. Vent’anni con Guido Carbone
Dal 18 marzo al 13 aprile 2008
arte contemporanea
Location
PALAZZO BRICHERASIO
Torino, Via Giuseppe Luigi Lagrange, 20, (Torino)
Torino, Via Giuseppe Luigi Lagrange, 20, (Torino)
Orario di apertura
Lunedì 14.30 – 19.30
da martedì a domenica 9.30 – 19.30
giovedì e sabato 9.30 – 22.30
Vernissage
18 Marzo 2008, ore 18.30
Autore
Curatore