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Raccontare un luogo (Tales of a Place)
La particolarità del progetto Raccontare un luogo – (Tales of a Place) è che non si propone come una mostra a tema, bensì come la creazione di una piattaforma in cui poter discutere a livello collettivo sull’idea che anima la ricerca artistica dei differenti artisti coinvolti.
Comunicato stampa
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La Mostra "Raccontare un luogo - (Tales of a Place)" coinvolge otto artisti di livello internazionale, di generazioni e riferimenti culturali differenti, che hanno proposto e ideato le opere appositamente per l'occasione. Gli interventi sono di varie tipologie - dai testi in neon a serie di disegni, dalle installazioni sonore ad oggetti sculturali, dalle immagini fotografiche ai video - e si caratterizzano prima di tutto per essere dei dispositivi che raccontano un luogo tenendo conto, però, del contesto in cui vengono inseriti e, in alcuni casi, ribaltando o esplorando fino alle estreme conseguenze il concetto di “site-specific”. Questa attitudine è praticata per mezzo di materiali e tecniche espressive diverse caratterizzate e animate dalla modalità della traduzione, ovvero: cosa tradurre, per chi e come? Per questo motivo, le opere site-specific in mostra si propongono come condizioni del quotidiano, alterato minimamente, in cui si esteriorizza il processo conflittuale/dialogico che la società ha da sempre affidato alla relazione tra la parola e l'immagine, tra la didascalia e la rappresentazione a cui è associata, tra la cosa e la sua funzione.
La particolarità del progetto Raccontare un luogo - (Tales of a Place) è che non si propone come una mostra a tema, bensì come la creazione di una piattaforma in cui poter discutere a livello collettivo sull'idea che anima la ricerca artistica dei differenti artisti coinvolti, ri-scoprendo le ragioni sociali e antropologiche proprie del loro approccio dialogico e non formale. Come scrive Lorenzo Bruni nel libro che accompagnerà la mostra con uscita il prossimo settembre: “Prendere in esame gli artisti che hanno lavorato sui meccanismi di misurazione dello spazio mentale e di quello fisico (cercando di farli coesistere) e che allo stesso tempo si sono confrontati con la presenza della parola scritta, vuol dire aprire una riflessione sia su come è mutato il ruolo e l'uso dei new media negli ultimi trent'anni, sia su come è mutata la percezione della parola (da parte del pubblico) dall'introduzione dei “text message” che ci portano non a parlare al telefono, ma ad osservarlo. Proprio da questo punto di vista è possibile praticare una riflessione inedita sul ruolo dell'arte concettuale e sulla nominazione delle cose, ma anche sul ruolo/capacità che oggi ha l'immagine di contenere le informazioni, permessa dalla cornice informativa in cui viene distribuita in tempo reale, ribaltando il ruolo di semplice documentazione del reale che aveva nelle “riviste illustrate” nel secolo passato. La domanda che emerge è: Quali sono le sfumature e le implicazioni di questo modo di interagire con il mondo smaterializzato sulla percezione dell'arte, sulle interazioni sociali e sul preservare la memoria di esperienze di alcuni luoghi rispetto ad altre?” .
Gli artisti del progetto Raccontare un luogo - (Tales of a Place) sono consapevoli che il mondo nell'era del villaggio globale è divenuto più piccolo ed intimo proprio per la possibilità da parte dell'essere umano di essere in contatto con tutti e tutto. Questa nuova potenzialità di interazione con l'attorno non è per loro né la causa e né l'effetto, bensì il sintomo della condizione post colonialista, post ideologica e di iper-comunicazione che praticano adesso. Questa presa di coscienza li ha portati a dare importanza alle modalità e alle situazioni in cui evocano l'esperienza di un luogo, piuttosto che semplicemente a nominarlo o presentarlo con delle immagini in tempo reale. Per questa ragione i testi in neon di Maurizio Nannucci (Firenze, 1939; vive e lavora a Firenze) non consistono soltanto nell'essere una riflessione sul linguaggio, sulla nominazione delle cose e sulla tautologia, bensì sul creare una relazione con lo spazio fisico in cui si inseriscono per determinare una nuova immaginazione dell'uso di quello stesso spazio. Christian Jankowski (Gottingen, 1968; vive e lavora a Berlino), invece, punta sempre a creare un dialogo forzato e a volte surreale tra la dimensione pubblica e quella privata, come nel caso del video “Tableau Vivant TV” realizzato nel 2010 per la Biennale di Sidney e che parlava della preparazione del lavoro stesso per quella mostra. Questa stessa carica è presente nel lavoro ideato per il progetto di Bologna e che consiste nel tradurre in scritte al neon degli appunti presi dal suo taccuino, della serie “What still needs to be done”, con cui rendere praticabile un luogo nascosto al pubblico come quello del magazzino poiché (come la dimensione dello spazio astratto del taccuino) è considerato uno spazio privato/funzionale. Mentre, per Suzanne Lacy (Wasco, California, 1945; vive e lavora a Los Angeles) il luogo non può essere mai separato dalle convenzioni sociali e di genere che caratterizza quegli stessi spazi che prende in considerazione, e per questo motivo punta sempre a far emergere proprio queste dinamiche stabilendo una frizione interpretativa per mezzo delle sue performance, opere fotografiche e video. Per Nedko Solakov (Tcherven Briag, Bulgaria, 1957; vive e lavora a Sofia) si tratta sempre di un'operazione narrativa sul come evidenziare una condizione e come modificarla con il racconto dello stesso, questo sia che realizzi dei disegni sul tema del viaggio come quelli realizzati nei mesi passati, sia una riflessione sull'oggetto quadro, come il preservare e raccontare gli interventi site specific realizzati in altri contesti. Per Mel Bochner (Pittsburgh, 1940; vive a lavora a New York) si tratta di visualizzare gli strumenti che servono per misurare il mondo e con cui viene definito cosa è reale e cosa invece è un prodotto artistico. L’installazione “Measurement Plant”, che consiste in una griglia dipinta sulla parete con giustapposta una pianta, pone in maniera pratica la questione su quale sia il luogo di riferimento per l'osservatore: quello della rappresentazione e dell'arte oppure quello della natura e dell'oggetto reale. Invece, Mario Airò (Pavia, 1961; vive e lavora a Milano) realizza degli oggetti spaziali contraddittori, che vanno dall'utilizzo di libri, ai tubi al neon, fino all'immissione di opere audio che aprono una riflessione particolare sul ruolo e genesi dell'atto creativo in generale. Antonis Pittas (Atene, 1973; vive e lavora ad Amsterdam) realizza stratificazioni di testi disegnati a graffite nello spazio che interagiscono con forme di marmo – estratti dalla stessa cava dei marmi utilizzati per il Partenone - per suggerire collegamenti particolari tra l'idea del passato e l'attualità delle manifestazioni collegate alla crisi economica (crisi di sistema) in Grecia.
Cuoghi Corsello (Bologna, 1965 - Mantova, 1964; vivono e lavorano a Bologna) hanno sempre lavorato sul ribaltamento di pubblico e privato e sul cross over tra cosa viene considerato sconveniente e arte aulica/ufficiale. Per Raccontare un luogo - (Tales of a Place) hanno presentato differenti “dispositivi e composizioni” (dall'intervento con il neon alla scultura di legno, da immagini in ceramica a video di animazione) con cui stabilire una differente presa di coscienza con alcune sfumature degli “spazi condivisi” che solitamente passano inosservate. In questo loro approccio rientra anche la scelta dell'immagine per l'invito della collettiva stessa, che consiste in un segnalatore di memoria/spazio/tempo: una foto scattata nel 1990 alla stazione di Bologna in cui, oltre ai binari e al tipico paesaggio del “non luogo” (definizione diffusasi in quegli anni anche ad opera del filosofo Marc Augé), è visibile sul muro Pea Brain, ovvero una serie di oche che sembrano come correre (o rincorrersi) in una direzione.
Quest'immagine/cartolina di Cuoghi Corsello, come tutte le altre opere degli altri artisti della mostra Raccontare un luogo - (Tales of a Place), ci ricorda che questo progetto proprio per poter aprire riflessioni universali, antropologiche e far confrontare artisti internazionali e di differenti culture non deve perdere di vista il “contesto spazio/tempo” in cui si manifesta. Da questo punto di vista è evidente che le opere di questi artisti ci suggeriscono che solo esplorando il luogo da cui osserviamo il mondo possiamo essere presenti a questo atto di scoperta, il quale va oltre il semplice fatto di essere connessi ai luoghi che si propongono a noi con i nuovi messi di informazione. Infatti, come scrive il curatore Lorenzo Bruni: “Le opere in mostra nascono tutte dal confronto con differenti concetti di luogo e sulla relazione tra spazio immaginato, spazio percorso e la presenza dello spettatore. Questo però è solo il punto di partenza, e non il fine, per proporre una nuova analisi delle varie dinamiche di narrazione attivate in relazione alla possibilità di essere un migrante giornaliero - sia a livello fisico che virtuale, e rispetto alle nuove tecnologie e nuove possibilità di archiviare i fatti, i luoghi e le esperienze degli stessi”.
La particolarità del progetto Raccontare un luogo - (Tales of a Place) è che non si propone come una mostra a tema, bensì come la creazione di una piattaforma in cui poter discutere a livello collettivo sull'idea che anima la ricerca artistica dei differenti artisti coinvolti, ri-scoprendo le ragioni sociali e antropologiche proprie del loro approccio dialogico e non formale. Come scrive Lorenzo Bruni nel libro che accompagnerà la mostra con uscita il prossimo settembre: “Prendere in esame gli artisti che hanno lavorato sui meccanismi di misurazione dello spazio mentale e di quello fisico (cercando di farli coesistere) e che allo stesso tempo si sono confrontati con la presenza della parola scritta, vuol dire aprire una riflessione sia su come è mutato il ruolo e l'uso dei new media negli ultimi trent'anni, sia su come è mutata la percezione della parola (da parte del pubblico) dall'introduzione dei “text message” che ci portano non a parlare al telefono, ma ad osservarlo. Proprio da questo punto di vista è possibile praticare una riflessione inedita sul ruolo dell'arte concettuale e sulla nominazione delle cose, ma anche sul ruolo/capacità che oggi ha l'immagine di contenere le informazioni, permessa dalla cornice informativa in cui viene distribuita in tempo reale, ribaltando il ruolo di semplice documentazione del reale che aveva nelle “riviste illustrate” nel secolo passato. La domanda che emerge è: Quali sono le sfumature e le implicazioni di questo modo di interagire con il mondo smaterializzato sulla percezione dell'arte, sulle interazioni sociali e sul preservare la memoria di esperienze di alcuni luoghi rispetto ad altre?” .
Gli artisti del progetto Raccontare un luogo - (Tales of a Place) sono consapevoli che il mondo nell'era del villaggio globale è divenuto più piccolo ed intimo proprio per la possibilità da parte dell'essere umano di essere in contatto con tutti e tutto. Questa nuova potenzialità di interazione con l'attorno non è per loro né la causa e né l'effetto, bensì il sintomo della condizione post colonialista, post ideologica e di iper-comunicazione che praticano adesso. Questa presa di coscienza li ha portati a dare importanza alle modalità e alle situazioni in cui evocano l'esperienza di un luogo, piuttosto che semplicemente a nominarlo o presentarlo con delle immagini in tempo reale. Per questa ragione i testi in neon di Maurizio Nannucci (Firenze, 1939; vive e lavora a Firenze) non consistono soltanto nell'essere una riflessione sul linguaggio, sulla nominazione delle cose e sulla tautologia, bensì sul creare una relazione con lo spazio fisico in cui si inseriscono per determinare una nuova immaginazione dell'uso di quello stesso spazio. Christian Jankowski (Gottingen, 1968; vive e lavora a Berlino), invece, punta sempre a creare un dialogo forzato e a volte surreale tra la dimensione pubblica e quella privata, come nel caso del video “Tableau Vivant TV” realizzato nel 2010 per la Biennale di Sidney e che parlava della preparazione del lavoro stesso per quella mostra. Questa stessa carica è presente nel lavoro ideato per il progetto di Bologna e che consiste nel tradurre in scritte al neon degli appunti presi dal suo taccuino, della serie “What still needs to be done”, con cui rendere praticabile un luogo nascosto al pubblico come quello del magazzino poiché (come la dimensione dello spazio astratto del taccuino) è considerato uno spazio privato/funzionale. Mentre, per Suzanne Lacy (Wasco, California, 1945; vive e lavora a Los Angeles) il luogo non può essere mai separato dalle convenzioni sociali e di genere che caratterizza quegli stessi spazi che prende in considerazione, e per questo motivo punta sempre a far emergere proprio queste dinamiche stabilendo una frizione interpretativa per mezzo delle sue performance, opere fotografiche e video. Per Nedko Solakov (Tcherven Briag, Bulgaria, 1957; vive e lavora a Sofia) si tratta sempre di un'operazione narrativa sul come evidenziare una condizione e come modificarla con il racconto dello stesso, questo sia che realizzi dei disegni sul tema del viaggio come quelli realizzati nei mesi passati, sia una riflessione sull'oggetto quadro, come il preservare e raccontare gli interventi site specific realizzati in altri contesti. Per Mel Bochner (Pittsburgh, 1940; vive a lavora a New York) si tratta di visualizzare gli strumenti che servono per misurare il mondo e con cui viene definito cosa è reale e cosa invece è un prodotto artistico. L’installazione “Measurement Plant”, che consiste in una griglia dipinta sulla parete con giustapposta una pianta, pone in maniera pratica la questione su quale sia il luogo di riferimento per l'osservatore: quello della rappresentazione e dell'arte oppure quello della natura e dell'oggetto reale. Invece, Mario Airò (Pavia, 1961; vive e lavora a Milano) realizza degli oggetti spaziali contraddittori, che vanno dall'utilizzo di libri, ai tubi al neon, fino all'immissione di opere audio che aprono una riflessione particolare sul ruolo e genesi dell'atto creativo in generale. Antonis Pittas (Atene, 1973; vive e lavora ad Amsterdam) realizza stratificazioni di testi disegnati a graffite nello spazio che interagiscono con forme di marmo – estratti dalla stessa cava dei marmi utilizzati per il Partenone - per suggerire collegamenti particolari tra l'idea del passato e l'attualità delle manifestazioni collegate alla crisi economica (crisi di sistema) in Grecia.
Cuoghi Corsello (Bologna, 1965 - Mantova, 1964; vivono e lavorano a Bologna) hanno sempre lavorato sul ribaltamento di pubblico e privato e sul cross over tra cosa viene considerato sconveniente e arte aulica/ufficiale. Per Raccontare un luogo - (Tales of a Place) hanno presentato differenti “dispositivi e composizioni” (dall'intervento con il neon alla scultura di legno, da immagini in ceramica a video di animazione) con cui stabilire una differente presa di coscienza con alcune sfumature degli “spazi condivisi” che solitamente passano inosservate. In questo loro approccio rientra anche la scelta dell'immagine per l'invito della collettiva stessa, che consiste in un segnalatore di memoria/spazio/tempo: una foto scattata nel 1990 alla stazione di Bologna in cui, oltre ai binari e al tipico paesaggio del “non luogo” (definizione diffusasi in quegli anni anche ad opera del filosofo Marc Augé), è visibile sul muro Pea Brain, ovvero una serie di oche che sembrano come correre (o rincorrersi) in una direzione.
Quest'immagine/cartolina di Cuoghi Corsello, come tutte le altre opere degli altri artisti della mostra Raccontare un luogo - (Tales of a Place), ci ricorda che questo progetto proprio per poter aprire riflessioni universali, antropologiche e far confrontare artisti internazionali e di differenti culture non deve perdere di vista il “contesto spazio/tempo” in cui si manifesta. Da questo punto di vista è evidente che le opere di questi artisti ci suggeriscono che solo esplorando il luogo da cui osserviamo il mondo possiamo essere presenti a questo atto di scoperta, il quale va oltre il semplice fatto di essere connessi ai luoghi che si propongono a noi con i nuovi messi di informazione. Infatti, come scrive il curatore Lorenzo Bruni: “Le opere in mostra nascono tutte dal confronto con differenti concetti di luogo e sulla relazione tra spazio immaginato, spazio percorso e la presenza dello spettatore. Questo però è solo il punto di partenza, e non il fine, per proporre una nuova analisi delle varie dinamiche di narrazione attivate in relazione alla possibilità di essere un migrante giornaliero - sia a livello fisico che virtuale, e rispetto alle nuove tecnologie e nuove possibilità di archiviare i fatti, i luoghi e le esperienze degli stessi”.
06
giugno 2015
Raccontare un luogo (Tales of a Place)
Dal 06 giugno al 07 novembre 2015
arte contemporanea
Location
GALLERIA ENRICO ASTUNI
Bologna, Via Jacopo Barozzi Vignola, 3, (Bologna)
Bologna, Via Jacopo Barozzi Vignola, 3, (Bologna)
Orario di apertura
Lunedì – venerdi 10:00 – 13:00 / 15:00 – 19:00
Sabato e domenica su appuntamento
Vernissage
6 Giugno 2015, ore 19
Autore