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Raffaele Di Vaia – Omnia Vanitas
La personale dell’artista Raffaele Di Vaia dal titolo “Omnia Vanitas” si svolgerà all’interno dello Studio Chimera, spazio attivo dal 2005 che ospita lo studio ed il laboratorio dell’artista e restauratrice francese Rachel Morellet e del liutaio Till Riecke, dove, occasionalmente, si invitano ad esporre artisti italiani ed internazionali. Per questa occasione saranno presentati tre nuovi lavori dell’artista; si tratta di tre video realizzati nell’ultima fase della sua produzione.
Comunicato stampa
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La personale dell’artista Raffaele Di Vaia dal titolo “Omnia Vanitas” si svolgerà all’interno dello Studio Chimera, spazio attivo dal 2005 che ospita lo studio ed il laboratorio dell’artista e restauratrice francese Rachel Morellet e del liutaio Till Riecke, dove, occasionalmente, si invitano ad esporre artisti italiani ed internazionali. Per questa occasione saranno presentati tre nuovi lavori dell’artista; si tratta di tre video realizzati nell’ultima fase della sua produzione. Attraverso la videocamera che si fa medium artistico duttile e rielaborabile, l’artista evidenzia anche formalmente il rapporto sempre più stretto che si è instaurato nel corso del tempo tra il suo lavoro ed altre discipline artistiche, in particolare il cinema e la musica classica, che vanno ad integrarlo fino a divenire talvolta parti fondamentali dell’opera stessa.
Nel video intitolato “Vello” la molteplicità di vermi che si sovrappongono in un lento movimento ipnotico si fa, col passare del tempo, un organismo unico; la sensazione iniziale di calore ed accoglienza lascia spazio a un climax di metamorfosi e claustrofobia. Le immagini che poi diventano un corpo unico, sono intraviste in un’atmosfera soffusa, attraverso una fessura angusta che si fa emblema dell’organo genitale femminile generatore di vita, ma al contempo diviene con lo scorrere delle immagini, qualcosa d’altro, un meccanismo asfissiante che da fecondo risulta essere strangolatore, dove il colore rosso e la canzone di Bobby Vinton, citazioni dal film Blue Velvet di David Lynch, rappresentano questa carnalità portata all’esasperazione. Accenti vitali e atmosfere mortifere si compenetrano e si alternano in una rappresentazione estremamente naturale ma altrettanto oscena, con accenti ferini. Il tutto privo però di qualsivoglia metro di giudizio morale.
Allo stesso modo in “Venere”, una lenta carrellata accompagnata dalle note di un’aria de La Norma di Bellini, conduce i nostri sguardi verso uno specchio dove si intravede il riflesso di una figura demoniaca. Il tutto anche qui è giocato sull’ambiguità e l’ambivalenza di significato che può essere attribuito al concetto di Venere. Dea dell’amore, stella del mattino Lucifera e portatrice di luce, oppure Lucifero inteso come Maligno, cacciato da Dio al centro della terra e visibile in penombra proprio in quello specchio in dissolvenza.
Infine in “Faustine” questa doppia accezione di significato che ogni cosa possiede, è espressa proprio formalmente dalla ripetitiva sovrapposizione di una stessa sequenza di gesti; le protagoniste del video entrano in scena, ballano e sorridono, attimo dopo attimo, lasciando scie sottili della loro presenza che è stata e anticipando quello che sarà di nuovo. La poeticità del balletto sulle note di Schubert è però frenata da una forte sensazione di straniamento e di vertigine che col passare del tempo queste immagini vorticose producono nell’osservatore.
Certo è che non c’è nessuna volontà da parte dell’artista di creare un metro di giudizio morale tra le varie alternative che le immagini dei video propongono. Non c’è bene o male; una madre potrà essere anche femmina fatale così come la luce convive con la tenebra e ad essa si alterna. L’artista mira solo a riportare come un narratore estraneo ai fatti; terzi ripercorreranno le trame di questi fili di storie e saranno loro ad elaborarli secondo la propria soggettività.
Omnia vanitas
di Francesco Funghi
Un moto discendente dall’alto verso il basso, collima con la lasciva gratificazione che si prova quando la forma aggredisce la sostanza, diventando un tutt’uno con la personale e umana sete di soddisfare bisogni vani. Come anticlimax la caducità si pone come raggiungimento di un traguardo nell’atto in cui la vanitas rende visibile il proprio costrutto, all’interno del quale non trova posto la pietas. Venendo focalizzata la ragione da un punto di vista del tutto comportamentale degli atteggiamenti adulanti, da noi verso di noi e verso gli altri, probabilmente in essi avviene un osmosi che dalla vanità potrebbe condurre al concetto di vanitas.
Questo movimento calante viene proposto in Vello, titolo del video in cui anelidi posti all’interno di una fessura, metafora dell’organo genitale femminile però non più visto come emblema della generatrice di vita ma mero buco dal quale non si riesce più ad uscire, declama il momento in cui la carne declina tutta la sua virtù nei confronti di una evasione del tutto materiale. La bellezza sublime della genitrice, ostentando la propria carnalità, diventa “memento mori” che trasforma la madre nel simbolo della donna fatale, similmente a quello che accade nella trama del film “Prénom Carmen” di Jean-Luc Godard, o nella narrazione della pellicola di David Lynch, intitolata “Blue Velvet”. Quest’ultimo racconta di una donna che trascina il protagonista Jeffrey nell’antro di una spirale di dolore che inizia immediatamente dopo il loro primo incontro, avvenuto all’interno della stanza dalle tende rosse.
Questo colore si ripresenta insieme alla canzone di Bobby Vinton “Blue Velvet”, leitmotiv del film omonimo, anche nel video presentato dall’artista Raffaele Di Vaia che da questa proiezione ha tratto ispirazione. L’oblio termina in un lieto fine deviante; anche Jeffrey non esce dalla trama di Lynch come eroe privo di macchia ma sporcato da un atteggiamento con il quale cerca di soddisfare un bisogno voyeuristico nei confronti di ciò che risulta ferale. Stessa possibile relazione che si pone tra Vello e colui che ne fruisce e che si verrà a trovare in una dimensione di inerte complicità.
I diversi legami che intercorrono tra le creazioni presentate all’interno di questa personale potrebbero essere sintetizzati con la frase “Vanitas vanitatum et omnia vanitas” (vanità delle vanità, tutto è vanità) conclusione dei dodici capitoli del libro del Qoelet che, sviscerata da una visione evangelica, ci proietta nella dimensione nichilista di una relazione mentale esclusivamente umana. L’immagine che si avvolge di un afflato ammaliante diventa tanto più accattivante quanto più siamo nascosti nel momento in cui essa viene osservata.
Ed è proprio ciò che accade in Venere, dove un lento movimento di macchina si avvicina ad uno specchio, simbolo per antonomasia della “vanitas” e della caducità della materia, all’interno del quale si scorge una figura demoniaca.
La carrellata si conclude o meglio sprofonda dentro una visione video fluttuante, contemporaneamente alla chiusura del sottofondo musicale che accompagna l’opera, ovvero un brano tratto da un’area de “La Norma” di Bellini ( ancora una volta un anticlimax che racconta come l’amore di Pollione per una donna si trasformi inevitabilmente in dramma). Venere emblema della fascinazione ci conduce ad un significato del termine bellezza tout-court, in cui tutte le accezioni della parola vengono a ricongiungersi. Venere infatti è anche il nome della stella del mattino e possiede un forte legame con Lucifero ovvero colui che porta la luce per la tradizione latina ma anche divinità del fulgore secondo il paganesimo. Stesso legame anche nei confronti della tradizione giudaico-cristiana, nella quale Lucifero risulta essere l’angelo più bello che ha voluto sfidare Dio, credendosi migliore del Creatore e che per questo suo atto di vanità è stato di contrappasso cacciato dal paradiso e imprigionato al centro della Terra.
L’espressione di questo sentimento introduce anche l’opera Video intitolata Faustine: una stratificazione d’immagini a camera fissa con commento musicale di Schubert, racconta l’incontro di due donne di età differente, l’una come specchio dell’altra. Il significante della creazione porta in seno una volontà di richiamare le tematiche poste all’interno del romanzo “L’invenzione di Morel” di Adolfo Bioy Casares. Scorrendo la narrazione del testo si arriva a intendere che il protagonista, un fuggitivo, si innamora di una donna, che attraverso l’invenzione di Morel, non ha più una concretezza fisica ma è solo immagine che si ripete ogni volta che il macchinario si mette in moto, come fosse una sorta di allucinazione che vive nei medesimi ambienti abitati dallo stesso fuggiasco. Faustine, la donna oggetto del desiderio del protagonista, chiaramente interagisce con gli altri personaggi a loro volta proiezioni, ma non con l’innamorato. L’amore per l’immagine è talmente forte da spingere l’uomo a farsi investire dal raggio dell’invenzione, conscio che andrà verso la morte, visto che nello svolgersi della trama, capisce che gli individui sottoposti a tele macchinario, dopo poco sarebbero deceduti. Qui la vanità tocca il livello più alto perché l’amore per una meta-rappresentazione, si trasforma in memento mori. A differenza di, Vello, in Faustine non esistono aspetti ferali, ma bensì l’attrazione quale momento sublime dell’essere umano, che lo conduce inevitabilmente ad annientare se stesso nella ripetizione dell’immagine, come se d’un tratto l’Eros e il Thanatos diventassero l’uno il riflesso dell’altro.
La prassi per la realizzazione di questi impianti poetico- estetici è solitamente di tipo distaccato, non essendoci mai coinvolgimento da parte dell’artista. Per questo la visione resta sempre disillusa lasciando ingiudicata la discussione, concependo la vanità come condotta del tutto umana e per la quale tutti ne potrebbero essere coinvolti. Questo è il modo in cui opera Raffaele Di Vaia visto anche l’analisi di opere precedenti a queste, nelle quali si instaura sempre una volontà di costruire modelli in cui non si incontra mai una visione univoca, ma ogni elemento viene pensato come fosse un Giano bifronte non essendoci mai una distinzione netta del ciò che è e di ciò che appare. Questa genesi dei lavori produce una possibilità di conferirgli più chiavi di lettura e più versioni interpretative. Nonostante l’output sia regolato da questo senso di distaccato relativismo, l’input che parte dall’artista è profondamente insito nelle proprie esperienze emotive, di fatti le creazioni escono, o meglio evadono, da un circuito chiuso in cui destinatore e destinatario, per usare termini cari a Gérard Genette, sono solo e soltanto l’artista che agisce tra se e con se, tramite linguaggi non verbali esempio, l’uso dei gesti e dello spazio.
Nel video intitolato “Vello” la molteplicità di vermi che si sovrappongono in un lento movimento ipnotico si fa, col passare del tempo, un organismo unico; la sensazione iniziale di calore ed accoglienza lascia spazio a un climax di metamorfosi e claustrofobia. Le immagini che poi diventano un corpo unico, sono intraviste in un’atmosfera soffusa, attraverso una fessura angusta che si fa emblema dell’organo genitale femminile generatore di vita, ma al contempo diviene con lo scorrere delle immagini, qualcosa d’altro, un meccanismo asfissiante che da fecondo risulta essere strangolatore, dove il colore rosso e la canzone di Bobby Vinton, citazioni dal film Blue Velvet di David Lynch, rappresentano questa carnalità portata all’esasperazione. Accenti vitali e atmosfere mortifere si compenetrano e si alternano in una rappresentazione estremamente naturale ma altrettanto oscena, con accenti ferini. Il tutto privo però di qualsivoglia metro di giudizio morale.
Allo stesso modo in “Venere”, una lenta carrellata accompagnata dalle note di un’aria de La Norma di Bellini, conduce i nostri sguardi verso uno specchio dove si intravede il riflesso di una figura demoniaca. Il tutto anche qui è giocato sull’ambiguità e l’ambivalenza di significato che può essere attribuito al concetto di Venere. Dea dell’amore, stella del mattino Lucifera e portatrice di luce, oppure Lucifero inteso come Maligno, cacciato da Dio al centro della terra e visibile in penombra proprio in quello specchio in dissolvenza.
Infine in “Faustine” questa doppia accezione di significato che ogni cosa possiede, è espressa proprio formalmente dalla ripetitiva sovrapposizione di una stessa sequenza di gesti; le protagoniste del video entrano in scena, ballano e sorridono, attimo dopo attimo, lasciando scie sottili della loro presenza che è stata e anticipando quello che sarà di nuovo. La poeticità del balletto sulle note di Schubert è però frenata da una forte sensazione di straniamento e di vertigine che col passare del tempo queste immagini vorticose producono nell’osservatore.
Certo è che non c’è nessuna volontà da parte dell’artista di creare un metro di giudizio morale tra le varie alternative che le immagini dei video propongono. Non c’è bene o male; una madre potrà essere anche femmina fatale così come la luce convive con la tenebra e ad essa si alterna. L’artista mira solo a riportare come un narratore estraneo ai fatti; terzi ripercorreranno le trame di questi fili di storie e saranno loro ad elaborarli secondo la propria soggettività.
Omnia vanitas
di Francesco Funghi
Un moto discendente dall’alto verso il basso, collima con la lasciva gratificazione che si prova quando la forma aggredisce la sostanza, diventando un tutt’uno con la personale e umana sete di soddisfare bisogni vani. Come anticlimax la caducità si pone come raggiungimento di un traguardo nell’atto in cui la vanitas rende visibile il proprio costrutto, all’interno del quale non trova posto la pietas. Venendo focalizzata la ragione da un punto di vista del tutto comportamentale degli atteggiamenti adulanti, da noi verso di noi e verso gli altri, probabilmente in essi avviene un osmosi che dalla vanità potrebbe condurre al concetto di vanitas.
Questo movimento calante viene proposto in Vello, titolo del video in cui anelidi posti all’interno di una fessura, metafora dell’organo genitale femminile però non più visto come emblema della generatrice di vita ma mero buco dal quale non si riesce più ad uscire, declama il momento in cui la carne declina tutta la sua virtù nei confronti di una evasione del tutto materiale. La bellezza sublime della genitrice, ostentando la propria carnalità, diventa “memento mori” che trasforma la madre nel simbolo della donna fatale, similmente a quello che accade nella trama del film “Prénom Carmen” di Jean-Luc Godard, o nella narrazione della pellicola di David Lynch, intitolata “Blue Velvet”. Quest’ultimo racconta di una donna che trascina il protagonista Jeffrey nell’antro di una spirale di dolore che inizia immediatamente dopo il loro primo incontro, avvenuto all’interno della stanza dalle tende rosse.
Questo colore si ripresenta insieme alla canzone di Bobby Vinton “Blue Velvet”, leitmotiv del film omonimo, anche nel video presentato dall’artista Raffaele Di Vaia che da questa proiezione ha tratto ispirazione. L’oblio termina in un lieto fine deviante; anche Jeffrey non esce dalla trama di Lynch come eroe privo di macchia ma sporcato da un atteggiamento con il quale cerca di soddisfare un bisogno voyeuristico nei confronti di ciò che risulta ferale. Stessa possibile relazione che si pone tra Vello e colui che ne fruisce e che si verrà a trovare in una dimensione di inerte complicità.
I diversi legami che intercorrono tra le creazioni presentate all’interno di questa personale potrebbero essere sintetizzati con la frase “Vanitas vanitatum et omnia vanitas” (vanità delle vanità, tutto è vanità) conclusione dei dodici capitoli del libro del Qoelet che, sviscerata da una visione evangelica, ci proietta nella dimensione nichilista di una relazione mentale esclusivamente umana. L’immagine che si avvolge di un afflato ammaliante diventa tanto più accattivante quanto più siamo nascosti nel momento in cui essa viene osservata.
Ed è proprio ciò che accade in Venere, dove un lento movimento di macchina si avvicina ad uno specchio, simbolo per antonomasia della “vanitas” e della caducità della materia, all’interno del quale si scorge una figura demoniaca.
La carrellata si conclude o meglio sprofonda dentro una visione video fluttuante, contemporaneamente alla chiusura del sottofondo musicale che accompagna l’opera, ovvero un brano tratto da un’area de “La Norma” di Bellini ( ancora una volta un anticlimax che racconta come l’amore di Pollione per una donna si trasformi inevitabilmente in dramma). Venere emblema della fascinazione ci conduce ad un significato del termine bellezza tout-court, in cui tutte le accezioni della parola vengono a ricongiungersi. Venere infatti è anche il nome della stella del mattino e possiede un forte legame con Lucifero ovvero colui che porta la luce per la tradizione latina ma anche divinità del fulgore secondo il paganesimo. Stesso legame anche nei confronti della tradizione giudaico-cristiana, nella quale Lucifero risulta essere l’angelo più bello che ha voluto sfidare Dio, credendosi migliore del Creatore e che per questo suo atto di vanità è stato di contrappasso cacciato dal paradiso e imprigionato al centro della Terra.
L’espressione di questo sentimento introduce anche l’opera Video intitolata Faustine: una stratificazione d’immagini a camera fissa con commento musicale di Schubert, racconta l’incontro di due donne di età differente, l’una come specchio dell’altra. Il significante della creazione porta in seno una volontà di richiamare le tematiche poste all’interno del romanzo “L’invenzione di Morel” di Adolfo Bioy Casares. Scorrendo la narrazione del testo si arriva a intendere che il protagonista, un fuggitivo, si innamora di una donna, che attraverso l’invenzione di Morel, non ha più una concretezza fisica ma è solo immagine che si ripete ogni volta che il macchinario si mette in moto, come fosse una sorta di allucinazione che vive nei medesimi ambienti abitati dallo stesso fuggiasco. Faustine, la donna oggetto del desiderio del protagonista, chiaramente interagisce con gli altri personaggi a loro volta proiezioni, ma non con l’innamorato. L’amore per l’immagine è talmente forte da spingere l’uomo a farsi investire dal raggio dell’invenzione, conscio che andrà verso la morte, visto che nello svolgersi della trama, capisce che gli individui sottoposti a tele macchinario, dopo poco sarebbero deceduti. Qui la vanità tocca il livello più alto perché l’amore per una meta-rappresentazione, si trasforma in memento mori. A differenza di, Vello, in Faustine non esistono aspetti ferali, ma bensì l’attrazione quale momento sublime dell’essere umano, che lo conduce inevitabilmente ad annientare se stesso nella ripetizione dell’immagine, come se d’un tratto l’Eros e il Thanatos diventassero l’uno il riflesso dell’altro.
La prassi per la realizzazione di questi impianti poetico- estetici è solitamente di tipo distaccato, non essendoci mai coinvolgimento da parte dell’artista. Per questo la visione resta sempre disillusa lasciando ingiudicata la discussione, concependo la vanità come condotta del tutto umana e per la quale tutti ne potrebbero essere coinvolti. Questo è il modo in cui opera Raffaele Di Vaia visto anche l’analisi di opere precedenti a queste, nelle quali si instaura sempre una volontà di costruire modelli in cui non si incontra mai una visione univoca, ma ogni elemento viene pensato come fosse un Giano bifronte non essendoci mai una distinzione netta del ciò che è e di ciò che appare. Questa genesi dei lavori produce una possibilità di conferirgli più chiavi di lettura e più versioni interpretative. Nonostante l’output sia regolato da questo senso di distaccato relativismo, l’input che parte dall’artista è profondamente insito nelle proprie esperienze emotive, di fatti le creazioni escono, o meglio evadono, da un circuito chiuso in cui destinatore e destinatario, per usare termini cari a Gérard Genette, sono solo e soltanto l’artista che agisce tra se e con se, tramite linguaggi non verbali esempio, l’uso dei gesti e dello spazio.
19
dicembre 2009
Raffaele Di Vaia – Omnia Vanitas
Dal 19 dicembre 2009 al 17 gennaio 2010
arte contemporanea
Location
STUDIO CHIMERA
Vinci, Via Roma, 5, (Firenze)
Vinci, Via Roma, 5, (Firenze)
Orario di apertura
tutti i sabati e le domeniche dalle 17:00 alle 19:00.
Vernissage
19 Dicembre 2009, ore 18
Sito web
www.raffaeledivaia.com
Autore
Curatore