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Raphael Gasparri – Il colore del gesto
..Quella di Raphael è una pittura sospesa tra il lirico e l’epico, tra lo stupore dell’immagine e la voglia di raccontare la storia di questo stupore. Non autoironia, un mezzo sorriso che spunta proprio quando si pensa di stare per incontrare il sublime..”
Renato Nicolini
Comunicato stampa
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"Tra lirico e epico"
di Renato Nicolini
Non potrei scrivere di Raphael Gasparri senza cominciare col dire che lo conosco da bambino. Raphael è figlio d'arte: e da quanto anni conosco suo padre Alberto il pittore di Trastevere, non nel senso banale e folkloristico che alla parola Trastevere, purtroppo, si sta appiccicando addosso, trasformando in capolavoro del tempo perduto persino il film Trastevere di Riccardo Tozzi con Vittorio De Sica e Nino Manfredi, dove comunque sono ancora i volti delle madonnare, la tradizione della gita annuale alla Madonna del Divino Amore. Qualcosa che si è perduto per sempre. Alberto ha introiettato profondamente, nel suo animo e nella sua arte, la qualità di Trastevere, una testarda e schiva dignità, la volontà di restare un mondo a parte, di non sincronizzare le lancette del proprio orologio con l'ora unica del mondo globale. Conosco Alberto almeno dal 1982. L'ho incontrato per la prima volta a casa di un amico comune e Vicolo del Cinque. O forse alla Casa della Cultura; o forse in assessorato, dove mi pare arrivasse una volta con un quadro che mi ha regalato e posseggo ancora, un Togliatti strillone dell'Unità di Gramsci, con una prima pagina dove le frasi di Gramsci erano ben leggibili, quasi un Dazebao. Qualcosa allora, sono passati venticinque anni, molto naturale, tempi in cui si aveva, come ha scritto Pasolini, l'ingenua fiducia di cambiare il mondo. Alberto ha una bella storia, fatta di lotte, botte, vittorie e sconfitte. Sappiamo, da Victory di Conrad e da Hugo Pratt, che qualche volta è impossibile distinguere la sconfitta dalla vittoria. Alberto è andato, alla fine degli Anni Sessanta, a New York, con una sorta di borsa di studio che gli aveva procurato Giulio Argan. Lì lo aveva seguito Anna, che aveva smesso di fare l'hostess per stargli accanto...
La cosa più notevole di quel soggiorno fu una performance sulle scale del Metropolitan Museum, coperte da ovoidi, sculture di Alberto, subito spazzate dalla polizia...
Ma anche il viaggio di Alberto a Lowell, per il funerale di Kerouac... Poi Anna e Alberto erano tornati a Roma, anche lì la loro storia non era stata facile; e tra New York e Roma erano nati prima Kharis e poi Raphael...
Solo dopo qualche anno (ho sempre pensato che con l'arte non bisogna avere fretta, ed è bene conoscere gli artisti prima di guardare le loro opere) sono salito per la prima volta lungo i cinque piani senza ascensore della casa a via di San Francesco a Ripa, dove Alberto viveva con Anna, Kharis e Raphael; sopra una pizzeria, di fronte ad un'altra pizzeria, ma accanto alla chiesa di “San Pasquale Baylonne, protettore delle donne”. Lì Alberto aveva il suo studio, cui si entrava per una seconda porta, separato dall'abitazione. Poi la separazione è diventata meno netta, crescendo i bisogni della famiglia. Finchè Alberto ha finito per trasferire lo studio a Via degli Orti d'Alibert dove l'ho anche io...
Quante cose sono successe anche per me nella casa di San Francesco a Ripa! Capodanni, cene, sere e feste passati insieme. Anche le prime riunioni del comitato per Nicolini Sindaco nel '93...
E' agli Orti d'Alibert che Raphael ha iniziato la sua strada di pittore, nella neo rinascimentale bottega di Alberto, dopo essersi auto proclamato pittore clandestino, aveva aperto. Raffaele è arrivato, ultimo degli umanisti, per la porta della letteratura. Un itinerario inconsueto, ma conseguente alla scelta di frequentare la Scuola Spagnola. La scuola è intitolata a Cervantes, ed ho sentito spesso Alberto contrapporre la cultura dell'umanesimo maturo, capace di sorridere di sé stesso, del Cervantes al medioevale Dante... “Raffaele si firmava già Raphael, e con questo nome pubblicava qualche piccolo ed elegante libro di poesie. La pittura di Raphael è una pittura sospesa tra il lirico e l'epico, tra lo stupore dell'immagine e la voglia di raccontare la storia di questo stupore. Non autoironia, un mezzo sorriso che spunta proprio quando si pensa di stare per incontrare il sublime. Raphael non ha soltanto vissuto a Roma, ha viaggiato: a differenza dell'India, che ha affascinato il fratello Kharis, si è diretto senza esitazioni a New York: è andato diritto al centro del potere nel mondo ed alla fonte del nostro disinganno.
Il fascino della sua pittura è in un inconsueto doppio registro. Una sensibilità che parte dalle diverse fasi della pittura del padre, sempre ricca di motivazioni spirituali e culturali complesse, errante tra fascino del pop, del Rinascimento, del tempo e della magia: una ricerca, perennemente insoddisfatta, tra cavalli e cavalieri, Roma, la Grecia e il mediterraneo, del Sacro Graal della pittura.
Raphael vi aggiunge una non pienamente consapevole vocazione alla ribellione, che lo porta ad una radicale semplificazione e all'approdo per la strada più difficile al primato della forma, della sua autonomia del significato, in una sorta di distacco metafisico che sovrappone la radicale capacità inventiva dell'immaginazione alla realtà... Porto come esempio un suo grande quadro, forse il più bello, intitolato “In attesa della prima foglia”.
Quattro grandi tronchi, di cui non si vede la chioma, esclusa dall'immagine come in un'inquadratura cinematografica, che esaltano la loro nudità sullo sfondo giallo.
L'orizzonte divide in due parti la composizione. Al giallo dell'aria, si contrappone il tessuto di foglie che copre fitto il terreno nascondendo la terra. All'astrazione della parte superiore del quadro si contrappone la vocazione a narrare della parte inferiore, in una sorta di rilettura del primo Kupka, ambivalente tra impressionismo ed espressionismo.
In mezzo, ai quattro tronchi, un albero più giovane, che rivela in cima il germoglio ma non ancora la foglia. Le nuove generazioni riscoprono il mondo che noi credevamo di aver capito, e ce ne dimostrano ancora una volta l'irriducibilità ad un'unica interpretazione. Raphael riesce a stupirsene, ad assumere su di sé il peso delle sue contraddizioni, a tentare di rappresentarle senza inibizioni, sia al piano caro a De Chirico della “buona pittura” sia sul piano simbolico, ed a farcelo vedere come se, almeno parzialmente, per gli occhi dell'artista e per gli occhi di chi ne guarda l'opera, fosse ancora nuovo.
di Renato Nicolini
Non potrei scrivere di Raphael Gasparri senza cominciare col dire che lo conosco da bambino. Raphael è figlio d'arte: e da quanto anni conosco suo padre Alberto il pittore di Trastevere, non nel senso banale e folkloristico che alla parola Trastevere, purtroppo, si sta appiccicando addosso, trasformando in capolavoro del tempo perduto persino il film Trastevere di Riccardo Tozzi con Vittorio De Sica e Nino Manfredi, dove comunque sono ancora i volti delle madonnare, la tradizione della gita annuale alla Madonna del Divino Amore. Qualcosa che si è perduto per sempre. Alberto ha introiettato profondamente, nel suo animo e nella sua arte, la qualità di Trastevere, una testarda e schiva dignità, la volontà di restare un mondo a parte, di non sincronizzare le lancette del proprio orologio con l'ora unica del mondo globale. Conosco Alberto almeno dal 1982. L'ho incontrato per la prima volta a casa di un amico comune e Vicolo del Cinque. O forse alla Casa della Cultura; o forse in assessorato, dove mi pare arrivasse una volta con un quadro che mi ha regalato e posseggo ancora, un Togliatti strillone dell'Unità di Gramsci, con una prima pagina dove le frasi di Gramsci erano ben leggibili, quasi un Dazebao. Qualcosa allora, sono passati venticinque anni, molto naturale, tempi in cui si aveva, come ha scritto Pasolini, l'ingenua fiducia di cambiare il mondo. Alberto ha una bella storia, fatta di lotte, botte, vittorie e sconfitte. Sappiamo, da Victory di Conrad e da Hugo Pratt, che qualche volta è impossibile distinguere la sconfitta dalla vittoria. Alberto è andato, alla fine degli Anni Sessanta, a New York, con una sorta di borsa di studio che gli aveva procurato Giulio Argan. Lì lo aveva seguito Anna, che aveva smesso di fare l'hostess per stargli accanto...
La cosa più notevole di quel soggiorno fu una performance sulle scale del Metropolitan Museum, coperte da ovoidi, sculture di Alberto, subito spazzate dalla polizia...
Ma anche il viaggio di Alberto a Lowell, per il funerale di Kerouac... Poi Anna e Alberto erano tornati a Roma, anche lì la loro storia non era stata facile; e tra New York e Roma erano nati prima Kharis e poi Raphael...
Solo dopo qualche anno (ho sempre pensato che con l'arte non bisogna avere fretta, ed è bene conoscere gli artisti prima di guardare le loro opere) sono salito per la prima volta lungo i cinque piani senza ascensore della casa a via di San Francesco a Ripa, dove Alberto viveva con Anna, Kharis e Raphael; sopra una pizzeria, di fronte ad un'altra pizzeria, ma accanto alla chiesa di “San Pasquale Baylonne, protettore delle donne”. Lì Alberto aveva il suo studio, cui si entrava per una seconda porta, separato dall'abitazione. Poi la separazione è diventata meno netta, crescendo i bisogni della famiglia. Finchè Alberto ha finito per trasferire lo studio a Via degli Orti d'Alibert dove l'ho anche io...
Quante cose sono successe anche per me nella casa di San Francesco a Ripa! Capodanni, cene, sere e feste passati insieme. Anche le prime riunioni del comitato per Nicolini Sindaco nel '93...
E' agli Orti d'Alibert che Raphael ha iniziato la sua strada di pittore, nella neo rinascimentale bottega di Alberto, dopo essersi auto proclamato pittore clandestino, aveva aperto. Raffaele è arrivato, ultimo degli umanisti, per la porta della letteratura. Un itinerario inconsueto, ma conseguente alla scelta di frequentare la Scuola Spagnola. La scuola è intitolata a Cervantes, ed ho sentito spesso Alberto contrapporre la cultura dell'umanesimo maturo, capace di sorridere di sé stesso, del Cervantes al medioevale Dante... “Raffaele si firmava già Raphael, e con questo nome pubblicava qualche piccolo ed elegante libro di poesie. La pittura di Raphael è una pittura sospesa tra il lirico e l'epico, tra lo stupore dell'immagine e la voglia di raccontare la storia di questo stupore. Non autoironia, un mezzo sorriso che spunta proprio quando si pensa di stare per incontrare il sublime. Raphael non ha soltanto vissuto a Roma, ha viaggiato: a differenza dell'India, che ha affascinato il fratello Kharis, si è diretto senza esitazioni a New York: è andato diritto al centro del potere nel mondo ed alla fonte del nostro disinganno.
Il fascino della sua pittura è in un inconsueto doppio registro. Una sensibilità che parte dalle diverse fasi della pittura del padre, sempre ricca di motivazioni spirituali e culturali complesse, errante tra fascino del pop, del Rinascimento, del tempo e della magia: una ricerca, perennemente insoddisfatta, tra cavalli e cavalieri, Roma, la Grecia e il mediterraneo, del Sacro Graal della pittura.
Raphael vi aggiunge una non pienamente consapevole vocazione alla ribellione, che lo porta ad una radicale semplificazione e all'approdo per la strada più difficile al primato della forma, della sua autonomia del significato, in una sorta di distacco metafisico che sovrappone la radicale capacità inventiva dell'immaginazione alla realtà... Porto come esempio un suo grande quadro, forse il più bello, intitolato “In attesa della prima foglia”.
Quattro grandi tronchi, di cui non si vede la chioma, esclusa dall'immagine come in un'inquadratura cinematografica, che esaltano la loro nudità sullo sfondo giallo.
L'orizzonte divide in due parti la composizione. Al giallo dell'aria, si contrappone il tessuto di foglie che copre fitto il terreno nascondendo la terra. All'astrazione della parte superiore del quadro si contrappone la vocazione a narrare della parte inferiore, in una sorta di rilettura del primo Kupka, ambivalente tra impressionismo ed espressionismo.
In mezzo, ai quattro tronchi, un albero più giovane, che rivela in cima il germoglio ma non ancora la foglia. Le nuove generazioni riscoprono il mondo che noi credevamo di aver capito, e ce ne dimostrano ancora una volta l'irriducibilità ad un'unica interpretazione. Raphael riesce a stupirsene, ad assumere su di sé il peso delle sue contraddizioni, a tentare di rappresentarle senza inibizioni, sia al piano caro a De Chirico della “buona pittura” sia sul piano simbolico, ed a farcelo vedere come se, almeno parzialmente, per gli occhi dell'artista e per gli occhi di chi ne guarda l'opera, fosse ancora nuovo.
05
dicembre 2009
Raphael Gasparri – Il colore del gesto
Dal 05 al 20 dicembre 2009
arte contemporanea
Location
ART’S MOMENT
Roma, Via Della Greca, 5, (Roma)
Roma, Via Della Greca, 5, (Roma)
Orario di apertura
dal lunedì al venerdì 16:30-22:00
Il sabato e la domenica 10:00-12:30 e 17:00-22:00
Vernissage
5 Dicembre 2009, ore 18.30
Autore
Curatore